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Γόης e i suoi derivati in Platone

5. Ippia minore

Nell’Ippia Minore troviamo nuovamente la questione sull’educazione già discussa in precedenza e, in particolare, la domanda se la tradizione - in questo caso quella omerica - sia in grado o meno di fornire modelli adeguati.387

Il dialogo si apre con lo scambio di battute fra il giovane Eudico, figlio di Apemanto, e Socrate. I due hanno appena assistito a una ἐπίδειξις pronunciata da Ippia e, su esortazione di Eudico, Socrate si accinge a interrogare il sofista per

385 Senza la quale l’incantamento non sarebbe potuto avvenire, essendo le parole il mezzo per la

sua “attivazione.”

386 Premettiamo che proseguiremo con la numerazione, dal momento che l’ambito in cui ci

muoviamo rimane sempre quello della retorica.

387 Cf. Blondell 2002: 3; Giuliano 2004: 191-192, 204-205. Sull’educazione si veda inoltre la nota

298. Per studi sull’Ippia Minore si vedano p.e. Mulhern 1968: 285; Kahn 1981: 101-118; Zembaty 1989: 56; Weiss 2000: 294. Cf. Denyer 1991; Petrucci 2012.

approfondire la questione poiché non è stato persuaso dall’esposizione. Ippia accetta volentieri l’offerta giacché questo è il suo lavoro: dire a chiunque ciò che voglia sui temi preparati per l’esibizione oratoria e rispondendo a chi vuole ciò che chiede (363 D 1-4) - per un prezzo (364 D 3-4). Appare subito come un uomo pieno di sé, proclamando: οὐδενὶ πώποτε κρείττονι εἰς οὐδὲν ἐµαυτοῦ ἐνέτυχον (364 A 8-9).388 In breve, un vero “sofista.”

Socrate domanda dunque all’Eleo chi pensa sia il migliore nei poemi omerici: Achille o Odisseo. Si tratterà pertanto di una discussione “sull’esegesi omerica, sull’interpretazione dei poeti.”389

Per Ippia il migliore degli uomini è senz’altro Achille, mentre Odisseo è il più multiforme (364 C 5-7); il primo, infatti, è ἀληθής τε καὶ ἁπλοῦς (365 B 4-5),390 il secondo πολύτροπός τε καὶ ψευδής (365 B 5).391

Messo da parte Omero - visto che è impossibile sapere che cosa pensasse quando componeva -, Socrate e Ippia concordano che i falsi sono capaci di ingannare gli uomini (365 D 7-8) e inoltre che sono tali per furbizia e intelligenza, perché sanno ciò che fanno.

Socrate riesce a far alterare Ippia (basandosi su passi omerici) sostenendo che colui che è falso al tempo stesso è anche veritiero - dal momento che solo chi ha scienza può dire il vero e il falso - e viceversa,392 ma la discussione presto riprende, con un Socrate più agguerrito che mai. Quando Ippia rileva che Odisseo comunque mente con premeditazione, mentre Achille lo fa involontariamente, il filosofo, infatti, gli fa notare che Achille però appare a sua volta in qualche modo multiforme; a 371 A 3-8:

ὅτι οὐκ ἐξ ἐπιβουλῆς φῂς τὸν Ἀχιλλέα ψεύδεσθαι, ὃς ἦν οὕτω γόης καὶ ἐπίβουλος πρὸς τῇ ἀλαζονείᾳ, ὡς πεποίηκεν Ὅµηρος, ὥστε καὶ τοῦ Ὀδυσσέως τοσοῦτον

388 “Non ho trovato nessuno che mi fosse in qualcosa superiore.”

389 Petrucci 2012: VIII. Cf. p.e. Dalfen 1974; Ferrari 1989; Giuliano 2005. 390 “Veritiero e diretto.”

391 “Multiforme e falso.”

392 1) chi ha la capacità di dire il vero lo fa con deliberazione e questo è ottimo; 2) anche

all’ignorante può capitare di dire il falso, ma chi ne ha la capacità lo sa fare sistematicamente e perfettamente; 3) ma chi è capace di dire il falso su una cosa sa dire il vero in virtù della stessa competenza; 4) colui che è capace di dire il vero e il falso sarà anche buono; 5) la stessa persona è veritiera e falsa. Questo discorso paradossare si basa sulla duplicità dell’“essere capace” nelle sue connotazioni di “essere in grado” e “avere la possibilità”, analogamente a come “migliore” può essere inteso sia in senso tecnico che morale. Si veda in proposito Mulhern 1968: 286.

φαίνεται φρονεῖν πλέον πρὸς τὸ ῥᾳδίως λανθάνειν αὐτὸν ἀλαζονευόµενος, ὥστε ἐναντίον αὐτοῦ αὐτὸς ἑαυτῷ ἐτόλµα ἐναντία λέγειν καὶ ἐλάνθανεν τὸν Ὀδυσσέα[…].393

Egli, infatti, annuncia di voler tornare a Ftia, ma in realtà non parte mai e, trattandosi di un giovane figlio di una dea e istruito dal centauro Chirone in persona, sicuramente sapeva di cosa stesse parlando e agiva “volontariamente.”

Ecco dunque comparire nuovamente il sostantivo γόης. Dopo Eschilo, Erodoto ed Euripide, lo troviamo infine anche in Platone in una situazione quanto meno paradossale.

Facciamo un passo indietro e soffermiamoci sulla figura di Ippia di Elide. Egli è ricordato come un uomo dotato di eccellente memoria, capace di servirsi del proprio bagaglio culturale con sorprendente versatilità.394 Aveva inoltre “interessi archeologici”395 e si serviva della tradizione per i propri fini, come ammette lui stesso nel dialogo. Platone tuttavia riesce presto a mettere in luce il problema maggiore racchiuso nel suo metodo: Ippia infatti - come molti altri assieme a lui - favoriva una “ricezione edonistica, mnemonica, acritica.”396 Lo dimostra il fatto che, una volta interrogato su una questione per lui “assurda”,397 si trova presto in difficoltà e solo grazie all’aiuto di Socrate il dialogo non si conclude subito nell’ἀπορία, ma continua.398 Ippia, però, imprigionato nel suo stesso “common

393 “Tu affermi che Achille non dice il falso sulla base di una trama premeditata, proprio lui che

era un tale ingannatore, tanto disposto a tramare inganni che - così lo ha ritratto Omero - pare più scaltro di Odisseo nell’ingannarlo, senza che egli se ne accorga, al punto da osare affermazioni contraddittorie davanti a lui e far sì che Odisseo non se ne avveda.”

394 Cf. Guthrie 1977: 282. 395 Bonazzi 20154: 71. 396 Havelock 1973: VIII.

397 Ossia che Achille sia πολύτροπος quanto Odisseo, se non di più (cf. Blundell 1992: 143). Sulla

πολυτροπία nell’Ippia Minore si legga Weiss 2000: 294.

398 Il dialogo si concluderà infine non solo con un’ἀπορία, ma addirittura con la negazione

dell’intellettualismo etico stesso da parte di Socrate. A mio parere, non per questo bisogna valutare il dialogo come una mera satira, e quindi uno scherzo dialettico; l’opera aveva infatti indubbiamente uno scopo serio (cf. per esempio Petrucci 2012: 191 ss., secondo il quale l’Ippia

Minore è uno stimolo alla riflessione sul buono, una dimostrazione per assurdo dell’involontarietà

del male), come presto vedremo. Ci limitiamo qui a sottolineare che se si arriva a una simile ἀπορία, ciò non deve essere considerato come una responsabilità di Socrate, bensì del suo interlocutore, Ippia. Sta a lui trovare una soluzione ma, nonostante si dichiari pronto a parlare con Socrate, non è in verità capace di argomentare le proprie opinioni (cf. Blondell 2002:163).

sense”,399 continua a non capire le intenzioni del suo interlocutore e l’esplosione di rabbia che abbiamo riportato è un’altra prova del fatto che egli sia racchiuso nella tradizione epica agonistica400 e che da essa non sia capace di trovare via di uscita.

Platone vuole combattere questo tipo di “old verbomotor παιδεία”,401 si serve pertanto del suo stesso maestro - che ricordiamo tuttavia ha sempre detto di non insegnare - per criticare con ironia l’enciclopedismo402 di Ippia e per dimostrare i limiti di tale insegnamento. Ora, l’autore non può svalutare direttamente le figure eroiche, tanto più se di origine divina,403 perché la tradizione è talmente ancorata a esse che solamente l’idea sarebbe inconcepibile per i suoi contemporanei - abbiamo visto l’esempio di Ippia. Ciò non toglie che egli non sia soddisfatto dalle storie che formano la gioventù, tanto quanto non è persuaso dall’insegnamento dei sofisti. Quale metodo migliore dunque per ridicolizzare un uomo con la pretesa di conoscere tutto che servirsi degli stessi poemi oggetto del suo studio?

Socrate è talmente abile che, mostrando di avere un solido bagaglio retorico- letterario,404 riesce a rivoltare la situazione (cosa di cui lo accusa Ippia a 369 B 8), placando l’avversario con ironici complimenti405 e facendo mostra di umiltà, e arriva a descrivere Achille paradossalmente come un γόης, un ingannatore scaltro e calcolatore, capace di ingannare addirittura il multiforme Odisseo. In questa sede, pertanto, il termine γόης406 appartiene appieno al dominio della

retorica e l’abilità nel parlare attribuita ad Achille diviene mezzo per mentire e

ingannare. 399 Kahn 1996: 101. 400 Cf. Blondell 2002: 128. 401 Entralgo 1970: XII. 402 Cf. Giannantoni 2005: 128.

403 Non per nulla - come abbiamo rilevato - l’autore ha scritto che Achille non può che essersi

contraddetto volontariamente per il suo status e per l’educazione che ha ricevuto.

404 Cf. Bonazzi 20154: 202.

405 Zembaty 1989: 63 parla di un “ironical swipe at Ippias.”

406 Blundell 1992: 152 ss. ha proposto di leggere dietro alla figura di Achille Socrate e Ippia dietro

a quella di Odisseo. Si è poi tuttavia presto ricreduta, commentando che il paragone di Achille in quanto γόης non sia molto calzante nei riguardi di Socrate. A mio parere, qualora si voglia intravedere veramente uno dei personaggi del dialogo dietro alle figure degli eroi omerici, l’unico vero ingannatore, seppure inconsapevole, è Ippia, che dichiara di conoscere alla perfezione cose su cui non sa neppure riflettere. Socrate è meramente il suo interlocutore, si adatta (Blondell 2002: 171) alla discussione e segue i ragionamenti di Ippia. È comunque certo che, se Platone avesse dovuto scegliere fra Achille e Odisseo, avrebbe rifiutato entrambi come modelli (cf. Traglia 1970: VI; Irwin 1988: 56-77).

*

Associata all’inganno Platone introduce anche la trasformazione, caratteristica che abbiamo visto appartenere al γόης in Erodoto - con la licantropia - e in Euripide - con il dio Dioniso nelle Baccanti. L’abilità di “trasformare” era anche una prerogativa della “parola magica” gorgiana, capace di “trasformare con la stregoneria” l’opinione delle anime. Platone reintroduce quindi tale sotto-ambito, vediamo come.

6. Repubblica II

Socrate, di ritorno dalla festa della dea Bendis al Pireo, viene invitato da Polemarco a fermarsi a casa sua, e la discussione407 è pertanto avviata in presenza del padre del giovane, Cefalo. Numerosi sono gli interlocutori di Socrate, primi fra tutti Cefalo e Polemarco, i fratelli di Platone Glaucone e Adimanto,408 Lisia, Eutidemo, Nicerato figlio di Nicia, Carmantide di Peana e Clitofonte figlio di Aristodemo.

Dopo una discussione sulla vecchiaia e un tentativo di definire la giustizia, nel libro II si cerca di trovare l’essenza della giustizia. Una volta che i fratelli di Platone hanno presentato il pensiero largamente condiviso, secondo il quale la vita dell’ingiusto sarebbe preferibile a quella del giusto, Socrate raccoglie la provocazione e decide di analizzare la giustizia partendo dallo Stato - il grande -, per poi affrontare in un secondo tempo la dimensione umana che concerne la ricerca - il piccolo.

Viene delineata quindi in primis una città primitiva in cui i compiti sono divisi fra contadini, artigiani e commercianti, e in secundis si passa a uno stato più ricco che

407 Socrate narra direttamente nella cornice e, come i personaggi del dialogo diretto non vengono

indicati (cf. Velardi 2000: 110; Capuccino 2013: 86), non sappiamo nulla neppure del luogo e dell’occasione per cui egli tiene il discorso.

408 I quali fanno parte della gioventù aristocratica a cui è indirizzato l’intero dialogo, lo dimostra il

deve strappare territori ai vicini e al quale conseguentemente diviene necessaria anche un’altra classe, quella dei guardiani. Ogni classe deve godere dei diritti che le si confanno e deve essere istruita in base alle proprie capacità. Emerge dunque il tema portante dell’opera, l’educazione,409 e l’autore - attraverso Socrate - espone il suo pensiero in merito: l’educazione tradizionale non può essere inclusa nella città ideale, dal momento che ha un carattere decettivo, e, per essere conservata, deve essere emendata secondo un criterio morale. In tale contesto rientra anche la critica ai miti sugli dei,410 in vista di una “riforma dell’educazione religiosa.”411 Ciò che più preme a Platone è sottolineare che il dio - al contrario di quello che sovente scrivono i poeti412 - è buono ed è causa di soli beni (379 C 2- 3),413 e, pertanto, se davvero punisce qualcuno, ciò significa che la vittima della punizione può solo che ottenere un giovamento dal suo intervento (380 A 8- B 2). Insomma, dichiara Socrate, discorrendo con Adimanto (a 380 B 6-7):

[…] κακῶν δὲ αἴτιον φάναι θεόν τινι γίγνεσθαι ἀγαθὸν ὄντα, διαµαχετέον παντὶ τρόπῳ.414

La dimostrazione socratica prosegue poi con tale domanda (a 380 D 1-5):

[…] ἆρα γόητα τὸν θεὸν οἴει εἶναι καὶ οἷον ἐξ ἐπιβουλῆς φαντάζεσθαι415 ἄλλοτε ἐν ἄλλαις ἰδέαις τοτὲ µὲν αὐτὸν γιγνόµενον, [καὶ] ἀλλάττοντα τὸ αὑτοῦ εἶδος εἰς πολλὰς µορφάς, τοτὲ δὲ ἡµᾶς ἀπατῶντα καὶ ποιοῦντα περὶ αὑτοῦ τοιαῦτα δοκεῖν […];416

409 Cf. Wakefield 20083: XXII; Reale 2009: 7. 410 Cf. Burkert 1962: 41.

411 Dodds 2000: 266.

412 Omero, Pindaro, Eschilo sono fra i destinatari della critica (si veda 379 D ss.). Cf. Naddaff

2002.

413 Cf. Halliwell 2005: 316.

414 “A dio, che è buono, non deve essere attribuita in nessun modo la responsabilità dei mali.” 415 Parola riconducibile sia alla trasformazione sia all’illusione, all’apparenza. Per tale motivo

abbiamo proposto la traduzione “illusionista ingannatore” per γόης.

416 “Credi forse che dio sia una specie d’illusionista ingannatore, capace, per il gusto di

ingannarci, di comparirci dinanzi una volta in una forma, una volta nell’altra, o effettivamente modificando il suo aspetto in molti modi, oppure, al fine di trarci in inganno, suscitando l’impressione che egli sia così?”

Il dio dunque potrebbe modificare la propria apparenza veramente oppure potrebbe semplicemente far credere che l’abbia mutata; in entrambi i casi, tuttavia, il suo fine sarebbe quello di ingannare gli uomini. Si ripropone dunque la capacità divina - e l’indubbia componente “magica” che ne consegue - di mutare forma che abbiamo trovato nelle Baccanti e che apparirà nuovamente nell’Eutidemo.417 La differenza sostanziale fra la descrizione del tragico e del

poeta epico e quella di Platone è che mentre nei primi due la divinità è ritenuta essere capace di mutare forma a suo piacimento418 - come abbiamo visto - proprio perché è una divinità, il dio platonico invece, dotato per natura di perfezione, (381 B 6)

Ταύτῃ µὲν δὴ ἥκιστα ἂν πολλὰς µορφὰς ἴσχοι […].419

Alfine (381 C 8-9):

[…] κάλλιστος καὶ ἄριστος ὢν εἰς τὸ δυνατὸν ἕκαστος αὐτῶν µένει ἀεὶ ἁπλῶς ἐν τῇ αὑτοῦ µορφῇ.420

Il dio, pertanto, non è un γόης, un illusionista capace di cambiare effettivamente aspetto,421 ma l’essere più perfetto che ci sia, e se gli uomini affermassero il contrario direbbero empietà (381 E 5). Rimane ancora da discutere il secondo punto, per cui Socrate domanda (381 E 8-10):

Ἀλλ' ἆρα […] αὐτοὶ µὲν οἱ θεοί εἰσιν οἷοι µὴ µεταβάλλειν, ἡµῖν δὲ ποιοῦσιν δοκεῖν σφᾶς παντοδαποὺς φαίνεσθαι, ἐξαπατῶντες καὶ γοητεύοντες;422

417 Si veda il punto successivo.

418 Penteo, dopotutto, a prescindere dalle varie “trasformazioni” attribuite al dio dal coro, arriva

davvero a vedere Dioniso come un toro.

419 “È l’essere che meno di ogni altro potrebbe assumere altre forme.”

420 “Ciascuno degli dei mantiene sempre e unicamente la sua forma, per il semplice fatto che è in

sommo grado bello ed eccellente.”

421 Per l’assenza di cambiamento nel dio cf. Greene 1918: 30; Chambry 1959: 135; Gastaldi 1998:

354; Bordoy 2013: 20. Ricordiamo che l’immutabilità del dio era già stata predicata prima di Platone da Senofane e dagli Eleati (cf. Chambry 1959: 86).

422 “Ma non potrebbe darsi […] che quegli stessi dei che non sono capaci di mutarsi, facciano,

La risposta è nuovamente negativa: prima di tutto nessuno, neanche il dio, potrebbe sopportare l’inganno sul fondamento del suo essere,423 senza contare poi che la finzione non potrebbe in alcun modo tornare utile al dio; egli pertanto ne è esente.

Per concludere (383 A 3-5):

[…] ὡς µήτε αὐτοὺς γόητας ὄντας τῷ µεταβάλλειν ἑαυτοὺς µήτε ἡµᾶς ψεύδεσι παράγειν ἐν λόγῳ ἢ ἐν ἔργῳ.424

Ancora una volta dunque troviamo i termini oggetto della nostra ricerca impiegati in relazione a una divinità. Platone, nel tentativo di contrastare le “storie false”425 della παιδεία tradizionale, che riveste sempre il rango di istituzione pubblica, introduce le credenze religiose in un nuovo contesto filosofico in cui gli dei non possono essere amorali.426 Ciò implicherebbe infatti distorcere la loro natura,427 poiché il dio, perfetto in se stesso, non potrebbe essere mai altro da sé. La sua divina semplicità, inoltre, non ha solamente una spiegazione teologica, ma è anche un appiglio per l’uomo, che a essa può guardare come a un vero modello di perfezione.428

Il termine γόης (e i suoi derivati), pertanto, dal significato di stregone, di dio capace di tramutarsi in tutto quello che vuole e illudere perché è dio e ne ha il diritto, è stato declassato al rango di un illusionista ingannatore e definito improprio per la natura del dio platonico. Ci domandiamo: avrà sempre tale valore? Continuiamo nella ricerca per scoprirlo.

*

423 Cf. Notomi 2007B: 262.

424 “[Gli dei] né sono ingannatori con il [loro] mutarsi di aspetto, né con inganni ci portano fuori

strada in parole e opere.”

425 Gould 2001: 310. L’autore non condanna infatti ancora tutta la poesia in quanto tale (come

accadrà nel libro X, dove, come ricorda Giuliano 2005: 80, la questione è affrontata da un punto di vista gnoseologico), ma solamente le storie che, a suo parere, non sono indicate per educare. Cf. Moravcsik 1986: 35.

426 Cf. Erler 2008: 65. 427 Moravcsik 1986: 40. 428 Cf. Vegetti 1998: 78.

I termini oggetto del nostro studio sono stati associati nella Repubblica alla

trasformazione e all’inganno. Esiste però anche un altro sotto-ambito a cui essi

sono accostati in Platone: l’imitazione, che, nell’ambito della retorica,429 si rivelerà dannosa quanto nei suoi predecessori.

7. Eutidemo

Nell’Eutidemo troviamo - come premesso - nuovamente il termine γοητεύω associato alla trasformazione di un dio.

Il dialogo si svolge su due piani: nella cornice,430 in un luogo imprecisato, Critone

domanda a Socrate chi fossero i due con cui parlava il giorno prima nel Liceo e il filosofo risponde che erano Eutidemo e Dionisodoro, due “sapienti” originari di Chio. La narrazione procede con l’esposizione - da parte di Socrate - della discussione alla quale hanno partecipato i famosi eristi,431 Clinia, un ragazzo aristocratico, e il suo ammiratore Ctesippo. La questione verte, ancora una volta, principalmente sul tipo di educazione da impartire ai giovani.432 Cornice e rievocazione si sposano, dopo un breve intermezzo, alla fine del dialogo, quando lo stesso Critone ammette di essere indeciso su quale metodo di educazione impartire ai propri figli e Socrate lo esorta a indirizzarli alle discipline che gli sembrano buone, a prescindere da chi siano coloro che le insegnano.

Una critica velata si cela nelle parole di Socrate fin dall’inizio del dialogo, sebbene il filosofo apparentemente si proclami ben disposto a imparare da tali uomini “sapienti.” Egli, infatti, parla della capacità dei due di rendere chiunque, per un prezzo, abile a vincere su tutti,433 commentando che hanno acquisito la

429 Intesa come tecnica volta a persuadere e vincere, senza alcuna preoccupazione morale. Cf.

Scolnicov 2013.

430 Usata come di consueto da Platone per introdurre i temi che saranno trattati nel dialogo (cf.

Johnson 1998: 586).

431 Cf. Quimby 1979: 23; Nehamas 1990: 8; Vlastos 1994: 135-136; Vlastos 1998: 154; Spatharas

2001: 165; Dickie 2001: 44; Erler 2008: 57-58.

432 Cf. Michelini 2000: 511.

433 Cf. Nehamas 1990: 10; Bonazzi 20154: 152. Si vedano anche Skousgaard 1979: 379 ss.; Kahn

sapienza alla quale egli stesso aspirerebbe - l’eristica434 - da vecchi (272 B 9 – 272 C 1). L’ironia socratica questa volta è evidente e in base a essa si deve misurare il tono del dialogo che segue.

Quando Eutidemo annuncia (273 D 8-9):

Ἀρετήν […] οἰόµεθα οἵω τ' εἶναι παραδοῦναι κάλλιστ' ἀνθρώπων καὶ τάχιστα […],435

Socrate accoglie la provocazione e propone che Clinia dialoghi con loro per apprendere la virtù, assumendo l’onere di sostenere la discussione. Questa tuttavia è stentata, poiché qualsiasi parere espresso dal giovane è immediatamente contestato dai due eristi, i quali non si trattengono dall’umiliare il malcapitato interlocutore al fine di perseguire il loro unico, vero intento: “provocare impressione con artifici logici e linguistici”436 di modo da conquistare allievi alla loro causa.437 Socrate non tarda dunque a intervenire per rincuorare il povero Clinia, spiegandogli che i due stanno scherzando, lo stanno preparando per poi “iniziarlo ai misteri” (277 D 5- 278 E 2).438

Il dialogo prosegue così alla ricerca della modalità con cui Clinia possa diventare felice e virtuoso e i fratelli si aggrappano subito all’idea del “diventare” e la trascinano sul piano dell’essere e del non essere, fino a “distruggere” Clinia (283 D 5-6). Ctesippo a questo punto perde la pazienza e infuria finché Socrate non gli consiglia di non fare questioni di parole con gli stranieri che - commenta - continuano a scherzare (288 B 7-8):

[…] οὐκ ἐθέλετον ἡµῖν ἐπιδείξασθαι σπουδάζοντε, ἀλλὰ τὸν Πρωτέα µιµεῖσθον τὸν Αἰγύπτιον σοφιστὴν γοητεύοντε ἡµᾶς.439

434 Definita “contendere discutendo” da Giannantoni 2005: 85.

435 “Siamo in grado di trasmettere la virtù in modo migliore di chiunque altro e più velocemente.” 436 Erler 2008: 58. Cf. Nehamas 1990: 6.

437 Ricordiamo infatti che, oltre ai partecipanti alla discussione, vi è anche un congruo numero di

astanti che ascolta lo scambio, pronto ad applaudire l’operato degli “uomini sapienti.”

438 Per i “Corybantic Rites” si veda Linforth 1946: 123.

439 “Non hanno […] voluto mostrarla [la sapienza] a noi, continuando a scherzare, ma hanno

Γοητεύω compare dunque nuovamente associato a “sofisti”, la cui attività è qui paragonata a quella di Proteo.440 Eutidemo e Dionisodoro, infatti, sono detti imitare l’Egizio Proteo, poiché sono capaci di evitare un confronto diretto continuando a trasformare i discorsi in altro rispetto a quello che sono, proprio come il dio - che non per nulla qui è chiamato anche “sofista” per rafforzare ulteriormente l’accostamento - rifiuta di rivelare la verità a Menelao, trasformandosi in ogni sorta di essere.441 Gli esperimenti stessi che i due compiono hanno la potenzialità di tramutare gli uomini, rendendoli buoni o distruggendoli,442 ma si tratta sempre di un procedimento illusorio, che promette di trasmettere virtù quando in verità è finalizzato solo a confutare443 per vincere la discussione. Proprio per questo i loro insegnamenti si riveleranno inefficaci, poiché, una volta compreso il metodo, chiunque potrà batterli al loro stesso gioco - Ctesippo stesso li batterà nel dialogo, una volta padroneggiata la loro arte. L’arte di produrre discorsi degli eristi, dunque, si rivela presto incapace di rendere felice chi la acquisisca, nonostante “i produttori di discorsi” appaiano più che sapienti e la loro arte sublime e divina. E certo questo - prosegue Socrate - non deve meravigliare: la loro è una parte dell’“arte degli incantesimi”,444 a questa di poco inferiore. Mentre l’una può ammansire serpenti, tarantole, scorpioni e altre belve e malanni, l’altra è capace di ammansire e addolcire giudici, membri dell’assemblea e altre folle (289 E 1-290 A 4). L’incantamento non ha la potenzialità di essere positivo, poiché trascende la morale e non si cura di nulla, gioca solo per vincere. La sofistica quindi è ricondotta a una vuota “arte degli incantesimi” ed è descritta come una caccia, come un’arte di ammaliare l’avversario tramite gli artifici della

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