PICCOLE IMPRESE ALTRE IMPRESE T OTALE PICCOLE IMPRESE ALTRE IMPRESE T OTALE PICCOLE IMPRESE ALTRE IMPRESE T OTALE NORD OVEST BANCHE PICCOLE 32,6 24,5 25,6 35,0 22,6 24,0 31,4 25,9 26,7 ‐ APPARTEN. A GRUPPI 5,7 4,3 4,5 5,1 4,6 4,7 6,0 4,1 4,4 ‐ LOCALI 18,4 7,1 8,6 21,2 7,0 8,6 17,0 7,2 8,7 ‐ ALTRE 8,5 13,1 12,5 8,7 11,0 10,7 8,5 14,7 13,7 BANCHE GRANDI 67,4 75,5 74,4 65,0 77,4 76,0 68,6 74,1 73,3 TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 NORD EST BANCHE PICCOLE 54,2 32,3 37,2 48,9 26,9 30,1 56,2 37,4 42,8 ‐ APPARTEN. A GRUPPI 7,2 6,7 6,8 5,9 6,6 6,5 7,7 6,8 7,1 ‐ LOCALI 41,6 18,9 24,0 37,3 14,5 17,7 43,3 23,0 28,8 ‐ ALTRE 5,4 6,7 6,4 5,8 5,8 5,8 5,2 7,6 6,9 BANCHE GRANDI 45,8 67,7 62,8 51,1 73,1 69,9 43,8 62,6 57,2 TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 CENTRO BANCHE PICCOLE 46,2 31,1 33,8 50,0 31,5 34,4 44,7 30,9 33,6 ‐ APPARTEN. A GRUPPI 19,7 12,1 13,5 19,8 14,4 15,3 19,7 10,9 12,6 ‐ LOCALI 23,1 9,6 12,0 27,1 10,8 13,4 21,4 8,9 11,4 ‐ ALTRE 3,4 9,5 8,3 3,1 6,2 5,7 3,5 11,1 9,6 BANCHE GRANDI 53,8 68,9 66,2 50,0 68,5 65,6 55,3 69,1 66,4 TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 SUD E ISOLE BANCHE PICCOLE 40,5 29,7 32,7 43,6 28,7 31,4 39,4 30,5 33,4 ‐ APPARTEN. A GRUPPI 16,3 14,2 14,8 18,6 14,1 15,0 15,5 14,3 14,7 ‐ LOCALI 19,1 10,1 12,6 21,3 9,8 11,9 18,4 10,4 13,0 ‐ ALTRE 5,0 5,4 5,3 3,7 4,7 4,5 5,5 5,8 5,7 BANCHE GRANDI 59,5 70,3 67,3 56,4 71,3 68,6 60,6 69,5 66,6 TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 ITALIA BANCHE PICCOLE 43,8 28,5 31,3 43,7 26,0 28,4 43,8 30,2 33,2 ‐ APPARTEN. A GRUPPI 10,9 7,6 8,2 10,3 7,9 8,2 11,1 7,4 8,2 ‐ LOCALI 27,1 11,0 14,0 27,5 10,2 12,6 26,9 11,5 14,9 ‐ ALTRE 5,8 9,9 9,1 5,9 8,0 7,7 5,8 11,3 10,1 BANCHE GRANDI 56,2 71,5 68,7 56,3 74,0 71,6 56,2 69,8 66,8 TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: BentivogliCocozzaFogliaIannotti (2007) su segnalazioni vigilanza
47 Il capitalismo italiano presenta tre caratteristiche, che talvolta divengono caratteristiche frenanti del sistema
economico del Paese: una struttura proprietaria d’impresa di tipo familiare, una sensibile influenza delle politiche fiscali nell’orientare le preferenza delle imprese verso o l’una o l’altra fonte di finanziamentio, e una forte prevalenza dell’attività bancaria nel sistema finanziario, cui fa riscontro un limitato sviluppo del mercato azionario. In particolare la presenza familiare prevale soprattutto nelle PMI: nella classe 10‐50 addetti la percentuale di imprese controllate o di proprietà di una persona fisica residente in Italia è superiore al 90%, un valore che va riducendosi all’aumentare delle dimensioni aziendali, dal 78% nella classe 51‐250 addetti, al 22% nelle imprese con oltre 500 addetti (Capitalia 2002). Tuttavia il fenomeno dell’impresa familiare è presente non solo in Italia, anche se nel nostro Paese assume valori tra i più elevati. Cfr. Costa‐Costagli (2004), pag. 9.
Nel 2005 i prestiti bancari alle piccole imprese (con meno di 20 addetti) rappresentavano poco meno di un quinto del totale. In questo segmento le banche locali mostravano un livello di specializzazione, detenendo una quota di mercato pari al 27 per cento, pressappoco doppia di quella relativa al totale dei prestiti delle imprese (Tabella 5). Le piccole imprese, come già detto, sono in genere opache nei confronti dell’esterno e presentano confini incerti fra il patrimonio dell’impresa e quello dell’imprenditore. Ciò induce a rafforzare la personalizzazione dei rapporti con le banche, soprattutto nel caso di banche locali, che possano sfruttare al meglio il radicamento sul territorio (Bentivogli‐ Cocuzza‐Foglia‐Iannotti, 2007). Peraltro, la quota dei finanziamenti delle piccole banche alle piccole imprese è in sensibile aumento a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, evidenza che conferma il ruolo privilegiato riconosciuto dalla letteratura alle piccole banche nel finanziamento delle PMI (Cesarini‐Ferri‐Giardino, 1997).
La letteratura dedicata al tema dei rapporti banca‐PMI in Italia ha posto l’attenzione sull’importanza del relationship lending in quanto favorisce il credito alle PMI sotto il profilo della quantità (Angelini‐Di Salvo‐Ferri, 1998)48, invece, sotto il profilo dei costi, la
banca, sfruttando il vantaggio informativo derivante da relazioni di credito intense, può, imporre tassi attivi più elevati.
Tra i costi impliciti del relationship lending vi è il multiafidamento che, insieme alla prevalenza del finanziamenti bancario nella struttura finanziaria delle imprese, è una delle caratteristiche salienti del rapporto banca‐impresa in Italia: le imprese tendono ad avere rapporti creditizi con più intermediari bancari. Secondo i dati Centrale Rischi riferiti ad un campione di oltre 20.000 società non finanziarie al 31/12/2003, le aziende del nostro Paese tendono, infatti, a farsi affidare in media da 7 istituti bancari49 (Tabella 650).
Il multiaffidamento non è un fenomeno solo italiano ma è diffuso anche in altri Paesi europei, anche se nel nostro Paese sembra assumere una maggiore rilevanza: Ongena e Smith (2000), considerando un campione di 1.079 grandi imprese europee, notano che le imprese italiane si caratterizzano per il più elevato grado di multiaffidamento (15,2 banche per impresa contro una media di 5,6 per il totale del campione)51.
Dalle principali analisi del fenomeno emerge che il multiaffidamento può derivare da una scelta delle imprese che tendono a rivolgersi a più banche per ridurre il rischio di
48 Angelini et al. (1998) evidenziano come nel caso di banche di credito cooperativo le ripercussioni negative sui
tassi attivi non siano generalizzate; al contrario l’effetto cattura varrebbe solo per le piccole imprese che sono esterne alla cooperativa, mentre per i soci si registrano effetti positivi anche in termini di onerosità dei prestiti, per l’instaurarsi di una relazione di “monitoraggio alla pari” (peer monitoring).
49 Si veda a questo proposito “L’indagine di UniCredit Banca d’Impresa sulla corporate governance: i principali
risultati”, in Studi Economici, II/2004, e l’articolo di Belli e Giordano (2005).
50 Il tipico andamento a smile (valori medi delle code superiori ai valori centrali) del fenomeno riportato nella
tabella 6 è spiegabile da due ordini di motivi. Al crescere della dimensione aziendale, cresce sia la necessità per le banche di ridurre l’esposizione complessiva verso il singolo affidato, sia il bisogno da parte dell’impresa di avere diversi interlocutori per ogni area geografica di attività. Con riferimento alle PMI, al contrario, il fenomeno è riconducibile all’opacità informativa, che spinge le banche a frazionare il rischio o l’imprenditore ad operare con più banche, mostrando a ciascuna solo una parte delle informazioni. Cfr. Unicredit Banca d’Impresa (2004).
51 Ciò ha nel nostro Paese radici di carattere storico che risale alla modalità con cui il sistema bancario italiano si è
sviluppato a partire dal secondo dopoguerra, e in particolare ai provvedimenti di carattere amministrativo, fra cui il massimale sugli impieghi e i vincoli di portafoglio introdotti negli anni ’70.
vincoli di liquidità52, sia in termini di disponibilità di credito, sia in termini di maggiori
tassi attivi, oppure da una scelta delle banche tesa a ridurre la concentrazione dei rischi in capo a un unico soggetto. Un’ipotesi alternativa, che emerge dallo studio di Vulpes (2006), è che il grado di multiaffidamento può derivare, a parità di altre condizioni, dai costi cui le banche incorrono nell’attività di monitoraggio dei propri affidati. Tali costi possono essere, infatti, associati all’opacità informativa delle aziende e, più in generale, a strutture di
governance di tipo non codificate, che potrebbero essere caratterizzate da un minor livello
di protezione dei terzi creditori. Ciò porterebbe a pensare che il grado di multiaffidamento possa costituire un meccanismo assicurativo utilizzato dalle banche per far fronte a una difficoltà nel valutare le imprese affidate53.