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Memorie di Orhan, memorie di Istanbul: chiavi di lettura verso una scrittura

2. La città e il suo scrittore d’elezione: la poetica di Istanbul di Orhan Pamuk

2.1. Città e memoria: genesi di un romanziere di Istanbul

2.1.2. Memorie di Orhan, memorie di Istanbul: chiavi di lettura verso una scrittura

Definire le modalità con cui la memoria viene impiegata nella rappresentazione della città costituisce forse il primo passo essenziale per comprendere la poetica di Istanbul di Orhan Pamuk. In realtà, benché la letteratura critica sia solita esprimersi al singolare, da una prima disamina dei testi risulta evidente il ricorso ad un complesso dispositivo che vede coinvolte diverse tipologie di memorie, alcune concernenti in maniera specifica il vissuto dell’autore, altre invece centrate soprattutto sulla città. Distinguere ciascuna di queste memorie e illustrare il modo in cui vengono messe in relazione con lo spazio urbano si rivela altresì importante perché consente di stabilire non solo come ma soprattutto secondo quali direttrici evolve l’elaborazione poetica dell’autore. È dal complesso intreccio tra memorie personali e urbane che origina infatti la peculiare scrittura di Istanbul di Orhan Pamuk.

Orhan Pamuk nasce il 7 giugno 1952 nel ricco e moderno quartiere di Nişantaşı, sulla sponda europea di Istanbul, dove trascorre buona parte della sua vita e dove vive tutt’ora. Una precoce sensibilità estetica lo porta da giovanissimo ad avvicinarsi al disegno e alla pittura facendo della città il suo primo soggetto rappresentato. Diplomatosi nel 1970 al Robert College, il prestigioso liceo americano della città, si iscrive alla facoltà di architettura nel tentativo di conciliare questa spiccata inclinazione artistica con la diversa volontà genitoriale, orientata verso un futuro professionale più stabile e remunerativo. La decisione, due anni dopo, di interrompere gli studi in architettura matura in seguito

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all’abbandono della pittura e alla scoperta della scrittura, a cui l’autore si dedicherà completamente dopo la laurea in giornalismo conseguita nel 197694. Come narrato nella sua autobiografia, gli eventi che segnano il corso di questo processo di formazione si sviluppano parallelamente all’evolversi del rapporto con la città e al desiderio dell’autore di rendersene interprete. Non a caso in İstanbul l’attaccamento quasi viscerale ai luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza, che lo scrittore stesso riconosce come un aspetto distintivo della sua persona, viene intimamente correlato alla vocazione di romanziere:

Siamo arrivati al tema centrale: dal giorno in cui sono nato non ho mai abbandonato le case, le strade, i quartieri dove ho vissuto. [...] E sento che quello che rende speciale la mia storia per me, e attraverso di me per Istanbul, consiste nel fatto di essere rimasto sempre nella stessa casa, in un secolo contraddistinto da tanta emigrazione, e dalla potenza creativa che ne segue. [...] Ci sono scrittori come Conrad, Nabokov e Naipaul che hanno scritto con successo pur avendo cambiato lingua, nazione, cultura, paese, continente, persino civiltà. Io so che la mia ispirazione trae vigore dall’attaccamento alla stessa casa, alla stessa strada, allo stesso panorama e alla stessa città, come l’identità creativa di quegli scrittori ha preso forza dall’esilio e dall’emigrazione. Questo mio legame con Istanbul significa che il destino di una città può diventare il carattere di una persona95.

In ragione di questo forte legame i ricordi personali dell’autore si configurano come il primo essenziale riferimento a partire dal quale viene elaborata l’immagine della città. L’Istanbul di Pamuk prende così corpo grazie a una “poetica della rimembranza” di forte sapore proustiano, in cui lo scrittore connota luoghi, paesaggi, vedute, dettagli specifici, personaggi o episodi della storia urbana sulla scorta di quanto questi singoli elementi lo portano, volontariamente o

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Per ulteriori dettagli biobibliografici si veda Yan Overfield Shaw, “Orhan Pamuk”, in, Burcu Alkan, Çimen Günay Erol (a cura di), The Dictionary of Literary Biography, Vol. 373 - Turkish

Novelists Since 1950, Gale, Washington 2012, pp. 243–268. 95

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involontariamente, a ricordare96. La memoria autobiografica, quella cioè direttamente collegata al vissuto dell’autore e in particolare agli anni dell’infanzia e della giovinezza, si rivela qui fondamentale nell’attribuire un particolare valore affettivo e con esso una prospettiva soggettiva alla rappresentazione della città. In questo modo l’autore non solo si appropria in maniera quasi esclusiva di uno spazio che per definizione appartiene alla sfera collettiva ma riesce nell’intento di ricondurlo nel dominio della scrittura autobiografica cosicché tanto la città quanto la sua vicenda personale possano acquisire un senso specifico l’una alla luce dell’altra. Nell’immediato il risultato è quel particolare e a tratti insolubile intreccio tra racconto del sé e della città che rende conto dell’estrema originalità di un’opera come İstanbul.

Sull’importanza che la memoria riveste nella sua elaborazione letteraria Pamuk si sofferma anche in merito alla scrittura di Kara Kitap:

I ‘fatti’ che si svolgono in Kara Kitap sono stati singolarmente estratti dagli angoli bui della memoria e accostati l’uno all’altro. Il braccio rotto di un vecchio bambolotto di per sé non significa nulla; ciò che lo rende interessante è il posto che occupa nella nostra memoria. Da lì posso entrare in un giardino e indicare con piacere al lettore ciò che voglio mostrargli. Essendo piena zeppa di oggetti che rievocano ogni epoca, proprio come la bottega di un rigattiere, la memoria è un tesoro irrinunciabile per ogni scrittore che voglia fuggire da una storia ‘piatta’97

.

Il passaggio sopra citato suggerisce alcune importanti considerazioni riguardo le diverse modalità con cui la memoria può prendere parte alla creazione di

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Sulla lettura proustiana si vedano H. B. Kahraman İstanbul’da Hatıra ve Hafiza, cit., pp. 29-63 e C. Dufft, Orhan Pamuks Istanbul, cit. pp. 26-35.

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“Kara Kitap’ta “olup bitenler” hafızanın karanlık köşelerinden bir bir çıkartılıp yan yana getiriliyor. Eski ve kırıl bir oyuncak bebeğin kolu, kendi başına hiçbir şey değildir; onun hafızamızda tutmuş olduğu yerdir ilgi çekici olan. O noktadan bir bahçeye girebilir ve okuyucuya göstermek istediğim şeyleri keyifle işaret edebilirdim. Tıpkı bir eskici dükkânında olduğu gibi, bütün zamanları çağrıştıran eşyalarla kıpır kıpır dolu olduğu için hafıza “dümdüz” bir hikâyeden kaçınmak isteyen her yazar için vazgeçilmez bir hazinedir”, O. Pamuk, Öteki Renkler, cit., p. 152.

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un’opera letteraria. In prima istanza Pamuk ribadisce l’idea di una linea poetica in cui il ricordo, in particolare del tempo dell’infanzia, riveste un ruolo essenziale tanto nel processo di scrittura del sé quanto in quello di significazione dello spazio urbano. In altre parole l’autore sembrerebbe qui suggerire l’ipotesi di un approccio essenzialmente ermeneutico in cui la memoria soggettiva si configura come la chiave principale per la lettura della città. Come una sorta di prisma essa media l’entropia semantica propria dello spazialità urbana per conferirle ordine, senso e dunque carattere di narratività. Lo scrittore vi ricorre come a una sorta di lente che consente di tradurre i più discorsi sul sé, individuale oltre che collettivo, di cui Istanbul si fa portatrice in una narrativa dalla forte impronta personale. In questo modo definisce la propria idea di città come testo che la memoria rende soggettivamente interpretabile o, in altri termini, come spazio di scrittura autobiografica senza tuttavia tralasciare la dimensione storica, sociale e culturale.

D’altro canto mediante il riferimento a metafore suggestive come il giardino o la bottega del rigattiere, Pamuk sottolinea inoltre la natura composita ed estremamente eterogenea della memoria che viene qui concepita come un inventario o meglio una collezione di esperienze differenti da cui lo scrittore attinge liberamente per costruire la propria storia, come in una sorta di collage. La stessa complessità dei meccanismi mnesici non vincolerebbe pertanto la rappresentazione della città alla sola dimensione del vissuto individuale ma altre, se non altrui, memorie e prospettive concorrerebbero a definire la relazione tra soggetto e spazio urbano. Il ricorso a tali memorie “esterne” mentre in Kara Kitap è finalizzato alla ricostruzione dell’immaginario e della memoria culturale urbani, nelle loro ibride contaminazioni tra riferimenti “moderni-europei” e “tradizionali-

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islamici”, in İstanbul il focus è centrato sul piano soggettivo e sulle implicazione di tale ibridità nel processo formativo di chi come l’autore appartiene alla terza generazione repubblicana. Quest’aspetto cruciale viene introdotto dallo stesso autore mediante un’interessante parallelismo con le memorie legate alla prima infanzia:

Perché i nostri genitori solo dopo tanti anni ci raccontano queste nostre prime esperienze di vita, e noi godiamo, rabbrividendo, ad ascoltare la nostra storia, quasi sentissimo le prime parole e contemplassimo i primi passi di un altro. Questo dolce sentimento, che ricorda il piacere di rivederci nei sogni, ci fa nascere dentro anche un’abitudine destinata ad avvelenarci per tutta la vita: la sensazione di imparare il significato delle situazioni che abbiamo vissuto ‒ persino dei piaceri più profondi ‒ dagli altri. Così proprio come questi «ricordi» della prima infanzia, che assimiliamo di buon grado e poi raccontiamo con convinzione perché cominciamo a credere di ricordarli noi stessi, alla fine quello che dicono gli altri su diverse azioni che abbiamo compiuto nella vita non solo diventa un po’ la nostra opinione, ma si trasforma anche in un ricordo più importante di quanto abbiamo vissuto. Molte volte impariamo dagli altri il significato della città in cui abitiamo, come la vita che viviamo98.

Secondo riferimento essenziale per lo scrittore è dunque la memoria famigliare intesa tuttavia come peculiare esempio di memoria comunicativa99. Lo scrittore chiama infatti in causa non solo i ricordi relativi al proprio vissuto o al nucleo familiare in senso stretto, bensì un più ampio sistema di memorie orali, trasmesse a livello intergenerazionale e inerenti soprattutto la città. Pamuk nasce in una famiglia della media borghesia dagli alterni destini economici: il discreto capitale accumulato dal nonno paterno, un ingegnere civile originario di Manisa che aveva fatto fortuna nel settore delle infrastrutture, viene a ridursi considerevolmente a seguito degli investimenti sbagliati ad opera del padre e degli zii. A simboleggiare

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O. Pamuk, Istanbul, cit., p. 8.

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Per memoria comunicativa si intende una particolare tipologia di memoria collettiva che vede coinvolti i membri di un gruppo fino a tre generazioni. Ulteriore caratteristica è la sua continua mutevolezza, dovuta all’assenza di riferimenti fissi al passato e alla durata storica limitata fino a un massimo di un secolo. Cfr. Aleida Assman, Ricordare. Forme e mutamenti della memoria

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tanto il declino sociale ed economico quanto il patrimonio mnestico familiare è palazzo Pamuk, il moderno condominio costruito su un terreno adiacente la vecchia dimora di epoca ottomana per ospitare i diversi nuclei della famiglia e successivamente venduto. Nell’edificio, dove è tornato oggi a vivere e a scrivere le sue opere, Pamuk trascorre tutta la prima parte dell’infanzia in continuo contatto con i diversi membri del ramo familiare paterno e in particolare con la nonna, la vera matriarca del gruppo. Lo scrittore cresce così circondato da racconti inerenti non solo la storia della famiglia ma anche quella della città tra aneddoti e episodi risalenti tanto al periodo più recente o comunque successivo alla sua nascita dei quali tuttavia, come per i primissimi anni della sua vita, non può avere memoria diretta, quanto al passato imperiale. In tal senso la figura della nonna, appartenente all’ultima generazione che ancora serba il ricordo della vecchia Istanbul capitale avendo vissuto in prima persona il crollo dell’Impero insieme ai radicali mutamenti che hanno segnato il passaggio alla Repubblica, si rivela determinante nel fornire queste preziose quanto residue testimonianze di un’epoca destinata a sparire dalla memoria collettiva del paese.

Nella sua duplice accezione di memoria comunicativa e familiare, l’insieme di ricordi trasmesso a palazzo Pamuk assolve dunque a più funzioni nell’elaborazione poetica dell’autore. In primo luogo fornisce il retroterra socioculturale necessario a conferire maggiore valenza sul piano collettivo al dato autobiografico. Ciò che emerge dai riferimenti alle vicende personali dello scrittore e della sua famiglia è innanzitutto un accurato e per certi aspetti inedito spaccato delle élite borghesi di Istanbul e delle loro dinamiche interne. D’altro canto mediante le medesime vicende il lettore guadagna anche una prospettiva

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differente, più intima e particolareggiata, sulla storia urbana che, arricchita di dettagli e suggestioni di natura personale e privata, assume coloriture e profondità di significato spesso non riscontrabili nella saggistica e nella letteratura monografica sull’argomento. Ma soprattutto le memorie famigliari, e nello specifico della nonna paterna, rappresentano un riferimento essenziale per rimediare all’amnesia storico-culturale imposta dal nazionalismo kemalista e risalire così all’atmosfera cosmopolita propria della città di epoca prerepubblicana e di cui lo scrittore connota, nonostante l’evidente distanza temporale, anche la rappresentazione dell’Istanbul della propria infanzia.

Pur accordando assoluta priorità alla dimensione soggettiva e al proprio personale punto di vista, Pamuk non manca tuttavia di tener conto dell’immaginario culturale condiviso relativo alla città. Il ricorso alle precedenti produzioni letterarie e artistiche si rivela in tal senso altrettanto essenziale quanto il richiamo al tempo dell’infanzia e ai ricordi di famiglia. Viene così a completarsi quel complesso intreccio di memorie che, come un sistema di diverse chiavi di lettura e interpretazione, consente allo scrittore di pervenire alla propria rappresentazione dello spazio urbano. Nell’elaborare la propria visione estetica l’autore attinge infatti senza esitazione a quella che si potrebbe definire come la memoria testuale e iconica di Istanbul ossia alla ricca tradizione letteraria e visiva, di origine non solo locale, che a partire dalla fine del XIX secolo, vede la città protagonista e di cui lo stesso Pamuk riconosce l’influenza. Diverse finalità poetiche, non ultimo il carattere intertestuale che contraddistingue in senso postmodernista l’intera opera dello scrittore, potrebbero rendere conto del perché Pamuk rimandi esplicitamente a tale tradizione. Ad emergere in maniera più

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evidente è tuttavia il desiderio di recuperare, per quanto possibile, frammenti di una memoria urbana condannata all’oblio, ampliando così la riflessione sulla città da una prospettiva individuale, dominata dai ricordi personali e legata al piano della realtà concreta, ad un livello più astratto, discorsivo, legato alla dimensione collettiva e dunque alla memoria storica e sociale del paese100. È sulla base di tale motivazione, unitamente alla mancata elaborazione nell’ambito dell’arte e della letteratura ottomana di un’idea di rappresentazione basata su criteri di veridicità e somiglianza e dunque di un’estetica mimetica, che lo scrittore giustifica ad esempio il ricorso ai resoconti di viaggio e alle rappresentazioni offerte dai pittori europei in visita nella Costantinopoli del XIX secolo. Quest’aspetto è ben illustrato in İstanbul:

La rappresentazione delle strade, dell’atmosfera, dell’aria di Istanbul, dei dettagli della sua vita quotidiana, e il ricordo del suo respiro in ogni momento della giornata, del suo profumo, questo lavoro che si poteva realizzare solo attraverso la letteratura è stato compiuto per secoli sempre dai viaggiatori occidentali. Proprio come bisogna guardare le fotografie di Du Camp o le incisioni dei pittori occidentali per saper com’erano le strade di Istanbul negli anni Cinquanta del XIX secolo, o come si vestiva la gente, soltanto dalle pagine scritte dai viaggiatori occidentali (se non voglio passare la vita nei labirinti degli archivi ottomani) posso sapere cosa succedeva cento, duecento, quattrocento anni fa nelle strade, nei viali, nelle piazze dove ho vissuto, o al posto di quale piazza c’era una volta un terreno deserto e in quale terreno deserto c’era una volta una piazza con le colonne, o come si viveva...101.

La letteratura odeporica soprattutto francese e la pittura orientalista si configurano dunque per lo scrittore quali fonti primarie, in termini di immediata reperibilità e accessibilità, per poter ricostruire diacronicamente l’immagine della città e dunque per risalire al suo passato, riempiendo così il vuoto mnemonico e di rappresentazione generato dalla lunga assenza di una tradizione locale artistica e

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Nazan e BülentAksoy, Orhan Pamuk Istanbul’u: Söylemden Gerçeklığe, Gerçeklikten Söyleme, in Nüket Esen;, EnginKılıç, Orhan Pamuk’un Edebi Dünyası, Istanbul, İletişim, 2008, p. 282.

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letteraria che avesse in Istanbul il proprio soggetto privilegiato102. È tuttavia il panorama letterario nazionale a fornire i principali riferimenti estetici e culturali, oltre a far da tramite con il repertorio di memorie e rappresentazioni dei viaggiatori occidentali. Sempre in İstanbul Pamuk dichiara infatti di aver costruito la propria immagine della città in costante dialogo con quattro tra i più celebri nomi della letteratura turca su Istanbul: Yahya Kemal Beyatlı (1884-1958), Ahmet Hamdi Tanpınar (1901-1962), Abdülhak Şinasi Hisar (1883-1963) e Reşat Ekrem Koçu (1905-1975). Pur conferendo pari dignità all’influenza di questi autori, ciascuno dei quali ha contribuito a diverso titolo alla sua elaborazione letteraria, è con Tanpınar che l’autore riconosce di avere maggiore affinità sul piano della sensibilità artistica ed estetica. Sarà dunque opportuno soffermarsi in particolare su questa figura la cui opera rappresenta non soltanto un punto di partenza quasi obbligato nella riflessione estetico-letteraria su Istanbul ma una fonte pressoché imprescindibile di simboli, figure, temi e topoi a cui Pamuk attinge nel dar vita alla propria rappresentazione della città.

2.1.3. Il controverso dialogo con la tradizione: l’eredità di Ahmet