1. Spazio, città e letteratura: la ricerca di una metodologia di indagine
1.4. Ipotesi, corpus, metodologia
Nel tentare di definire un approccio che rispondesse alle mie esigenze di indagine, partendo dal concetto bachtiniano di cronotopo come principale
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riferimento concettuale, mi sono lasciata ispirare dalla centralità accordata da Jurij Lotman ai concetti di testo e di traduzione. Nella prospettiva semiotico-culturale tanto la città reale quanto quella immaginaria, prodotto di una rappresentazione letteraria, vanno considerati come testi secondari derivanti dalla traduzione di quel testo primario o assoluto che è il sistema culturale di riferimento. A considerazioni per certi aspetti analoghe approda anche la geocritica di Westphal la quale pone in luce invece come le rappresentazioni spaziali siano in definitiva trasposizioni di una matrice referenziale, di un realema il quale fornisce i codici culturali necessari all’appropriazione artistico-letteraria della spazialità in questione. Stando così le cose si può allora pensare di esaminare le rappresentazioni di Istanbul offerte dalla narrativa turca contemporanea come testi letterari tradotti o trasposti a partire da un testo relativo sotteso alla città. Si tratterebbe a questo punto condurre un’analisi che per usare un suggestivo gioco di parole si articolerebbe in due fasi interrelate: isolare il testo nella città per indagare la città nel testo. Ma quale sarebbe la matrice delle traduzioni o in altri termini qual è il testo assoluto sotteso all’Istanbul degli anni 80? La mia ipotesi, che in fondo era già implicitamente contenuta nelle premesse di questa introduzione, è che si tratti della crisi del kemalismo ossia della grande narrativa che conferisce senso alla moderna epopea nazionale turca.
Ammettendo che dietro ogni paesaggio letterario si celi una specifica definizione del sé sia collettivo che individuale e che a partire dagli anni ’80, per effetto della messa in discussione della narrativa kemalista, Istanbul assurga a luogo, reale o immaginato, per l’emergere di nuove identità e memorie, resta tuttavia da chiedersi come si verifichi questo fenomeno. Quali sono i temi, i
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motivi, le metafore ma anche le forme, le strategie narrative con cui gli scrittori post1980 pervengono alla rappresentazione della città? Si tratta effettivamente di elementi nuovi, ideati per raccontare le profonde trasformazioni che a partire dal 1980 interessano lo spazio urbano di Istanbul e funzionali all’emergere di nuove narrative sul sé oppure essi sono, anche solo in parte, il risultato del recupero, della reinterpretazione e risignificazione di motivi e figure già precedentemente codificati? Infine sarebbe forse più corretto parlare del riemergere di identità e memorie marginalizzate o represse dal paradigma nazionale, piuttosto che dell’affermarsi di nuove?
I testi e i relativi autori che compongono il corpus di riferimento di questo lavoro sono stati per l’appunto selezionati nell’ottica di verificare e sostenere tali ipotesi e di rispondere a tali domande. Ho scelto pertanto di prendere in esame due scrittori in particolare: Orhan Pamuk (n. 1952) e Latife Tekin (n. 1957), entrambi voci tra le più rappresentative della nuova tipologia di romanzieri impostasi sulla scena letteraria turca a partire dagli anni ’80 anche in ragione della peculiare attenzione riservata al tema della città e alla relazione tra soggettività, spazialità urbana e memoria. Nello specifico analizzerò le rappresentazioni di Istanbul esibite rispettivamente nel romanzo Kara Kitap (1990; Il libro nero, 1996) e nell’autobiografia İstanbul: Hatıralar ve Şehir (2003; Istanbul: i ricordi e la città, 2006) di Pamuk e nei primi due romanzi di Tekin Sevgili Arsız Ölüm (1983; Cara spudorata morte, 1988) e Berci Kristin Çöp Masalları (1984; Fiabe dalla collina dei rifiuti, 1997). Nel caso di Pamuk mi riserverò inoltre un sostanziale ricorso alla produzione saggistica dell’autore, essenziale per comprenderne la riflessione sulla città, con particolare riferimento alle raccolte
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Öteki Renkler (1999; Altri colori, 2010) e The Naive and Sentimental Novelist (2010; Romanzieri ingenui e sentimentali, 2011). Il corpus è stato in seguito ampliato tenendo presente tre dei principali elementi metodologici della geocritica: la multifocalizzazione, declinata nel mio caso secondo la bipolarità centro-periferia, l’approccio stratigrafico e l’intertestualità. Ho pertanto accostato a ciascuno dei due scrittori la figura di un autore-precursore la cui opera costituisce a mio avviso un importante precedente nonchè un riferimento estetico fondamentale nella poetica urbana di Pamuk e Tekin. Comparerò pertanto l’Istanbul di Pamuk con quella di Ahmet Hamdi Tanpınar (1901-1962), concentrandomi in particolare sul romanzo Huzur (1949; Serenità, 2017), sul capitolo “Istanbul” contenuto nella monografia Beş Şehir (1946; “Cinque città”) e sui saggi dedicati alla città contenuti nella curatela postuma Yaşadığım Gibi (1996; “Come ho vissuto”), mentre l’analisi dei testi di Tekin sarà incrociata con il romanzo Deniz Küstü (1978; “Il mare è in collera”) di Yaşar Kemal (1923- 2015).
La scelta di prendere in esame queste due coppie di autori nasce da una serie di considerazioni fondamentali: la prima, è che qualunque indagine delle rappresentazioni spaziali non può esimersi dall’addottare una duplice prospettiva sincronica e diacronica. In secondo luogo ritengo che una comparazione tra le Istanbul degli autori contemporanei e quelle dei relativi precursori, tenendo opportunamente conto delle diversità dei punti di vista, possa permettere di capire se dopo il 1980 le rappresentazioni dello spazio urbano di Istanbul siano in qualche modo legate all’impiego di strategie narrative effettivamente innovative. Dal punto di vista della multifocalizzazione, la coppia Pamuk-Tanpınar è
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essenziale a mio avviso per comprendere se e come alla luce del rinnovato clima culturale che caratterizza gli anni ’80, la percezione della città propria del centro, interna cioè all’élite stambuliota laica e borghese principale soggetto dei processi di costruzione nazionale e della modernizzazione kemalista sia mutata. Viceversa la coppia Tekin-Kemal sta qui a rappresentare il punto di vista periferico o per dirla con le parole di Westphal la trasgressione della periferia nel centro con tutte le implicazioni connesse sul piano non solo estetico ma socioculturale in senso più ampio. Entrambi gli autori muovono infatti alla rappresentazione della spazialità urbana dalla prospettiva di coloro che vi sono geograficamente e culturalmente estranei e che pertanto ne occupano, spesso anche fisicamente, i margini: le classi subalterne e i migranti di provenienza anatolica. Le aree più periferiche della città, come le piccole comunità di pescatori sulle coste del mare di Marmara raccontati da Kemal al pari dei gecekondular di Tekin, in quanto centri di elaborazione di una subcultura urbana riflesso della reazione alla modernità, si pongono certamente in una relazione oppositiva e dirompente con la prospettiva elitaria e con l’immagine “classica” di Istanbul condivisa sia da Tanpınar che da Pamuk. Ponendo in luce le linee di continuità, così come le eventuali divergenze, cercherò infine di ricostruire le catene intertestuali da cui originano le differenti rappresentazioni, centrali e periferiche, della città per evidenziare come le peculiari poetiche urbane di Pamuk e Tekin scaturiscano non solo dall’esperienza concreta ma anche dal dialogo costante con Tanpınar e Kemal.
Il criterio metodologico secondo cui procederà l’analisi può dirsi in definitiva determinato dal tentativo di sovrapporre la riflessione lotmaniana sul concetto di testo, come metafora formale per descrivere sia alcuni degli aspetti simbolici sia il
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funzionamento del meccanismo narrativo della città, all’approccio geocritico il quale invece utilizza la medesima metafora come ipotesi concreta di lavoro. Ciò significa in altre parole considerare ogni autore sia come lettore-interprete dello spazio urbano, e del testo culturale ad esso sotteso, sia come scrittore-traduttore del proprio testo narrativo della città. Particolare attenzione verrà pertanto data alle modalità con cui i singoli autori presi in esame procedono sia alla codificazione del testo di cui è depositaria l’Istanbul reale che alla costruzione dell’Istanbul immaginaria contenuta nel proprio testo. In tale ottica mi avvarrò delle nozioni di lingua e memoria, entrambi centrali tanto nella descrizione lotmaniana del sistema semiotico urbano quanto nella costruzione della moderna cultura turca nazionale, come chiavi di lettura e strumenti di significazione mediante cui sia la città reale che quella finzionale acquisiscono senso nella prospettiva dei diversi scrittori. L’obiettivo ultimo che mi pongo in questo modo di raggiungere è quello di dimostrare come nei propri testi su e di Istanbul sia Pamuk che Tekin, nelle forme e strategie rappresentative a loro più congeniali e attraverso specifiche relazioni intertestuali, portino a termine un’attenta rilettura critica della moderna narrativa turca nazionale nonché dei canoni culturali e linguistici legittimanti il kemalismo come progetto per molti aspetti incompiuto sia di modernizzazione che di costruzione della nazione.
Il capitolo dedicato alla coppia Pamuk-Tanpınar è suddiviso in due paragrafi. Nel primo viene introdotta la figura di Pamuk come romanziere d’elezione della città per sottolineare la vocazione con cui lo scrittore è dedito alla rappresentazione della città. Seguirà una descrizione dei romanzi considerati facendo particolare riferimento al complesso dispositivo di memorie impiegato,
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sotteso alla poetica urbana dell’autore. Passerò poi a illustrare il lascito estetico di Tanpınar attraverso il ricorso metaforico alle categorie di scrittori “ingenui” e “sentimentali” su cui Pamuk fonda la propria personale teoria del romanzo. Il secondo sottoparagrafo è invece dedicato all’analisi delle due principali pratiche di significazione dei testi di Istanbul dei due scrittori: l’osservazione e la flânerie. La disamina consentirà di porre in luce sia i repertori di motivi codificanti che le mappe interiori della città elaborate da entrambi gli autori.
Il capitolo incentrato sulla coppia Tekin-Kemal si articola invece in tre paragrafi. Nel primo, dopo aver definito il contesto storico della migrazione, viene ricostruito il percorso umano e intellettuale degli scrittori sottolinendone i principali momenti di continuità. Nel secondo paragrafo viene invece illustrata la poetica urbana dei due autori in termini di ricerca linguistica e del sé. Si farà inoltre riferimento alla pratica del reportage e dell’intervista come principale strumento di recupero della memoria sia soggettiva che urbana. Il terzo paragrafo sarà invece dedicato all’analisi comparata dei testi presi a riferimento.
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2. La città e il suo scrittore d’elezione: la poetica di Istanbul di Orhan Pamuk