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La modifica dei diritti spettanti ai titolari di azioni

4. La modificabilità a maggioranza della clausola di condizionamento del voto

4.1. La modifica dei diritti spettanti ai titolari di azioni

Partendo dalla prima circostanza, ossia quella di modifica in senso deteriore di diritti già attribuiti al socio in sede di costituzione della società tramite una condizione (si pensi al caso in cui la clausola che attribuisce una maggiorazione del voto trascorsi due anni di possesso continuativo del titolo sia modificata nel senso di richiedere un periodo di tempo superiore per l’ottenimento del beneficio, o al caso in cui la clausola in ragione della quale una data categoria di azioni avrebbe ottenuto il voto al conseguimento di un titolo di laurea triennale, rettifichi il requisito richiedendo il possesso di una laurea magistrale o peggio l’iscrizione ad un dato albo professionale), non pare possibile sollevare dubbi sul fatto che si tratti di alterazioni nella piena disponibilità della maggioranza. E infatti, alla luce della riforma del 2003, occorre tenere conto di due circostanze: da un lato, si rileva che i poteri della maggioranza godono ormai di amplissimi spazi deliberativi ed anzi, si può ormai ragionevolmente affermare che, allo stato attuale, l’ordinamento non contempla più, salvo rarissimi casi espressamente disciplinati, l’esistenza di diritti individuali del singolo socio rilevanti al punto da non essere tangibili se non con un suo consenso espresso329; dall’altro, e per quanto specificamente ci occupa, si è assistito ad un 329 In tal senso cfr. A. MIGNOLI, Le assemblee speciali, Milano, 1960, 232; F. MAGLIULO, Le

categorie di azioni e strumenti finanziari nella nuova spa, Milano, 2004, 124; A. PISANI

MASSAMORMILE, Azioni ed altri strumenti finanziari partecipativi, in Riv. soc., 2003, 1306; G.

D’ATTORRE, Il principio di eguaglianza tra soci nelle società per azioni, in Quaderni di

significativo mutamento di prospettiva sul diritto di voto, che non è più considerato né diritto individuale indisponibile ad opera della maggioranza o, comunque, dotato di tutela più incisiva rispetto a tutti gli altri diritti sociali, né tantomeno elemento essenziale della partecipazione sociale330.

Se, dunque, queste conclusioni paiono incontestabili alla luce del quadro normativo odierno, non rimane che indagare quali siano gli strumenti di tutela disponibili per il socio che non abbia consentito alla modifica della clausola condizionante.

Qualora, dunque, il diritto inciso sia proprio di una sola categoria di azioni, indiscutibile appare che la modalità di reazione assolutamente prioritaria sia individuabile nell’azionamento delle prerogative derivanti dalla presenza delle assemblee speciali ex art. 2376 c.c., alle quali spetta il potere di approvare o respingere la modifica adottata a maggioranza dall’assemblea generale: dette assemblee si attivano, infatti, al momento della lesione del c.d. “diritto diverso” che rende tale l’azione di categoria331, e non vi è alcun dubbio sul fatto che quelle con

voto sottoposto a condizione possano fondare, appunto, una categoria dotata di un diritto di voto diverso, posto che è proprio in questo senso sono tipizzate dal 83 ss. La dottrina che valorizza i diritti individuali come limite al potere dell’assemblea (vd. esemplificativamente A. VIGHI, I diritti individuali degli azionisti, Parma, 1902, 32 ss.; V. BUONOCORE, Le situazioni soggettive dell'azionista, Napoli, 1967; A.PAVONE LA ROSA, Profili

della tutela degli azionisti, in Riv. soc., 1965, 75 ss.) è, infatti, estremamente risalente e può, pertanto, ritenersi superata.

Sul tema, cfr. anche cap. I, spec. par. 2.2.2. e ivi nt. 108.

330 La qualificazione di un diritto, anche se rilevante come quello di voto in assemblea, come

essenziale e, quindi, non disponibile ad opera della sola maggioranza non appare oggi più fondata in base ad argomenti di diritto positivo, tanto più alla luce della parificazione, operata dell’art. 2437, c. 1, lett. g, c.c. tra “diritti di voto” e “diritti di partecipazione”. In tal senso, cfr. G.DI CECCO, Convertibilità e conversione, cit., 94; A.VICARI, Gli azionisti nella fusione

di società, Milano, 2004, 198;P.GROSSO, Categorie di azioni ed assemblee speciali., cit., 177 ss.; F.

MAGLIULO, Le categorie di azioni, cit., 124; R.NOBILI, La disciplina delle azioni di risparmio, in Riv.

soc., 1984, 1222 ss.

331 Su cosa debba intendersi per “diritto diverso” e per una panoramica sulle ipotesi più

dubbie cfr., esemplificativamente, A. ABU AWWAD, Sub art. 2376, in Le società per azioni,

legislatore all’art. 2351, c. 2 c.c. Si deve, poi, brevemente precisare che, anche in presenza di categorie speciali di azioni, non ogni lesione del loro diritto diverso è idonea a giustificare l’intervento dell’assemblea speciale: e infatti, nulla quaestio se il pregiudizio è diretto al diritto che rende speciale la categoria, mentre più discusso è il caso del pregiudizio indiretto e del collegato diritto c.d. al rango, ossia al mantenimento dei reciproci rapporti tra categorie di azioni332.

Diversamente occorre porsi rispetto ad altre tipologie di condizione, che pure sono state analizzate nel corso del lavoro: infatti, tra quelle direttamente disciplinate dalla legge, il tetto di voto o il voto scalare ex art. 2351, c. 3 c.c.333 o, ancora, il voto

maggiorato ex art. 127-quinquies TUF334 non danno pacificamente vita a categorie; 332 A questo proposito, ci si domanda appunto se ai soci vada garantito anche il diritto di

mantenere lo stesso peso partecipativo in società e, dunque, se, a fronte di una risposta positiva, debba darsi luogo all’intervento dell’assemblea speciale ogni qualvolta una delibera della maggioranza modifichi detto rapporto. In linea tendenziale, la risposta al primo interrogativo dovrebbe dirsi positiva, se solo si considerano le numerose norme, alle quali fa da capostipite l’art. 2441 c.c. sul diritto di opzione, che sono tese appunto a garantire che i soci siano messi in condizione di mantenere stabile la percentuale del proprio investimento e, quindi, la loro influenza in società; detto gruppo di norme, secondo una parte della dottrina, non sono altro che una applicazione concreta di un più generale principio di parità di trattamento tra gli azionisti. Il diritto al rango appare, dunque, senza dubbio, trovare uno spazio di tutela nell’ordinamento; ad una analisi più approfondita delle norme, tuttavia, si rileva che non è diritto rilevante al punto di essere ritenuto inderogabile ma, anzi, sono le stesse disposizioni che lo introducono a prevedere ipotesi in cui sia sacrificabile a fronte di un superiore interesse sociale (per rimanere all’esempio proposto, il diritto di opzione, a determinate condizioni, può essere escludo). Così, allora, quanto al tema dell’intervento delle assemblee speciali in caso di sacrificio indiretto del diritto al rango, la dottrina pare giungere alla conclusione per cui queste debbano intervenire solo nei casi in cui la modifica incida in modo differenziato sui diversi titoli azionari emessi dalla società; viceversa, qualora il sacrificio imposto abbia efficacia paritetica su tutte le azioni, nel rispetto, tra l’altro, di quel generale principio di parità di trattamento di cui si faceva menzione, nessuna delle assemblee speciali collegate alle azioni di categoria avrà possibilità di esprimersi. In questo senso, cfr. ad esempio F. D’ALESSANDRO, Aumento di capitale, categorie di azioni e assemblee

speciali, in Giur. comm., 1990, I, 579; C. COSTA, Le assemblee speciali, cit., 538; CIRCOLARE

ASSONIME 10/2015, in Riv. soc., 2015, 498.

333 M.CIAN,C.SANDEI, Sub art. 2351 c.c., in Delle società, a cura di D. U. Santosuosso, Torino,

2015, 942 ss.

nello stesso modo, dunque, si deve ragionare per tutte le circostanze in cui la condizione applicata al diritto di voto grava astrattamente in maniera egualitaria su tutto il capitale, indipendentemente, poi, dal fatto che si possa materialmente realizzare solo per alcune azioni: si tratta, infatti, di situazioni in cui il beneficio (o vulnus) incide sui diritti dell’azionista in ragione della sua posizione personale e non sulla base delle caratteristiche intrinseche del suo titolo azionario335. In tutti questi

frangenti, dunque, la tutela di cui all’art. 2376 c.c., ovviamente, non opera; pertanto, in caso di modifica (o di inserimento sopravvenuto) di una condizione astrattamente applicabile in maniera eguale a tutte le azioni, non vi è dubbio che l’unico rimedio disponibile per il socio dissenziente sia quello dell’exit: è la stessa dottrina, infatti, a sottolineare che, inseguito all’ampliamento dei diritti disponibili ad opera della maggioranza attuato dalla riforma del 2003, vi è stata anche una conseguente significativa estensione delle ipotesi in cui sia possibile esercitare il diritto di recesso336.

Bisogna, dunque, concludere che, per il caso della modifica dei diritti inerenti ai titoli, in linea di principio la potestà dispositiva dell’assemblea potrà spingersi anche sino ad alterare il reciproco rapporto nella partecipazione ai vantaggi ed ai sacrifici contrattuali accettati dai soci in sede di sottoscrizione delle azioni, realizzando così una discriminazione tra azionisti che non sia sorretta ed avallata da una esplicita manifestazione abdicativa del soggetto interessato, ma detta operazione deve sempre trovare giustificazione in un preminente interesse dell’impresa. E dunque, ben potrà la maggioranza deliberare la trasformazione di azioni di categoria in un’altra

335 Cfr., ad es., P.MARCHETTI, Osservazioni e materiali sul voto maggiorato, in Riv. soc., 2015, 452. 336 Così vd. G.DI CECCO, Convertibilità e conversione, cit., 91 ss. fa osservare che, specie alla

luce della riforma del diritto societario del 2003, non paiono potersi rinvenire nell’impianto normativo della società azionaria, salvo rarissimi casi espressamente disciplinati, diritti individuali dei soci che non siano tangibili dalla maggioranza: il singolo azionista si trova, dunque, in una posizione di assoluta sudditanza rispetto al valore dell’efficienza decisionale e della libertà di organizzazione della società e l’unico ragionevole bilanciamento a detta condizione risiede dell’ampliamento, ad opera della novella medesima, delle ipotesi in cui è possibile abbandonare la compagine esercitando il diritto di recesso e recuperando il valore del proprio investimento.

categoria e, così, anche modificare il contenuto della condizione, senza subordinare tale cambiamento all’adesione dei singoli azionisti, posto che non pare residuare alcun ostacolo nell’imposizione, anche successiva, di una privazione diritto di voto che, come si è detto, non è più da ritenersi diritto fondamentale dell’azionista; rimane, tuttavia, il vincolo del rispetto del generale principio parità di trattamento che, in realtà, nel caso di specie si declina nel più preciso diritto al rango, per cui la modifica statutaria a maggioranza non sarebbe possibile, salvo che siano adottate modalità operative di frazionamento che incidano in maniera eguale sul peso partecipativo dei soci, oppure che sia evidenziato un interesse sociale preminente in ragione del quale si potrà violare il principio, di per sé non inderogabile e, quindi, ledere l’interesse anche di singoli azionisti337. La stessa ratio e le stesse conclusioni

sono state, tra l’altro raggiunte dalla dottrina rispetto ad un meccanismo, che si è già avuto modo di analizzare e si è considerato essere in qualche modo contiguo a quello della (realizzazione della) condizione, ossia quello della conversione forzosa di azioni ordinarie in azioni di risparmio338.