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Io qualche volta ho notato, in molti reportages fotografici,

una cosa che penso sia un errore, che è l'attrazione per il bello, che conduce per esempio a fare una selezione delle cose da presentare nelle fotografie. Una delle ragioni per cui le mie prime case sono abbastanza chiuse, hanno il patio e poche finestre verso l'esterno, è perchè sono costruite, pressochè tutte le prime case, in orribili periferie. Io optavo nei miei primi anni di attività, trovandomi in un contesto tanto brutto, per non aprire mai una finestra, tentavo di creare un'atmosfera autonoma in una casa, in un piccolo lotto. E dopo ho capito che questo era un assurdo, anche perchè era impossibile fare una selezione, ed essere realisti, anche perchè quando uno si addentra in una casa c'è tutto l'intorno, brutto o bello che sia. E' su questa realtà che si deve lavorare. Anche i fotografi a volte fanno questa operazione, di selezionare e fare la ripresa da un angolo da cui non si può vedere una cosa brutta. E' legittimo, e anche lo capisco, ma molte volte questo atteggiamento conduce molto lontano e non si riescono a capire le case. Questo nasce dalla preoccupazione di presentare in un modo isolato il mondo, il linguaggio di un architetto: cosa che, se l'architettura è buona, diminuisce sempre la qualità dell'architettura. I o mi ricordo della sorpresa che ho provato al prima volta che ho visto la Maison Jaoul di Le Corbusier, perchè mai avevo visto una fotografia in cui si potesse vedere, che avesse registrato che la casa vicina, che è una casa molto più antica, era in mattoni. Io sono sicuro che Le Corbusier, in fondo, se vogliamo utilizzare questa riduttrice classificazione, era un contestualista (anche se Le Corbusier fa un oggetto lontano da tutto, ma dopo vediamo che Chandigarh è più India delle cose moderne indiane), e se la Maison Jaoul ha i mattoni vicino non è per caso che là c'è una casa in mattoni. Allora questo mondo degli architetti non è mai chiuso in se stesso, c'è sempre un sistema di rapporti, anche lontani che limitano un'opera, e la definizione di un'opera dipende sempre da più cose, coscientemente o incoscientemente. Questo accade molte volte: le foto fanno la selezione, per non vedere la casa vicina, perchè non è bella, perchè usa

un linguaggio molto diverso, o per altri motivi di questo genere.

Un'altra cosa è che spesso la fotografia, nella ricerca di una purezza totale, fa diventare le cose un po' artificiali. Io so che si utilizza molte volte questo processo: la casa è finita, viene il fotografo, porta dei mobili fantastici, crea un ambiente. Queste operazioni mi sembrano sempre molto artificiali, vedo delle fotografie bellissime, ma c'è qualcosa che non va bene. Questo qualcosa è un montaggio scenografico, che è sempre riduttivo, evidentemente. Ma d'altronde in una certa misura lo capisco, perchè ad esempio quando è venuto qui il figlio di Yukio Futagawa, è venuto al mio studio circa due anni fa e mi ha detto: “GA vuole pubblicare delle opere sue. Cosa mi consiglia di vedere che si possa fotografare, poi verrà qui mio padre”. Io gli ho detto: niente. Praticamente tutte le case, o quasi tutte, sono malmesse all'interno: o perchè hanno dei mobili molto brutti, o perchè non vengono utilizzate. Evidentemente c'è qualcosa che non coincide, ammetto che questo è anche colpa degli architetti (in questo caso è colpa mia), ma non solo. Oggi si è creata una distanza tra il committente e l'architetto (con qualche eccezione, chiaramente), non c'è una coincidenza. In una casa del secolo passato, per esempio, sempre c'era un mondo più universale, la coincidenza era una coincidenza dell'architettura e del modo di vivere; con tanti cambiamenti in continuità, nel mondo contemporaneo, si è creata una non coincidenza, bisogna ammetterlo. Io cerco sempre di capire bene i bisogni delle persone, ma qualche volta è impossibile, non c'è possibilità di coincidenza. Per esempio mi sembra interessante la forma della situazione attuale di Malagueira, in Evora: dove ci sono cose orribili, evidentemente: mobili, cortine, tutto quello che si può immaginare, giardini eccetera. Ma siccome è una cosa vasta, sono milleduecento case, mille in questo momento, credo, e poiché c'è questa vita in formazione, questa transizione da periferia a città, è molto variata, e insieme non mi impressiona niente. Ma invece nell'operazione di fare una casa, quando poi la famiglia entra, sempre esiste, in tutti casi di cui mi ricordo, sempre esiste davvero uno sfasamento. L'architetto reagisce a grandi cambiamenti, lavora all'interno di questo, e se lavora a questa densità che dimensione, è una cosa, se è un

lavoro isolato o per esempio un edificio di appartamenti che si costruisce e si abbandona, il risultato è molto "disgustante": è difficile presentare questo in una fotografia. Le fotografie del Museo di Santiago ad esempio sono bellissime, non ci sono i mobili ancora, non c'è nemmeno gente, è un museo, una cosa molto speciale. Ma una casa, sto pensando ad esempio alla Casa Duarte, che ha un po' quest'ambiente... ma io credo che questa casa non sia mai stata a posto, c'era una difficoltà di coincidenza tra le esigenze della famiglia e la parte materiale della casa, il suo linguaggio, i suoi materiali eccetera. Invece a Malagueira (per questo mi piacciono tanto le foto di Collovà), non impressiona questo. Ci sono cose bruttissime in mezzo, ma si sente che questo è qualcosa di vivo.