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2. L’evoluzione delle società pubbliche nell’ordinamento nazionale

2.1. Un modello in via di estinzione?

interesse generale a carattere non industriale né commerciale, ovvero ancora svolgano attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica; in sostanza: qualora operino fuori mercato (198).

Alla luce di quanto osservato, anche nell’ambito dei limiti alla spesa per il personale si osserva come le società pubbliche finiscano per essere assimilate alle amministrazioni, in modo tanto più rilevante quanto maggiore sia il rapporto strutturale, organizzativo ed economico che le lega. Il timore che il modulo societario venga utilizzato quale strumento elusivo della disciplina che vincola gli enti territoriali spinge il legislatore ad adottare scelte sempre più restrittive, tali da relegare questi modelli al margine del mercato, facendoli ancora sopravvivere (per il momento) nei soli ambiti non competitivi. Viceversa, nei settori di libero mercato, la società pubblica è costretta ad operare in condizioni di parità con le altre imprese, in ossequio al principio comunitario di tutela della concorrenza, venendo a perdere qualsiasi vantaggio (o svantaggio) che in origine poteva trarre dalla sua natura pubblica. È, infatti, lecito chiedersi se sussistano ulteriori profili che possano evidenziare aspetti di convenienza nel ricorso al modulo della società pubblica, di interesse sia per l’ente territoriale, sia per gli operatori economici privati, sia infine per la comunità che fruisce dei servizi.

2. I margini di operatività delle società pubbliche non concorrenziali

2.1. Un modello in via di estinzione?

Giunti a questo punto della trattazione è opportuno soffermarsi su quanto                                                                                                                

(198) La previsione ricalca quasi testualmente quella dell’art. 18 del medesimo decreto legge 112/2008, convertito in legge 133/2008.

finora esposto, al fine di comprendere le effettive potenzialità delle società pubbliche e la correlata possibilità per gli enti territoriali di scegliere il modulo operativo più adatto alle proprie esigenze, nei limiti consentiti dalla normativa nazionale e comunitaria, nonché dal diritto vivente cristallizzato dalla giurisprudenza. A ben vedere, la pubblica amministrazione nell’esercizio del potere discrezionale è condizionata non solo dall’obbligo di motivazione in ragione delle giustificazioni di interesse pubblico sussistenti per intervenire in un determinato settore (sia esso all’interno o all’esterno del mercato), bensì anche da ulteriori valutazioni di ordine economico per il rispetto ai vincoli di bilancio, quale principio cardine di matrice europea oggi costituzionalizzato (199), e infine dall’effettivo margine di scelta residuo alla luce degli stringenti limiti imposti dal legislatore. L’incertezza oggettiva nell’optare per l’uno o per l’altro modello gestorio è destinata ad accentuarsi nell’ambito dei molteplici rapporti che intercorrono tra gli enti locali e le società partecipate, arroccate in una zona di frontiera al confine tra il diritto amministrativo e quello societario, nonché a cavallo tra la sfera di competenza tecnico-gestionale dei dirigenti e quella politico-amministrativa degli organi di governo (200). Tuttavia, sembra possibile effettuare alcune considerazioni di opportunità generale, senza voler prescindere dagli ulteriori accertamenti che devono riguardare ciascun caso concreto. Premesso che ad oggi l’unica strada sicura sembra essere quella della procedura ad evidenza pubblica, quali margini residuano per la scelta di un affidamento diretto a favore di un organismo interamente partecipato dall’ente locale? La possibilità di ricorso all’in house, come                                                                                                                

(199) La recente legge costituzionale 1/2012 ha modificato gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Carta fondamentale, innalzando a rango costituzionale il principio di pareggio del bilancio. Più precisamente, lo Stato è tenuto ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese, tenendo conto delle fasi avverse e di quelle favorevoli del ciclo economico. In quest’ottica il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico ovvero al verificarsi di eventi eccezionali previa autorizzazione delle camere a maggioranza assoluta (art. 81 Cost.). Oltre allo Stato, le stesse pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, devono assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico (art. 97 Cost.).

(200) M.NICO, Le società partecipate dagli enti locali dopo il decreto liberalizzazioni, cit., 375.

più volte osservato, è ristretta fra confini angusti, tanto da costringere l’amministrazione a muoversi su un terreno scivoloso: non stupisce che le p.a. preferiscano abbandonarlo, optando piuttosto per l’affidabile via della gara pubblica, mettendosi al riparo da insidiosi profili di responsabilità amministrativa e contabile. Valutiamo l’attuale esperibilità della soluzione in house, alla luce della più recente normativa in materia. Il già citato articolo 34 del decreto legge 179/2012, come modificato dalla sua legge di conversione 221/2012, ha previsto l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di predisporre una relazione che dia conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti per la forma di affidamento del servizio di volta in volta prescelta, definendo altresì i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e universale con le relative compensazioni economiche, se previste. Il legislatore ammette, dunque, la sussistenza di più tipologie di affidamento (con gara, in via diretta a favore di un organismo interamente pubblico, ovvero a società mista tramite la c.d. gara a doppio oggetto), purché la scelta sia sostenuta da una congrua motivazione che assicuri il rispetto della disciplina europea, la parità tra gli operatori, l’economicità della gestione e un’adeguata informazione per la collettività di riferimento. In questo modo l’obbligo di motivare e di pubblicizzare la modalità di affidamento viene istituzionalizzato, e tale obbligo sussiste a prescindere dal fatto che la pubblica amministrazione abbia adottato l’una, l’altra, o la terza forma di gestione del servizio (201). Dall’assunto non può comunque trarsi la conclusione dell’esistenza nel nostro ordinamento di un principio di equiordinazione tra i vari modelli di affidamento: la procedura ad evidenza pubblica costituisce pur sempre il metodo ordinario di selezione del soggetto a cui affidare lo svolgimento del servizio. Viceversa, l’in house – anche dopo l’intervento della Corte costituzionale con la sentenza n. 199/2012 che ha fatto rivivere la disciplina comunitaria – rimane                                                                                                                

(201) C.VOLPE, La nuova normativa sui servizi pubblici locali di rilevanza economica. Dalle ceneri ad un nuovo effetto “Lazzaro”. Ma è vera resurrezione?, cit.

senz’altro un modulo alternativo alla gara, ma non può porsi sul suo stesso piano, in quanto mantiene quella connotazione derogatoria ed eccezionale che già aveva acquistato progressivamente a seguito delle varie pronunce della Corte di giustizia e, in tempi successivi, con le ingerenze costanti del legislatore nazionale (202). L’unica vera alternativa alla gara, spazzato il campo dalla praticabilità – e soprattutto dall’affidabilità – dell’attribuzione in via diretta del servizio, sembra essere ad oggi quella della società mista, modello versatile per la sua natura ibrida e facilmente adattabile alle esigenze dell’amministrazione, da un lato, e del privato imprenditore, dall’altro, nel rispetto dei principi comunitari di evidenza pubblica e concorrenza.