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Dopo aver seguito un accesso laterale all’ articolazione tarsometatarsica, si procede all’accurata rimozione della cartilagine ed al lavaggio articolare analogamente a quanto descritto precedentemente.

La stabilizzazione viene ottenuta mediante l’inserimento di chiodi centromidollari che si estendono dal terzo distale del II, III, IV e V metatarsi alla seconda fila di ossa tarsali, in numero variabile da tre a quattro a seconda che si scelga o meno di includere il V metatarso.

Per una maggiore stabilità è consigliato l’impiego di tansion band. (17)

b) Pins transarticolari

Questa tecnica presenta il vantaggio di una relativa semplicità di esecuzione, pertanto è spesso impiegata in associazione con altri metodi di stabilizzazione per fornire un supporto aggiuntivo quando si ritenga necessario.

Si esegue un accesso laterale all’articolazione tarsometatarsica e si procede come precedentemente descritto alla preparazione della superficie articolare.

Viene inserito un pin di grandi dimensioni dal calcaneo al III metatarso, quindi si inseriscono due pins transarticolari, uno dal II metatarso diretto prossimo-lateralmente fino al IV osso tarsale, l’altro a partire dal V metatarso con direzione medio-prossimale fino alla fila distale delle ossa tarsali. (15)

c) Fissatori esterni

In letteratura è stato descritto l’impiego di fissatori esterni di tipo II, circolari o ibridi per l’esecuzione dell’artrodesi tarsometatarsica. (1)

Dopo aver eseguito un’ampia tricotomia della regione ed aver preparato il campo secondo tecnica asettica standard, si esegue un accesso laterale all’articolazione tarsometatarsica e si procede alla rimozione della cartilagine ed al lavaggio articolare come precedentemente descritto.

Quattro pins vengono posizionati trasversalmente, il primo attraverso la porzione distale del talus e del calcaneo, il secondo dal quarto osso tarsale all’osso centrale, quindi gli ultimi due distalmente all’articolazione tarsometatarsica dal V al II metatarsale.

A causa della fisiologica curvatura dei metatarsi il posizionamento di questi ultimi chiodi può risultare complesso e non sempre si riescono a coinvolgere i segmenti ossei centrali.

I pins vengono stabilizzati con barre o resine e si procede alla sutura dei tessuti molli.(18)

Il principale vantaggio dell’impiego di fissatori esterni consiste nell’eliminazione del bisogno di utilizzare steccature o gessi nel post- operatorio, permettendo all’animale di caricare il peso sull’arto sottoposto a chirurgia già nell’immediato post-operatorio.

In oltre sono presenti tutti i vantaggi convenzionalmente associati con la fissazione esterna quali: possibilità di trattamento di ferite preesistenti e di impiego in caso di insufficiente copertura da parte dei tessuti molli, maggiore variabilità nel posizionamento dei chiodi per assecondare le esigenze chirurgiche, minor rischio di disseminazione di infezioni e più facile rimozione dell’impianto. (18)

2.3.2 Panartrodesi

La panartrodesi tibiotarsica ha lo scopo di indurre il consolidamento delle articolazioni talocrurale, intertarsale prossimale, intertarsale distale e tarsometatarsica.

Tale chirurgia costituisce la procedura di elezione in caso di rottura del tendine comune calcaneale, fratture comminute o non riparabili del tarso, instabilità tibiotarsica, grave artropatia degenerativa non responsiva a terapia medica, solitamente conseguente a osteocondrite dissecante dell’astragalo, lesioni traumatiche con grave perdita di sostanza a carico dei segmenti ossei o dei legamenti.

L’angolo di artrodesi dovrebbe essere derivato dall’arto controlaterale, in generale si considera un’angolazione compresa fra i 135° ed i 145° per il cane e fra 115° ed i 125° per il gatto. (1)

La fusione della sola articolazione tibiotarsica risulta particolarmente complessa a causa delle piccole dimensioni della stessa e delle difficoltà riscontrate nell’ottenere la fissazione ad un angolo fisiologico; inoltre numerosi studi hanno riportato un significativo aumento dell’incidenza di artropatia degenerativa nelle articolazioni distali in relazione a questa procedura; per tanto, in caso di artrodesi tibiotarsica, è consigliabile l’esecuzione della panartrodesi con fusione anche delle articolazioni intertarsale prossimale, intertarsale distale e tarsometatarsica. (1)

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Accessi chirurgici

In letteratura sono descritte tecniche chirurgiche con accesso dorso- mediale, accesso laterale e plantare. (1)

L’accesso dorso-mediale con osteotomia del malleolo mediale risulta il più comunemente impiegato. Questo approccio consente il posizionamento dei mezzi di osteosintesi sulla superficie dorsale o mediale dell’articolazione. Viene eseguita un’incisione curvilinea sulla superficie mediale del tarso dal terzo distale della tibia all’articolazione tarsometatarsica in corrispondenza del I metatarso. Vengono scontinuati i tessuti sottocutanei e la fascia crurale, questi sono retratti evidenziando i piani sottostanti. Si procede ad incidere la capsula articolare nella porzione dorsale e palmare del legamento collaterale mediale, che viene così isolato consentendo una buona visualizzazione dell’articolazione. Il malleolo mediale viene rimosso mediante un’osteotomia eseguita con un’angolazione tale da comprendere la maggior parte dell’inserzione del legamento collaterale senza raggiungere la superficie dell’articolazione tibiotarsica. Il malleolo ed il legamento collaterale vengono retratti distalmente consentendo l’accesso all’articolazione tarsale. (7)

La stabilizzazione mediante una placca posizionata dorsalmente costituisce la tecnica più comunemente usata, nonostante, data la fisiologica dorsoflessione del tarso, tale superficie sia quella maggiormente soggetta alle forze compressive con un aumento significativo dello stress meccanico a cui viene sottoposto l’impianto. La principale ragione per la vasta diffusione di questa procedura consiste nella relativa semplicità di esposizione della regione di interesse, con un limitato danno ai tessuti molli circostanti. (1)

L’impiego di una placca posizionata sulla superficie mediale è stato descritto con successo in diverso studi. Questa tecnica, che può essere eseguita con placche diritte da angolare secondo necessità o con impianti appositamente ideati già premodellati, presenta un significativo vantaggio meccanico rispetto al posizionamento dorsale, ma è stata associata a tassi di

complicazioni maggiori, in particolare è stato riscontrato un aumento dell’incidenza di necrosi plantare. (1) (19)

Nel gatto è ripotato l’impiego di un accesso dorso-mediale per l’esecuzione della panartrodesi con l’impiego di due placche tagliabili posizionate in maniera ortogonale sulla superficie mediale e dorsale del tarso. (20)

In letteratura è descritta la possibilità di un accesso laterale per l’esecuzione della panartrodesi mediante il posizionamento di una placca, retta o premodellata, sulla superficie laterale. (1)

La cute viene incisa sulla superficie laterale secondo una linea curva che si estende dalla vena safena laterale alla base del V metacarpo. Vengono scontinuati sottocute e fascia crurale ed i tessuti sono retratti. Il retinaculum degli estensori viene inciso parallelamente al margine dorsale del tendine lungo del peroneo che viene poi retratto. Dopo aver esteso l’articolazione si incide la capsula dalla porzione distale della tibia, procedendo parallelamente al legamento collaterale laterale. Per una maggiore esposizione può essere necessario retrarre il tendine del peroneo breve ed il muscolo estensore laterale delle dita, facendo particolare attenzione a non danneggiare la porzione breve del legamento collaterale. (7)

L’approccio plantare, analogamente a quando descritto per il carpo, consente il posizionamento della placca sulla superficie maggiormente soggetta alle forze di tensione, permettendo un ideale supporto dell’articolazione da un punto di vista meccanico, con il minimo stress sull’impianto ed una conseguente riduzione del rischio di cedimento dello stesso.

Tuttavia questa tecnica risulta poco utilizzata a causa della significativa difficoltà di esposizione del sito chirurgico che richiede un esteso danneggiamento dei tessuti molli circostanti.

Inoltre vi è la necessità di rimodellare in maniera importante il profilo delle ossa tarsali per adattarle all’impianto, in particolare il processo del calcaneo deve essere quasi completamente rimosso per posizionare adeguatamente la placca. (1) (21)

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Tecnica standard

Dopo aver eseguito un’ampia tricotomia della regione, il paziente viene posizionato in decubito dorsale e si procede alla preparazione del campo secondo tecnica asettica standard. Può risultare utile l’impiego dell’emostasi preventiva mediante fasciatura tourniquet.

Viene eseguito un accesso dorso-mediale alla regione del tarso come precedentemente descritto (vedi “accessi chirurgici”) .

Dopo aver disarticolato l’articolazione talocrurale, si rimuove la superficie cartilaginea dalla stessa mediante una fresa , una raspa o una sega da ossa; l’impiego della sega consente di eseguire una mini osteotomia sulla porzione distale della tibia con un’ angolazione di 90° rispetto all’asse lungo dell’arto, ed una seconda sulla porzione prossimale dell’astragalo con un angolo di 45°.

In questo modo, quando le superfici sono giustapposte, si ottiene facilmente l’angolazione di 135° consigliata per l’artrodesi.

Le cartilagini articolari dell’articolazione intertarsale prossimale, distale e tarsometatarsica vengono rimosse in maniera analoga con piccole incisioni separate sulla capsula articolare. Viene eseguito il lavaggio con fisiologica sterile e, se necessario, l’innesto di tessuto osseo spongioso.

L’articolazione tibiotarsica è stabilizzata eseguendo un foro diagonale attraverso l’astragalo e posizionandovi una vite corticale serrata per ottenere una compressine attraverso il sito. I restanti piani articolati vengono allineati in maniera neutra.

Si procede alla stabilizzazione mediante il posizionamento di una placca dorsale fissata con quattro viti nella porzione distale della tibia, una vite a livello dell’astragalo ed almeno tre viti nel III o IV metatarso.

Una vite calcaneotibiale di adeguata lunghezza viene posizionata separatamente o attraverso una placca.

I tessuti sono ricostruito a copertura avendo cura di non sovrapporre la sutura cutanea all’impianto di osteosintesi. Se la tensione sulla linea di sutura risulta eccessiva si eseguono delle incisioni di rilascio che verranno lasciate guarire per seconda intenzione.

Per un supporto addizionale in pazienti particolarmente attivi o di grossa mole possono essere posizionati pins transarticolari crociati o tension band da associare alla placca.

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Mezzi di osteosintesi

In letteratura è riportato l’utilizzo di diverse placche per l’esecuzione della panartrodesi tibiotarsica.

Uno studio effettuato su 15 soggetti per confrontare l’ utilizzo di “Hybrid Dynamic Compression Plates" (Veterinary Orthopedic Implants) posizionate dorsalmente e “Cuttable Veterinary Plates” ha evidenziato come l’impiego di placche tagliabili ,che vengono angolate secondo necessità, costituisca una valida scelta in animali di piccola taglia, con una migliore progressione del consolidamento osseo rispetto ad altri tipi di impianto. (22)

Le placche premodellate per l’applicazione sulle superfici dorsale, laterale o mediale (Jorgensan labs) presentano fori di dimensioni ridotte sulla porzione distale per consentire l’utilizzo di viti di diametro minore nei metatarsi riducendo il rischio di fratture metatarsale, particolarmente presente a livello dell’ultima vite e del margine distale della placca in cui si concentra la maggior parte dello stress meccanico. (1) (6)

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Tecniche alternative a) Fissatore esterno

L’impiego di fissatori esterni di tipo II, circolari o ibridi risulta particolarmente indicato in caso di lesioni da trascinamento secondarie a investimento o , in generale, ferite con perdita di sostanza in cui non sia possibile ricostruire i tessuti a copertura di un eventuale impianto di osteosintesi interna, lussazioni o fratture esposte, fratture complesse delle ossa metatarsali, ferite da considerarsi sporche-infette, soggetti di piccola taglia e gatti per cui si ritiene significativo il rischio di compromissione della vascolarizzazione, con particolare riferimento alla necrosi plantare. (23)

Dopo aver eseguito un’ampia tricotomia della regione si posiziona il paziente in decubito dorsale e si prepara il campo operatorio secondo tecnica asettica standard.

Viene seguito un accesso dorsale all’articolazione tarsale come precedentemente descritto. (vedi “accesi chirurgici”).

Si procede alla rimozione delle cartilagini articolari, al lavaggio con fisiologica sterile ed all’innesto di tessuto osseo spongioso.

In caso di ferite sporche-infette in questa sede è possibile l’esecuzione di tamponi per esame batteriologico ed eventuale antibiogramma.

I tessuti molli vengono ricostruiti a copertura e si inseriscono per via transcutanea tre o quattro pins nella regione distale della tibia, almeno due a livello delle ossa tarsali e due o tre a livello dei metatarsi. Data la fisiologica curvatura delle ossa metatarsali può risultare complesso comprendere tutti i segmenti indicati e frequentemente vengono coinvolti solo il II ed il V metatarso. I chiodi sono stabilizzati con barre, resine od altre tecniche.

La posizione, il numero e la lunghezza dei pins possono essere variati secondo le necessità chirurgiche, purché si utilizzino chiodi passanti nella posizione prossimale e distale ed almeno uno a livello dell’astragalo per ottenere una buona compressione del sito di artrodesi. (6)

Se si ritiene necessario un supporto maggiore, prima di inserire i pins che costituiranno il fissatore esterno, un chiodo centromidollare può essere collocato a partire dalla porzione distale del calcaneo attraverso l’astragalo fino al canale midollare della tibia. (23)

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