• Non ci sono risultati.

T IPO
DI B ANCA T OTALE
IMPRESE I NDUSTRIA
IN
SENSO
STRETTO S ERVIZI

Nel documento Le prospettive dei confidi meridionali (pagine 45-47)


 PICCOLE
 IMPRESE
 ALTRE
 IMPRESE
 T OTALE
 PICCOLE
 IMPRESE
 ALTRE
 IMPRESE
 T OTALE
 PICCOLE
 IMPRESE
 ALTRE
 IMPRESE
 T OTALE
 NORD
OVEST
 BANCHE
PICCOLE
 32,6
 24,5
 25,6
 35,0
 22,6
 24,0
 31,4
 25,9
 26,7
 ‐
APPARTEN.
A
GRUPPI
 5,7
 4,3
 4,5
 5,1
 4,6
 4,7
 6,0
 4,1
 4,4
 ‐
LOCALI
 18,4
 7,1
 8,6
 21,2
 7,0
 8,6
 17,0
 7,2
 8,7
 ‐
ALTRE
 8,5
 13,1
 12,5
 8,7
 11,0
 10,7
 8,5
 14,7
 13,7
 BANCHE
GRANDI
 67,4
 75,5
 74,4
 65,0
 77,4
 76,0
 68,6
 74,1
 73,3
 TOTALE
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 NORD
EST
 BANCHE
PICCOLE
 54,2
 32,3
 37,2
 48,9
 26,9
 30,1
 56,2
 37,4
 42,8
 ‐
APPARTEN.
A
GRUPPI
 7,2
 6,7
 6,8
 5,9
 6,6
 6,5
 7,7
 6,8
 7,1
 ‐
LOCALI
 41,6
 18,9
 24,0
 37,3
 14,5
 17,7
 43,3
 23,0
 28,8
 ‐
ALTRE
 5,4
 6,7
 6,4
 5,8
 5,8
 5,8
 5,2
 7,6
 6,9
 BANCHE
GRANDI
 45,8
 67,7
 62,8
 51,1
 73,1
 69,9
 43,8
 62,6
 57,2
 TOTALE
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 CENTRO
 BANCHE
PICCOLE
 46,2
 31,1
 33,8
 50,0
 31,5
 34,4
 44,7
 30,9
 33,6
 ‐
APPARTEN.
A
GRUPPI
 19,7
 12,1
 13,5
 19,8
 14,4
 15,3
 19,7
 10,9
 12,6
 ‐
LOCALI
 23,1
 9,6
 12,0
 27,1
 10,8
 13,4
 21,4
 8,9
 11,4
 ‐
ALTRE
 3,4
 9,5
 8,3
 3,1
 6,2
 5,7
 3,5
 11,1
 9,6
 BANCHE
GRANDI
 53,8
 68,9
 66,2
 50,0
 68,5
 65,6
 55,3
 69,1
 66,4
 TOTALE
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 SUD
E
ISOLE
 BANCHE
PICCOLE
 40,5
 29,7
 32,7
 43,6
 28,7
 31,4
 39,4
 30,5
 33,4
 ‐
APPARTEN.
A
GRUPPI
 16,3
 14,2
 14,8
 18,6
 14,1
 15,0
 15,5
 14,3
 14,7
 ‐
LOCALI
 19,1
 10,1
 12,6
 21,3
 9,8
 11,9
 18,4
 10,4
 13,0
 ‐
ALTRE
 5,0
 5,4
 5,3
 3,7
 4,7
 4,5
 5,5
 5,8
 5,7
 BANCHE
GRANDI
 59,5
 70,3
 67,3
 56,4
 71,3
 68,6
 60,6
 69,5
 66,6
 TOTALE
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 ITALIA
 BANCHE
PICCOLE
 43,8
 28,5
 31,3
 43,7
 26,0
 28,4
 43,8
 30,2
 33,2
 ‐
APPARTEN.
A
GRUPPI
 10,9
 7,6
 8,2
 10,3
 7,9
 8,2
 11,1
 7,4
 8,2
 ‐
LOCALI
 27,1
 11,0
 14,0
 27,5
 10,2
 12,6
 26,9
 11,5
 14,9
 ‐
ALTRE
 5,8
 9,9
 9,1
 5,9
 8,0
 7,7
 5,8
 11,3
 10,1
 BANCHE
GRANDI
 56,2
 71,5
 68,7
 56,3
 74,0
 71,6
 56,2
 69,8
 66,8
 TOTALE
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 100,0
 Fonte:
Bentivogli­Cocozza­Foglia­Iannotti
(2007)
su
segnalazioni
vigilanza


47
 Il
 capitalismo
 italiano
 presenta
 tre
 caratteristiche,
 che
 talvolta
 divengono
 caratteristiche
 frenanti
 del
 sistema


economico
del
Paese:
una
struttura
proprietaria
d’impresa
di
tipo
familiare,
una
sensibile
influenza
delle
politiche
fiscali
 nell’orientare
 le
 preferenza
 delle
 imprese
 verso
 o
 l’una
 o
 l’altra
 fonte
 di
 finanziamentio,
 e
 una
 forte
 prevalenza
 dell’attività
bancaria
nel
sistema
finanziario,
cui
fa
riscontro
un
limitato
sviluppo
del
mercato
azionario.
In
particolare
la
 presenza
familiare
prevale
soprattutto
nelle
PMI:
nella
classe
10‐50
addetti
la
percentuale
di
imprese
controllate
o
di
 proprietà
di
una
persona
fisica
residente
in
Italia
è
superiore
al
90%,
un
valore
che
va
riducendosi
all’aumentare
delle
 dimensioni
aziendali,
dal
78%
nella
classe
51‐250
addetti,
al
22%
nelle
imprese
con
oltre
500
addetti
(Capitalia
2002).
 Tuttavia
il
fenomeno
dell’impresa
familiare
è
presente
non
solo
in
Italia,
anche
se
nel
nostro
Paese
assume
valori
tra
i
più
 elevati.
Cfr.
Costa‐Costagli
(2004),
pag.
9.


Nel
 2005
 i
 prestiti
 bancari
 alle
 piccole
 imprese
 (con
 meno
 di
 20
 addetti)
 rappresentavano
poco
meno
di
un
quinto
del
totale.
In
questo
segmento
le
banche
locali
 mostravano
un
livello
di
specializzazione,
detenendo
una
quota
di
mercato
pari
al
27
per
 cento,
pressappoco
doppia
di
quella
relativa
al
totale
dei
prestiti
delle
imprese
(Tabella
5).

 Le
piccole
imprese,
come
già
detto,
sono
in
genere
opache
nei
confronti
dell’esterno
e
 presentano
 confini
 incerti
 fra
 il
 patrimonio
 dell’impresa
 e
 quello
 dell’imprenditore.
 Ciò
 induce
a
rafforzare
la
personalizzazione
dei
rapporti
con
le
banche,
soprattutto
nel
caso
di
 banche
 locali,
 che
 possano
 sfruttare
 al
 meglio
 il
 radicamento
 sul
 territorio
 (Bentivogli‐ Cocuzza‐Foglia‐Iannotti,
 2007).
 Peraltro,
 la
 quota
 dei
 finanziamenti
 delle
 piccole
 banche
 alle
 piccole
 imprese
 è
 in
 sensibile
 aumento
 a
 partire
 dalla
 seconda
 metà
 degli
 anni
 Novanta,
 evidenza
 che
 conferma
 il
 ruolo
 privilegiato
 riconosciuto
 dalla
 letteratura
 alle
 piccole
banche
nel
finanziamento
delle
PMI
(Cesarini‐Ferri‐Giardino,
1997).


La
 letteratura
 dedicata
 al
 tema
 dei
 rapporti
 banca‐PMI
 in
 Italia
 ha
 posto
 l’attenzione
 sull’importanza
 del
 relationship
 lending
 in
 quanto
 favorisce
 il
 credito
 alle
 PMI
 sotto
 il
 profilo
della
quantità
(Angelini‐Di
Salvo‐Ferri,
1998)48,
invece,
sotto
il
profilo
dei
costi,
la


banca,
 sfruttando
 il
 vantaggio
 informativo
 derivante
 da
 relazioni
 di
 credito
 intense,
 può,
 imporre
tassi
attivi
più
elevati.



Tra
 i
 costi
 impliciti
 del
 relationship
 lending
 vi
 è
 il
 multiafidamento
 che,
 insieme
 alla
 prevalenza
del
finanziamenti
bancario
nella
struttura
finanziaria
delle
imprese,
è
una
delle
 caratteristiche
salienti
del
rapporto
banca‐impresa
in
Italia:
le
imprese
tendono
ad
avere
 rapporti
creditizi
con
più
intermediari
bancari.
Secondo
i
dati
Centrale
Rischi
riferiti
ad
un
 campione
 di
 oltre
 20.000
 società
 non
 finanziarie
 al
 31/12/2003,
 le
 aziende
 del
 nostro
 Paese
tendono,
infatti,
a
farsi
affidare
in
media
da
7
istituti
bancari49
(Tabella
650).



Il
multiaffidamento
non
è
un
fenomeno
solo
italiano
ma
è
diffuso
anche
in
altri
Paesi
 europei,
 anche
 se
 nel
 nostro
 Paese
 sembra
 assumere
 una
 maggiore
 rilevanza:
 Ongena
 e
 Smith
(2000),
considerando
un
campione
di
1.079
grandi
imprese
europee,
notano
che
le
 imprese
 italiane
 si
 caratterizzano
 per
 il
 più
 elevato
 grado
 di
 multiaffidamento
 (15,2
 banche
per
impresa
contro
una
media
di
5,6
per
il
totale
del
campione)51.


Dalle
principali
analisi
del
fenomeno
emerge
che
il
multiaffidamento
può
derivare
da
 una
 scelta
 delle
 imprese
 che
 tendono
 a
 rivolgersi
 a
 più
 banche
 per
 ridurre
 il
 rischio
 di


48
Angelini
et
al.
(1998)
evidenziano
come
nel
caso
di
banche
di
credito
cooperativo
le
ripercussioni
negative
sui


tassi
attivi
non
siano
generalizzate;
al
contrario
l’effetto
cattura
varrebbe
solo
per
le
piccole
imprese
che
sono
esterne
 alla
cooperativa,
mentre
per
i
soci
si
registrano
effetti
positivi
anche
in
termini
di
onerosità
dei
prestiti,
per
l’instaurarsi
 di
una
relazione
di
“monitoraggio
alla
pari”
(peer
monitoring).


49
 Si
 veda
 a
 questo
 proposito
 “L’indagine
 di
 UniCredit
 Banca
 d’Impresa
 sulla
 corporate
 governance:
 i
 principali


risultati”,
in
Studi
Economici,
II/2004,
e
l’articolo
di
Belli
e
Giordano
(2005).


50
 Il
 tipico
 andamento
 a
 smile
 (valori
 medi
 delle
 code
 superiori
 ai
 valori
 centrali)
 del
 fenomeno
 riportato
 nella


tabella
6
è
spiegabile
da
due
ordini
di
motivi.
Al
crescere
della
dimensione
aziendale,
cresce
sia
la
necessità
per
le
banche
 di
 ridurre
 l’esposizione
 complessiva
 verso
 il
 singolo
 affidato,
 sia
 il
 bisogno
 da
 parte
 dell’impresa
 di
 avere
 diversi
 interlocutori
 per
 ogni
 area
 geografica
 di
 attività.
 Con
 riferimento
 alle
 PMI,
 al
 contrario,
 il
 fenomeno
 è
 riconducibile
 all’opacità
 informativa,
 che
 spinge
 le
 banche
 a
 frazionare
 il
 rischio
 o
 l’imprenditore
 ad
 operare
 con
 più
 banche,
 mostrando
a
ciascuna
solo
una
parte
delle
informazioni.
Cfr.
Unicredit
Banca
d’Impresa
(2004).


51
Ciò
ha
nel
nostro
Paese
radici
di
carattere
storico
che
risale
alla
modalità
con
cui
il
sistema
bancario
italiano
si
è


sviluppato
 a
 partire
 dal
 secondo
 dopoguerra,
 e
 in
 particolare
 ai
 provvedimenti
 di
 carattere
 amministrativo,
 fra
 cui
 il
 massimale
sugli
impieghi
e
i
vincoli
di
portafoglio
introdotti
negli
anni
’70.



vincoli
 di
 liquidità52,
 sia
 in
 termini
 di
 disponibilità
 di
 credito,
 sia
 in
 termini
 di
 maggiori


tassi
attivi,
oppure
da
una
scelta
delle
banche
tesa
a
ridurre
la
concentrazione
dei
rischi
in
 capo
a
un
unico
soggetto.
Un’ipotesi
alternativa,
che
emerge
dallo
studio
di
Vulpes
(2006),
 è
che
il
grado
di
multiaffidamento
può
derivare,
a
parità
di
altre
condizioni,
dai
costi
cui
le
 banche
incorrono
nell’attività
di
monitoraggio
dei
propri
affidati.
Tali
costi
possono
essere,
 infatti,
 associati
 all’opacità
 informativa
 delle
 aziende
 e,
 più
 in
 generale,
 a
 strutture
 di


governance
di
tipo
non
codificate,
che
potrebbero
essere
caratterizzate
da
un
minor
livello


di
protezione
dei
terzi
creditori.
Ciò
porterebbe
a
pensare
che
il
grado
di
multiaffidamento
 possa
 costituire
 un
 meccanismo
 assicurativo
 utilizzato
 dalle
 banche
 per
 far
 fronte
 a
 una
 difficoltà
nel
valutare
le
imprese
affidate53.


Nel documento Le prospettive dei confidi meridionali (pagine 45-47)