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Quanto discusso all’interno di questo capitolo è stato corroborato da alcune interviste condotte su un campione di dieci ragazze tra i venti e i ventisei anni, le quali lavorano in alcune ONG e nel settore delle comunicazioni.

Metodologia: Per svolgere tali interviste mi sono rivolta ad alcuni studenti dell’Università di Amman. Le istituzioni infatti risultano restie a concedere delle informazioni in merito ad argomenti che metterebbero in cattiva luce le politiche del regno.

Quasi tutte le ragazze, ad eccezione di una che era occupata in una ONG, lavoravano presso le compagnie di telecomunicazione e svolgevano la mansione di centraliniste nei Call Center. Questa enorme popolarità che ho riscontrato in merito a tale settore, può infatti confermare le ipotesi svolte nel capitolo, ovvero la mancanza di corrispondenza tra il livello di istruzione di queste ragazze e l’offerta di lavoro non qualificato del settore privato.

Ho posto a queste ragazze delle domande specifiche soprattutto alle tutele che vengono loro offerte in termini di congedo per malattie, maternità e ferie. Nella seconda parte delle interviste invece ho rivolto delle domande in merito alle pressioni sociali, quindi se avessero intenzione di lasciare il lavoro una volta sposate e se avessero subito delle pressioni da parte della famiglia.

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Tutte le ragazze hanno riportato come sul luogo di lavoro non vi siano problemi dal punto di vista legislativo, in merito quindi all’ottenimento di permessi, al congedo di maternità e malattia; solo le ONG sono apparse un po' più restie nel concederne.

Nel momento in cui sono state invece poste delle domande in merito alla possibilità di spostarsi di notte da sole e la possibilità di lavorare all’estero, sono emersi i primi problemi. Ad eccezione di una sola di queste, tutte hanno affermato di voler lasciare il lavoro non appena sposate.

Quelle già sposate invece hanno evidenziato la necessità di abbandonare il lavoro una volta diventate madri perché altrimenti non avrebbero avuto il tempo di farsi carico di tutti gli oneri a ciò connessi.

Queste inoltre anno affermato di subire molto le pressioni della famiglia, e di non essere autorizzate ad uscire la sera da sole; sono i genitori, qualora queste debbano lavorare, ad accompagnarle e riprenderle.

Tutte hanno inoltre mostrato una certa attrazione nei confronti della possibilità di un lavoro all’estero ma poi hanno subito affermato che le loro famiglie e mariti non acconsentirebbero mai a ciò, molte di loro infatti non si sono mai spostate nemmeno dalla capitale.

Quello che è emerso quindi in queste interviste sembrerebbe confermare quanto sostenuto dagli istituti internazionali. Ovvero che uno degli ostacoli più importanti alla piena realizzazione lavorativa delle donne quindi risulta essere principalmente la pressione della società e della morale islamica.

Quello che emerge invece non è tanto la mancanza di consapevolezza che il ruolo della donna nell’economia sia equiparabile a quello dell’uomo e nemmeno il sentirsi relegate alla sfera riproduttiva prima che a quella produttiva.

Ciò che si può leggere è piuttosto una reale preoccupazione in merito a come poter gestire tutte le responsabilità una volta che gli oneri famigliari saranno diventati più pesanti.

Queste ragazze infatti hanno parlato di turni massacranti anche di dodici ore nei giorni di picco lavorativo, quando i datori di lavoro impongono dei target molto più alti. Non hanno voluto far un riferimento specifico all’ammontare dei loro salari, ma hanno affermato che non sarebbero sufficienti al loro mantenimento.

Quello che traspare è la necessità di migliorare i controlli e la tutela delle lavoratrici, che probabilmente, esposte a condizioni lavorative migliori accetterebbero di buon grado di mantenere il lavoro indipendentemente dal loro stato civile; vista anche la crisi economica che il paese sta attraversando e che rende necessario il lavoro di entrambi i coniugi.

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3.7 Conclusioni

Ripercorrendo i punti principali toccati dal capitolo si può notare come il settore privato non sia particolarmente attraente per l’impiego femminile. Si è visto infatti che in tutti i rami in cui è stata imposta la privatizzazione si sono generate delle condizioni lavorative inaccettabili che hanno spinto la donna, soprattutto quella istruita, a ritirarsi dal mercato del lavoro quanto pima.

Il risultato dei PAS quindi è stato quello di generare disoccupazione e malcontento tra i lavoratori, fattori che però vengono mascherati dietro alla pressione sociale e la morale islamica, che precluderebbero alla donna la partecipazione attiva al mercato del lavoro.

Iniziando dal settore agricolo infatti si può dire che sia le donne che si occupano di attività agricole domestiche, sia quelle che svolgono un lavoro retribuito hanno bisogno di un aiuto concreto. Questo deve provenire sia da parte delle organizzazioni in supporto delle donne sia dagli organi governativi; e deve esplicitarsi in termini di un più facile accesso alle risorse naturali e in campagne di sensibilizzazione che rendano consce queste donne dei loro diritti.

Il settore manifatturiero probabilmente è quello che più ha risentito delle grandi ondate di privatizzazioni. Si dovrebbero quindi aumentare i controlli e le ispezioni degli ufficiali amministrativi anche nelle zone franche. Ciò però non è di facile realizzazione in quanto spesso questi, come si vedrà nel prossimo capitolo, sono in accordo con gli imprenditori e durante le loro visite non intrattengono mai dei colloqui con i lavoratori.

Anche nel settore turistico sarebbe doveroso prendere delle misure in merito alla discriminazione di genere. È necessario infatti introdurre delle normative che vietino espressamente qualsiasi forma di discriminazione in ambito lavorativo; a partire dagli stessi annunci di lavoro in cui deve essere vietato di specificare il sesso del lavoratore.

Anche le riforme dell’istruzione in tale ambito non sono state adeguate, gli studi femminili risultano infatti troppo teorici. Si deve quindi sicuramente incentivare l’alternanza scuola lavoro, istituendo dei fondi in tal senso per permettere alle donne di fare esperienza, senza precludere loro il contatto con i colleghi.

È poi doveroso approfondire le ricerche per capire se un aumento delle figure femminili nelle posizioni decisionali, possa aiutare le donne a prendere una maggiore consapevolezza del proprio ruolo e dei propri diritti, per essere incoraggiate a migliorare la loro posizione nella società e nel mondo lavorativo.

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Capitolo IV:

La legislazione a tutela dei lavoratori

In questo capitolo, ci si vuole soffermare all’analisi della legislazione a tutela dei lavoratori con un focus specifico sulle donne. Si analizzerà la questione con un occhio alla discriminazione di genere, cercando di capire se una possibile causa di tale fenomeno potrebbe essere una legislazione troppo complessa, in termini di assunzione e protezione sociale delle lavoratrici.

Ci si concentrerà quindi sulle leggi a tutela delle donne e la loro applicazione effettiva nel settore privato.