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Realizzazione della condizione: “nuova categoria” e fattispecie di conversione

gestio degli amministratori.

3. Realizzazione della condizione: “nuova categoria” e fattispecie di conversione (?)

Occorre ora occuparsi del tema della “sorte” delle azioni di categoria al realizzarsi della condizione, domandandosi in particolare se, di là dall’acquisizione (o perdita) del diritto di voto, il verificarsi dell’evento importi (anche) dei cambiamenti nella struttura azionaria della società: non sfuggirà, infatti, che ci sono dei casi in cui, essendo la privazione (o spettanza) del diritto voto in dipendenza da un fattore condizionante l’unico diritto diverso che rende “speciale” una categoria di azioni, gli effetti della realizzazione dell’evento in nulla parrebbero differenziarsi da una fattispecie di conversione di titoli azionari.

Non pare di poco conto, allora, indagare sul rapporto tra i due istituti della condizione apposta al diritto di voto e della conversione azionaria, tanto più se si tiene conto del fatto che l’accostamento tra di essi è operato anche da certa dottrina. Vi è, infatti, chi fa osservare che, qualora la condizione apposta al diritto di voto abbia carattere non temporaneo, ma definitivo, le azioni acquisteranno o perderanno in pianta stabile il diritto di voto, «[i]l che potrebbe equivalere, se non rimangono altri “diritti diversi” a differenziare la categoria di azioni, ad una conversione automatica delle azioni a voto condizionato in azioni ordinarie o viceversa»310; ancora, quanto al caso

specifico delle azioni a voto plurimo, si ritiene che, oltre alla sua attribuzione stabile ad una categoria di (o a tutte le) azioni, sia ammissibile assoggettare il mantenimento della “maggiorazione” del voto ad una condizione risolutiva, al verificarsi della quale detto privilegio decade, con automatica conversione delle azioni di categoria in azioni ordinarie311. Non manca, infine, chi addirittura ritiene che «le azioni con voto

condizionato voteranno in assemblea generale una volta verificatasi la condizione e, se ad esse

310 Il riferimento è a M. NOTARI, Le categorie speciali di azioni e gli strumenti finanziari

partecipativi nella riforma delle società, in AA.VV., Il nuovo ordinamento delle società. Lezioni sulla riforma e modelli statutari, Milano, 2003, 63.

è così definitivamente attribuito il voto, cesseranno di essere una categoria speciale», mentre, al contrario «[n]on voteranno più nell’ipotesi di condizione risolutiva […] e da quel momento diverranno categoria speciale»312. Non sfuggirà che tale soluzione comporta

importanti (ed opinabili) ricadute in termini di tutele riservate agli azionisti: in particolare, se si aderisse alla ricostruzione per cui i titoli con voto sottoposto a condizione risolutiva divengono categoria solo una volta privati del voto al realizzarsi della condizione, ne conseguirebbe che essi non avrebbero accesso alla tutela dell’assemblea speciale di cui all’art. 2376 c.c. e che, quindi, gli altri soci sarebbero potenzialmente in grado di modificare liberamente l’evento da cui dipende la perdita del voto, ad esempio rendendone significativamente più facile la realizzazione. Inoltre, se così fosse, allora i titoli con voto sottoposto a condizione risolutiva (anche non intermittente) non andrebbero (pacificamente) conteggiati nel limite della metà del capitale sociale imposto per le azioni con voto sottoproporzionale dall’art. 2351, comma 2, c.c.313.

Al fine di valutare gli effettivi spazi di sovrapponibilità delle due ipotesi o, meglio, se ci siano delle circostanze in cui il realizzarsi dell’evento condizionante dia (automaticamente) origine ad un fenomeno di conversione delle azioni interessate, occorre anzitutto indagare su cosa debba intendersi per “conversione”: infatti, carente una norma espressa, di carattere generale, volta a regolare la fattispecie nel nostro ordinamento314, il termine viene spesso utilizzato per descrivere una serie di 312 Cfr. A.PISANI MASSAMORMILE, Azioni ed altri strumenti finanziari partecipativi, in Riv. soc.,

2003, 1296.

313 Del tema si è già ampiamente discusso nel par. 3.2, cap. I al quale, pertanto, si rimanda. 314 La conversione è, invece, disciplinata in relazione ad operazioni specifiche: così, essa

trovava un primo spazio già nella L. 216 del 7 giugno 1974, che si occupava del caso della creazione di azioni di risparmio in seguito alla conversione di titoli azionari ordinari; a seguire, era disciplinata anche dalla L. 266 del 23 dicembre 2005 per il caso di emissione di azioni speciali ad opera delle società a partecipazione statale rilevante; è solo, però, con la riforma del 2003 che l’istituto fa il suo ingresso nella disciplina codicistica all’art. 2350, c. 2 c.c. che, nel regolamentare la categoria delle azioni correlate, ossia di quei titoli forniti di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell’attività sociale in un determinato settore, prevede che lo statuto possa stabilire preventivamente una serie regole e criteri, tra cui eventuali condizioni e modalità di conversione in azioni di altra categoria.

operazioni, anche diverse ed eterogenee tra loro.

Così, anzitutto, da un punto di vista strutturale, la conversione viene ora definita quale alterazione del contenuto dei diritti incorporati in titoli azionari già in circolazione o identificata con la deliberazione dell’assemblea straordinaria che, attraverso la modifica del contenuto dei diritti incorporati nei titoli azionari già in circolazione, ha come effetto la creazione, modificazione o estinzione di una categoria di azioni315; ora come operazione che importa la modifica del regime delle azioni in

circolazione per effetto del passaggio di esse da una categoria ad un’altra, in seguito al quale, dunque, non si instaurano nuovi rapporti sociali (come, invece, accade nel caso di emissione di nuove azioni in sede di aumento del capitale), ma semplicemente si modificano le regole sottostanti a rapporti già esistenti316. Tutte

queste definizioni, se sintetizzate in base ai loro caratteri comuni, paiono poter condurre a concludere che dal realizzarsi della fattispecie della conversione di titoli azionari da una categoria a un’altra discenda un’alterazione dello status socii dei soggetti coinvolti e, per l’effetto, una modifica della struttura azionaria stessa della società: il capitale sociale, infatti, nel caso di conversione di azioni ordinarie in azioni di categoria, verrà ad essere composto da titoli eterogenei tra loro, con tutte le conseguenze che ne derivano in punto, per esempio, di necessità di assicurare l’eguaglianza relativa all’interno di ogni singola categoria (art. 2348 c.c.) o il rispetto del limite della metà del capitale sociale per le azioni con voto depotenziato (art. 2351, c. 2, c.c.) o, ancora, di operatività della tutela derivante dalle assemblee speciali in caso di pregiudizio inferto al “diritto diverso” da una decisione dell’assemblea generale (art. 2376 c.c.); nel caso di operazione opposta, tornerà, invece, ad avere un maggior grado di omogeneità con, a tacer d’altro, una riduzione dei costi di transazione spesso collegati alla differenziazione dei titoli emessi dalla società. Pacifico essendo, dunque, che la conversione richieda una modifica statutaria, resta al più, poi, da chiedersi se questa rientri tra quelle «concernenti i diritti di voto o di

315 Così G.DI CECCO, Convertibilità e conversione dei titoli azionari, Milano, 2012, 37.

316 In questo senso vd. V.SALAFIA, Conversione di azioni di risparmio in ordinarie, in Soc., 1994,

partecipazione», che danno origine ad un diritto di recesso per i soci dissenzienti ai sensi dell’art. 2437, c. 1, lett. g del codice civile.

Sotto questo primo aspetto, allora, la condizione pare differenziarsi dalla fattispecie della conversione in quanto, anche alla luce di quanto sinora si è argomentato, non pare dare in ogni caso luogo, all’atto della sua realizzazione, ad alcuna modifica delle caratteristiche intrinseche del titolo azionario e, di conseguenza, ad una alterazione strutturale nella composizione del capitale sociale: in altre parole, l’azione con voto sottoposto a condizione nasce caratterizzata da un’unica peculiarità, ossia quella della variabilità del diritto di voto in essa incorporato in dipendenza da un evento, e detta caratteristica non viene meno per il solo fatto, del tutto estraneo al nucleo contenutistico dell’azione, che detto evento nei fatti si verifichi (circostanza che, tra l’altro, è del tutto eventuale)317.

A conferma di detta interpretazione, paiono porsi due dati di sistema. Anzitutto, quando si parla di conversione, naturale è discutere anche del rapporto di cambio318:

infatti, posto che quando un titolo acquista, perde o comunque muta il suo contenuto in termini di diritti, inevitabilmente ne risente anche il suo valore economico, occorre sempre stabilire quante azioni di diversa categoria gli azionisti debbano ricevere e se detta operazione debba essere eventualmente accompagnata anche da un conguaglio di natura meramente economica, sia esso in denaro o realizzato attraverso

317 Per il caso più dubbio, preso in considerazione dalla dottrina citata alle nt. 293 e 295, della

condizione che sia suscettibile di verificarsi una tantum e per sempre vd. infra nel presente paragrafo.

318 Sul tema della congruità del rapporto di cambio si vedano, senza pretesa di completezza,

P. SFAMENI, Azioni di categoria e diritti patrimoniali, Milano, 2008, 253 ss.; M.MAUGERI, Delibera

di fusione, categorie di azioni e assemblee speciali, in Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze. Studi in onore di Giuseppe Zanarone, a cura di P. Benazzo, M. Cera, C. Patriarca, Torino, 2011, 541; F.GUERRERA, La responsabilità «deliberativa», cit., 40 e nt. 110; L.A.BIANCHI,

La congruità del rapporto di cambio nella fusione, Milano, 2002; B.LIBONATI, Rapporto di cambio e

fusione fra società per azioni, in Riv. dir. comm., 1979, II, 114 ss.; P. MARCHETTI, Spunti sulle

relazioni tra valore contabile, valore economico, valore di mercato dell’azienda nelle operazioni societarie di finanza straordinaria, in Giur. comm., 1993, I, 210 ss.

l’assegnazione gratuita di nuove azioni319. Al realizzarsi della condizione, invece, il

valore del titolo non subisce alcun mutamento attuale, in quanto il suo eventuale minor valore in ragione dell’instabilità del titolo è già stato scontato all’atto della sua emissione: ciò prova, dunque, che la peculiarità legata al condizionamento si pone solo in fase genetica, ma non ha poi ricadute al momento del suo effettivo verificarsi, che è elemento del tutto estraneo agli elementi costitutivi del titolo. Vi è poi da considerare che, posto che la conversione importa una modifica dei diritti contenuti nell’azione, qualora detta modifica risulti in qualche misura pregiudizievole320,

pacifico è l’intervento dell’assemblea speciale degli azionisti di categoria che sarebbero lesi all’esito dell’operazione; quando, invece, si tratta di condizione, lo strumento dell’assemblea speciale viene in gioco solo nel caso in cui la modifica sia apportata a monte (ed in senso peggiorativo) alle prerogative degli azionisti contenute nella clausola321, e non certo al momento della realizzazione dell’evento:

ciò prova, di nuovo, che detto avverarsi è elemento fattuale del tutto accidentale ed estraneo al contenuto del titolo, che non comporta alcuna modifica, né in melius né in peius, dei diritti in esso incorporati.

Venendo, poi, per completare l’indagine, al profilo funzionalistico dell’istituto della conversione, pare opportuno anzitutto operare una distinzione tra due macro- categorie, che a loro volta conoscono fattori di differenziazione interna. E così, anzitutto, la conversione si può verificare all’esito di una delibera volontariamente adottata dall’assemblea, tendenzialmente su proposta degli amministratori: detta

319 Da ciò dipenderà, dunque, il fatto che, all’esito dell’operazione, il capitale sociale rimanga

invariato o meno; in ogni caso, il rapporto di concambio è elemento per così dire accessorio, che resta comunque estraneo alla fattispecie e quindi alla disciplina dell’istituto della conversione.

320 È il caso, ad esempio, della conversione di titoli azionari con voto limitato e correlativo

privilegio sugli utili in ordinari: se, infatti, è vero che, all’esito dell’operazione gli azionisti acquisterebbero un diritto di voto pieno, è pure vero che perderanno il privilegio in termini patrimoniali, che potrebbe avere un valore in assoluto assai superiore a quello derivante dal diritto di voice. Cfr. C. COSTA, Conversione di azioni privilegiate a voto limitato in ordinarie: assemblee speciali, poteri e limiti, in Banca, borsa tit. cred., 1983, II, 474 ss.

321 Sul tema ci si è già soffermati approfonditamente nel par. 2.2.2 del cap. I; per altre

delibera potrà, poi, avere i caratteri della facoltatività, qualora sia rimessa ai soci la scelta di aderirvi o meno, oppure essere c.d. forzata, quando la deliberazione stessa imponga la “sostituzione azionaria”. Non diversamente, nel caso in cui, invece, la medesima deliberazione trovi fondamento e disciplina in una clausola statutaria preesistente, possono essere previste particolari ipotesi in cui le azioni di una categoria si convertano automaticamente, per esempio al realizzarsi di una condizione o allo spirare di un termine, oppure ad opzione del possessore o per scelta della società, che potrà, dunque, imporre il proprio volere al socio anche senza il suo consenso322. Evidente è come questo secondo caso si avvicini molto al

meccanismo di funzionamento delle clausole condizionanti apposte al voto: e così, rifacendosi ad esempi già studiati nel corso della trattazione, un caso di “condizione automatica” potrebbe individuarsi nell’evenienza in cui lo statuto contenga un tetto di voto per cui, al superamento di una data soglia, sarà impedito il diritto di voto per le azioni eccedenti; quanto a una condizione che preveda un atto volontario del socio, si potrebbe pensare al caso del voto maggiorato, in cui sarà l’azionista che liberamente deciderà se iscriversi all’apposito elenco che gli permetterà, decorso il periodo di tempo prestabilito, di maturare il privilegio; per il caso, infine, in cui l’atto volontaristico spetti alla società, si potrà fare riferimento al più volte citato divieto di concorrenza previsto per via statutaria, ove la clausola disponga che l’accertamento della sussistenza della violazione da parte di un socio, con conseguente sanzione della perdita del voto per azioni da lui possedute, spetti ad un organo sociale (che, nell’ipotesi più naturale, dovrebbe essere indicato nel consiglio di amministrazione). Per quanto, dunque, le modalità operative legate alle due fattispecie del condizionamento del diritto di voto e della conversione azionaria siano molto simili, rimane comunque palese l’esistenza e permanenza di una linea di demarcazione tra i due istituti: e, infatti, se è vero che quando il diritto differenziale che caratterizza la

322 Vi è, infatti, chi sostiene che in questo caso il pregiudizio sarebbe autorizzato in maniera

preventiva dal consenso prestato all’atto della sottoscrizione dello statuto o del titolo azionario così regolato. Sul punto cfr. G.DI CECCO, Convertibilità e conversione, cit., 276 ss., e

categoria di azioni è unicamente legato alla dimensione quantitativa del diritto di voto, l’effetto del realizzarsi dell’evento dedotto in condizione potrebbe non discostarsi in nulla dal risultato derivante da un’operazione di conversione323, la

differenza in punto di effettiva modifica della struttura di capitale pare persistere. Alla luce di quanto considerato sinora, dunque, pare ben possibile che l’autonomia statutaria, pur al verificarsi dello stesso evento condizionante, liberamente disponga quanto alla sorte dei titoli, per mezzo dello strumento che si ritiene più idoneo a realizzare l’interesse sociale sotteso all’operazione: se, dunque, si vorrà dare stabilità alla modifica in punto di diritti, si dovrà optare per la più radicale modalità della conversione324; qualora, invece, sia interesse della società mantenere la

323 Si pensi, per semplicità, al caso di conversione di azioni senza voto in assenza di

qualsivoglia privilegio di natura economica in ordinarie, o di attribuzione del voto pieno al verificarsi di una condizione.

324 In dottrina si veda, ad esempio, A. ABU AWWAD, Abuso delle categorie di azioni e patti

parasociali, in Riv. soc., 2016, 1078, che fa riferimento all’istituto della conversione automatica di azioni senza voto in azioni ordinarie in occasione del lancio di un’opa, proprio come ipotesi che conferisce carattere di stabilità all’obiettivo avuto di mira dalla società, ossia quello del mantenimento del controllo (nel caso di specie, opposto alla ben più netta instabilità che si otterrebbe dall’accordo di contrastare l’offerta contenuto in una pattuizione parasociale); come si è avuto ampiamente occasione di considerare nel par. 2.2. del cap. II, lo stesso risultato di contrasto a scalate ostili potrà ottenersi con un condizionamento del solo diritto di voto.

Ancora, anche gli operatori immaginano simili circostanze: così, la massima n. 48 del 2014 del Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze Pistoia e Prato in materia di Categorie di azioni a voto plurimo fidelizzanti (in https://www.consiglionotarilefirenze.it/), si esprime sostenendo che «[è] legittima la clausola dello statuto di una società per azioni non quotata che, nel riconoscere il diritto di voto plurimo ad una categoria di azioni, preveda la loro conversione in azioni senza voto in caso di alienazione delle stesse; lo statuto dovrà, in tal caso, prevedere appositi meccanismi diretti a garantire che almeno la metà delle azioni sia rappresentato da azioni a voto unitario o plurimo.».

Infine, in ottica comparata, si pensi al caso delle c.d. convertible preferred shares, che sono, appunto, titoli convertibili in azioni ordinarie, ad una scadenza prefissata e per scelta dei detentori, così da consentire loro di entrare nella disponibilità dei diritti amministrativi normalmente legati al titolo azionario in tutti i casi in cui l’investimento patrimoniale non conduca al rendimento economico sperato entro un dato lasso di tempo. Sul tema cfr. U. TOMBARI, La nuova struttura finanziaria della società per azioni (Corporate Governance e

variabilità imposta al diritto di voice, lo strumento del voto condizionato sarà senz’altro più efficace ed adeguato allo scopo; parimenti, se all’atto della realizzazione di una condizione che incide sul solo voto, ma ha lo stesso effetto pratico di una conversione, si ritiene opportuno che detto mutamento si ripercuota anche sull’effettiva struttura del capitale, sarà opportuno precisarlo nella clausola statutaria dedicata.

3.1. Ricadute in punto di circolazione dei diritti.

Ulteriore e decisivo elemento a conferma della tesi appena sostenuta, poi, deriva dalla disciplina applicabile alla circostanza in cui le azioni con voto sottoposto a condizione siano trasferite ad altro titolare: se si realizzasse un fenomeno di conversione per così dire di default, infatti, gran parte delle finalità per cui a monte era stato previsto il condizionamento andrebbero probabilmente frustrate. Non solo, non è poi nemmeno detto che il particolare status socii eventualmente acquisito dal socio in ragione della condizione debba essere garantito (o, specularmente, che la società abbia interesse ad assicurarlo), anche agli aventi causa del titolare delle azioni speciali325: si pensi al caso esemplare della maggiorazione del voto disciplinata

dall’art. 127-quinquies TUF, che prevede espressamente che il beneficio maturato in ragione della fedeltà del socio, dimostrata dal possesso continuativo del titolo per un dato periodo di tempo, verrà automaticamente neutralizzato all’atto del trasferimento. Se è vero che, in quel caso, la decadenza del beneficio al momento del passaggio del titolo in capo ad altro possessore viene primariamente fatta discendere dalla circostanza per cui, applicandosi a tutto il capitale, il diritto condizionato non costituisce elemento differenziale di una categoria, non pare irragionevole ritenere che la stessa “sterilizzazione” degli effetti della realizzazione dell’evento si debba avere anche nel caso in cui la condizione sia elemento caratterizzante una categoria di azioni: si pensi, ad esempio, ai casi di utilizzo della condizione in quella funzione,

a Venture Capital Market: Lessons from the American Experience, in Stanford Law Review, vol. 55, 2003, 1067 ss.; W.W. BRATTON, Venture Capital on the Downside: Preferred Stock and Corporate

Control, in Michigan Law Review, vol. 100, 2002, 891 ss.

che si è definita limitativa o selettiva326, in cui la conversione automatica frustrerebbe

il senso della clausola, attribuendo il voto a (nuovi) soci non in possesso dei requisiti desiderati.

E, del resto, anche nell’ipotesi contigua delle azioni riscattabili di cui all’art. 2437- sexies c.c., se tradizionalmente il potere di riscatto era ritenuto “consumabile” e, per l’effetto, si sosteneva venisse meno una volta esercitato, sicché le azioni avrebbero cessato di essere soggette a detto potere, uno sguardo più attento alla fattispecie fa propendere per la soluzione opposta: così, in coerenza con l’oggettivizzazione dei diritti all’interno del titolo azionario, si potrebbe ritenere che la soggezione al riscatto costituisca «carattere immanente e permanente delle azioni che vi sono soggette, che le connota in tutte le loro vicende circolatorie»327. La stessa considerazione pare

validamente estendibile, allora, alle azioni con voto sottoposto a condizione per le