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Valutazione dell'andamento post operatorio di artrodesi di carpo e tarso mediante osteosintesi interna con placca nel cane.

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Academic year: 2021

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(1)

Corso di Laurea Magistrale in

Medicina Veterinaria

UNIVERSITA’ DI PISA

Valutazione dell'andamento post

operatorio di artrodesi di carpo e tarso

mediante osteosintesi interna con placca

nel cane.

Candidata: Angeletti Silvia

Relatore: Prof. Giovanni Barsotti

Correlatore: Dott. Alessio Raschi

(2)

A Nanà

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Riassunto

Parole chiave : cane, artrodesi di carpo-tarso, osteosintesi interna Obbiettivi : Valutare l’andamento post-operatorio, da un punto di vista

clinico e radiografico, di cani sottoposti ad artrodesi di carpo o tarso mediante osteosintesi interna con placca e confrontare i risultati ottenuti con la letteratura scientifica.

Materiali e metodi : Analisi retrospettiva di 20 casi di artrodesi in 19 cani;

10 casi di panartrodesi di carpo mediante placche Pancarpal Arthrodesis LCP Synthes©, Carpal Arthrodesis standard plate Securos© ed LCP Synthes© sulla superficie dorsale, 7 casi di panartrodesi di tarso con l’utilizzo di placche Pantarsal Arthrodesis DCP Securos© e Ibrida DCP Standard Veterinary Instrumentation© posizionata medialmente, 3 casi di artrodesi parziale di tarso mediante placche LCP Synthes© sulla superficie laterale.

Per ogni soggetto sono stati raccolti dati clinici ed esami radiografici pre-operatori, follow-up clinico e radiografico, fino alla completa guarigione o all’insorgenza di complicazioni maggiori con fallimento dell’artrodesi, e dati relativi agli esiti della chirurgia.

Risultati : L’ 80% dei pazienti trattati sono giunti a completa guarigione

con esiti clinici eccellenti e scomparsa della zoppia, il 10% ha raggiunto una fusione parziale con risultati clinici soddisfacenti e zoppia massima di 1°-2° grado, mentre nel restante 10% si è avuti il fallimento dell’artrodesi con permanenza di zoppia di 4° grado. Il tasso di complicazioni

complessivo è stato del 70%, 70% nelle panartrodesi di carpo, 71% nelle panartrodesi di tarso e 67% nelle artrodesi parziali di tarso.

Conclusioni : L’ artrodesi di carpo e tarso costituisce una chirurgia di

salvataggio, per tanto nonostante la sua complessità e l’alto tasso di complicazioni, è da considerarsi un’ottima opzione terapeutica per l’eliminazione della zoppia a carico di queste articolazioni.

(4)

Abstract

Key words : dog, carpal-tarsal arthrodesis, internal fixation

Objective : Post-surgical assessment, from a clinical and radiographic

standpoint, of dogs who underwent carpal or tarsal arthrodesis with internal fixation by plates, in comparison with the current scientific literature.

Materials and Methods : Retrospective analysis of 20 clinical cases in 19

dogs; 10 pancarpal arthrodesis using Pancarpal Arthrodesis LCP Synthes©, Carpal Arthrodesis standard plate Securos© and LCP Synthes© plates dorsally applied, 7 pantarsal arthrodesis by Pantarsal Arthrodesis DCP Securos© and Ibrida DCP Standard Veterinary Instrumentation© plates on the medial surface, 3 partial tarsal arthrodesis with LCP Synthes© plates laterally applied.

For each of the included cases pre-surgical and post-surgical radiographic and clinical dates where collected, up to the point of complete fusion or until complication occurred leading to arthrodesis failure, and dates on the outcomes of the surgery.

Results : 80% of the patients reached complete recovery, with excellent

clinical outcomes and no lameness, 10% achieved only partial fusion with satisfactory clinical results and maximum 1°-2° degree lameness, in the remaining 10% major complication occurred leading to arthrodesis failure and 4° degree lameness. The total complication rates was 70%, 70% in pancarpal arthrodesis, 71% in pantarsal arthrodesis and 67% in partial tarsal arthrodesis.

Conclusions : Carpal and tarsal arthrodesis are salvage procedures,

therefor, despite the complexity of the surgery and the high rate of complications, it’ s to be considered an excellent treatment option for eliminating lameness and pain from carpal and tarsal joints.

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INDICE

PARTE GENERALE

Capitolo 1 : CENNI DI ANATOMIA • 1.1 Anatomia del carpo Pag 7 • 1.2 Anatomia del tarso Pag 9

Capitolo 2 : TECNICA CHIRURGICA

• 2.1 Introduzione Pag 13

• 2.2 Artrodesi di carpo Pag 13

-

2.2.1 Artrodesi parziale Pag 14

-

2.2.2 Panartrodesi Pag 18

• 2.3 Artrodesi di tarso Pag 26

-

2.3.1 Artrodesi parziale Pag 27

-

2.3.2 Panartrodesi Pag 34

Capitolo 3 : GESTIONE POST-OPERATORIA

• 3.1 Gestione post-operatorio dell’artrodesi di carpo Pag 41 • 3.2 Gestione post-operatoria dell’artrodesi di tarso Pag 42 Capitolo 4 : COMPLICAZIONI

• 4.1 Classificazione delle complicazioni Pag 44 • 4.2 Principali complicazioni secondarie ad

artrodesi di carpo e tarso Pag 45

PARTE SPERIMENTALE

Capitolo 5 : PARTE SPERIMENTALE

• 5.1 Scopo del lavoro Pg. 50 • 5.2 Materiali e metodi Pg 50

• 5.3 Risultati Pg 57

• 5.4 Conclusioni e Considerazioni Pg. 85

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(7)

1 CENNI DI ANATOMIA

1.1 Anatomia del carpo

Il carpo costituisce un’articolazione molto complessa, composta da sette ossa carpiche disposte su due file che individuano tre piani articolari.

La fila prossimale si compone, in senso medio-laterale, di osso radiale ( o scafo-lunato), derivante dalla fusione durante lo sviluppo delle ossa scafoide e intermedio, che si articola prossimalmente con il radio, lateralmente con l’osso ulnare e distalmente con tutte e quattro le ossa carpiche della fila distale; osso ulnare (o piramidale) che si articola prossimalmente con radio e ulna, mediamente con l’osso radiale e distalmente con il quarto osso carpale e il quinto metacarpo; osso accessorio (o pisiforme), il quale si posiziona caudalmente rispetto ai precedenti, che si articola con ulna e osso ulnare.

La fila distale è costituita, sempre in senso medio-laterale, da osso trapezio (o I carpale), osso trapezoide (o II carpale), osso capitato (o III carpale) e osso uncinato (o IV carpale). Le prime tre ossa carpali si articolano prossimalmente con l’osso radiale, mentre il IV carpale si articola sia con l’osso radiale sia con l’osso ulnare. Distalmente le prime tre ossa sia articolano con i rispettivi metacarpi, il IV carpale, invece, si articola con IV e V metacarpo. I metacarpi cono numerati in senso medio-laterale da I al V e presentano tutti anatomia e dimensioni simili ad eccezione del I metacarpo per cui le dimensioni risultano inferiori. (1)(2)(3)

I piani articolari individuati sono l’articolazione anterobrachiocarpica, fra radio ulna e la fila prossimale delle ossa carpiche, responsabile dell’ 85% del range di movimento dell’intera articolazione, l’articolazione mediocarpica, fra la fila prossimale e quella distale, e l’articolazione carpometacarpica fra la fila distale e le ossa metacarpali. Le articolazioni

(8)

fra le singole ossa di una stessa fila costituiscono le articolazioni intercarpiche. (1)(2)

Stabilizzano l’articolazione la capsula articolare, numerosi legamenti intra ed extra articolari, un disco articolare (noto anche come legamento radioulnare), e la fibrocartilagine palmare.

Sulla regione dorsale sono presenti il legamento radioulnare (disco articolare) ,che collega distalmente radio e ulna; il legamento radiocarpico dorsale fra il radio l’osso ulnare; il legamento collaterale laterale fra ulna e osso ulnare; il legamento collaterale mediale composto da due parti , una retta e una obliqua diretta verso la superficie palmare, che uniscono il radio all’osso radiale; numerosi brevi legamenti che uniscono le ossa carpali distali fra di loro e con le ossa carpali prossimali.

Sulla superficie palmare i principali legamenti superficiali sono il legamento radiocarpico palmare fra il radio e l’osso radiale; il legamento ulnocarpale palmare fra ulna e osso radiale; il ramo palmare del legamento collaterale mediale; numerosi brevi legamenti che collegano le ossa carpali fra di loro e con i metacarpi; l’osso carpale accessorio è connesso alla porzione prossimale dei metacarpali IV e V da due legamenti metacarpali accessori e all’osso ulnare e IV osso carpale da due distinti legamenti. A livello profondo il retinaculum dei flessori si estende dalla porzione mediale dell’osso carpale accessorio al processo stiloide del radio e all’osso radiale e I osso carpale; la fibrocartilagine palmare prende contatto con l’osso radiale e ulnare, tutte le ossa carpali distali e i metacarpi III, IV e V. (1)

L’apporto ematico sella superficie dorsale è garantito dai rami laterale e mediale dell’arteria brachiale superficiale. La vascolarizzazione delle regione palmare consiste nell’arteria mediana, che forma, insieme all’arteria interessa caudale, l’arcata palmare superficiale, da cui originano

(9)

le arterie metacarpali palmari. Dall’arteria mediana si stacca, a metà dell’avambraccio, l’arteria radiale, la quale si divide, a livello del carpo, in un ramo palmare ed uno dorsale responsabile della vascolarizzazione profonda. Il drenaggio venoso è garantito dalla vena cefalica e dalla vena mediana, che scorre accanto all’omonima arteria. (1)(4)

L’innervazione della regione dorsale è garantita dal nervo cutaneo laterale dell’avambraccio, diramazione del nervo radiale, mentre branche del nervo muscolocutaneo, mediano ed ulnare innervano la superficie palmare. (1) Differenze anatomiche nel gatto

Nel gatto si riscontra l’assenza della porzione obliqua del legamento collaterale mediale.

A causa di questa differenza alcuni studi suggeriscono che la lussazione anterobrachiocarpica si associ a una lesione solo parziale del legamento collaterale mediale, rendendo la patologia molto meno grave rispetto al cane. (1)

1.2 Anatomia del tarso

Il tarso, o garretto, si compone di sette ossa disposte su tre file irregolari. La fila prossimale è costituita in senso medio-laterale dall’astragalo (o talus), il più complesso dei sette segmenti ossei, che si articola prossimalmente, mediante la sua porzione trocleare, con la porzione cocleare della tibia, caudo-lateralmente con il calcaneo, con il quale forma un’articolazione molto stabile, distalmente con l’osso centrale (o scafoide ) e il IV osso tarsale (o cuboide); il calcaneo, che presenta prossimo-caudalmente un processo molto sviluppato e che si articola medialmente con l’astragalo, distalmente con il IV osso tarsale e l’osso centrale.

(10)

Distalmente all’astragalo si trova l’osso centrale che prende contatto con tutte le altre ossa tarsali; lateralmente ad esso si localizza il IV osso tarsale, il più voluminoso fra i segmenti della fila distale, che si articola prossimalmente con il calcaneo, medialmente con l’osso centrale e il III tarsale e distalmente con VI e V metatarso; distalmente all’osso centrale e mediamente al IV tarsale si trovano, in senso latero-mediale, il III II e I tarsali, che si articolano prossimalmente con l’osso centrale e distalmente con i corrispettivi metatarsi. I metatarsi sono numerati in senso medio-laterale da I a V e sono anatomicamente simili ad eccezione del I metatarso che presenta dimensioni notevolmente ridotte. (1)(2)(3)

I piani articolari individuati dalle ossa tarsali sono numerosi e complessi. Si identificano sei principali articolazioni: tibiotarsica (o tarsocrurale, talocrurale), fra la troclea dell’astragalo e la coclea della tibia, a cui compete il 90% del range di movimento dell’intera articolazione tarsale; astragalocalcaneale, posta trasversalmente alla precedente; astragalocalcaneocentrale e calcaneoquartale che insieme costituiscono l’articolazione intertarsale prossimale; centrodistale, fra l’osso centrale ed il I, II e III tarsale, che costituisce l’articolazione intertarsale distale; tarsometatarsica fra le ossa tarsali distali e i corrispondenti metatarsi. (1) (2)

L’articolazione è stabilizzata dalla presenza di una capsula articolare che si estende dalla porzione distale della tibia alle porzioni prossimali dei metatarsi, e che presenta ispessimenti sulle regioni palmare e dorsale; in particolare sulla porzione palmare si identifica una fascia fibrosa divisa a formare il canale tarsale, medialmente al calcaneo, in cui alloggiano arteria e vena safena, nervo plantare e tendine del muscolo flessore dell’alluce. Mediamente si identifica il legamento collaterale mediale, formato da tre parti: una componente lunga, superficialmente, che si estende dalla

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porzione mediale del malleolo al I tarsale ed entra in tensione durante l’estensione, ed una componente corta formata a sua volta da due legamenti di cui uno, fra tibia e osso centrale, da supporto nella fase di estensione mentre l’altro, che corre perpendicolare ai due precedenti, entra in tensione durante la fase di flessione.

Lateralmente si trova il legamento collaterale laterale anch’esso composto da tre parti: una lunga che da supporto in fase di estensione , ed una corta formata dai legamenti calcaneofibulare, con funzione analoga al precedente, ed astragalofibulare, che entra in tensione in fase di flessione. Sulla faccia palmare si identifica il legamento palmare composto da una porzione centrale, dal calcaneo al IV tarsale e poi al VI e V metatarso, una mediale, dall’astragalo alla capsula articolare a livello dell’articolazione tarsometatarsica, ed una laterale, che dal calcaneo si congiunge alla porzione lunga del legamento collaterale laterale.

Sempre nella porzione palmare si trova la fibrocartilagine palmare tarsale. (1)

L’ apporto ematico, per quanto riguarda le superfici dorsale e laterale del tarso, è garantito dall’arteria tibiale craniale da cui si diparte l’arteria dorsale del piede che diviene, a livello dell’articolazione tarsometatarsica, l’arteria metatarsale dorsale. Le superfici plantare e mediale sono vascolarizzate dal ramo plantare dell’arteria safena, che scorre nel canale tarsale. Il ritorno venoso avviene mediante le vene safena laterale e safena mediale. (1)

La regione è innervata da due branche del nervo sciatico: il nervo tibiale, che si divide carnalmente all’articolazione tibiotarsica in nervo plantare laterale e mediale, ed il nervo comune personale, che si separa in superficiale e profondo. Il nervo safeno, diramazione del nervo femorale,

(12)

fornisce l’innervazione cutanea alle porzioni mediale e dorsale della regione tarsometatarsica. (1)(4)

Differenze anatomiche nel gatto

Nel gatto i legamenti collaterali ,sia mediale sia laterale ,non presentano una porzione lunga ma si compongono esclusivamente di una corta, con anatomia simile a quella del cane. (1)

(13)

2 TECNICA CHIRURGICA

2.1 Introduzione

Il temine artrodesi indica un gruppo di procedure chirurgiche mediante le quali viene indotta la fusione di una o più articolazioni.

Si tratta di interventi di salvataggio da attuarsi in situazioni in cui non sia possibile ripristinare la funzionalità di un’articolazione e non vi siano disponibili impianti protesici per mantenere la fisiologica motilità dell’arto. L’obbiettivo che ci si pone diventa quindi quello di eliminare il dolore senza ricorrere all’amputazione.

L’impiego di questa tecnica in medicina veterinaria è ampiamente descritto per le articolazioni di carpo, tarso, gomito, spalla, ginocchio e colonna vertebrale. (5)

Indipendentemente dalla sede chirurgica, le procedure di artrodesi si basano su alcuni principi basilari quali: un meticoloso planning pre-operatorio, la rimozione accurata della cartilagine articolare dall’intera regione che si intende sottoporre a fusione, l’apposizione delle superfici che devono essere collocate nella corretta angolazione il più ravvicinate possibile, una salda stabilizzazione dell’articolazione, l’impiego di un innesto di tessuto osseo, solitamente autologo, ed una attenta salvaguardia dei tessuti molli circostanti, in particolare della vascolarizzazione nelle regioni distali degli arti. (1)

2.2 Artrodesi di carpo

L’ artrodesi di carpo costituisce la procedura chirurgica di elezione in caso di danni irreparabili all’articolazione quali: lesioni ai legamenti collaterali

(14)

per cui non si ritenga possibile o si sia rivelata infruttuosa la ricostruzione chirurgica, lesioni da iperestensione con o senza lussazione delle ossa carpiche, fratture articolari complesse o non riparabili, severa degenerazione articolare che causi dolore e perdita di funzione, gravi artriti di diversa origine che portino al collasso dell’articolazione e deficit neurologici che colpiscano esclusivamente la porzione distale dell’arto anteriore. (1)

In letteratura sono descritte numerose tecniche chirurgiche, di seguito verranno riportate le principali con gli opportuni confronti. (1)

2.2.1 Artrodesi parziale

Lo scopo dell’artrodesi parziale di carpo è quello di creare un consolidamento osseo delle articolazioni mediocarpica, carpometacarpica ed intercarpica senza coinvolgere l’articolazione anterobrachiocarpica, a cui compete l’85% del range di movimento dell’intero carpo.

L’impiego di questa tecnica richiede che l’articolazione anterobrachiocarpica non abbia subito alcun tipo di danno o perdita di stabilità e non sia sede di dolore. La presenza di tale prerequisito deve essere accuratamente valutata mediante l’esame clinico e l’esecuzione di uno studio radiografico con l’arto in posizioni di riposo e stressate. (6)

-

Tecnica standard

Dopo aver eseguito un’ampia tricotomia della regione, il paziente viene posizionato in decubito dorsale e si procede alla preparazione del campo operatorio secondo tecnica asettica standard.

(15)

Può risultare utile l’emostasi preventiva mediante l’impiego di fasciature tourniquet temporanee, con l’accortezza di allentare in seguito il laccio per non compromettere la vascolarizzazione. (6)

L’accesso chirurgico prevalentemente impiegato è quello dorsale, con una linea di incisione leggermente deviata al fine di evitare una diretta sovrapposizione fra la sutura dei tessuti superficiali e i mezzi di osteosintesi. (6)

L’incisione cutanea si estende dalla biforcazione della vena cefalica accessoria fino alla

metà della lunghezza dei metacarpi con un andamento che segue lateralmente la vena precedentemente indicata.

La fascia sottocutanea viene analogamente scontinuata ,quindi cute, sottocute, vena cefalica accessoria e branca superficiale del nervo radiale vengono retratte medialmente. La fascia anterobrachiale profonda viene incisa fra il tendine del muscolo estensore radiale del carpo ed il tendine del muscolo estensore comune delle dita.

I tessuti sono retratti e la breccia chirurgica viene approfondita fino ad esporre la capsula articolare; questa risulta adesa alla superficie dorsale delle singole ossa carpiche.

Mediante l’impiego di aghi ipodermici sono individuati i limiti delle superfici articolari di interesse e , utilizzando questi come guida, viene incisa la capsula a livello dei piani identificati, previa flessione del carpo per facilitare l’accesso.

Se si rende necessaria una maggiore esposizione della porzione distale dell’arto, il tendine del muscolo estensore radiale del carpo può essere scontinuato a livello della sua inserzione sul II e III metacarpo. (7)

(16)

Con l’aiuto di una flessione forzata, vengono esposte le articolazioni mediocarpica, intercarpica e carpometacarpica, la cartilagine articolare è rimossa mediante fresatura e con l’ausilio di una raspa, se necessario. Si esegue un accurato lavaggio delle superfici articolari con abbondante fisiologica sterile.

Viene effettuato un prelievo di tessuto osso spongioso, preferibilmente a livello dell’omero ipsilaterale, utilizzando un trapano ortopedico per forare la corticale ed un cucchiaio di Volkmann della dimensione adatta per la raccolte del campione. Il tessuto così ottenuto è depositato libero nelle articolazioni per cui si intende indurre artrodesi.

Si posiziona il carpo in estensione con un allineamento neutro fra ossa carpali e metacarpi e si procede alla stabilizzazione dell’articolazione mediante l’impiego di placche a T o ad L.

L’uso di una singola placca a T prevede il posizionamento di due viti nell’osso radiale, una nel III carpale e due nella porzione prossimale del III metacarpo. L’impiego di placche a L può limitarsi ad una singola placca con viti posizionate analogamente a quanto descritto per la placca a T, oppure consistere di due placche posizionate in modo speculare con due viti rispettivamente nelle ossa carpali e radiali, una vite nel III osso carpale ed una nel IV carpale e due viti ciascuna nelle porzioni prossimali di III e IV metacarpo; questo tipo di impianto si rende necessario in cani di grasso mole per conferire maggiore stabilità e ridurre lo stress meccanico sulle singole componenti.

I tessuti di vengono ricostruiti a copertura della placca e si procede alla sutura di sottocute e cute. (6)

(17)

-

Tecniche alternative

a) Chiodi di Kirschner centromidollari

In alternativa all’impiego di placche, l’osteosintesi può essere eseguita mediante il posizionamento di chiodi di Kirschner centromidollari. Questa tecnica richiede una maggiore esposizione dei metatarsi con ampliamento distale dell’accesso chirurgico fino all’articolazione metatarsofalangea. Dopo aver eseguito la rimozione della cartilagine articolare mediante fresatura, il lavaggio con fisiologica sterile e l’innesto di spongiosa in maniera analoga a quanto precedentemente descritto per la tecnica standard, si procede alla stabilizzazione mediante l’inserimento retrogrado in senso disto-prossimale di quattro chiodi di Kirschner nel II, III, IV e V metacarpo a partire dalla porzione distale dei metacarpi, subito prossimalmente all’articolazione metacarpofalangea, fino all’inserimento nelle ossa radiali ed ulnari con particolare attenzione a non coinvolgere l’articolazione anterobrachiocarpica. I tessuti vengono quindi ricostruiti a copertura. (6)

b) Cross Pins

Questa tecnica di fissazione impiega da due a quattro chiodi posizionati trasversalmente dalla porzione prossimale dei metacarpi alla prima fila di ossa carpali, facendo attenzione a non coinvolgere l’articolazione anterobrachiocarpica.

Dopo aver eseguito un accesso chirurgico dorsale si rimuovono le cartilagini articoli, si esegue il lavaggio con fisiologica sterile e si procede all’innesto di spongiosa come precedentemente descritto. L’articolazione viene quindi stabilizzata mediante il posizionamento di pins in direzione medio-laterale e disto-prossimale dal secondo metacarpale all’osso ulnare del carpo ed in senso latero-mediale e disto-prossimale dal IV o V metacarpale all’osso radiale del carpo. I tessuti sono ricostruiti a copertura.

(18)

Il principale vantaggio di questa tecnica consiste nella semplicità di esecuzione e nella possibilità di variare il posizionamento dei chiodi, a seconda delle esigenze chirurgiche, con un ampio margine di discrezionalità. (8)

2.2.2 Panartrodesi

In caso di danni all’articolazione anterobrachiocarpica o ai tessuti molli circostanti, che causino dolore o perdita di funzione dell’arto, si rende necessaria l’esecuzione di un’artrodesi totale o panartrodesi di carpo. Questa procedura ha lo scopo di creare un consolidamento osseo dell’intera regione del carpo, coinvolgendo le articolazioni anterobrachiocarpica, mediocarpica, carpometacarpica ed intercarpica.

La fusione della sola articolazione anterobrachiocarpica non è consigliata in quanto la modificazione delle forze così ottenuta provoca un eccessivo stress meccanico a carico delle articolazione mediocarpica e carpometacarpica con la rapida comparsa di arteriopatia degenerativa. L’ angolo raccomandato per la stabilizzazione è compreso fra i 10° ed i 12° di dorsoflessione. (1)(6)

-

Accessi chirurgici

In letteratura sono descritte tecniche con accesso dorsale, palmare e mediale. (1)

L’accesso dorsale risulta il più comunemente impiegato per la facilità di esposizione dell’articolazione e la ridotta necessità di recidere i tessuti molli circostanti, tuttavia il posizionamento delle placche sulla superficie dorsale, che costituisce la porzione maggiormente soggetta alle forze di compressione, presenta lo svantaggio sottoporre i mezzi di osteosintesi

(19)

all’azione diretta di tali forze con un maggior rischio di cedimento dell’impianto. (1)(9)

A differenza di quanto visto per l’artrodesi parziale, l’esecuzione della panartrodesi richiede una maggiore esposizione della diafisi distale del radio, questa viene ottenuta prolungando in senso prossimale l’incisione cutanea che si estenderà quindi prossimalmente alla biforcazione della vena cefalica accessoria fino alla metà della lunghezza dei metacarpi con un andamento che segue lateralmente la vena cefalica accessoria. La fascia sottocutanea viene analogamente incisa ,quindi cute, sottocute, vena cefalica accessoria e ramo superficiale del nervo brachiale vengono retratte medialmente. Si evidenziano in corrispondenza del terzo distale del radio il muscolo adduttore lungo del pollice ed il suo tendine, che si posizionano trasversalmente.

Si scontinua mediante incisione il suddetto muscolo a livello della porzione mediale della sua inserzione sul periostio del radio e lo si disloca medialmente. I tendini del muscolo estensore radiale del carpo e del muscolo estensore comune delle dita vengono liberati dalle corrispondenti sinovie e dislocati rispettivamente medialmente e lateralmente, quindi viene incisa la fascia anterobrachiale profonda fra i due tendini. I tessuti sono retratti e l’incisione viene approfondita fino ad esporre la capsula articolare, questa viene incisa a livello dei piani articolari di interesse, previa flessione del carpo. Per facilitare tale proceduta possono essere impiegati aghi ipodermici come guida al fine di individuare le superfici da esporre.

Se si rende necessaria una maggiore esposizione della porzione distale del carpo , il tendine del muscolo estensore radiale del carpo può essere scontinuato a livello della sua inserzione sul II e III metacarpo. (7)

L’accesso palmare è stato impiegato con successo in diversi casi per l’esecuzione della panartrodesi radiocarpica nel cane. (1)

(20)

Da un punto di vista meccanico, la prevalente posizione di estinzione delle articolazioni anterobrachiocarpica e metacarpofalangea fa si che la superficie palmare del carpo sia quella maggiormente sottoposta alle forze di tensione. Per questo motivo l’accesso palmare ed il conseguente posizionamento dei mezzi di osteosintesi su questa superficie, risulta teoricamente preferibile, in quanto consente di supportare al meglio l’articolazione riducendo lo stress meccanico sulla placca e, di conseguenza, il rischio di cedimento dell’impianto.

Tuttavia questo tipo di approccio è di gran lunga meno utilizzato rispetto a quello dorsale a causa della difficoltà di esposizione dell’articolazione e della necessità di scontinuare una porzione significativamente maggiore di tessuti molli. (1)(10)

Con il paziente in decubito dorsale si incide in senso prossimo-distale la cute fra il processo stiloide del radio e il polpastrello carpale. Dopo aver retratto i tessuti si espone la vena cefalica che viene legata con una doppia legatura e recisa.

Viene incisa la fascia del retinaculum dei flessori esponendo il tendine del flessore radiale del carpo, che può essere scontinuato o retratto a seconda del grado di esposizione necessaria. Si evidenziano il muscolo flessore delle dita, nervo ed arteria mediana i cui rami diretti al primo dito sono legati e recisi. Vengono incisi i muscoli adduttore del secondo dito, adduttore del pollice e flessore del pollice. Dopo aver retratto i tessuti risulta visibile la superficie palmare dell’articolazione carpale ricoperta da capsula articolare, legamenti e fibrocartilagine palmare.

Si identificano le superfici articolari a cui è necessario accedere mediante l’impiego di aghi ipodermici sterili, quindi si incide in corrispondenza di tali regioni. (7)

L’acceso mediale è stato descritto in diversi studi clinici con risultati paragonabili a quelli delle altre tecniche. Questo tipo di procedura

(21)

presenta, rispetto al più tradizionale accesso dorsale, il vantaggio di posizionare l’impianto ortopedico su una superficie meno soggetta alle forze di compressione, riducendo il rischio di cedimenti dello stesso.

Il paziente viene posizionato in decubito laterale con l’arto patologico verso il basso. La cute viene incisa sulla superficie mediale dal terzo distale del radio fino al terzo distale del II metacarpo. Si procede ad approfondire l’accesso chirurgico divaricando i tessuti fino ad individuare il tendine del muscolo abduttore lungo del pollice che viene reciso. Viene evidenziato e scontinuato il legamento collaterale mediale, quindi si procede all’apertura della capsula articolare.

Nella maggior parte dei casi descritti è stata riportata l’amputazione del I dito per facilitare l’esposizione del carpo ed il posizionamento della placca. (1)(9)

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Tecnica standard

Dopo aver eseguito un’ampia tricotomia della regione, il paziente viene posizionato in decubito dorsale. Viene preparato il campo operatorio secondo tecnica asettica standard. Può risultare utile l’emostasi preventiva mediante l’impiego di fasciature tourniquet temporanee. (6)

L’accesso chirurgico prevalentemente impiegato è quello dorsale, con incisione cutanea leggermente deviata al fine di evitare una diretta sovrapposizione fra sutura cutanea e mezzi di osteosintesi. (vedi “accessi chirurgici”)

Una volta esposte le articolazioni anterobrachiocarpica, mediocarpica, carpometacarpica ed intercarpica, la cartilagine articolare viene rimossa mediante fresatura o con l’ausilio di una rapa, se necessario; si esegue quindi un accurato lavaggio dell’articolazione con fisiologica sterile.

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Viene effettuato un prelievo di spongiosa a livello dell’omero ipsilaterale avvalendosi di un trapano ortopedico per forare la corticale dell’osso e di un cucchiaio di Volkmann per la raccolta del materiale spongioso, il quale, una volta prelevato, viene posizionato libero a livello delle articolazioni di interesse.

Si procede alla stabilizzazione con un angolazione di dorsoflessione compresa fra 10° e 12° mediante l’applicazione di una placca sulla superficie dorsale fissata con tre o quattro viti nel radio, una nell’osso radiale e almeno tre nel III o IV metacarpo a seconda del posizionamento della placca. (1)(6)

I tessuti vengono quindi ricostruiti a copertura con l’accortezza di non sovrapporre esattamente la linea di sutura cutanea con l’impianto di osteosintesi. Nel caso in cui la presenza della placca provochi una eccessiva tensione a livello della sutura, si praticano incisioni secondarie per ridurre il rischio di deiscenza della stessa. Tali ferite vengono lasciate guarire per seconda intenzione. (1)

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Mezzi di osteosintesi

In letteratura è riportato l’impiego di diverse tipologie di placche per l’esecuzione della panartrodesi con accesso dorsale fra le quali: “Dynamic compressione plate” (Synthes Vet), sostituita in seguito da “Limited contact dynamic compression plate” (Synthes Vet) che permette di ridurre la superficie di contatto fra la placca e l’osso, “Hybrid dynamic compression plate” (Veterinary Orthopedic Implants), “Cast-Less plate” (Orthomed) e “Single o double-stepped hybrid arthrodesis plate” (Insorvet) il cui design consente di mantenere una relazione più fisiologica fra radio, ossa carpali e metacarpi.

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Le Hybrid dynamic compression plate (Veterinary Orthopedic Implants), Cast-Less plate (Orthomed) e Single o double-stepped hybrid arthrodesis plate (Insorvet) prevedono la possibilità di adattare due misure di viti con lo scopo di scegliere le viti di dimensioni minori possibili da inserire nei metacarpi. Per ridurre al minimo il rischio di frattura metacarpale si consiglia di impiegare viti che non superino il 40-50% del diametro del metacarpo, e di preferire placche che si estendano distalmente a coprire una superficie superiore alla metà delle ossa metacarpali stesse. (1)

La revisione di diversi studi clinici e biomeccanici ha dimostrato come le varie placche in commercio possano tutte essere impiegate con successo per l’esecuzione della panartrodesi di carpo, nonostante siano state riscontrate differenze statisticamente significative fra le varie tipologie di impianto.(1) Il confronto fra le caratteristiche meccaniche di Limited contact dynamic compression plate (Synthes Vet) e 2.7-3.5 Hybrid dynamic compression plate (Veterinary Orthopedic Implants) dimostra come quest’ultima abbia una minore compliance, minore deformazione angolare e minore “peak plate strain” con il risultato di ridurre il rischio di cedimento dell’impianto. (11)

Uno studio eseguito comparando 2.7-3.5 Hybrid dynamic compression plate (Veterinary Orthopedic Implants) e 3.5 Dynamic compression plate (Synthes Vet) dimostra l’esistenza di una piccola ma significativa differenza nella resistenza alla flessione in favore del primo tipo di impianto. (12) La Hybrid dynamic compression plate (Veterinary Orthopedic Implants) e Cast-Less plate (Orthomed) sono state impiegate per la costruzione di un modello di studio delle forze agenti sulla placca e sui segmenti ossei. I risultati ottenuti evidenziano come la porzione ossea distale all’ultima vite metacarpale sia quella soggetta al maggior grado si stress e riportano un rischio di frattura dei metacarpi del 20% inferiore per la Cast-Less plate (Orthomed). Entrambi gli impianti presentano comunque un ampio

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margine di sicurezza per quanto riguarda questo tipo di complicazione. (13)

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Tecniche alternative a) Fissatori esterni

La panartrodesi radiocarpica può essere eseguita con l’impiego di fissatori esterni lineari di tipo II oppure, meno frequentemente, di tipo III, circolari ed ibridi.

Questa tecnica risulta indicata in cani di piccola taglia e gatti o in caso di fratture esposte e ferite classificabili come sporche-infette con grave perdita di sostanza. (6)

Dopo aver eseguito un’ampia tricotomia della regione, il paziente viene posizionato in decubito dorsale e viene preparato il campo operatorio secondo tecnica asettica standard. Si esegue quindi un accesso dorsale ,come precedentemente descritto, alla regione carpica (vedi “accessi chirurgici”).

Nell’impiego di fissatori esterni è necessaria una minore esposizione dei metacarpi. L’incisione chirurgica può quindi essere ridotta di dimensioni rispetto alla tecnica standard, inoltre l’accesso può essere modificato per assecondare eventuali preesistenti lesioni ai tessuti molli. (6)(14)

Una volta esposte le articolazioni anterobrachiocarpica, mediocarpica, carpometacarpica ed intercarpica, si procede alla rimozione della cartilagine articolare mediante fresatura o con l’ausilio di una rapa, se necessario; viene quindi eseguito un accurato lavaggio dell’articolazione con fisiologica sterile. Durante questa fase possono essere prelevati dei campioni per l’esecuzione di un esame batteriologico ed eventuale antibiogramma, consigliabile nel caso di lussazioni o fratture esposte.

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Si esegue un prelievo di spongiosa a livello dell’omero ipsilaterale avvalendosi di un trapano ortopedico per forare la corticale dell’osso e di un cucchiaio di Volkmann per la raccolta del materiale spongioso, il quale, una volta prelevato, viene posizionato libero a livello delle articolazioni di interesse. Quindi si procede alla sutura dei tessuti molli.

Con l’ausilio di un trapano ortopedico vengono posizionati per via transcutanea i pins passanti in numero di tre a livello della tibia distale, uno o due

a livello delle ossa carpali e due o tre a livello dei metatarsi. Quindi vengono stabilizzati mediante l’impiego di morsetti e barre, resine o altre tecniche. Numero e posizione dei pins possono variare a seconda delle necessità chirurgiche. (6)

L’impiego di fissatori esterni presenta il vantaggio di richiedere una minore esposizione del sito chirurgico, con una riduzione del danno a carico dei tessuti molli ed un minor rischio di compromissione della vascolarizzazione. Tale caratteristica si rende particolarmente utile negli animali di piccola taglia.

I chiodi passanti possono essere posizionati distanziati rispetto al sito di fusione, con una un significativo grado di variabilità a seconda delle esigenze chirurgiche. Ciò ne consentendone l’impiego anche in caso di insufficiente copertura da parte di tessuti molli, con l’ulteriore vantaggio di permettere un’adeguata gestione delle ferite preesistenti e di diminuire il rischio di disseminazione di un eventuale processo infettivo già in corso. Nel caso in cui si renda necessaria la rimozione o la dinamizzazione dell’impianto, i pins possono essere facilmente estratti senza che sia necessario un vero e proprio secondo intervento chirurgico, indispensabile invece in caso di fissazione mediante osteosintesi interna.

Lo svantaggio principale di questa tecnica è legato alla complessa gestione post-operatoria del fissatore esterno che risulta, in generale, meno tollerato

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dal paziente e richiede frequenti e periodiche medicazioni per l’intero periodo necessario alla fusione dell’articolazione. (14)

b) Pins transarticolari

In letteratura è descritta, anche se non più frequentemente impiegata, una tecnica chirurgica che prevede l’esecuzione della panartrodesi radiocarpica mediante l’impiego di pins transarticolari.

Dopo aver eseguito un’ampia tricotomia della regione, il paziente viene posizionato in decubito dorsale e viene preparato il campo operatorio secondo tecnica asettica standard.

Si esegue quindi un accesso dorsale alla regione carpica come precedentemente descritto (vedi “accessi chirurgici).

Dopo aver rimosso le cartilagini articolari ed aver eseguito il lavaggio articolare con fisiologica sterile e l’innesto di tessuto osseo spongioso, si colloca il carpo nella posizione desiderata e si procede alla stabilizzazione mediante l’inserimento dei pins in numero variabile da due a quatto, con direzione medio-laterale e disto-prossimale dal II metacarpale all’epifisi distale del radio, ed in senso latero-mediale e disto-prossimale dal IV o V metacarpale all’epifisi distale del radio.

I tessuti molli vengono suturati su più piani come precedentemente descritto per la tecnica standard.

Particolare attenzione deve essere prestata nel posizionamento dei pins che dovrebbero essere posti con un’adeguata inclinazione e distanza per evitare l’instabilità rotazionale dell’impianto. (15)

2.3 Artrodesi di tarso

L’artrodesi può essere impiegata per il trattamento di numerose patologie a carico dell’articolazione tarsale quali: fratture o lussazioni in cui non sia

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possibile ripristinare le superfici articolari o permanga una grave instabilità conseguente a lesioni dei legamenti, ferite traumatiche con grave perdita di sostanza a carico sia dei tessuti molli che dell’osso, tipicamente riscontrate in caso di trascinamento secondario a investimento,

rottura del legamento plantare, spesso trattata con la fusione della sola articolazione calcaneoquartale, osteocondrite dissecante (OCD) dell’astragalo in cui la rimozione del frammento cartilagineo apporta benefici solo temporanei senza arrestare la degenerazione articolare, paralisi del nervo sciatico, artriti settiche o asettiche che abbiano danneggiato significativamente la regione, grave degenerazione articolare che sia causa di dolore o perdita di funzione, lesioni al tendine comune calcaneale (tendine di Achille) per cui la riparazione chirurgica si sia rivelata infruttuosa. (6)

In letteratura sono descritte numerose tecniche chirurgiche, di seguito verranno riportate le principali con le opportune indicazioni e confronti. (1)

2.3.1 Artrodesi parziale

La complessità dell’articolazione tarsale crea, più frequentemente che nel carpo, i presupposti per l’esecuzione di un’artrodesi parziale che coinvolga una o più delle articolazioni calcaneoquartale, o più generalmente intertarsale prossimale, intertarsale distale e tarsometatarsica.

Il preservare l’articolazione tibiotarsica, fisiologicamente assai più mobile delle altre, consente un un recupero funzionale eccellente e diminuisce i tassi di complicazione associati. (1)

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Artrodesi calcaneoquartale

Questa tecnica si pone l’obbiettivo di consolidare la sola articolazione intertarsale prossimale, composta principalmente dall’interfaccia calcaneoquartale. Si tratta della procedura di elezione in caso instabilità intertarsale prossimale, causata solitamente da un danno al legamento plantare con conseguente dorsoflessione a tale livello; una lesione che viene frequentemente riscontrata nei cani di razza collie o pastore scozzese. (1)

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Tecnica standard

Dopo aver eseguito un’ampia tricotomia della regione, il paziente viene posizionato in decubito laterale coll’arto patologico verso l’alto e si prepara il campo operatorio secondo tecnica asettica standard. Può risultare utile l’emostasi preventiva mediante l’impiego di fasciature tourniquet temporanee.

Viene effettuata un’incisione cutanea che parte lateralmente al tendine comune calcaneale per poi deviare ventralmente lungo il calcaneo e medialmente verso la regione palmare a livello del V metatarso. Cute e sottocute sono retratti per esporre la fascia profonda. Viene individuato il tendine del muscolo flessore superficiale delle dita e si procede a separarlo dal tendine del muscolo gastrocnemio e ritrarlo medialmente. Si evidenziata la fascia che ricopre il tendine del flessore profondo delle dita e la si incide lateralmente al ramo del nervo plantare per esporre il tendine stesso, che viene retratto medialmente, consentendo di visualizzare il legamento plantare o i suoi lembi, in caso di rottura completa, e le ossa tarsali. (7)

Il tarso viene flesso per facilitare l’accesso all’articolazione calcaneoquartale mediante incisione della capsula articolare.

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Con l’ausilio di un trapano viene eseguito un foro guida della porzione centrale della superficie articolare con direzione prossimale attraverso il processo del calcaneo, fino ad uscire dorsalmente all’inserzione del tendine comune calcaneale. Questa guida consentirà un corretto posizionamento dell’impianto di osteosintesi. Per una maggiore sicurezza è possibile allungare il foro procedendo, dopo aver esteso l’articolazione, in senso prossimo-distale attraverso il IV osso tarsale.

Il tarso viene dorsoflesso e la cartilagine articolare viene rimossa dall’intera superficie con l’ausilio di una fresa, di un’ossivora o di una raspa. Si procede quindi ad un ampio lavaggio con fisiologica sterile.

L’articolazione viene nuovamente estesa, si esegue l’innesto di tessuto osseo spongioso e si procede alla stabilizzazione che può essere ottenuta mediante l’impiego di una vite posizionata attraverso il foro guida con direzione prossimo-distale fino a raggiungere il IV tarsale, oppure con chiodi transarticolari inseriti in maniera analoga, dopo aver attraversato una piccola incisione longitudinale sul tendine comune calcaneale.

Per una maggiore stabilità possono essere applicate delle tension band creando piccoli fori trasversali nella porzione prossimale del calcaneo e nel processo plantare del IV osso tarsale.

I tessuti molli vengono ricostruiti a copertura. (1)

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Tecniche alternative

a) Placca sulla superficie laterale

L’artrodesi intertarsale prossimale può essere raggiunta con l’impiego di una placca con viti posizionata sulla superficie laterale. Risultano più adatte a questo impiego placche ibride o tagliabili. (1)

Dopo aver eseguito un’ampia tricotomia della regione, viene preparato il campo secondo tecnica asettica standard. Si effettua l’ accesso chirurgico sulla faccia plantare-laterale all’articolazione calcaneoquartale

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analogamente a quanto riportato per la tecnica standard, con l’accortezza di ampliare la breccia operatoria distalmente per ottenere una buona esposizione del V metatarso.

Si procede alla rimozione della cartilagine articolare, al lavaggio con fisiologica sterile e all’innesto di tessuto spongioso come precedentemente descritto, quindi l’articolazione viene estesa e stabilizzata con l’applicazione di una placca retta sulla superficie laterale fissata con l’inserimento di due o tre viti nel calcaneo, due viti nel IV osso tarsale e tre o quattro viti nel V metatarso.

I tessuti molli vengono ricostruiti a copertura. La presenza della placca può portare ad una eccessiva tensione sulla sutura cutanea rendendo necessario l’impiego di incisioni di rilascio. (6)

• Artrodesi tarsometatarsica

Questa procedura risulta indicata in caso di lussazione o sublussazione tarsometatarsica spesso associata a lesioni della fibrocartilagine palmare. (1)

In caso di instabilità tarsometatarsica si può ricorrere all’artrodesi della sola articolazione coinvolta oppure includere nella fusione anche l’articolazione intertarsale distale, tuttavia alcuni studi sconsigliano questa seconda opzione a causa del rischio di sviluppo di patologie degenerative a carico dell’articolazione intertarsale prossimale. (16)

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Tecnica standard

Dopo aver eseguito un’ampia tricotomia della regione il paziente viene posizionato in decubito laterale con l’arto patologico verso l’alto e si prepara il campo secondo tecnica asettica standard. Può risultare utile

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l’emostasi preventiva mediante l’impiego di fasciature tourniquet temporanee.

Viene eseguito un accesso plantare-laterale come descritto per l’artrodesi calcaneoquartale, avendo cura di estendere la breccia fino al terzo prossimale del V metatarso.

L’accesso alle singole superfici articolari tarsometatarsiche può essere ottenuto mediante un’unica breccia sulla porzione laterale della capsula articolare o diverse incisioni posizionate dorsalmente. Per una maggiore esposizione i metatarsi possono essere lussati.

Si procede alla rimozione accurata della cartilagine articolare dalle superfici del IV ,III e II tarsali e del II, III, IV e V metatarsi; questa viene effettuata mediante fresatura o con l’ausilio di un raspa, data la complessità della procedura possono essere impiegate anche ossivore o seghe da osso. Dopo aver eseguito il lavaggio con fisiologica sterile, viene posizionato l’innesto di tessuto osseo spongiosa collocato libero in articolazione.

La lussazione dei metatarsi viene ridotta e si esegue la stabilizzazione mediante l’applicazione di una placca sulla superficie laterale fissata con quattro viti nel tarso, distribuite fra il calcaneo e il IV osso tarsale, e tre o quattro viti nel V metatarso.

Per il corretto posizionamento dell’impianto di osteosintesi può essere necessaria la creazione di una superficie piana mediante la rimozione di una porzione laterale del IV osso tarsale e della testa del V metatarso. I tessuti molli vengono ricostruiti a copertura. A causa della scarsità di sottocute la linea di sutura cutanea risulta sottoposta a una notevole tensione per cui è consigliabile l’esecuzione di tagli di rilascio da lasciar guarire per seconda intenzione. (1) (16)

Le placche ibride risultano particolarmente adatte per questo tipo si procedura in quanto danno la possibilità di utilizzare viti di minori dimensioni per i metatarsi, riducendo il rischio di frattura degli stessi,

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inoltre presentano uno spessore ridotto nella porzione distale facilitando così la ricostruzione dei tessuti molli a copertura. (1)

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Tecniche alternative a) Chiodi centromidollari

Dopo aver seguito un accesso laterale all’ articolazione tarsometatarsica, si procede all’accurata rimozione della cartilagine ed al lavaggio articolare analogamente a quanto descritto precedentemente.

La stabilizzazione viene ottenuta mediante l’inserimento di chiodi centromidollari che si estendono dal terzo distale del II, III, IV e V metatarsi alla seconda fila di ossa tarsali, in numero variabile da tre a quattro a seconda che si scelga o meno di includere il V metatarso.

Per una maggiore stabilità è consigliato l’impiego di tansion band. (17)

b) Pins transarticolari

Questa tecnica presenta il vantaggio di una relativa semplicità di esecuzione, pertanto è spesso impiegata in associazione con altri metodi di stabilizzazione per fornire un supporto aggiuntivo quando si ritenga necessario.

Si esegue un accesso laterale all’articolazione tarsometatarsica e si procede come precedentemente descritto alla preparazione della superficie articolare.

Viene inserito un pin di grandi dimensioni dal calcaneo al III metatarso, quindi si inseriscono due pins transarticolari, uno dal II metatarso diretto prossimo-lateralmente fino al IV osso tarsale, l’altro a partire dal V metatarso con direzione medio-prossimale fino alla fila distale delle ossa tarsali. (15)

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c) Fissatori esterni

In letteratura è stato descritto l’impiego di fissatori esterni di tipo II, circolari o ibridi per l’esecuzione dell’artrodesi tarsometatarsica. (1)

Dopo aver eseguito un’ampia tricotomia della regione ed aver preparato il campo secondo tecnica asettica standard, si esegue un accesso laterale all’articolazione tarsometatarsica e si procede alla rimozione della cartilagine ed al lavaggio articolare come precedentemente descritto.

Quattro pins vengono posizionati trasversalmente, il primo attraverso la porzione distale del talus e del calcaneo, il secondo dal quarto osso tarsale all’osso centrale, quindi gli ultimi due distalmente all’articolazione tarsometatarsica dal V al II metatarsale.

A causa della fisiologica curvatura dei metatarsi il posizionamento di questi ultimi chiodi può risultare complesso e non sempre si riescono a coinvolgere i segmenti ossei centrali.

I pins vengono stabilizzati con barre o resine e si procede alla sutura dei tessuti molli.(18)

Il principale vantaggio dell’impiego di fissatori esterni consiste nell’eliminazione del bisogno di utilizzare steccature o gessi nel post-operatorio, permettendo all’animale di caricare il peso sull’arto sottoposto a chirurgia già nell’immediato post-operatorio.

In oltre sono presenti tutti i vantaggi convenzionalmente associati con la fissazione esterna quali: possibilità di trattamento di ferite preesistenti e di impiego in caso di insufficiente copertura da parte dei tessuti molli, maggiore variabilità nel posizionamento dei chiodi per assecondare le esigenze chirurgiche, minor rischio di disseminazione di infezioni e più facile rimozione dell’impianto. (18)

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2.3.2 Panartrodesi

La panartrodesi tibiotarsica ha lo scopo di indurre il consolidamento delle articolazioni talocrurale, intertarsale prossimale, intertarsale distale e tarsometatarsica.

Tale chirurgia costituisce la procedura di elezione in caso di rottura del tendine comune calcaneale, fratture comminute o non riparabili del tarso, instabilità tibiotarsica, grave artropatia degenerativa non responsiva a terapia medica, solitamente conseguente a osteocondrite dissecante dell’astragalo, lesioni traumatiche con grave perdita di sostanza a carico dei segmenti ossei o dei legamenti.

L’angolo di artrodesi dovrebbe essere derivato dall’arto controlaterale, in generale si considera un’angolazione compresa fra i 135° ed i 145° per il cane e fra 115° ed i 125° per il gatto. (1)

La fusione della sola articolazione tibiotarsica risulta particolarmente complessa a causa delle piccole dimensioni della stessa e delle difficoltà riscontrate nell’ottenere la fissazione ad un angolo fisiologico; inoltre numerosi studi hanno riportato un significativo aumento dell’incidenza di artropatia degenerativa nelle articolazioni distali in relazione a questa procedura; per tanto, in caso di artrodesi tibiotarsica, è consigliabile l’esecuzione della panartrodesi con fusione anche delle articolazioni intertarsale prossimale, intertarsale distale e tarsometatarsica. (1)

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Accessi chirurgici

In letteratura sono descritte tecniche chirurgiche con accesso dorso-mediale, accesso laterale e plantare. (1)

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L’accesso dorso-mediale con osteotomia del malleolo mediale risulta il più comunemente impiegato. Questo approccio consente il posizionamento dei mezzi di osteosintesi sulla superficie dorsale o mediale dell’articolazione. Viene eseguita un’incisione curvilinea sulla superficie mediale del tarso dal terzo distale della tibia all’articolazione tarsometatarsica in corrispondenza del I metatarso. Vengono scontinuati i tessuti sottocutanei e la fascia crurale, questi sono retratti evidenziando i piani sottostanti. Si procede ad incidere la capsula articolare nella porzione dorsale e palmare del legamento collaterale mediale, che viene così isolato consentendo una buona visualizzazione dell’articolazione. Il malleolo mediale viene rimosso mediante un’osteotomia eseguita con un’angolazione tale da comprendere la maggior parte dell’inserzione del legamento collaterale senza raggiungere la superficie dell’articolazione tibiotarsica. Il malleolo ed il legamento collaterale vengono retratti distalmente consentendo l’accesso all’articolazione tarsale. (7)

La stabilizzazione mediante una placca posizionata dorsalmente costituisce la tecnica più comunemente usata, nonostante, data la fisiologica dorsoflessione del tarso, tale superficie sia quella maggiormente soggetta alle forze compressive con un aumento significativo dello stress meccanico a cui viene sottoposto l’impianto. La principale ragione per la vasta diffusione di questa procedura consiste nella relativa semplicità di esposizione della regione di interesse, con un limitato danno ai tessuti molli circostanti. (1)

L’impiego di una placca posizionata sulla superficie mediale è stato descritto con successo in diverso studi. Questa tecnica, che può essere eseguita con placche diritte da angolare secondo necessità o con impianti appositamente ideati già premodellati, presenta un significativo vantaggio meccanico rispetto al posizionamento dorsale, ma è stata associata a tassi di

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complicazioni maggiori, in particolare è stato riscontrato un aumento dell’incidenza di necrosi plantare. (1) (19)

Nel gatto è ripotato l’impiego di un accesso dorso-mediale per l’esecuzione della panartrodesi con l’impiego di due placche tagliabili posizionate in maniera ortogonale sulla superficie mediale e dorsale del tarso. (20)

In letteratura è descritta la possibilità di un accesso laterale per l’esecuzione della panartrodesi mediante il posizionamento di una placca, retta o premodellata, sulla superficie laterale. (1)

La cute viene incisa sulla superficie laterale secondo una linea curva che si estende dalla vena safena laterale alla base del V metacarpo. Vengono scontinuati sottocute e fascia crurale ed i tessuti sono retratti. Il retinaculum degli estensori viene inciso parallelamente al margine dorsale del tendine lungo del peroneo che viene poi retratto. Dopo aver esteso l’articolazione si incide la capsula dalla porzione distale della tibia, procedendo parallelamente al legamento collaterale laterale. Per una maggiore esposizione può essere necessario retrarre il tendine del peroneo breve ed il muscolo estensore laterale delle dita, facendo particolare attenzione a non danneggiare la porzione breve del legamento collaterale. (7)

L’approccio plantare, analogamente a quando descritto per il carpo, consente il posizionamento della placca sulla superficie maggiormente soggetta alle forze di tensione, permettendo un ideale supporto dell’articolazione da un punto di vista meccanico, con il minimo stress sull’impianto ed una conseguente riduzione del rischio di cedimento dello stesso.

Tuttavia questa tecnica risulta poco utilizzata a causa della significativa difficoltà di esposizione del sito chirurgico che richiede un esteso danneggiamento dei tessuti molli circostanti.

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Inoltre vi è la necessità di rimodellare in maniera importante il profilo delle ossa tarsali per adattarle all’impianto, in particolare il processo del calcaneo deve essere quasi completamente rimosso per posizionare adeguatamente la placca. (1) (21)

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Tecnica standard

Dopo aver eseguito un’ampia tricotomia della regione, il paziente viene posizionato in decubito dorsale e si procede alla preparazione del campo secondo tecnica asettica standard. Può risultare utile l’impiego dell’emostasi preventiva mediante fasciatura tourniquet.

Viene eseguito un accesso dorso-mediale alla regione del tarso come precedentemente descritto (vedi “accessi chirurgici”) .

Dopo aver disarticolato l’articolazione talocrurale, si rimuove la superficie cartilaginea dalla stessa mediante una fresa , una raspa o una sega da ossa; l’impiego della sega consente di eseguire una mini osteotomia sulla porzione distale della tibia con un’ angolazione di 90° rispetto all’asse lungo dell’arto, ed una seconda sulla porzione prossimale dell’astragalo con un angolo di 45°.

In questo modo, quando le superfici sono giustapposte, si ottiene facilmente l’angolazione di 135° consigliata per l’artrodesi.

Le cartilagini articolari dell’articolazione intertarsale prossimale, distale e tarsometatarsica vengono rimosse in maniera analoga con piccole incisioni separate sulla capsula articolare. Viene eseguito il lavaggio con fisiologica sterile e, se necessario, l’innesto di tessuto osseo spongioso.

L’articolazione tibiotarsica è stabilizzata eseguendo un foro diagonale attraverso l’astragalo e posizionandovi una vite corticale serrata per ottenere una compressine attraverso il sito. I restanti piani articolati vengono allineati in maniera neutra.

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Si procede alla stabilizzazione mediante il posizionamento di una placca dorsale fissata con quattro viti nella porzione distale della tibia, una vite a livello dell’astragalo ed almeno tre viti nel III o IV metatarso.

Una vite calcaneotibiale di adeguata lunghezza viene posizionata separatamente o attraverso una placca.

I tessuti sono ricostruito a copertura avendo cura di non sovrapporre la sutura cutanea all’impianto di osteosintesi. Se la tensione sulla linea di sutura risulta eccessiva si eseguono delle incisioni di rilascio che verranno lasciate guarire per seconda intenzione.

Per un supporto addizionale in pazienti particolarmente attivi o di grossa mole possono essere posizionati pins transarticolari crociati o tension band da associare alla placca.

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Mezzi di osteosintesi

In letteratura è riportato l’utilizzo di diverse placche per l’esecuzione della panartrodesi tibiotarsica.

Uno studio effettuato su 15 soggetti per confrontare l’ utilizzo di “Hybrid Dynamic Compression Plates" (Veterinary Orthopedic Implants) posizionate dorsalmente e “Cuttable Veterinary Plates” ha evidenziato come l’impiego di placche tagliabili ,che vengono angolate secondo necessità, costituisca una valida scelta in animali di piccola taglia, con una migliore progressione del consolidamento osseo rispetto ad altri tipi di impianto. (22)

Le placche premodellate per l’applicazione sulle superfici dorsale, laterale o mediale (Jorgensan labs) presentano fori di dimensioni ridotte sulla porzione distale per consentire l’utilizzo di viti di diametro minore nei metatarsi riducendo il rischio di fratture metatarsale, particolarmente presente a livello dell’ultima vite e del margine distale della placca in cui si concentra la maggior parte dello stress meccanico. (1) (6)

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Tecniche alternative a) Fissatore esterno

L’impiego di fissatori esterni di tipo II, circolari o ibridi risulta particolarmente indicato in caso di lesioni da trascinamento secondarie a investimento o , in generale, ferite con perdita di sostanza in cui non sia possibile ricostruire i tessuti a copertura di un eventuale impianto di osteosintesi interna, lussazioni o fratture esposte, fratture complesse delle ossa metatarsali, ferite da considerarsi sporche-infette, soggetti di piccola taglia e gatti per cui si ritiene significativo il rischio di compromissione della vascolarizzazione, con particolare riferimento alla necrosi plantare. (23)

Dopo aver eseguito un’ampia tricotomia della regione si posiziona il paziente in decubito dorsale e si prepara il campo operatorio secondo tecnica asettica standard.

Viene seguito un accesso dorsale all’articolazione tarsale come precedentemente descritto. (vedi “accesi chirurgici”).

Si procede alla rimozione delle cartilagini articolari, al lavaggio con fisiologica sterile ed all’innesto di tessuto osseo spongioso.

In caso di ferite sporche-infette in questa sede è possibile l’esecuzione di tamponi per esame batteriologico ed eventuale antibiogramma.

I tessuti molli vengono ricostruiti a copertura e si inseriscono per via transcutanea tre o quattro pins nella regione distale della tibia, almeno due a livello delle ossa tarsali e due o tre a livello dei metatarsi. Data la fisiologica curvatura delle ossa metatarsali può risultare complesso comprendere tutti i segmenti indicati e frequentemente vengono coinvolti solo il II ed il V metatarso. I chiodi sono stabilizzati con barre, resine od altre tecniche.

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La posizione, il numero e la lunghezza dei pins possono essere variati secondo le necessità chirurgiche, purché si utilizzino chiodi passanti nella posizione prossimale e distale ed almeno uno a livello dell’astragalo per ottenere una buona compressione del sito di artrodesi. (6)

Se si ritiene necessario un supporto maggiore, prima di inserire i pins che costituiranno il fissatore esterno, un chiodo centromidollare può essere collocato a partire dalla porzione distale del calcaneo attraverso l’astragalo fino al canale midollare della tibia. (23)

(41)

3 GESTIONE POST-OPERATORIA

3.1 Gestione post-operatoria dell’artrodesi di carpo

I primi studi effettuati su ampi campioni di pazienti sottoposti a panartrodesi o artrodesi parziale con l’impiego di “Dinamyc compression plate”, consigliavano l’impiego di gessi, steccature o fasciature rigide da applicare nell’immediato post-operatorio e da mantenere fino all’avvenuta ossificazione valutata mediante esame radiografico. (24)

Successive pubblicazioni hanno evidenziato come l’impiego di fasciature rigide, nell’ambito della chirurgia ortopedica, possa portare all’insorgenza di numerose complicazioni quali: lesioni di varia entità ai tessuti molli, specialmente nelle regioni direttamente sovrastanti eventuali impianti ortopedici, o compromissioni della vascolarizzazione con esiti variabili da edema delle regioni distali fino alla necrosi dell’arto colpito. (25)

Al fine di evitare l’uso di supporti rigidi nel post-operatorio, sono state i d e a t e e c o m m e r c i a l i z z a t e a p p o s i t e p l a c c h e d a a r t r o d e s i “CastLess” (CastLess PCA plate, Orthomed) che non richiedono alcun supporto addizionale, la cui efficacia è stata clinicamente dimostrata. (26) Successivi lavori hanno evidenziato come la panartrodesi e l’ artrodesi parziale di carpo possano essere eseguite con l’impiego di “Hibrid dynamic compressione plate” con l’applicazione post-operatoria di sole fasciature morbide al fine di controllare l’edema, senza che vi sia un significativo aumento delle complicazioni legate all’impianto ortopedico. (27)

(42)

Attualmente l’impiego di gessi e fasciature rigide nel post-operatorio è sconsigliato per i pazienti sottoposti ad artrodesi totale o parziale di carpo, data la scarsa rilevanza ai fini della stabilità meccanica e l’alto rischio di complicazioni inerenti i tessuti molli. (28)

3.2 Gestione post-operatoria dell’artrosi di tarso

Numerosi studi hanno riportato l’esigenza di applicare un supporto addizionale mediante gessi o fasciature con stecca, da mantenersi fino alla comparsa di segni radiografici di fusione del sito di artrodesi.

Nonostante il rischio di complicazioni connesso all’utilizzo di fasciature rigide sia stato ampiamente dimostrato, in particolare per quanto riguarda il loro impiego nelle regioni distali degli arti, il maggiore stress meccanico a cui sono sottoposti gli impianti di osteosintesi applicati a livello tarsale e l’alto tasso di cedimento degli impianti stessi, hanno fatto si che la maggior parte degli autori siano concordi nel consigliare l’utilizzo di questo tipo di fasciature nel post-operatorio. (1) (25)

In letteratura è stata riportata l’esecuzione della panartrodesi tarsometatarsica senza l’utilizzo di fasciature rigide nel post-operatorio. Lo studio riguarda un campione di 30 soggetti sottoposti ad artrodesi attraverso l’applicazione di una placca sulla superficie mediale dell’articolazione e l’utilizzo nel post-operatorio di sole fasciature morbide per il contenimento dell’edema, da rimuoversi dopo 5-7 giorni. I risultati hanno evidenziato un aumento significativo del tasso di complicazioni, rispetto a precedenti pubblicazioni in cui sia stata impiegata la stessa tecnica, con una percentuale di revisione chirurgica pari al 64%. (19) Nel gatto, uno studio effettuato su 6 pazienti sottoposti a panartrodesi tibiotarsica con l’impiego di due placche posizionate in maniera ortogonale

(43)

senza l’aggiunta nel post-operatorio di gessi o steccature, ha evidenziato come, utilizzando questa tecnica, l’assenza di un supporto addizionale nel post-operatorio non sia causa di un aumento del tasso di complicazioni legate al cedimento dell’impianto. (20)

(44)

4 COMPLICAZIONI

4.1 Classificazione delle complicazioni

Le complicazioni secondarie ad interventi ortopedici vengono classificate, in base all’eziologia, in:

-

Biologiche, connesse alla presenza di microorganismi patogeni o ad una patologia del paziente che ritardi od ostacoli la corretta guarigione.

-

Meccaniche, dovute all’azione delle forze meccaniche sull’arto o sull’impianto di osteosintesi.

In base al momento di insorgenza in:

-

Intra-operatorie, che non consentano un’ottimale esecuzione della

procedura chirurgica.

-

Post-operatorie, con periodi di insorgenza estremamente variabili, valutate su base clinica e radiografica.

In base alla gravità in:

-

Minori, che richiedono intervento medico senza che vi sia l’esigenza di una revisione chirurgica.

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