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2. L’evoluzione delle società pubbliche nell’ordinamento nazionale

1.3. La disciplina applicabile: il diritto di accesso

strategie aziendali, e sempre che concerna un ambito territoriale di competenza dell’amministrazione controllante. Ne consegue, di fatto, la necessità di definire un oggetto sociale “prevalente” – in sostanza quasi esclusivo – che, pur non essendo imposto per legge come invece accade con le società strumentali, è prescritto a livello interpretativo dalle pronunce sempre più restrittive dei giudici nazionali e comunitari. Queste osservazioni ci riconducono all’iniziale quadro delle società pubbliche e, precisamente, alla considerazione che le cc.dd. in house – operando al di fuori del mercato quale deroga al principio di libera concorrenza – costituiscono un modulo al quale guardare con sempre maggior sospetto. I relativi servizi, pur rivolgendosi alla generalità dei cittadini, sono gestiti da un organismo formalmente privato ma direttamente riconducibile all’ente pubblico partecipante, di cui costituisce longa manus. In quest’ottica si giustifica la progressiva tendenza di applicare alle società in house una disciplina che ricalca quella delle pubbliche amministrazioni, con la finalità perseguita di arginare fenomeni elusivi di strumentalizzazione del modello societario, tesi ad evitare l’applicazione delle più stringenti disposizioni di diritto pubblico.

1.3. La disciplina applicabile: il diritto di accesso

Nel panorama che si è delineato delle società interamente pubbliche può essere utile affiancare alla trattazione sistematica un taglio più concreto, al fine di valutare quale sia la disciplina applicabile a ciascun modello sinora esaminato (148). I dati che risultano da questa analisi consentono di valutare l’appetibilità di                                                                                                                

(148) Il problema dell’individuazione della disciplina concretamente applicabile alle società pubbliche è stato oggetto d’attenzione di molteplici autori, tra i quali G.ROSSI, Gli enti pubblici in forma societaria, in Serv. pubbl. e app., 2004, 221 ss.; V. CERULLI IRELLI, “Ente pubblico”: problemi di identificazione e disciplina applicabile, in V.CERULLI IRELLI,G.MORBIDELLI (a cura di), Ente pubblico ed enti pubblici, Torino, 1994, 84 ss.; F.G.SCOCA, Il punto sulle c.d. società pubbliche, in Dir. econ., 2005, 239 ss.

ciascuna soluzione in rapporto alle necessità amministrative e imprenditoriali di volta in volta implicate nelle fattispecie concrete. Si è visto come le differenti tipologie di organismi pubblici, in tutto o in parte, per alcuni versi si avvicinano all’impresa privata, mentre per altri sono quasi sovrapponibili all’amministrazione che li partecipa. In particolare, l’affinità con l’ente pubblico è maggiore per le società strumentali o in house, mentre risulta minore per altri modelli, primo fra tutti quello della società mista, meglio riconducibile alla figura dell’appalto. I motivi che sorreggono tale tesi sono facilmente intuibili: il legame con l’amministrazione è senz’altro più forte per le società che ne siano partecipate in via esclusiva e che vi si rivolgano in maniera prevalente o addirittura unica; viceversa, è più debole nel momento in cui si esplichi quale rapporto paritetico tra soci nell’ambito di uno schema regolato dal diritto privato.

Il tema sulla disciplina applicabile a ciascun modello di società pubblica è controverso. In particolare, le questioni più dibattute e di maggiore rilievo pratico riguardano i seguenti profili: da un lato, la soggezione al patto di stabilità interno e alle regole per il reclutamento del personale dipendente e per il conferimento degli incarichi di consulenza; dall’altro, l’applicazione del codice dei contratti ai fini dell’acquisto di beni e servizi; per altro verso ancora, la giurisdizione della Corte dei conti ogniqualvolta si registri un danno alla p.a.; infine, la possibilità di esercitare il diritto di accesso nei confronti dell’organismo partecipato. Prendiamo le mosse da quest’ultima ipotesi. Gli interpreti, sia in dottrina che in giurisprudenza, hanno da tempo rifiutato l’idea che la veste societaria sia di per sé idonea a sottrarre il gestore di un servizio pubblico alle regole sul diritto di accesso (149), e lo stesso                                                                                                                

(149) L. A.MAZZAROLLI, L’accesso ai documenti della pubblica amministrazione: profili sostanziali, Padova, 1990, 140; G.A.SALA, La società “pubblica” locale tra diritto privato e diritto amministrativo, in V.DOMENICHELLI (a cura di),La società “pubblica” tra diritto privato e diritto amministrativo, Padova, 2008, 9 ss.; R. BARDELLE, Il diritto di accesso agli atti delle società partecipate dall’ente locale, in www.dirittodeiservizipubblici.it, 2009. In giurisprudenza, si v. ex multiis C.d.S., sez. IV, 4 febbraio 1997, n. 82, in Dir. proc. amm., 1998, 374, con commento di M. OCCHIENA, Diritto di accesso, atti di diritto privato e tutela della riservatezza dopo la legge sulla privacy, secondo cui il diritto di accesso è correlato esplicitamente dalla legge 241/1990 non agli atti amministrativi, bensì all’attività amministrativa intesa in senso ampio, comprendente sia l’attività di

legislatore ha accolto tale impostazione modificando opportunamente la legge 7 agosto 1990, n. 241, intervenendo con la novella dell’11 febbraio 2005, n. 15, che ha definito in modo più appropriato i concetti di “pubblica amministrazione” e di “documento amministrativo” dettati dall’articolo 22. Pertanto, il diritto di accesso può essere oggi esercitato su ogni tipo di supporto detenuto da una pubblica amministrazione e concernente attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della relativa disciplina sostanziale. Inoltre, per “pubblica amministrazione” si intendono tutti i soggetti, sia di diritto pubblico che di diritto privato, limitatamente alla loro attività di pubblico interesse. Ne deriva un ampliamento del diritto de quo, esercitabile non solo nei confronti dell’amministrazione in senso stretto, ma anche verso gli altri soggetti che comunque esercitino un’attività pubblica, e limitatamente ad essa. La soluzione è confermata dalla legge 3 agosto 1999, n. 265, di modifica all’articolo 23 della legge 241/1990, che ora espressamente consente l’esercizio del diritto di accesso nei confronti delle amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi. In altre parole, nell’ambito di applicazione della disciplina rientra non soltanto l’attività di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato posta in essere dagli affidatari di servizi, che – pur non inerendo in via diretta alla gestione – sia a questa collegata da un nesso di strumentalità (150). Quanto ai casi di esclusione del diritto di accesso ai sensi                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    

diritto amministrativo che quella di diritto privato, in quanto dirette entrambe alla cura concreta degli interessi della collettività.

(150) C.d.S., sez. VI, 20 ottobre 2009, n. 5987. Tale orientamento era stato intrapreso dalle sentenze nn. 4 e 5 del 22 aprile 1999, pronunciate dall’adunanza plenaria del Consiglio di Stato. Sulla scia delle predette decisioni il giudice amministrativo ha in seguito sostenuto che “la strumentalità all’interesse pubblico sotteso alla gestione del servizio pubblico, se certo va ridimensionata allorché il gestore sia un soggetto del tutto privato tenuto, pur nel dovuto rispetto degli obblighi di servizio, al perseguimento di finalità sue proprie, non può non subire una scontata dilatazione quando la gestione è affidata a soggetti a forte impronta, se non addirittura a natura, pubblica; si tratta, infatti, di soggetti per i quali il dovere di imparzialità rinviene non solo dalla natura dell’attività espletata, ma anche dal persistente collegamento strutturale con il potere pubblico” (C.d.S., sez. VI, 5 marzo 2002, n. 1303). Simili considerazioni rilevano tanto più nel caso in cui si riscontri “la persistenza di una situazione di sostanziale monopolio in materia” (C.d.S., sez. VI, 23 ottobre 2007, n. 5569).

dell’articolo 24, comma 2, della legge sul procedimento amministrativo, bisogna ricordare che è prevista in via generale la possibilità che le singole amministrazioni individuino le categorie di documenti da esse formati, o comunque rientranti nella loro disponibilità, che vogliano sottrarre all’accesso. In proposito il regolamento di attuazione specifica che possano essere esclusi tutti quei supporti che contengano dati riguardanti la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, giuridiche, di gruppi, imprese e associazioni, facendo particolare riferimento ad interessi maggiormente sensibili (epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale), ancorché tali informazioni siano state fornite all’amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono (151). Preme domandarsi se la disposizione possa applicarsi anche alle società pubbliche. In mancanza di una disciplina espressa, la risposta affermativa proviene dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (152), che ha assimilato in via generale l’ambito applicativo del diritto di accesso a quello dell’articolo 97 della Costituzione, per il rispetto dei valori di imparzialità e buon andamento. Pertanto, risulta assodato il principio secondo cui ai fini dell’accesso non rileva la disciplina sostanziale pubblicistica o privatistica cui l’ente sia sottoposto, e neppure se nel caso di controversia sussista la giurisdizione ordinaria ovvero quella amministrativa, poiché – tranne le eccezioni tassativamente previste dalla legge – per tutti gli atti dell’amministrazione sussistono le esigenze di trasparenza che agevolano il concreto perseguimento dei valori costituzionali sanciti dal citato articolo 97. Inoltre, i giudici di Palazzo Spada hanno avuto modo di precisare che anche gli imprenditori privati, ove svolgano un servizio pubblico in base a un rapporto di concessione, sono assoggettati alla disciplina sull’accesso, in quanto svolgono un’attività strettamente connessa e strumentale a quella di gestione del servizio dovendo comunque soddisfare l’interesse pubblico. A tali                                                                                                                

(151) Si tratta del d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352 (regolamento per la disciplina delle modalità di esercizio e dei casi di esclusione del diritto di accesso ai documenti amministrativi, in attuazione dell’articolo 24 della legge 241/1990), e precisamente dell’articolo 8 di tale regolamento.

considerazioni non può opporsi il fatto che l’esercizio del diritto in esame possa incidere – eventualmente anche in maniera negativa – sull’organizzazione interna del gestore, poiché l’interesse generale è comunque prevalente (153). Ne consegue che i concessionari di servizi, sebbene sprovvisti di potestà regolamentare, hanno la facoltà – o meglio l’onere – di individuare con propri atti le categorie di documenti sottratti all’accesso (154).