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Introduzione alla parte sperimentale 1.1 La proteomica salivare

La proteomica

Il completamento del progetto Genoma Umano, annunciato nel 2001, ha aperto nuovi orizzonti conoscitivi che hanno portato alla necessità di una nuova disciplina che attribuisse alle proteine un ruolo di importanza sempre crescente: la proteomica. Il termine proteomica è stato introdotto per la prima volta all’inizio degli anni ‛90 con il significato di “identificazione e caratterizzazione di tutte le proteine espresse da un organismo o un tessuto”. Col tempo si è resa necessaria una estensione della definizione che comprendesse non solo la mera individuazione di un pattern proteico ma anche lo studio delle modificazioni post-traduzionali, della funzione e della localizzazione delle proteine che lo costituiscono al fine di comprendere il loro ruolo fisiologico nell’organismo sano e nel contesto dei processi patologici che stanno alla base di una malattia. La studio del proteoma non può essere eluso in quanto la genomica, sebbene apporti un grande contributo alla ricerca, non è in grado di descrivere adeguatamente la struttura e la dinamicità che caratterizzano le proteine. Comunque genomica e proteomica sono due discipline complementari nella ricerca biomedica, utilizzate in sinergia per la comprensione dei fenomeni biologici.

La disponibilità di tecnologie che consentono la separazione delle proteine di un campione offre due vantaggi immediati:

• semplificazione del pattern proteico ed individuazione delle singole proteine o di piccoli gruppi di proteine,

• possibilità di confronto tra due o più campioni.

Ne derivano altri vantaggi quali: individuazione di targets proteici, comparazione tra tessuti sani e malati, valutazione della progressione di una malattia, valutazione dell’efficacia di una terapia.

(1) separazione della miscela proteica (2) identificazione

L’approccio maggiormente utilizzato si sviluppa attraverso la separazione delle complesse miscele di proteine con l’elettroforesi bidimensionale, ad elevato potere risolutivo, seguita dall’identificazione delle singole proteine mediante spettrometria di massa. Questa è una tecnica analitica che fornisce informazioni sulla struttura ed il peso molecolare delle proteine consentendone una immediata identificazione. Il perfezionamento delle tecniche in uso, congiuntamente ad una sempre maggiore necessità di ricerca di nuovi biomarcatori, ha reso l’elettroforesi bidimensionale seguita da spettrometria di massa una procedura di rountine negli studi di proteomica.[85, 86]

La saliva

La saliva rappresenta il prodotto di secrezione delle ghiandole salivari, maggiori e minori, localizzate all’interno della cavità orale e possiede numerose funzioni biologiche importanti per il mantenimento della salute della cavità orale stessa. È prodotta in massima parte (90%) dalle ghiandole parotidi, sottolinguale e sottomandibolare mentre le ghiandole salivari minori, disseminate nello spessore della tonaca mucosa, sono responsabili della restante parte (10%). Possiede numerose funzioni che sinteticamente possono essere distinte in protettive, correlate alla digestione e di supporto alla fonazione ed alla comunicazione.

o Funzioni protettive: grazie alla presenza della mucina, una glicoproteina, la saliva mantiene idratata la superficie mucosale, ne assicura un’adeguata lubrificazione e forma un film superficiale che previene la penetrazione di agenti irritanti presenti in cibo, bevande e fumo. Inoltre la presenza di lisozima, lattoferrina e IgA conferisce alla saliva un’azione antibatterica e antivirale.

o Funzioni digestive e correlate al gusto: nella saliva è presente la ptialina, ad azione α-amilasica, che promuove la trasformazione chimica dei carboidrati

scindendo le catene polisaccaridiche ed iniziandone così la digestione. Inoltre la saliva, la cui produzione aumenta durante la masticazione, favorisce la lubrificazione del cibo aiutando sia l’interazione del bolo con i calici gustativi che la sua progressione verso l’orofaringe.

o Funzioni comunicative: l’acqua e la mucina garantiscono il giusto grado di lubrificazione che permette l’articolazione della parola ed il linguaggio.

La saliva è composta da acqua, una grande quantità di proteine, elettroliti e piccole molecole organiche che riflettono lo stato di salute di un organismo. Negli ultimi anni è perciò cresciuto l’interesse per questo fluido biologico come potenziale strumento diagnostico in numerose patologie oltre a quelle che affliggono tipicamente il cavo orale. Essa rappresenta un favorevole strumento di indagine grazie ai seguenti vantaggi:

• facilità di prelievo che risulta essere non invasivo e favorevole anche in pazienti poco collaborativi (ad esempio i bambini);

• facilità di conservazione dei campioni;

• a differenza di altri fluidi biologici come sangue e urina, la saliva può essere prelevata in qualsiasi momento;

• costi esigui.

Lo svantaggio principale consiste nel fatto che la produzione di saliva è soggetta a variazioni correlate alla dieta ed al ritmo circadiano e non sempre il suo contenuto proteico rispecchia quello del plasma. Tuttavia, la saliva rappresenta un’importante strumento di indagine e studi volti ad identificarne il contenuto proteico possono portare alla luce nuovi biomarkers di patologie.[87]

Il Western blot, definito anche immunoblotting, è una tecnica utile a separare ed identificare le proteine e si basa sulla capacità di queste ultime di legarsi a specifici ed identificabili anticorpi. La prima fase riguarda la separazione delle proteine presenti in un campione attraverso un’elettroforesi su gel di poliacrilammide in condizioni denaturanti. E’ il sodio dodecilsolfato (SDS) che si comporta da agente denaturante: essendo una molecola anfifilica, con la sua porzione idrofobica si lega agli amminoacidi mentre i gruppi solfato sono proiettati verso l’esterno, mantenendo il polipeptide in una forma distesa e conferendogli una carica netta negativa. L’SDS si lega alle proteine in rapporto di 1,4 g di SDS per grammo di proteina.

Figura 1.2.1 Denaturazione delle proteine ad opera del sodio dodecilsolfato (SDS). L’SDS si comporta da agente denaturante e stabilizzante delle catene polipeptidiche. Conferisce loro una carica netta negativa e consente la separazione in base al peso molecolare.

Il vantaggio è quello di annullare la carica intrinseca di ogni proteina e consentire la separazione solo in virtù del proprio peso molecolare. Il gel di poliacrilammide è un copolimero ottenuto dalla polimerizzazione di un monomero di acrilammide con N,N’-metilenbisacrilammide, la quale ha la funzione di formare legami crociati tra le catene di poliacrilammide, realizzando così la struttura tridimensionale del gel. Poiché lo scopo è quello di separare i componenti di una miscela proteica, si utilizzano gel con un contenuto di acrilamide compreso tra il 10 ed il 20%.

Nella seconda fase, le proteine separate vengono trasferite su una membrana di nitrocellulosa che viene trattata prima con un anticorpo primario, in grado di legarsi specificatamente ad una proteina di interesse, e successivamente con un anticorpo

secondario. Questo, oltre a riconoscere l’anticorpo primario, è coniugato con un enzima in grado di catalizzare una reazione colorimetrica in presenza di substrato

.

Generalmente l’enzima coniugato con l’anticorpo è una perossidasi che, in presenza di una soluzione costituita da perossido di idrogeno e luminolo, ossida quest’ultimo con sviluppo di chemiluminescenza.[88] La chemiluminescenza è l’emissione di luce come risultato di una reazione chimica. Il luminolo, in presenza di perossido di idrogeno ed un agente ossidante, forma un perossido ciclico altamente instabile che immediatamente decompone al dianione 3-amminoftalato il quale si trova in uno stato eccitato (3-APA*). Il dianione decade e ritorna allo stato fondamentale (3- APA) emettendo un fotone.[89]

Figura 1.2.2 La molecola del luminolo, deprotonata dall’ambiente alcalino, si trova in equilibrio tra la sua forma chetonica e quella enolica. Attraverso una serie di reazioni di ossidoriduzione che coinvolgono l’HRP ed il perossido di idrogeno, il luminolo viene ossidato a perossido ciclico mediante addizione di una molecola di O2 ai due carboni

carbonilici. Il perossido ciclico, altamente instabile per la presenza di legami deboli, si decompone favorendo l’eliminazione di N2 e forma il 3-amminoftalato presente nel suo stato

È una tecnica elettroforetica utilizzata nel campo della proteomica che consente di separare miscele proteiche attraverso due processi che avvengono ortogonalmente l’uno all’altro, ovvero in maniera indipendente e sfruttando principi chimico-fisici diversi. Le due dimensioni sono, nell’ordine:

• prima dimensione: isoelettrofocusing, separazione in base al punto isoelettrico. La mobilità elettroforetica dipende dal pI della proteina.

• seconda dimensione: SDS-PAGE, le proteine vengono separate in base al loro peso molecolare su gel di poliacrilammide in presenza di sodio dodecilsolfato (SDS). La mobilità elettroforetica è inversamente proporzionale al logaritmo del peso molecolare della proteina.

L’ordine è fondamentale in quanto il trattamento della miscela proteica con SDS annulla la carica complessiva delle proteine conferendo ad ognuna di esse una carica netta negativa.

Le proteine sono sostanze anfotere, cioè possiedono gruppi acidi e basici ionizzabili che conferiscono alla molecola una carica positiva, negativa o nulla a seconda del pH dell’ambiente in cui si trovano. Il principio generale su cui l’elettroforesi si basa è che molecole cariche, quando sono poste tra due elettrodi in cui è applicata una differenza di potenziale, si muovono verso l’elettrodo di segno opposto alla loro carica netta. Durante la prima dimensione le molecole migrano all’interno di un supporto costituito da un gel di poliacrilammide sfruttando un gradiente di pH ottenuto grazie ad anfoliti. La migrazione avviene per applicazione di una differenza di potenziale alle estremità del gel che contiene il gradiente di pH.

Le proteine, in quanto sostanze anfotere, hanno una carica complessiva non nulla e si separano in base al loro punto isoelettrico:

- le proteine che si trovano inizialmente in una zona di pH inferiore al loro punto isoelettrico si caricheranno positivamente ed inizieranno a migrare verso il catodo, fino a raggiungere il valore di pH corrispondente al loro pI;

- le proteine che si trovano inizialmente in una zona di pH superiore al loro punto isoelettrico si caricheranno negativamente ed inizieranno a migrare verso l’anodo, fino a raggiungere il valore di pH corrispondente al loro pI;

- le proteine, una volta raggiunto il pH corrispondente al loro punto isoelettrico cessano di migrare.

Una volta raggiunto il punto isoelettrico ogni proteina si trova in forma zwitterionica, cioè priva di carica, e la migrazione si interrompe.

Nell’isoelettrofocusing, all’interno del gel viene generato un gradiente di pH utilizzando un appropriato range di anfoliti. La separazione della miscela proteica avviene sulla base del pI delle singole proteine. E’ considerata una potente tecnica analitica in quanto è in grado di separare proteine che hanno una differenza di pI di 0.001. Nella tecnica bidimensionale, l’isoelettrofocusing è seguita dall’elettroforesi su gel di poliacrilammide e la combinazione di queste due tecniche consente di migliorare la risoluzione della miscela proteica: le proteine vengono separate prima in base al loro pI ed, in secondo luogo, in base alle dimensioni.

Figura 1.3.1 Prima dimensione: separazione delle proteine in base al loro pI.

In commercio esistono IPG (Immobilized pH gradient) strips. Esse sono disponibili in varie lunghezze (7, 11, 18 o 24 cm) e coprono diversi range di valori di pH (lineari o non lineari). Sono vendute disidratate e devono essere conservate alla temperatura di -20°C. Prima di procedere con la seconda dimensione le strips devono essere

essere aggiunto, al momento, un agente riducente (ditiotreitolo, DTT) od uno alchilante (iodoacetamide, IAA). Il DTT è un agente riducente che rompe i ponti disolfuro mentre la IAA alchila i gruppi tiolici e li mantiene in forma ridotta. Il buffer contiene SDS, un detergente anionico ad azione denaturante che conferisce a tutte le molecole carica netta negativa, annullando la carica intrinseca di ogni proteina e costringendo ciascun polipeptide ad assumere una forma estesa e stabilizzata. Ogni molecola, quindi, migrerà esclusivamente in funzione della propria massa, durante la seconda dimensione. Se sottoposti ad un campo elettrico, i polipeptidi migrano dall’anodo al catodo in virtù della loro carica negativa conferita dall’SDS, all’interno di un gel di poliacrilammide che funge da setaccio molecolare. Di conseguenza le molecole si separeranno in base al peso molecolare.[90, 91]

Figura 1.3.2 Seconda dimensione: separazione delle proteine in base al loro peso molecolare

Conclusa la corsa elettroforetica si procede al fissaggio con una miscela di etanolo /acido fosforico/acqua ed alla colorazione con rutenio, sfruttando il fenomeno della fluorescenza, indispensabile per poter evidenziare gli spots dopo l’acquisizione delle immagini relative ad ogni gel.

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