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Non critico tutta l'architettura contemporanea senza

prima distinguere tra ciò che considero giusto e sbagliato. A mio parere, e nel libro tento di spiegarlo, si può osservare nell'attuale architettura la tendenza ad essere concepita solo per la retina: è il prevalere assoluto del potere dell'occhio.

Inoltre è narcisistica, perché ci parla dell'architetto, non dell'individuo.

Ritengo che spesso ci sia una idea molto vaga circa l'obiettivo dell’architettura. Oggi gli edifici sono utilizzati come immagini che riflettono l'auto-celebrazione di un cliente e di un architetto. Questo non è il fine dell’architettura.

(…)L'architettura deve essere socialmente e culturalmente orientata, e questo non sembra più essere un obiettivo da perseguire, si sta perdendo.

L'architettura di oggi trascura la totalità dei sensi, ma soprattutto non è pensata per le persone.

(…)Ricordo una significativa dichiarazione di Ove Arup di molti anni fa, in cui sosteneva l’esistenza di molti tipi di arte, per cui l’architettura poteva essere gaia o seriosa, elegante e solenne oppure intima o ancora mondana …o addirittura repulsiva, falsa, volgare: comunque sempre umana.

Ecco, credo che pur riconoscendo il fatto che i progetti siano comunque espressione di una qualche umanità, vada però criticata con molta chiarezza l’architettura che ha altri obiettivi che non contemplino l'uso da parte dell’uomo.

L'architettura sembra diventare un arte esclusivamente visiva.

E, per definizione, la visione ti esclude da ciò che stai vedendo.

Si guarda da fuori, mentre l’architettura ti deve avvolgere nelle sue tre dimensioni.

E’ nell’utilizzo che ci si appropria veramente dello spazio architettonico, e non mediante la sua visione.

(…)Per quanto indubbiamente potente, la percezione visiva rappresenta una parte di questa presa di possesso, non il tutto.

Nel libro mi soffermo su come -progettando in modo distratto rispetto a questi temi- si impoverisce l’esperienza complessiva degli individui: a mio parere è sbagliato sopravvalutare la direzione verso uno dei sensi e trascurare completamente lo stimolo verso gli altri.

Del resto…che cosa avvertiamo della vicinanza del mare, l'odore salato o il suo orizzonte infinito? Che cosa ci ricordiamo di uno stretto vicolo, la rugosità della pavimentazione sotto i nostri piedi o il suono di passi, l'odore di una panetteria o la sua prospettiva distorta? L’esperienza coinvolge sempre la totalità dei sensi!

E di conseguenza, ritengo che un progetto di architettura deve essere pensato e verificato per tutti i sensi.

(…) Penso che -almeno in parte- questo impoverimento culturale è una conseguenza dell'unione economica e dei processi tecnologici. Se si sta cercando un impatto immediato, l'immagine visiva è uno strumento molto potente. E' come un concerto rock nel mondo della musica: d'impatto, raggiunge subito molti.

E 'anche il risultato della velocità del mondo. Tutto deve essere molto veloce e in quel momento. Inoltre c'è troppo di tutto, soprattutto di informazioni. Se si desidera ottenere l'attenzione si deve parlare forte. Questo spiega il tipo di architettura che abbiamo.

Ma questo è un errore: l'architettura è l'arte della lentezza e del silenzio.

…Chiaramente ci sono delle eccezioni a questo scenario preoccupante: Glenn Murcutt, Peter Zumthor, Steven Holl, Juan Navarro Baldeweg, Antonio Fernandez Alba hanno realizzato architetture molto intense, ricche, stimolanti, attente ai sensi …

Quello che deve cambiare non è la tecnologia, ma l'approccio utilizzato dai progettisti .

Credo che la funzione dell’architettura sia quella di rafforzare in rapporto sensuale con il mondo.

(…)Ne abbiamo bisogno. L'elemento erotico dell’architettura è rappresentata dal toccare: il senso che vi invita a partecipare ed essere un tutto con l'ambiente circostante.

(…)Quando progetto lavoro spesso in scala 1:1. Questo assicura la comprensione del modo in cui la mano tocca l'edificio.

Non solo la mano, ma pure l'occhio rivolto alla mano: la morbidezza degli angoli... i piccoli dettagli che ti respingono o ti invitano a venire.

Anche gli edifici con una dimensione molto grande possono avere una scala e dei rapporti gradevoli, corretti. Recentemente ho visitato in Spagna un ospedale di Fernandez de Ángel Alba in Ciudad Real.

Era enorme, ma aveva una dimensione umana, si percepiva bene l'atteggiamento del progettista che intendeva far sentire a proprio agio l'utente.

Il contrario sarebbe quella di cercare di impressionare. Da una certa distanza, invece, si poteva certamente comprendere la relazione dell’edificio con la dimensione del paesaggio, la composizione dell’insieme… ma il progetto non si fermava a questa scala, non si accontentava del grande disegno d’insieme.

Nell’avvicinarsi, nell’entrare, nello stare dentro, erano infatti molto chiare le preoccupazioni e le invenzioni, relative ad un’altra scala, più ravvicinata, che continuavano e prolungavano il progetto.

Anche la luce era buona, la luce -come l'acqua- se è eccessiva ti spazza via.

I miei occhi non gradiscono l'eccesso di luce, sono costantemente alla ricerca di ombra.

E io vivo in un paese tetro.

Come diceva Louis Kahn: la persona con un libro va in ricerca di una finestra.

Anche Louis Kahn, con la sua architettura, pur essendo capace di affermazioni monumentali, possedeva la capacità di continuare il progetto sino a preoccupazioni più legate agli atti delle persone: basti pensare alla biblioteca di Exeter, nel New England: impressiona lo

spazio poderoso, celebrativo e solenne del grande vuoto centrale, ma a questo poi si affiancano le piccole e calibratissime nicchie lignee vicino alle finestre, luoghi misurati sul raccoglimento individuale, dove concentrarsi e leggere da soli.