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e paraverbali della comunicazione Francesco Bianch

1. Introduzione: Sassi e sassolini.

Partiamo nell’analisi degli aspetti non-verbali e paraverbali delle relazioni. E partiamo a caso. Con una citazione a caso. Ché tanto questo paragrafo si scrive mentre scriviamo, e speriamo che si scriva di nuovo quando sarà letto. Nella prefazione del libro Il Linguaggio del Corpo Alexander Lowen (1958) lancia un bel sasso nello stagno del pensiero umano. Il quale, da buono sta- gno, più che porre l’attenzione sulle onde provocate ha invece ben pensato di continuare a stagnare. E quelle onde non hanno influenzato in profondità gli ambiti educativi e pedagogici:

“L’organismo vivente si esprime più chiaramente con il movimento che con le parole. Ma non solo con il movimento! Nelle pose, nelle posizioni e nell’at- teggiamento che assume, in ogni gesto l’organismo parla un linguaggio che anticipa e trascende l’espressione verbale.” (Lowen 1958)

Nelle pose, nelle posizioni e nell’atteggiamento che assume, in ogni gesto l’organismo parla un linguaggio che anticipa e trascende l’espressione verbale.

Ci dice, ancora, Erving Goffman (1959):

“Noi siamo sempre sulla scena anche quando pensiamo di essere assoluta- mente spontanei e sinceri nelle nostre reazioni dinanzi agli altri.”

Noi siamo sempre sulla scena. Nello star fermo c’è espressione.

D’altronde lo sappiamo: negli ambienti pedagogici si ripete come un man-

tra una frase estrapolata da Pragmatica della comunicazione umana (Watzlawick,

Beavin, Jackson 1967) “Non si può non comunicare”, condendo di volta in volta la citazione colta con altre parole che possono essere i nomi degli autori (anche se quasi sempre si riconduce la maternità del libro al solo Watzlawick, e pure questo risulta essere un ottimo esercizio relazionale, considerando che le modalità di pronuncia con cui Watzlawick viene ricordato sono molteplici, occlusive e affricate a caso, accenti ora qua ora là, l’iniziale W che diventa a volte U a volte V), l’accostamento a Gregory Bateson, il richiamo alla scuola di Palo Alto ed esempi più o meno banali e aderenti che dovrebbero chiarire una volta per tutte che Sì, non si può non comunicare. Anche se sto zitto co- munico. Anche se non ti guardo ti informo. Anche se non mi muovo faccio muovere i pensieri di chi c’è intorno a me. Non si può non comunicare. Non si può non comunicare. Non si può non comunicare.

Si tratta di un sasso, a dire il vero, lanciato e rilanciato successivamente, e che già era stato lanciato in precedenza. Ma le onde prodotte, ci pare, non hanno ancora sortito effetti rilevanti. Sassi e sassolini di dimensioni e forme diverse, anche, sono stati lanciati, come notiamo scovando nel libro di Charles Darwin Le espressioni delle emozioni negli uomini e negli animali (1872) un passag- gio illuminato - e illuminante:

“La mimica rende più vive le nostre parole e conferisce loro più forza. Essa è più delle parole, che possono essere falsate, rivela i pensieri e le intenzioni altrui. La libera espressione di un'emozione per mezzo di segni esteriori, la rende più intensa. D'altro canto, la repressione di ogni segno esteriore, nella misura in cui è possibile, sfuma le nostre emozioni.”

La repressione di ogni senso esteriore, nella misura in cui è possibile, sfuma le nostre emozioni.

E poi incontriamo, in un libro molto diverso, 101 Zen Stories (Senzaki, Reps 1957), una storia, la storia 27, che ci informa magicamente di una cosa che ma-

gicamente già sappiamo, e che magicamente ci coglie di sorpresa:

“Dopo la morte di Bankei, un cieco che viveva accanto al tempio del ma- estro disse a un amico: «Da quando sono cieco, non posso osservare la faccia delle persone, e allora devo giudicare il loro carattere dal suono della voce. Il più delle volte, quando sento qualcuno che si congratula con un altro per la sua felicità o il suo successo, afferro anche una segreta sfumatura di invidia. Quando uno esprime il suo rammarico per la disgrazia di un altro, sento il piacere e la soddisfazione, come se quello che si rammarica sia in realtà con- tento che nel suo proprio mondo ci sia ancora qualcosa da guadagnare. La voce di Bankei, però, sin dalla prima volta che l'ho sentita, è stata sempre sincera. Quando lui esprimeva la felicità non ho mai sentito null'altro che la felicità, e quando esprimeva il dolore, il dolore era l'unico sentimento che io sentissi».”

Riparte il mantra: non si può non comunicare, non si può non comunicare, non si può non comunicare, non si può non comunicare, non si può non co- municare.

Heinz von Foerster (1998), in La verità è l’invenzione di un bugiardo, esprime un suo -basilare e definitivo- imperativo etico: “Agisci sempre in maniera che il numero delle possibilità cresca”.

Noi formuliamo un altro imperativo etico, legato alle questioni che stia- mo affrontando, e partendo dal mantra più volte citato: proviamo a sospen- dere per un po’ il ripetere di una affermazione fondamentale come Non si può non comunicare, che diventata slogan rischia di incepparsi, di perdere molta della sua efficacia e innovazione, e proviamo a sostituirla con un pen- siero diretto, sul quale riflettere e concentrare le nostre cure, per curare in conseguenza tutto il sistema di relazioni nel quale siamo costantemente in- seriti: “Si può comunicare.”

E qui, richiamando Ludwig Wittgenstein (1922), dall’introduzione del

Tractatus logico-philosophicus, ricordare che “Tutto ciò che può essere detto si

può dire chiaramente.”