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Intra-operatorie, che non consentano un’ottimale esecuzione della

procedura chirurgica.

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Post-operatorie, con periodi di insorgenza estremamente variabili, valutate su base clinica e radiografica.

In base alla gravità in:

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Minori, che richiedono intervento medico senza che vi sia l’esigenza di una revisione chirurgica.

4.2 Principali complicazioni secondarie ad artrodesi di carpo e tarso

Le percentuali di complicazioni in seguito a panartrodesi di carpo nel cane, con stabilizzazione mediante placca dorsale, variano dal 7% al 50%; questo amplio range può essere attribuito all’assenza di una standardizzazione degli studi.

Nel gatto è stato riportato un tasso di complicazioni intorno al 30 %. (30) La percentuale di complicazioni associata all’artrodesi di tarso va dal 25 all’80 % in cani sottoposti a fissazione con placca e viti. In particolare il tasso di complicazioni riscontrato è maggiore per la panartrodesi rispetto all’artrodesi parziale, e la gravità delle stesse risulta massima in caso di stabilizzazione mediante placca sulla superficie mediale dell’articolazione. (30)

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a) Non-unione

La complicazione considerata più seria è la non-unione, che può essere associata ad un cedimento di impianto con o senza insorgenza di artrite settica o osteomielite.

Due importanti cause di non-unione sono la non completa rimozione della cartilagine articolare dall’intera superficie sottoposta ad artrodesi e l’incorretta o mancata esecuzione dell’innesto di tessuto osseo spongioso. Nel caso in cui non sia effettuato correttamente l’innesto di spongiosa, il tempo di guarigione dell’artrodesi aumenta significativamente, rendendo l’articolazione più vulnerabile all’insorgenza di instabilità ed aumentando il rischio di cedimento parziale o totale di impianto.

Una inadeguata giustapposizione delle superfici da sottoporre ad artrodesi può portare ad uno scarso contatto fra le stesse, con conseguente ritardo

della guarigione ossea e possibile insorgenza di non-unione. Questa evenienza si verifica in caso di errori durante la rimozione della cartilagine articolare o nel posizionamento dei segmenti ossei. (31)

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b) Cedimento di impianto

Cedimenti parziali o totali di impianto possono essere conseguenza di errori tecnici, nel posizionamento o nella scelta di tipo e dimensioni dello stesso, o del mancato contenimento del paziente nel periodo post- operatorio.

L’insorgenza di cedimenti tardivi, in media a sei mesi dall’esecuzione dell’artrodesi, è stata riportata come causa di zoppia e dolore persistente in pazienti in cui non sia stata raggiunta un’ottimale fusione dei segmenti ossei. (31)

Gli impianti di osteosintesi possono cedere in due modi: una rottura repentine e completa del metallo per l’azione di forze di notevole entità che creino una fessurazione nel materiale, oppure, più frequentemente, si verifica un cedimento da fatica. Questo è dovuto all’azione ripetuta di forze al di sotto del limite necessario a rompere il materiale, che provocano alterazioni microscopiche e permanenti a carico dell’impianto, il quale, raggiunto un limite critico, cede piegandosi o rompendosi del tutto. (32)

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c) Infezioni

Una complicazione che richiede una gestione particolarmente delicata è l’insorgenza di infezioni del sito chirurgico con artriti settiche e/o osteomieliti. (31)

Quando ad essere colpita è l’articolazione si parla di artrite settica, una tipologia di artrite infiammatoria in cui i microrganismi si moltiplicano nel liquido sinoviale. Se non trattata correttamente, questa evolve verso una distruzione completa dell’osso subcondrale. (33)

Se sono coinvolti i segmenti ossei, l’infiammazione è definita osteomielite. L’insorgenza di osteomieliti costituisce un’evenienza molto temuta durante l’esecuzione di chirurgie che richiedano l’inserimento di mezzi di osteosintesi, in quanto i batteri possono colonizzare gli impianti metallici. Alcuni agenti patogeni sono, in oltre, in grado di secernere un glicocalice che, in combinazione con il collagene e il fibrinogeno del paziente, crea un biofilm protettivo in grado di proteggere i batteri dall’azione del sistema immunitario e degli antibiotici. Se l’osteomielite non viene trattata adeguatamente può portare ad importante riassorbimento osseo con aree di osteolisi anche molto estese. (32)

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d) Fratture

In pazienti sottoposti a artrodesi radiocarpica è riscontrata la possibilità di fratture diafisarie di radio o fratture metacarpali (9.4%). La porzione ossea distale all’ultima vite metacarpale risulta quella soggetta al maggior grado si stress meccanico e conseguente rischio di frattura.

Analogamente a quanto descritto per il carpo, in pazienti sottoposti ad artrodesi di tarso stabilizzata mediante placca sulla superficie dorsale, laterale o mediale, è stata riportata l’insorgenza di frattura dei metatarsi. Per ridurre il rischio di lesioni a questo livello si raccomanda l’impiego di placche che coprano almeno il 50% della lunghezza dei metacarpi o metatarsi e che abbiano la possibilità di ospitare viti di minori dimensioni nella porzione distale, in modo da inserire viti che non superino il 40 % del diametro del segmento osseo in questione (vedi “mezzi di osteosintesi”). (1)

Il posizionamento di una vite calcaneotibiale separatamente, e non attraverso la placca, è stato associato con un aumento del rischio di rottura della vite stessa e frattura del calcaneo per un eccessivo stress meccanico a questo livello. (29)

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e) Necrosi plantare

La necrosi plantare è una grave complicazione riportata in caso di panartrodesi o artrodesi parziale di tarso stabilizzata con placca, in particolare se questa è posizionata sulla superficie mediale.

Questa si definisce come una perdita post-operatoria di tessuti molli dalla superficie plantare del tarso e dei metatarsi, incluso il cuscinetto metatarsale .

Le cause che portano a questa complicazione non sono tuttora ben chiare. Si ipotizza che possa avere un ruolo determinate il danneggiamento del ramo perforante dell’arteria dorsale del piede durante la rimozione della cartilagine o il posizionamento dell’impianto di osteosintesi. (29)

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