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Intese sulla flessibilità oraria

La contrattazione collettiva ha storicamente rivestito un ruolo preminente nella definizione della disciplina dell’orario – anche al di fuori di espliciti

158 Così I.A

LVINO, Il lavoro nelle reti di imprese: profili giuridici, Milano, 2014, pag. 316.

159 Così sempre A.A

LVINO, Op cit. pag. 317; e anche sul punto R.ROMEI, Somministra-

zione a tempo indeterminato e dintorni: le tendenze creative della giurisprudenza, in RIDL,

rinvii da parte del legislatore – dapprima con un’azione di progressiva ridu- zione della durata e più recentemente attuando una modulazione e una di- versificazione dei tempi di lavoro secondo le diverse esigenze di flessibilità delle imprese, sicché il sindacato ha spesso potuto svolgere il ruolo di me- diatore tra mantenimento delle garanzie dei lavoratori e esigenze dello svi- luppo del sistema economico produttivo160.

In merito, la dottrina ha sottolineato come sul piano dei modelli, il prece- dente più significativo del comma 2-bis dell’art. 8 è costituito proprio dalla D.lgs. n. 66 del 2003 che, disciplinando la materia (anch’essa di rilievo co- stituzionale) degli orari di lavoro, dei riposi e delle ferie. Il decreto legislati- vo lascia un enorme spazio alla contrattazione collettiva, anche aziendale che in molti casi può intervenire a modificare la disciplina legale161.

Tuttavia ci si chiede ed interroga in che modo il recente intervento legi- slativo conceda alla contrattazione collettiva ulteriori margini di intervento sulla disciplina dei tempi di lavoro sia con riguardo all’oggetto, sia con ri- guardo agli agenti negoziali e ai livelli di contrattazione162.

Tramite il d.lgs. n. 66 del 2003 per mezzo del quale, in esecuzione dell’apposita legge delega art. 22 Legge n. 39 del 2002, il legislatore italiano si è uniformato alla direttiva comunitaria la n. 104 del 1993, novellata con direttiva n. 34 del 2000 e, poi codificata nella direttiva n. 88 del 2003.

Come noto, lo stesso decreto legislativo n. 66 del 2003 presenta numerosi rinvii alla contrattazione collettiva; un primo importante rinvio lo riscon-

160

Cfr. M.G.MATTAROLO, I tempi di lavoro, in Trattato di diritto del lavoro diretto da

M. Persiani e F. Carinci, IV.1: Contratto di lavoro e organizzazione a cura di M. Martone,

Padova, 2012, pag. 604 ss. 161

Così A.MARESCA, La contrattazione collettiva aziendale dopo l’art. 8 d.l. 13 agosto

2011 n. 138 in cuore&critica.it. Cfr. MATTAROLO,op. cit., pag. 706: “Quanto agli agenti

negoziali, l’art. 1 comma II lett. m) del d.lgs. 66/2003 assume come regola generale, le «organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative» quali legittimate a stipulare i contratti collettivi in tutti i casi in cui la stesso decreto ad essi rinvii senza ulteriori specificazioni (...). il decreto non indica ne il livello al quale misurare la rappresentatività sindacale, né il livello ella contrattazione, sicché è da ritenersi che già in precedenza i contratti collettivi derogatori, in materia di orario, potesse essere stipulati (salvo specifica disposizione), tanto a livello aziendale quanto territoriale, da sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale o territoriale”.

162 Così A.V

triamo nell’art. 1 comma II che definisce contratti collettivi “solo quelli sti- pulati da organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rap- presentative”163

dunque comprendendovi anche la contrattazione azienda- le164.

In materia di flessibilità oraria la possibilità di introdurre specifiche de- roghe, per il tramite di un accordo di prossimità alla disciplina legale, viene demandata alle parti sociali senza limiti o vincoli, se non quelli, valevoli in generale, del rispetto delle norme costituzionali e sovranazionali che, nel ca- so di specie, sono assai dettagliate.

Proprio per questo si è sottolineato che l’impatto della recente disciplina dettata dall’art. 8 sui tempi di lavoro non sembra di particolare rilievo per differenti ragioni165.

In primo luogo deve considerarsi il fatto che la contrattazione collettiva era già ampiamente richiamata dallo stesso D.lgs. n. 66 del 2003 e legittima- ta ad intervenire e a modificare la disciplina legale. In secondo luogo, dal momento che la normativa sull’orario di lavoro, dettata dal D.lgs. n. 66 del 2003, è in gran parte di derivazione comunitaria e ne recepisce i relativi vin- coli, che sono dunque inderogabili, gli accordi di prossimità devono evitare

163 Sono considerati idonei, salvo disposizioni specifiche, anche contratti non nazionali o aziendali, purché, al pari di quelli nazionali, siano sottoscritti da alcune delle indicate organizzazioni e non necessariamente da tutte, come si ricava dall’uso della preposizione «da» invece che «dalle» così sul punto A.VALLEBONA, Istituzioni di diritto del lavoro, Padova 2011, pag. 217.

164 Cfr. R.D

EL PUNTA, La riforma dell’orario di lavoro, in DPL., 2003, n. 22, inserto, pag. IX ss.; D. GAROFALO, Il D.lgs. n. 66/2003 sull’orario di lavoro e la disciplina

previgente: un raccordo problematico, in LG., 2003, pag. 997 e ss, spec. pag. 998; A.

MARESCA, Durata massima dell’orario di lavoro e contrattazione collettiva, in DPL., 2003, pag. 2999 ss.

165 Cfr. M

ATTAROLO, op. cit., pag. 705; cfr. G. BOLEGO, Consenso e dissenso nella

struttura della contrattazione collettiva sull’orario di lavoro, in Consenso, dissenso e rap- presentanza: le nuove relazioni sindacali, a cura di M. Barbera e A. Perulli, Padova 2014,

pag. 296: “ Tuttavia, quanto alla materia dell’orario di lavoro, ci si deve chieder quale sia la portata innovativa della facoltà derogatoria prevista sia dall’art. 8 della l. n. 148 del 2011 sia dall’AI del giugno 2011, posto che detta facoltà era già ampiamente riconosciuta dal d.lgs. n. 66 del 2003”.

di incorrere nella violazione dei vincoli comunitari così come prevede lo stesso art. 8 comma 2 bis166.

In merito, un possibile vincolo è costituito dall’art. 18 della direttiva n. 2003/88/CE che ammette sì la deroga, alle materie elencate, da parte dei contratti collettivi nazionali o regionali, o anche conclusi a un livello infe- riore ma nel rispetto «delle regole fissate dalle parti sociali», mentre l’art. 8 si pone in senso diametralmente opposto ovvero scavalca negando un crite- rio gerarchico nell’organizzazione della contrattazione così come disposta dalle parti sociali167.

Come noto, visto che la direttiva non disciplina l’orario di lavoro norma- le ma solo quello massimo, la contrattazione di prossimità potrà aumentare il limite di 40 ore settimanali di cui all’art. 3 del D.lgs. n. 66 del 2003, fermi restando ovviamente i limiti massimi.

Presumibilmente in parte derogabile è il divieto di lavoro notturno delle donne dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento del un anno di età del bambino168 ex art. 11 II comma D.lgs. n. 66 del 2003, alla luce del fatto che la direttiva 92/85 CEE relativa alla tutela della salute delle lavoratrici gestanti e puerpere è meno rigida rispetto alla previsione di limi- tazioni al lavoro notturno dettate dall’art. 11 II comma del D.lgs. n. 66 del 2003.

Sicuramente inderogabile è invece il diritto alla maturazione di almeno 4 settimane annuali retribuite ex art. 17 direttiva 2003/88, anche se la fruizio- ne affettiva di esse può slittare oltre l’anno di riferimento169

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