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Intervento in assemblea, metodo collegiale e principio maggioritario

2. I diritti spettanti ai soci collegati al possesso del diritto di voto

2.1. In particolare, sul diritto all’intervento in assemblea (art 2370 c.c.):

2.1.1. Intervento in assemblea, metodo collegiale e principio maggioritario

La giustificazione di questo capovolgimento e, dunque, dell’esclusione del diritto di intervento per un’intera categoria di soci (quelli senza voto) viene da taluni rinvenuta nell’asserita attenuazione del metodo collegiale266, derivante dalla

possibilità che la partecipazione all’assemblea si realizzi anche con modalità diverse dalla presenza fisica alla riunione: oltre a tale modalità “tradizionale”, infatti, il disposto dell’art. 2370 c.c. prevede oggi che il socio possa intervenire all’assemblea anche con mezzi telematici, ovvero esprimere il voto per corrispondenza o per via elettronica.

Secondo la dottrina tradizionale, il principio di collegialità - che, se applicato al suo massimo grado, si risolverebbe nella necessaria compresenza di tutti i soci (o meglio, nell’attribuzione indistinta della facoltà di partecipare) all’adunanza assembleare - sarebbe imposto dal legislatore in tutti i casi in cui si renda necessario tutelare gli interessi anche di soggetti che non avrebbero poi effettivo diritto a concorrere al raggiungimento del quorum deliberativo267. La medesima dottrina

constata, poi, che, non essendo oggi più necessaria la presenza fisica all’assemblea, ma potendo questa risolversi addirittura in una fictio iuris per cui, anche se non effettivamente presente né collegato con mezzi telematici, il socio possa comunque

264 Per tutti cfr. G.F.CAMPOBASSO, Diritto commerciale, cit., 320 ss. 265 Così si esprime M.STELLA RICHTER JR., Sub art. 2370, cit., 939.

266 Cfr. M. NOTARI, L'assemblea e i processi decisionali dei soci nella riforma delle società non

quotate, in Riv. soc., 2001, 148; S.ROSSI, Diritto di discussione del socio e derogabilità del metodo assembleare, in Giur. comm., 2004, II, 275.

267 Oltre agli autori citati nelle note precedenti, cfr. anche V. AMATUCCI, Le società

far giungere alla società la sua dichiarazione di voto ed essere considerato presente, il principio collegiale è da ritenersi significativamente indebolito: è, allora, evidente, da un lato, che la collegialità ricopre un ruolo ormai marginale nell’economia del procedimento assembleare della s.p.a. e, dall’altro, che gli interessi dei soggetti che, pur mantenendo la qualifica di soci, sono esclusi dal voto, sono da ritenersi sacrificabili agli occhi dell’ordinamento.

Tali argomenti non sembrano, tuttavia, cogliere precisamente nel segno e le scelte su cui sono basati non paiono, pure considerato il tenore attuale della legislazione societaria, essere sempre del tutto condivisibili.

E infatti, è anzitutto il caso di far notare che, per quanto concerne il primo scenario alternativo alla partecipazione di persona all’assemblea, ossia quello dell’intervento dei soci con mezzi telematici, non pare che questo comporti un vero e proprio indebolimento del principio di collegialità, poiché a tutti i legittimati è comunque consentito di partecipare all’adunanza e di esprimersi, pur con modalità differenti rispetto alla presenza fisica; non manca, tuttavia, chi fa notare che già questa modalità di intervento non sarebbe in linea di principio idonea a garantire la parità di condizioni dei soci nello svolgimento dell’assemblea, poiché anche «il semplice collegamento via audio arrecherebbe una grave menomazione, intollerabile alla luce del principio di parità di trattamento, per gli intervenuti costretti a servirsi del solo senso dell’udito per seguire il dibattito e ad essere privati della percezione dei contegni e comportamenti silenziosi, spesso più espressivi di molte dichiarazioni.»268. Ancor più

estrema appare l’ipotesi di coloro che, pur dovendosi conteggiare tra gli intervenuti ai sensi dell’art. 2370, c. 4 c.c., facciano pervenire alla società la loro semplice manifestazione di consenso o dissenso, senza aver previamente assistito al dibattito, ma sulla sola base dell’informativa e, nella specie, dell’ordine del giorno comunicato nella precedente fase di convocazione dell’assemblea. Se, dunque, la rinuncia alla presenza dei soci all’adunanza sembra poter essere totale, non pare però corretto affermare che questo implichi la radicale esclusione dell’operatività del metodo

268 Il riferimento è a G.RESCIO, L’assemblea della public company e la sua verbalizzazione, in Riv.

collegiale, che rimane, anzi, presidio ineliminabile a garanzia (anche) del connesso principio maggioritario: così, dunque, si ritiene che, a fronte dell’amplissima libertà ormai concessa, che si può spingere fino allo svolgimento di un’assemblea del tutto virtuale (qualora tutti i soci decidessero, appunto, di manifestare il proprio voto per corrispondenza), sia opportuno che l’autonomia statutaria appronti adeguate tutele a protezione dei soci di minoranza contro eventuali abusi della maggioranza; e se anche ciò non fosse espressamente previsto, non mancano autori che richiamano, in ultima istanza, l’esistenza di un principio di parità di trattamento, da intendersi come declinazione specifica del più generale principio di buona fede e come sintomo di correttezza di ogni agire giuridico, in base al quale si sostiene che a tutti i soggetti interessati debba essere astrattamente garantita la possibilità di partecipare all’adunanza alle medesime condizioni, liberi poi essendo i singoli di rinunciarvi269.

Si deve, ancora, tener conto delle considerazioni proposte da taluni autori, che non ritengono così pacifico che di per sé il principio di collegialità e la summenzionata regola della maggioranza siano tra loro in un rapporto di reciproca interdipendenza: essi ritengono, infatti, che, come è ben possibile che per alcune organizzazioni plurisoggettive il metodo collegiale sia abbinato al principio non di maggioranza, ma dell’unanimità (e, rimanendo strettamente all’interno del sistema societario, basta pensare ad alcune decisioni che nella società di persone non possono essere adottate se non con l’accordo di tutti i soci, quali ad esempio quelle di continuazione della società con gli eredi del socio defunto ex art. 2284 c.c. o di nomina dei liquidatori ex art. 2275 c.c.), in altri frangenti è altresì concepibile che, a fronte della vigenza di una regola maggioritaria necessaria ad assumere una decisione, potrebbe essere sufficiente appunto che si raccolgano consensi sufficienti a raggiungere il quorum richiesto, senza che vi sia alcuna unità spazio temporale tra i

269 E. CIVERRA, Società di capitali e posizione del socio, Milano, 2010, 45 ss.; G.D’ATTORRE, Il

principio di eguaglianza tra soci nelle società per azioni, in Quaderni di giurisprudenza commerciale, Milano, 2007, 312 ss.; C.ANGELICI, Parità di trattamento degli azionisti, in Riv. dir. comm., 1987, I, 10 ss.; C.A. BUSI, Assemblea e decisioni dei soci nelle società per azioni e nelle società a

responsabilità limitata, in Trattato di Diritto dell'Economia, diretto da E. Picozza, E. Gabrielli, Padova, 2007, 616 ss.

soci che li esprimono, ben potendosi optare per un sistema interamente “a distanza”, in cui l’assemblea si svolge, di fatto, in assenza di una previa discussione tra tutti i soggetti legittimati al voto270. Anche tali argomenti non paiono, tuttavia, cogliere

perfettamente nel segno, nel loro tentativo di dimostrare l’inesistenza di qualsivoglia nesso tra metodo collegiale e principio maggioritario: è, infatti, evidente, che, nel primo esempio (ossia vigente la regola unanimistica), la tutela fornita dal metodo collegiale sarebbe di fatto inutile, poiché la decisione non potrebbe comunque essere adottata carente il consenso anche di un solo socio; nel secondo caso (quello del principio maggioritario) il metodo collegiale tornerebbe, invece, ad avere importanza, garantendo - in astratto - a tutti i soci (anche quelli di minoranza poi materialmente esclusi dalla decisione) quantomeno la facoltà di partecipare all’assemblea, valutare la ratio delle decisioni ed, eventualmente, esercitare il recesso. Insomma, si ribadisce infine che un conto è dare ai titolari delle azioni la possibilità di intervenire all’adunanza, essendo poi liberi i soci di non parteciparvi senza, però, inficiare il regolare svolgimento della dinamica assembleare stessa; altro conto è escluderli in toto da questa facoltà, senza possibilità di scelta autonoma alcuna.

In ogni caso, di là da considerazioni svolte sul piano astratto che, se lasciate a sé stanti, si riducono a mere petizioni di principio, per raggiungere delle conclusioni utili sul tema che qui ci occupa, anche eventualmente in una prospettiva de iure condendo, occorre calarsi nel concreto e individuare quale sia la regola attualmente adottata dal legislatore per il sistema della s.p.a. e, quindi, in quale rapporto i due principi di collegialità e maggioranza siano posti tra loro: anzitutto, appare indiscutibile che, al contrario di quanto accade nelle società personali, in quelle per azioni la regola unanimistica non trovi più ingresso né legittimazione, nemmeno per le decisioni considerate fondamentali271, in ragione delle necessità di dinamismo

tipiche di questo modello organizzativo, che verrebbero irrimediabilmente minate

270 Cfr. A. MIRONE, Il procedimento deliberativo nelle società di persone, Torino, 1998, 201; R.

COSTI, G. DI CHIO, Società in generale, società di persone, associazione in partecipazione, in

Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, a cura di W. Bigiavi, Torino, 1991, 354.

dall’applicazione di detto principio, che sottopone, nei fatti, al veto anche di un solo soggetto l’operatività della società tutta272; il principio di riferimento per quanto

concerne l’adozione delle decisioni sociali risulta, dunque, essere quello maggioritario, che assume, poi diverse proporzioni in base alla rilevanza della materia oggetto di delibera (e, dunque, per le materie di c.d. ordinaria amministrazione di cui agli artt. 2364 e 2364-bis c.c. sono previsti quorum meno ingenti di quelli rafforzati che sono invece necessari all’approvazione di questioni di c.d. straordinaria amministrazione, ex art. 2365 c.c.). Proprio in considerazione di ciò, allora, parrebbe ragionevole affermare che il metodo collegiale dovrebbe continuare a svolgere quel ruolo di garanzia, anche nei confronti dei soci di minoranza che, seppur esclusi dalla deliberazione (in quanto, appunto, non sarà in ogni caso necessario ottenere il loro consenso, quale che sia l’oggetto della delibera medesima), saranno comunque tutelati dalla possibilità di partecipare dialetticamente al processo di formazione della volontà assembleare, soprattutto in quelle decisioni, quali le modifiche del contratto sociale, che alterano in radice gli accordi iniziali sulla base dei quali si era aderito alla compagine con il proprio investimento: vero è, infatti, che l’ordinamento appronta, per tali situazioni, un rimedio principe, da individuarsi nel diritto di recesso ex art. 2437 c.c., che consente al socio che non condivida più le linee fondanti dell’agire sociale di liberarsi della partecipazione e riottenere il proprio investimento, ma detto mezzo pare avere una ratio differente e non sovrapponibile al principio di collegialità. In altre parole, entrambi gli istituti paiono costituire delle cautele funzionali alla tutela delle minoranze, una volta sacrificata la regola unanimistica a favore del principio maggioritario273: così, il socio avrà diritto a 272 In questo senso cfr. F.GALGANO, Il principio di maggioranza nelle società personali, Padova,

1960, 222; M. PERRINO, Sulla non collegialità del procedimento deliberativo di società di persone: il

caso dell’esclusione del socio, in Riv. dir. impr., 1997, 353 ss.

273 Come osserva S.ROSSI, in Il voto extrassembleare nelle società di capitali, Milano, 1998, 279,

«l’obbligatorio rispetto della regola collegiale può essere anche considerato un correttivo all’operatività del principio maggioritario, non già, tuttavia, per le caratteristiche strutturali dell’atto, come è stato tradizionalmente sostenuto, ma per la tutela di specifici e peculiari interessi sostanziali.». Ancora, parlando della possibilità che nella s.r.l. il socio dia un consenso preventivo e generale alla deroga al metodo della collegialità piena, l’autrice considera che «[n]el momento in cui il socio

partecipare e contribuire alla ponderazione della decisione sociale; se, all’esito di ciò, la maggioranza adotterà una decisione non condivisa da alcuni aderenti alla compagine, essi saranno ad ogni modo liberi di abbandonarla.

Resta, allora, quantomeno discutibile, per non dire oscuro, il motivo per cui si sia deciso di escludere dal primo livello di tutela, costituito dal metodo collegiale, i titolari di azioni prive del diritto di voto, lasciando loro, come unica garanzia, il diritto all’exit: infatti, pur privi della voice, essi rimangono pur sempre soci e la loro partecipazione all’assemblea non pare arrecare, a differenza di quanto si è osservato accadrebbe per l’applicazione della regola unanimistica, alcun particolare vulnus alla funzionalità della dinamica assembleare che andrebbe a scapito dell’intera società. E a giustificazione di ciò non paiono valere le considerazioni di cui si è riferito poco sopra, che fondano tale scelta sull’attuale previsione di modalità di intervento alternative a quella della partecipazione fisica all’adunanza, non foss’altro perché tali regole non paiono affatto sancire un tramonto del metodo collegiale, ma al più un suo assoggettamento a regole diverse da quelle originarie274. Al più, parrebbero

degne di considerazione le posizioni di coloro che, nel constatare questa inversione di tendenza formalizzata dalla norma, pongono l’accento non tanto su di un indebolimento dei principi, quanto sulla più elementare fattuale svalutazione del ruolo del dibattito assembleare e della possibilità, tramite questo, di influenzare ed orientare l’esito della decisione collettiva in un senso o in un altro275.