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L’intervento della Corte costituzionale sull’appello del pubblico ministero.

Nel documento L'impugnazione della parte civile (pagine 47-52)

eccezionale previsto dall’art. 593 comma 2, c.p.p..

2. L’intervento della Corte costituzionale sull’appello del pubblico ministero.

La regola per cui il pubblico ministero non poteva appellare il proscioglimento dell’imputato salvo il caso, di rarissima verificazione concreta, della sopravvenienza o scoperta di nuove prove decisive, ha avuto una vita breve.

Il teso dell’art. 593 comma 2, come novellato dalla legge n. 46 del 2006, ha, infatti, sollecitato da subito una serie di dubbi di conformità al dettato costituzionale97.

Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici di merito non sono rimaste senza effetto: la Corte costituzionale, con la sentenza n. 26 del 2007 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 593 comma

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P. FERRUA, Riforma disorganica: era meglio rinviare ma non avremo il terzo grado di giudizio, in

Dir. Giust., n. 9, 2006, 78.

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Si vedano, tra le corti di merito che hanno sollevato la questione di costituzionalità: C. App. Napoli III, 30 marzo 2006, in Giur. mer., 2006, 2204; C. App. Brescia II, 10 marzo 2006, in Guida dir., 13, 87; C. App. Bologna II, 23 marzo 2006, in Dir. gius., 15, 68; C. Ass. App. Venezia II, 20 marzo 2006, in Giur.

2 c.p.p., come modificato dall’art. 1 della l. n. 46 del 2006, nella parte in cui escludeva che il pubblico ministero potesse appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’art. 603 comma 2, in caso di nuova prova decisiva98.

Innanzitutto, il parametro impiegato per statuire l’illegittimità della disciplina che vietava al pubblico ministero di appellare il proscioglimento è l’art.111 comma 2 Cost.

La regola secondo cui l’accertamento giudiziario si svolge in <<contraddittorio tra le parti in condizioni di parità dinanzi ad un giudice terzo e imparziale>> è stata assunta come espressione generale del principio di eguaglianza tra i contendenti necessari.

In premessa, la Corte costituzionale ha richiamato e confermato il proprio consolidato indirizzo secondo cui, nel processo penale, il principio di parità tra accusa e difesa non comporta necessariamente l’identità tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell’imputato: una disparità di trattamento può risultare giustificata purchè non esorbiti dai limiti di ragionevolezza99. Proprio sul concetto di ragionevolezza la Corte si è intrattenuta, precisando che il relativo giudizio andrà condotto sulla base del rapporto comparativo tra la ratio che ispira la norma generatrice

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Corte cost., 24 gennaio 2007, in Guida dir., 2007, 8, 75 con note di SCALFATI, Restituito il potere di

impugnazione senza un riequilibrio complessivo, 78; E. MARZADURI, Sistema da riscrivere dopo ampie riflessioni, ivi, 84; G. FRIGO, Una parità che consolida disuguaglianze, ivi, 87; in Dir. pen. proc. 2007,

605, con note di P. FERRUA, La sentenza costituzionale sull’inappellabilità del proscioglimento e il

diritto al <<riesame>> dell’imputato, 611; DE CARO, L’illegittimità costituzionale del divieto di appello del pubblico ministero tra parità delle parti e diritto al controllo di merito della decisione, ivi,

618; GAMBINI, Ancora un abuso del parametro della ragionevolezza nella giurisprudenza

costituzionale, ivi, 630.

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P. FERRUA, La sentenza costituzionale sull’inappellabilità del proscioglimento e il diritto al

<<riesame>> dell’imputato, in Dir. pen. proc. 2007, 611. l’autore,, condividendo la premessa, aggiunge

che, nella specie, non era difficile trovare una “ragionevole giustificazion” alla scelta dell’inappellabilità contenuta nell’art. 1 l. n. 46 del 2006: non essendo la posizione dell’imputato davanti alla condanna omogenea a quella del p.m. davanti all’assoluzione, ben si poteva spiegare una diversa tutela e, quindi, una disparità di rimedi per l’errore nell’una e nell’altra decisione. Si veda anche A. PRESUTTI,

L’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento tra regola e eccezione, in AA. VV., Impugnazioni e

regole di giudizio nella legge di riforma del 2006. Dai problemi di fondo ai primi responsi costituzionali,

a cura di M. Bargis e F. Caprioli, Torino, 2007, 51, che parla di situazioni di per sé disomogenee, che scontano una disuguaglianza intrinseca e perciò non censurabile.

della disparità e l’ampiezza dello “scalino” da essa creato tra le posizioni delle parti100.

Il principio di parità è stato inteso come insuscettibile di interpretazioni riduttive, volte a negare alla parità delle parti il ruolo di connotato essenziale dell’intero processo. Per la Corte, l’art. 111 comma 2 Cost. esprime un assioma che pervade l’intero accertamento giudiziario, incluse le iniziative dirette a ottenere il riesame della causa.

Per quanto riguarda il tema delle impugnazioni, la Corte ha ribadito che parità delle parti non significa necessaria omologazione di poteri e facoltà. Inoltre, richiamando i propri precedenti, ha riaffermato che la garanzia del doppio grado di giurisdizione non fruisce, di per sé, di riconoscimento costituzionale e che il potere di impugnazione nel merito della sentenza di primo grado da parte del pubblico ministero presenta margini di “cedevolezza” più ampi, a fronte di esigenze contrapposte, rispetto a quelli che connotano il simmetrico potere dell’imputato.

Per i giudici di Palazzo della Consulta, infatti, il potere di impugnazione della parte pubblica trova copertura costituzionale unicamente entro i limiti di operatività del principio di parità delle parti, non potendo essere configurato come proiezione del principio di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, di cui all’art. 112 Cost.

Al contrario, il potere di impugnazione dell’imputato viene a correlarsi anche al fondamentale valore espresso dal diritto di difesa (art. 24 comma 2 Cost.). Ciò non toglie, tuttavia che le eventuali menomazioni del potere di impugnazione della pubblica accusa, nel confronto con lo speculare potere dell’imputato, debbano comunque rappresentare, ai fini del rispetto del

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A. SCALFATI, Restituito il potere di impugnazione senza un riequilibrio complessivo, in Guida dir., 2007, 8, 78, chiarisce che un trattamento differenziato è considerato ragionevole purchè risulti ispirato a un’adeguata ragion d’essere che giustifichi la diversità in vista di ulteriori beni, meritevoli di apprezzamento.

principio di parità, soluzioni normative sorrette da una ragionevole giustificazione, in termini di adeguatezza e proporzionalità. La Corte ha affermato, di conseguenza, che l’art. 593 comma 2 racchiude una dissimetria radicale.

Secondo la Corte, non è un valido argomento affermare che l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento si presta, in astratto, a sacrificare anche l’interesse dell’imputato, allorché il proscioglimento presupponga un accertamento di responsabilità o implichi effetti sfavorevoli. Tale conseguenza della riforma non incide sulla configurabilità della rilevata sperequazione, per cui una sola delle parti, e non l’altra, è ammessa a chiedere la revisione nel merito della pronuncia a sé completamente sfavorevole.

Altrettanto evidente, per i giudici costituzionali, era il fatto che l’eliminazione del potere di appello del pubblico ministero non poteva ritenersi compensato dall’ampliamento dei motivi di ricorso per cassazione. Infatti, tale ampliamento era sancito a favore di entrambe le parti, e perciò inidoneo a riequilibrare le posizioni dell’accusato e del pubblico ministero. Inoltre, il rimedio del ricorso per cassazione non consentiva un riesame di merito, a differenza dell’appello.

L’inappellabilità ad opera del pubblico ministero, tra l’altro, si rivelava generalizzata e unilaterale, ad avviso della Corte. Generalizzata, perché non riferita a talune categorie di reati, ma estesa indistintamente a tutti i processi; unilaterale, perché, secondo la Corte, non trovava alcuna specifica “contropartita” in particolari modalità do svolgimento del processo, essendo stata sancita in rapporto al rito ordinario.

Inoltre, la Corte osservava che, mentre il pubblico ministero “totalmente soccombente” in primo grado restava privo del potere di proporre appello, detto potere veniva invece conservato dall’organo dell’accusa nel caso di

soccombenza solo parziale, sia in senso “qualitativo”, cioè in caso di sentenza di condanna con mutamento del titolo di reato o con esclusione di circostanze aggravanti, sia in senso “quantitativo”, cioè in caso di sentenza di condanna a pena ritenuta non congrua.

Da questo ricco apparato motivazionale discendeva la conclusione dei giudici di Palazzo della Consulta secondo la quale la menomazione ai poteri della parte pubblica, nel confronto con quelli speculari dell’imputato, eccedeva il limite di tollerabilità costituzionale, in quanto non era sorretta da una ratio adeguata, in rapporto al carattere radicale, generale e unilaterale della menomazione stessa.

La Corte è intervenuta con una sentenza manipolativa di accoglimento parziale, da cui è scaturita la legittimazione generalizzata del pubblico ministero a proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, anche se relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa, e di condanna101.

Al contrario, la decisione della Corte non intaccava il limite che riguardava l’imputato prosciolto: quest’ultimo, fino all’intervento della sentenza costituzionale n. 85 del 2008 resterà vincolato alla deduzione del “novum probatorio” per poter appellare la sentenza di proscioglimento. Si è colto un autentico paradosso nel fatto che, proprio in ossequio al principio di parità delle parti, che era il cuore della sentenza 26 del 2007, risultasse dubbia la legittimità del limite superstite, relativo all’appello dell’imputato contro le sentenze di proscioglimento102. In particolare, in si è censurata la decisione in esame affermando che la medesima aveva

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A. BARGI, A. GAITO, Il ritorno della Consulta alla cultura processuale inquisitoria (a proposito

della funzione del p.m. nelle impugnazioni penali), in Giur. cost., 2007, 240.

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A. BARGI, A. GAITO, Il ritorno della Consulta alla cultura processuale inquisitoria, cit., 240; DE CARO, L’illegittimità costituzionale del divieto di appello del pubblico ministero tra parità delle parti e

diritto al controllo di merito della decisione, in Dir. pen. proc. 2007, 622; A. SCALFATI, Restituito il potere di impugnazione senza un riequilibrio complessivo, cit., 80.

generato un sistema meno garantista di quello operante nel codice abrogato103.

In definitiva, la maggioranza degli studiosi ha ritenuto che il giudice delle leggi abbia ottenuto l’effetto di provocare una disparità più grave di quella che aveva inteso eliminare104.

3. Ulteriori sviluppi in materia di appello dell’imputato contro la

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