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Intervista ad Antony Strianese, amministratore delegato e presidente di Barilla Japan

CAPITOLO III GLI STRUMENTI DELLA COMUNICAZIONE

Appendice 1 Intervista ad Antony Strianese, amministratore delegato e presidente di Barilla Japan

Intervistatore: Matteo Ghisalberti, studente di laurea magistrale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Intervistato: Antony Strianese, presidente e direttore generale di Barilla Japan. Dal 2018 presidente

della Camera di Commercio Italiana in Giappone (ICCJ). Circostanze

dell’intervista:

Intervista condotta all’interno degli uffici di Barilla Japan, a Tokyo, in Giappone, il 6 dicembre del 2017.

(Inizio dell’intervista.)

Matteo Ghisalberti: La fine della relazione con Nippon Flour Mills Co. Ltd (NFM) e il recente accordo con Mitsubishi, oltre al suo arrivo come CEO, hanno portato a una ridefinizione dello status quo e degli equilibri in essere, in particolare in termini di vision e rapporti con i distributori.

In che modo l’accordo con Mitsubishi ha cambiato la vostra strategia di marketing?

Antony Strianese: Fondamentalmente il cambio è radicale, ma è molto semplice, perché prima importavamo attraverso NFM e quindi anche tutte le relazioni commerciali con i clienti erano trattenute da NFM. Invece, con questo nuovo modello di business noi siamo i diretti importatori del prodotto. Questo ci dà la libertà, in alcuni casi, di servire il cliente in maniera diretta. O comunque, in tutti i casi, di avere accesso agli interlocutori della distribuzione in maniera diretta. E questo fa sì che finalmente la nostra visione dello sviluppo della categoria, delle marche e dello sviluppo del business in generale arrivi ai clienti in maniera più corretta.

M.G.: Qual è la differenza tra la vision del passato e quella attuale?

A.S.: In realtà non c’è nessuna differenza di vision. Noi crediamo che il mercato giapponese abbia dei potenziali enormi di sviluppo per noi e in generale per la categoria della pasta. Adesso è soltanto più facile o più diretto raggiungere il mercato con la nostra vision.

80 M.G.: A che punto della vostra strategia siete? Quanto avete completato del vostro percorso? Quanto pensato di poter crescere nel breve, medio e lungo termine?

A.S.: Siamo assolutamente all’inizio di questo percorso. Questo è stato l’anno in cui abbiamo cambiato per cui ci son state diverse note positive e diverse note negative, quindi siamo veramente all’inizio del percorso. Nel mercato giapponese abbiamo una quota ancora molto bassa, intorno al due, tre percento. Normalmente nella maggior parte dei mercati in cui Barilla è presente noi siamo leader di mercato con il 20%-30%. In mercati dove magari la storia è più recente comunque abbiamo una call di mercato circa del dieci, quindici percento. La strada da fare è ancora lunga e ci sono ampi margini di miglioramento.

M.G.: Quindi vorreste arrivare anche in Giappone a un venti, trenta percento?

A.S.: Direi che il primo passaggio realistico è sicuramente quello dei dieci punti di quota e questo probabilmente è raggiungibile in quattro o cinque anni, con una crescita abbastanza regolare.

M.G.: La vision di Barilla Japan prevede non solo di portare in Giappone prodotti alimentari, ma anche uno stile di vita. Come pensate di implementare questo valore nel vostro brand e con quali mezzi?

A.S.: Siamo l’unico produttore italiano che, nell’ambito della soluzione “pasto italiano”, porta paste e sughi. Quindi quello è il primo passaggio: di suggerire sempre una ricettazione del prodotto e quindi l’utilizzo di pasta con una ricetta di sugo che noi offriamo. Ovviamente per i giapponesi la pasta è un prodotto non familiare, quindi, anche se ne hanno avuto esperienza attraverso la ristorazione o in altre occasioni, non hanno la facilità e la consuetudine d’uso che abbiamo noi. Per quanto possiamo, facciamo delle dimostrazioni nei punti vendita, proponiamo molti cooking show, seminari, eccetera. Ovviamente portiamo avanti anche altre attività di marketing e promozione come eventi. Di solito partecipiamo a qualunque cosa ci permetta di diffondere l’italianità, l’Italian life style.

M.G.: In effetti non è raro in Giappone trovare persone convinte che cucinare la pasta sia molto più difficile di quanto non sia in realtà.

A.S.: Sì, però io faccio sempre l’esempio di quando sono arrivato in Giappone la prima volta. Non conoscevo niente del Giappone, ma mi piaceva molto la soba. Volevo prepararla a casa perché,

81 almeno logicamente, non vedevo grosse difficoltà. Tuttavia, anche solo comprare la soba è stato estremamente difficile. Tutte le confezioni sono in giapponese. Io non parlo giapponese e le confezioni sono in uno scaffale che non è familiare per me. Esattamente la stessa sensazione che potrebbe avere un giapponese. Inoltre, è problematico anche comprare la salsa. Per noi stranieri che mangiamo la soba, è una generica salsa di soia. Gli scaffali giapponesi hanno migliaia di salse di soia, quindi comprare quella adatta alla soba e sapere poi se va cucinata o preparata semplicemente versata… (Fa una pausa.) Quindi io rapporto sempre le difficoltà che un giapponese potrebbe avere nella preparazione di un piatto di pasta a quella che potremmo avere noi a preparare un piatto giapponese. Dobbiamo sempre essere consapevoli di questa cosa, cercare sempre il più possibile di aiutarli e quindi di facilitare l’esperienza d’uso.

M.G.: Quali pensa siano i punti deboli di Barilla Japan?

A.S.: Senz’altro il fatto che siamo un’azienda molto giovane in Giappone. Parte del cambiamento che ho portato è stato anche quello di introdurre nell’azienda nuove competenze tecniche di aree di business che prima non seguivamo direttamente. Questo ha portato all’arrivo di nuovi colleghi in ufficio che tuttavia non hanno, essendo giapponesi, una grossa cultura del pasto italiano e dell’alimentazione italiana. Né tanto meno la conoscenza dell’azienda. Per questo motivo, la grande difficoltà è avere oggi la capacità di raggiungere il mercato con una serie di messaggi coerenti e univoci, una strategia ben chiara e condivisa da tutti e poter arrivare e convincere i clienti che, insomma, è la via giusta per sviluppare la categoria. Questa è sicuramente una cosa su cui dobbiamo migliorare. L’altro elemento è il fatto che il Giappone è un mercato estremamente frammentato, per cui la grossa difficoltà è nel raggiungere con questi messaggi e con queste ricchezze di contenuti un grosso numero di clienti.

M.G.: Ha affermato che uno dei suoi obiettivi è “educare i consumatori” e lo fate principalmente tramite cooking show e fiere. E i Social media?

A.S.: Altrettanto, sì. Però non possiamo avere un approccio didattico accademico, quindi il tutto deve avvenire in... (Fa una pausa.) In realtà, per essere precisi io ho una visione diversa. Il social media, o il digital in generale è semplicemente un canale di comunicazione. Ciascun canale di comunicazione, come lo sarebbe un canale commerciale, ha bisogno di alcuni adattamenti, alcune specifiche; però questo non cambia la strategia o la missione, o i valori e le priorità che vanno comunicate. È soltanto una questione di veicolarle attraverso i canali giusti e di avere anche la possibilità di fare gli

82 investimenti giusti. Noi sul digital investiamo, facciamo delle attività di visibilità, lavoriamo molto con una piattaforma online che si chiama Cookpad, che è un sito dedicato alla cucina e agli amanti della cucina. Facciamo qualcosina a livello di social media, di social network, ma non possiamo fare molto anche per una questione di disponibilità di risorse. Non proprio economiche, ma proprio anche di staff, di qualità, di tempo da dedicare.

M.G.: Ho notato che avete una pagina di Facebook. I contenuti riguardano principalmente eventi e informazioni su eventi, ovvero contenuto che in un Social network non favoriscono generalmente l’engagement.

Pensate di espandere la vostra presenza sui Social network, magari anche ampliandovi ad altri social network, ad esempio Twitter, che è molto usato in Giappone?

A.S.: No, sinceramente no. Per due ragioni, una è quella di prima: non ha senso avere una presenza se non si è in grado di alimentarla in maniera corretta. Secondo, io non credo necessariamente nella presenza di un brand sui social network. Ha molto più senso avere una presenza di qualità all’interno di piattaforme già esistenti. Perché noi investiamo moltissimo in Giappone in Cookpad e non nel nostro sito? Perché ha molto più senso andare in una piattaforma dove ci sono già milioni di utenti che cercano ricette sulla pasta o consumano pasta, piuttosto che cercare di attrarre milioni di utenti su un sito che non conosce nessuno.

M.G.: Richiederebbe sicuramente un impegno a livello di staff.

A.S.: Sì, non ho studiato quante persone ci vorrebbero. Ma sicuramente non è efficace tanto quanto fornire dei contenuti di qualità all’interno di contesti già stabiliti.

M.G.: Di solito il vantaggio di utilizzare il proprio sito è che si offre contenuto completamente brandizzato. Il traffico può essere reindirizzato tramite i social network al proprio sito, rafforzando in questo modo il rapporto dei consumatori con il brand e l’immagine del brand. Lei non pensa che questo abbia un valore?

A.S.: Ma secondo me questo è un po’ “old economy”, “old digital economy”. Oggi le persone non vanno… (Fa una pausa.) Allora, chiariamo. In Giappone tra l’altro è anche un po’ diverso, perché i siti dei brand sono dei punti di riferimento istituzionale delle aziende. Per cui è obbligatorio in Giappone avere un sito web che fornisca informazioni puntuali sui propri prodotti, sui contact

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center,248 su tutta una serie di specifiche. Punto. Da qui a dire che il sito debba essere un elemento

centrale di una strategia di comunicazione di marketing, assolutamente no. Questa è “old economy”. La “new economy” consiste nel fatto che ciascuno di noi usufruisce del mondo web e del mondo digitale in maniera estremamente varia e personalizzata. Le aziende non possono avere una presenza diffusa ed equivalente su tutti i social network o su tutti i media digitali in generale, perlomeno non alla nostra dimensione e al nostro livello.

Per questo motivo noi guardiamo al digital come ad un canale di investimento e scegliamo dove investire a seconda di quelle che sono le nostre priorità. Per cui si può fare una campagna su Cookpad, si può decidere di fare una campagna video su Youtube, promuovere attraverso Facebook, eccetera.

M.G.: Il mercato giapponese, comprendendo ovviamente anche i giapponesi e la loro cultura, presenta differenze sostanziali rispetto ad altri mercati fuori dall’Italia?

A.S.: Presenta moltissime differenze. Intanto gli standard di qualità sono molto più alti. Questo non ha un impatto particolare sul prodotto per sé, perché il nostro prodotto ha degli standard più che adeguati, in realtà anche superiori, a quelli richiesti dal mercato giapponese. La pasta come prodotto in sé, però, ha degli standard più elevati su dei parametri che in Europa non vengono più considerati prioritari, anzi sono in realtà considerati un valore negativo. Faccio un esempio: il packaging. In Giappone c’è un over packaging per tutto.

Nel mondo occidentale oggi c’è una tendenza a minimizzare l’impatto ambientale derivante dalle confezioni e dagli imballaggi, riducendo quanto più possibile il packaging superfluo rispetto al prodotto. In Giappone siamo ancora agli albori, ma neanche agli albori; in realtà è un fenomeno che non esiste, perché ancora oggi i produttori, i distributori, i retailer richiedono questo livello di qualità. Quindi è un mercato diverso da un punto di vista qualitativo e di aspettative. È un mercato molto diverso anche da un punto di vista di contenuto commerciale. Ad esempio, nei nostri settori si parla di far crescere la categoria, si parla di valore per il consumatore, di esperienza di acquisto, eccetera. Qui in Giappone, devo dire, sono estremamente basici. Si parla fondamentalmente solo di disponibilità di prodotto; quindi il coefficiente di servizio è solo la disponibilità di prodotto e di value for money: di prezzo legato alla qualità. Con grande rispetto però è un mercato estremamente basico, dove aziende che hanno, come la nostra, un vantaggio competitivo nell’offrire un’esperienza di commercio, ma anche un’esperienza per il consumatore molto più ampia e molto più ricca, fanno fatica. Perché la nostra azienda non è focalizzata sulla riduzione dei costi o sull’aumento della qualità

248 Il termine contact center si riferisce all’insieme dei canali di comunicazione impiegati per l’assistenza del cliente. Ad

84 del packaging. (Ride.) In realtà, noi lavoriamo esattamente all’opposto. Noi guardiamo ai costi, ma cerchiamo di migliorare la qualità del prodotto. Tendiamo alla sostenibilità in tutto ciò che facciamo, ma non all’over-packaging. E questo crea enormi difficoltà operative.

M.G.: Pensate di cambiare il packaging? Avete già dei packaging particolari per il Giappone, come dimensioni e così via?

A.S.: Sì, ma non è esclusiva del Giappone. Noiin Giappone le nostre i prodotti principali li vendiamo in sacchetti di plastica. Questo è uno standard che utilizziamo anche in altri paesi, non è un’esclusiva del Giappone. Lo stesso vale per le dimensioni. Qui ovvio, come in tutte le categorie c’è una tendenza, di nuovo, in contrasto a quella europea e americana, dove si va verso le big size. Qui si va verso molto di più verso le piccole dimensioni.

Questo è un difetto strutturale di questo Paese, perché le industrie hanno deciso di assorbire questa inefficienza come status quo, come costo di servizio. Il consumatore semplicemente non si aspetta neanche di pagare un sovrapprezzo per questo servizio. Quindi l’atteggiamento del consumatore è, anche se la pasta ha due anni di vita, di shelf life, di voler comprare un pacchetto piccolo e mangiare costantemente una pasta più fresca. È un concetto che non ha una logica.

M.G.: Forse per le salse può avere fino a un certo punto una logica.

A.S.: Hanno la stessa shelf life alla fine.

M.G.: Però una volta aperte vanno consumate subito.

A.S.: Chiaro, chiaro. Esatto, una volta aperte. Però è una tipologia di prodotto che una volta aperto va consumato entro una settimana.

Per la pasta non ha senso perché molto spesso il consumatore non si rende neanche conto della data. Non legge la data di produzione, quindi probabilmente, anche se ha comprato un pacchetto di trecento grammi, per quattro volte compra comunque lo stesso lotto di produzione.

M.G.: Quindi per loro è proprio una questione di freschezza, non di occupare lo spazio in case di dimensioni ridotte?

85 Ciò che impatta maggiormente è la presenza e prevalenza del fattore del convenience rispetto alla non-convenience. E ciò non è neanche un trend, è un dato di fatto oggettivo. Per cui se a un consumatore viene data la scelta tra cucinare a casa o comprare un prodotto semipronto o pronto, nel settanta, ottanta percento delle situazioni, a parità di prezzo o anche ad un prezzo premium, preferirà la convenience rispetto alla non-convenience. Per questa ragione in realtà non fa nessuna differenza la dimensione del packaging perché non è vero che vivono in dei buchi. (Ride.) A casa vengono conservati alcuni prodotti. Nel caso di semplici prodotti come riso, pasta, sale, zucchero. Si possono conservare alimenti anche in dimensioni più ampie.

M.G.: Come pensiate di differenziarvi da altri brand di pasta? In particolare da altri brand italiani che puntano sulla qualità.

A.S.: Esattamente come facciamo in Italia e in tutti gli altri paesi.

Ogni brand ha la sua dignità e il suo posizionamento. Noi siamo un brand di media-alta qualità. La promessa del prodotto è di essere al dente. Il nostro prodotto è industrializzato, concepito, strutturalmente per avere determinate performance nella cottura e questi elementi si possono variare. La pasta non è tutta uguale: a seconda di come la produci, di che tipo di tecnologiche utilizzi, di che processi utilizzi nella produzione, il risultato finale è diverso. Quindi la differenza del nostro posizionamento, come in tutto il mondo, è essere una pasta di qualità sempre costante, perché noi abbiamo la capacità di mantenere questa qualità costante.

Molto spesso in alcuni brand anche di superiore qualità, ossia “più artigianali”, la qualità è molto fluttuante. Noi garantiamo una qualità costante, una sensazione sempre al dente perché la pasta è concepita così ed un posizionamento di prezzo e di qualità tra il medio e medio-alto, familiare, everyday usage e non premium.

Ad ogni modo il discorso è molto legato alle esperienze di consumo. Io personalmente, non da presidente di Barilla, ma da consumatore, fra l’altro napoletano e salernitano, non amo, non gradisco la Pasta di Gragnano ogni giorno. La trovo un’esperienza un po’ più complessa, più rustica, più tradizionale; ma per uno come me abituato a mangiare pasta quotidianamente… (Fa una pausa.) Non la trovo gratificante tutti i giorni.

Ogni brand deve disegnare il proprio posizionamento. Penso che Barilla abbia il vantaggio di avere un posizionamento medio, mainstream, adatto a diversi utilizzi.

Tutto ciò di cui abbiamo parlato riguarda il consumatore finale: la casalinga o la persona finale. Per la gamma ristorazione invece abbiamo anche delle differenziazioni, delle specifiche tecniche molto diverse all’interno del nostro range. Che in molti casi sono fondamentalmente diverse dalla

86 concorrenza, e quindi lì forniamo una descrizione dei benefici di prodotto molto più tecnica. Si tratta di un linguaggio che ad un consumatore risulterebbe incomprensibile, mentre invece ad uno chef o ad una cucina industriale risulta più chiaro.

M.G.: I prodotti sono gli stessi e cambia il modo in cui voi li comunicate?

A.S.: No, in realtà i prodotti della gamma Food service sono concepiti in maniera diversa.

M.G.: Vi appoggiate ad un’agenzia pubblicitaria qui in Giappone?

A.S.: Non a una sola agenzia pubblicitaria. Abbiamo diversi partner a seconda dei bisogni.

M.G.: Durante il luncheon organizzato dalla Camera di Commercio Italiana in Giappone il 15 novembre 2017, ha affermato che Barilla in Giappone è un’azienda che vende quasi esclusivamente pasta e salse.

Pensate di potenziare la vendita di altre gamme di prodotti del Gruppo Barilla anche in Giappone?

A.S.: Sì, anche se con difficoltà, lo faremo sempre. Lo faremo purtroppo con difficoltà perché più che nella pasta, nel mondo che chiamiamo “bakery”, quindi tutto ciò che è “baked”, ovvero cotto al forno, i fenomeni di cui abbiamo parlato prima (di specialità del packaging, alcune esigenze di produzione, eccetera…), sono ancora più distanti dalle logiche europee.

Sai benissimo che in Italia i pacchi del Mulino Bianco sono da un chilo o da settecentocinquanta grammi, noi qui abbiamo lanciato dei pacchi di Mulino Bianco da centocinquanta grammi, che sono altamente inefficienti da un punto di vista produttivo. Abbiamo dovuto modificare il packaging con un confezioni di qualità diversa che preservano l’estetica, ma non la funzionalità del prodotto. Il prodotto è altrettanto funzionalmente protetto nelle confezioni italiane, ma per i giapponesi non andavano bene, per cui abbiamo dovuto sviluppare questo packaging. È una gamma internazionale, che ha delle caratteristiche tecniche in termini di packaging che si prestano meglio alle spedizioni internazionali e quindi anche per il Giappone preservano alcune qualità estetiche e di preservazione del prodotto che sono leggermente. (Fa una pausa.) Son diverse, non sono migliori. Sono diverse rispetto a quelle che abbiamo in Italia.

Però la difficoltà è che essendo Barilla un’azienda piccola in Giappone e avendo già molte priorità da seguire sul mondo della pasta e dei sughi, per noi questa gamma giocherà un ruolo complementare

87 e non strategico.

M.G.: La pubblicità in Giappone è fondamentale è voi state aumentando gli investimenti grazie anche al contributo di Mitsubishi. Quali sono gli altri principali canali promozionali che utilizzate in Giappone?

A.S.: La televisione è importante. Assolutamente sì. Tuttavia, in Giappone è estremamente costosa, quindi non è accessibile per molti brand. Noi l’abbiamo fatto quest’anno, perché volevamo dare un segnale forte di presenza al mercato, ma non è detto che continueremo nell’immediato futuro. Quindi i nostri investimenti sono prima di tutto nel mondo digital. Utilizziamo altri mezzi, come altre TV: in taxi, treni, shopping center, eccetera. Utilizziamo molti canali del mondo digitale. Inoltre, facciamo uso di eventi promozionali e dimostrazioni nel punto vendita.

M.G.: La pubblicità trasmessa in Giappone in questo periodo è internazionale o prodotta per il mercato giapponese?

A.S.: È internazionale e leggermente riadattata per il mercato giapponese. Dove è percepibile l’audio i messaggi sono in giapponese e sono specifici per questo mercato. I messaggi sono stati modificati in base alle rivelazioniche avevamo del mercato.