Γόης e i suoi derivati in Platone
B. Seduzione erotica
La ricerca platonica di uno stile di vita altro non poteva prescindere da un’analisi di ciò che costituisce una delle maggiori attrattive per gli uomini di ogni tempo: il piacere fisico - e il dolore, inseparabile da esso.542 Che relazione hanno dunque
γόης e i suoi derivati con tale ambito? Analizziamo un passo dal libro III della Repubblica e uno dal Fedone per scoprirlo.
1. Repubblica III
Nel libro III della Repubblica prosegue la discussione sul valore dei racconti poetici iniziata nel libro precedente. Socrate dialoga - come di consueto - con i fratelli di Platone, Glaucone e Adimanto e, dopo una dettagliata descrizione della forma di educazione che si confà ai custodi dello Stato, guerrieri caratterizzati da un’ἀνδρεία543 che risulta dall’avere θυµός, l’attenzione dei tre è focalizzata sulle funzioni e sui doveri che a questi competono. La scelta sarà fra chi deve avere il comando e chi deve obbedire, ed è indubbio che i primi devono essere coloro che per tutta la vita hanno preso decisioni nell’interesse dello Stato (412 D 10 - E 1). Di questo gruppo devono far parte solo individui che si sono dimostrati degni dopo essere stati messi alla prova; con le parole di Socrate (412 E 5-8):
Δοκεῖ δή µοι τηρητέον αὐτοὺς εἶναι ἐν ἁπάσαις ταῖς ἡλικίαις, εἰ φυλακικοί εἰσι τούτου τοῦ δόγµατος καὶ µήτε γοητευόµενοι µήτε βιαζόµενοι ἐκβάλλουσιν ἐπιλανθανόµενοι δόξαν τὴν τοῦ ποιεῖν δεῖν ἃ τῇ πόλει βέλτιστα.544
542 Cf. Foucault 1990.
543 Essa, come sottolinea Rubidge 1993: 255, non si tratta solo di un temperamento, ma anche di
una credenza: i guerrieri devono preservare le loro giuste opinioni a prescindere dalle tentazioni che offre la parte appetitiva dell’anima.
544 “A me sembra che debbano essere attentamente sorvegliati a ogni età, per vedere se serbano
intatta questa regola e non la tradiscono né per effetto di seduzioni, né al seguito di minacce, dimenticando la norma secondo cui bisogna fare ciò che è meglio per lo Stato.”
Ritenendo poi - continua Socrate - che gli uomini si liberino di un’opinione falsa volontariamente e di una vera involontariamente (412 E 9- 413 A 1), ne consegue che gli stessi si possano spogliare di un giusto convincimento solamente per le seguenti ragioni (413 B 1):
[…] κλαπέντες ἢ γοητευθέντες ἢ βιασθέντες [...].545
Da un lato, il tempo o il ragionamento portano a dimenticare o a cambiare il parere che viene sottratto a chi lo deteneva - ecco spiegato il furto; dall’altro, un lutto o una disgrazia posso avere lo stesso effetto - ed ecco la violenza. Socrate infine chiarifica riguardo alla seduzione (413 C 1-3):
Τοὺς µὴν γοητευθέντας, ὡς ἐγᾦµαι, κἂν σὺ φαίης εἶναι οἳ ἂν µεταδοξάσωσιν ἢ ὑφ' ἡδονῆς κηληθέντες ἢ ὑπὸ φόβου τι δείσαντες.546
Affermazione a cui Glaucone risponde (413 C 4):
Ἔοικε γάρ […] γοητεύειν πάντα ὅσα ἀπατᾷ.547
Il passo appena presentato ricorda in maniera impressionante i toni dell’Encomio di Elena: le motivazioni che Socrate adduce per l’abbandono involontario di un’opinione vera, infatti - un ratto, una seduzione e una violenza -, rammentano le cause verosimili per le quali Elena avrebbe seguito Paride a Troia548 e gli stessi effetti della seduzione ricordano gli incantesimi (presentati da Gorgia come esempio di “parola magica”) capaci di esercitare una seduzione sulle anime. Non da ultimo, l’accostamento di seduzione a inganno che trovavamo nell’Encomio è qui riproposto. Nonostante la chiara connessione tra le due opere, Platone presenta la questione in modo diverso.
545 “Essendo vittime di un furto, di una seduzione o di un atto di violenza.”
546 “Quelli vittima della seduzione, io credo che anche tu saresti d’accordo nell’identificarli in
coloro che mutano avviso, o ammaliati dal piacere, o intimoriti dalla paura di chissà che.”
547 “Sembra proprio […] che ogni fonte d’inganno sia a un tempo anche fonte di seduzione.” 548 A onore del vero delle tre solamente seduzione, nei panni di amore, e violenza compaiono tra le
cause, il furto è presente come esito dell’azione del giovane. Per il paragone tra Encomio di Elena e il passo platonico si veda Belfiore 1980: 131.
Come si è detto, la scelta dei comandanti dei guardiani è molto difficile, poiché essi devono provare di non essere disposti a tradire lo stato né volontariamente, né involontariamente.
Il primo caso non richiede ulteriori spiegazioni, il secondo confonde Glaucone e per questo Socrate si dilunga. Visto che nessun uomo si libererebbe volontariamente di un’opinione vera, 549 ma solo di un’opinione falsa,
l’involontarietà implica che gli uomini in questione siano vittime di un furto, di una violenza o di una seduzione. L’opinione vera, pertanto, può essere stata loro sottratta - senza che essi lo vogliano: con un furto, e quindi il tempo o un ragionamento possono aver fatto loro dimenticare o cambiare parere; con una seduzione, punto su cui ritorneremo a breve; con una violenza, ossia un lutto o un dispiacere hanno fatto loro dimenticare o cambiare l’opinione che avevano in origine. In tutti i casi, una forza esterna li ha portati a mutare l’originaria, vera opinione. Fra queste forze Socrate annovera anche la seduzione, che necessita di una spiegazione più approfondita. Le vittime della seduzione sono tali perché sono portate a mutare avviso se ammaliate550 dal piacere o intimorite dalla paura di qualcosa. La seduzione quindi influenza551 tali soggetti ed è capace di provocare in loro un “disordine psichico”552 tale da ingannarli, facendo dimenticare o comunque facendo cambiare loro l’opinione vera con una falsa. A differenza di quanto abbiamo rilevato nell’Encomio di Elena, però, qui è offerto un modo per difendersi da simili potenze: i capi dei guardiani devono essere monitorati costantemente e, come per gli altri generi, commenta Socrate a 413 D 7-8,
[…] καὶ τρίτου εἴδους […] γοητείας ἅµιλλαν ποιητέον.553
Solo così sarà possibile mettere alla prova gli aspiranti comandanti e vedere se sono capaci di resistere a una seduzione che ha la stessa capacità di influenzare la
549 Cosa che lo danneggerebbe e sarebbe pertanto insensata.
550 Notare l’uso di κηλέω che abbiamo già trovato in Platone, per esempio nel paragrafo sul
Menesseno.
551 Belfiore 1980: 129. 552 Erler 2008: 194.
mente di una “magia.”554 Ne va della sicurezza dello Stato,555 che deve poter contare su uomini il cui coraggio dipende dalla giusta opinione; solo colui che, buttato in mezzo a eventi impressionanti, sarà in grado di resistere alle tentazioni potrà divenire reggitore della città e suo guardiano (414 A 1-2).
2. Fedone
Passiamo ora al Fedone, dialogo ambientato alla vigilia della morte di Socrate nel carcere ateniese in cui il filosofo è stato rinchiuso.556 Gli interlocutori di Socrate - Simmia, Cebete, Critone, lo stesso Fedone - in presenza di innumerevoli astanti,557 non possono fare a meno di domandarsi se l’anima sia veramente immortale o meno mentre attendono con l’amico l’ora fatale, e su questo argomento verterà l’intero dialogo.
Socrate, credendo all’immortalità dell’anima, non appare turbato. Sebbene gli uomini non possano fare violenza a se stessi uccidendosi prima del tempo in quanto proprietà degli dei, egli non può non essere felice di poter finalmente abbandonare il corpo per ricongiungersi - come crede - con gli dei sapienti e buoni che lo aspettano nell’aldilà. Per tutta la vita - continua -, deliberatamente: ὁ φιλόσοφος ἀπολύων ὅτι µάλιστα τὴν ψυχὴν ἀπὸ τῆς τοῦ σώµατος κοινωνίας (64 E 8- 65 A 2).558 Visto difatti che l’anima ragiona nel modo migliore quando si trova il più possibile sola in se stessa (65 C 7), αὐτῇ τῇ διανοίᾳ (65 E 7),559 il corpo si rivela essere solamente un rallentamento, un ostacolo, da cui l’anima si
554 Cf. Rubidge 1993: 255. 555 Cf. Casertano 1991: 69.
556 Il dialogo si apre con una cornice dialogica nella quale lo stesso Fedone, una volta giunto a
Fliunte, racconta su richiesta del pitagorico Echecrate l’ultima discussione pronunciata (cf. Cerri 2003: 51) dal “più saggio e il più giusto” di tutti gli uomini.Non a caso Fliunte è il luogo prescelto per l’ambientazione della cornice diegetica, poiché proprio lì era stato inventato il nome di “filosofo” e se ne era definito il ruolo da parte di Pitagora; Platone vuole mostrare attraverso Socrate chi sia e come si comporti il vero filosofo (cf. Lami 1996: 10). Per la relazione che intercorre tra Pitagora e Socrate si veda Ebert 2000: 51 ss. In riferimento al “dialogo narrato” si veda p.e. Casertano 2000; Capra 2003.
557 Apollodoro, Critobulo e suo padre, Ermogene, Epigene, Eschine, Antistene, Ctesippo di Peania,
Menesseno, Fedonda, Euclide e Terpsione.
558 “Il filosofo cerca di liberare quanto più può l’anima dalla comunanza con il corpo.” 559 “Con il solo pensiero.”
deve distaccare per ottenere, una volta libera, la vera conoscenza. Colui che si rammarica perché deve morire, dunque, non è φιλόσοφος, ma solo φιλοσώµατος (68 C 1).560 Dopo un’esposizione della teoria dei contrari e di quella della reminiscenza per provare nuovamente agli interlocutori - che non sono ancora persuasi - che le anime sopravvivano alla morte, il dialogo ritorna sulla coppia anima-corpo: Socrate rileva che un’anima pura561 è simile a ciò che è divino,
immortale e saggio, e a esso ritornerà ὥσπερ δὲ λέγεται κατὰ τῶν µεµυηµένων (81 A 8-9).562 Un’anima impura, invece (81 B 2-5):
[…] ἅτε τῷ σώµατι ἀεὶ συνοῦσα καὶ τοῦτο θεραπεύουσα καὶ ἐρῶσα καὶ
γοητευοµένη ὑπ᾽ αὐτοῦ ὑπό τε τῶν ἐπιθυµιῶν καὶ ἡδονῶν, ὥστε µηδὲν ἄλλο
δοκεῖν εἶναι ἀληθὲς ἀλλ᾽ ἢ τὸ σωµατοειδές […],563
sarà irrimediabilmente legata al corpo e, a causa di quest’ultimo, sarà trascinata nell’Ade.
Nel passo appena citato troviamo γοητεύω legato alla seduzione erotica in tutta la sua forza. Il soggetto del discorso è infatti un’anima che ha concentrato tutte le sue energie nel rimanere accanto al corpo, nell’amarlo, e conseguentemente è stata sedotta da esso e dalle passioni e dai piaceri che ha provato attraverso di lui. È da notare che Platone, per descrivere l’atteggiamento di tale anima, si serve specificamente del verbo θεραπεύω, che in senso proprio è riferito agli dei e significa “aver cura, onorare, rispettare.”564 Ricordando che poco prima sono stati menzionati i “partecipanti ai riti misterici”565 un tale uso non stupisce, anzi! Socrate vuole rilevare fino a che punto si siano spinte le anime che amano ciò che è corporeo, ed esse si rivelano capaci di onorare come un dio niente meno che la
560 ““Amante del sapere”, ma solo “amante del corpo.”” 561 Cf. Greene 1918: 24.
562 “Come si dice degli iniziati.”
563 “Come quella che è sempre rimasta insieme al corpo e l’ha onorato e l’ha amato e si è lasciata
sedurre da esso, nonché dalle sue passioni e dai suoi piaceri, di modo che nient’altro le pareva che esistesse di vero se non ciò che è corporeo.”
564 Solo in Hdt. III, 80 e Thucyd. III, 12 è usato come “adulare, corteggiare, accattivarsi.”
565 Per i riti misterici come forma di persuasione che comunque non conduce alla verità si veda
prigione corporea che le racchiude. 566 Per loro difatti esso non è una prigione - tale è l’infatuazione che le ha colte -, bensì un dio degno di cura e rispetto.
Abbiamo tanto discusso di come la parola possa ingannare, distruggere e incantare, qui riscontriamo che tale potere è posseduto anche dal corpo,567 che può affascinare tanto quanto un discorso persuasivo, senza bisogno di pronunciare parola alcuna.
*
Da questa breve incursione nell’ambito della seduzione erotica speriamo di aver mostrato con successo il valore con cui γόης e i suoi derivati sono stati impiegati da Platone. L’autore ha giocato come suo solito con la tradizione568 e ha delineato
un orizzonte semantico in un certo qual modo nuovo dei termini oggetto di studio. Sebbene, infatti, tali termini siano già comparsi in associazione alla seduzione - per esempio nella figura di Dioniso, oltre che nel già ricordato Encomio -, l’autore è riuscito a presentarli diversamente dai suoi predecessori. Nel terzo libro della Repubblica, proponendo di introdurre una gara per testare la resistenza che i capi dei guardiani devono dimostrare di avere, di modo da difendersi dalle tentazioni e, in particolare, dalla seduzione che cerca di ammaliarli facendo leva su piaceri e paure. Nel Fedone, facendo del corpo umano l’elemento che seduce l’anima, la quale si lascia ammaliare dalle passioni e dai piaceri corporei e arriva ad adorare il corpo come se fosse un dio. Ecco dunque che le passioni, i piaceri e le paure divengono a loro volta γόητες poiché incantano le loro vittime e le inducono ad allontanarsi dalla verità, dimostrandosi non meno pericolose dei personaggi che abbiamo incontrato nel precedente ambito.
566 Per il corpo come tomba dell’anima si veda Dodds 2000: 253.
567 Ricordiamo che nell’Encomio di Elena il λόγος - per la portata dei suoi poteri - era visto come
dotato di corpo (cf. de Vita 2009: 265) e capace di influenzare le anime. Platone è andato oltre e ha reso lo stesso corpo umano artefice della seduzione.
C. Magia
Dopo aver visto figure di impostori e ciarlatani che si servono della magia come strumento di persuasione e inganno, che carpiscono attenzione e denaro e che discutono di dei e virtù, destino e vita, poiché questi sono i temi che hanno avuto “sempre più presa”569 sull’animo degli uomini, perveniamo infine all’ambito della magia. Abbiamo già accennato al “notorious distrust of traditional magic”570 che
è comunemente associato al pensiero di Platone. Il non fidarsi era dovuto al fatto che in primis, numerosi personaggi che si nascondevano dietro a nomi spaventosi si servivano della suggestione creata dagli stessi solamente per perseguire i loro loschi scopi, a prescindere dal fatto che fossero capaci o meno di praticare la magia. La popolazione dell’epoca riteneva che avessero tale capacità e ciò era sufficiente. Rimane poi il fatto che la magia fosse adottata in numerose occorrenze e il suo scopo fosse quasi sempre quello di ottenere qualcosa a prescindere dal normale ordine delle cose; abbiamo visto l’esempio della nutrice di Fedra che aveva offerto pozioni e amuleti alla sua protetta per costringere Ippolito a ricambiare il suo amore.
Come descrive dunque Platone i γόητες che non sono associati all’ambito della
retorica o della seduzione, ma a quello della magia? Iniziamo da due passi tratti
rispettivamente dal primo libro delle Leggi e dal Menone, per poi proseguire la discussione nel prossimo capitolo in un altro ambito ancora, quello magico-
religioso.
1. Leggi I
Nel corpus platonico l’unico esempio che abbiamo di un uso proprio del termine γόης nella sua connotazione magica si trova nel primo libro delle Leggi.
569 Casertano 1991: 60. 570 Gellrich 1994: 275.
Il già citato Ateniese, parlando con il cretese Clinia e lo spartano Megillo,571 critica la legge cretese e quella spartana poiché sono create solamente in vista del coraggio che si manifesta in guerra e sono troppo severe nei costumi (635 B 4- D 6). A suo parere, mentre a ragione lo stato spartano e quello cretese ritengono che temprarsi in sofferenze e paure giovi, in modo che queste poi non imprigionino col passare del tempo, la prescrizione di astenersi dai più grandi piaceri e divertimenti è invece un errore di giudizio; questi ultimi, infatti, se non sono conosciuti, potrebbero render schiavi tanto quanto le sofferenze e i dolori.
Exempli gratia è scelta l’ubriacatura: se la consuetudine del bere vino - invece che essere proibita - fosse regolata da un capo sobrio e assennato fra gli Spartani così come lo è fra gli Ateniesi, i primi imparerebbero - al pari dei secondi - la virtù del pudore proprio perché hanno assaporato il suo opposto, l’impudenza, e conseguentemente apprenderebbero il modo di contrastarla.
A 649 A 1-6 l’Ateniese continua, dialogando con Clinia:
Εἶεν, ὦ νοµοθέτα, τοῦ µὲν δὴ φόβου σχεδὸν οὔτε θεὸς ἔδωκεν ἀνθρώποις τοιοῦτον φάρµακον οὔτε αὐτοὶ µεµηχανήµεθα - τοὺς γὰρ γόητας οὐκ ἐν θοίνῃ λέγω - τῆς δὲ ἀφοβίας καὶ τοῦ λίαν θαρρεῖν καὶ ἀκαίρως ἃ µὴ χρή, πότερον ἔστιν πῶµα, ἢ πῶς λέγοµεν;572
La misteriosa bevanda non sarebbe altro che il vino. Esso è definito πῶµα,573 bevanda che di per sé non ha alcuna connotazione negativa,574 anzi, nel passo è detta liberare dalla paura e produrre audacia (la quale, come si è detto, può risultare utile, a prescindere dal fatto che possa essere considerata inopportuna perché contraria all’“equilibrio”). È chiamata invece φάρµακον575 la bevanda che nessun dio ha mai dato agli uomini e che sono capaci di creare solo i γόητες, gli
stregoni; solamente costoro, infatti, preparano φάρµακα per suscitare la paura.
571 Per le circostanze in cui si svolge il dialogo si vedano i punti 3 e 4 dell’ambito della retorica. 572 “Ebbene, legislatore, certo nessun dio ha dato agli uomini un tale farmaco per (suscitare) paura,
né d’altra parte noi uomini lo abbiamo inventato - non tengo conto degli stregoni -, ma possiamo dire se esiste o no una bevanda che liberi dalla paura e produca un’audacia eccessiva e inopportuna?”
573 Cf. De Places 1951: 36.
574 Altrove (844 B 2) il termine è addirittura impiegato con il significato di “acqua distillata.” 575 Vox media che, come sappiamo, è sovente associata a contesti magici, cf. Derrida 1995: 296;
Ora, è indubbio che entrambe le bevande suscitino576 negli uomini emozioni non razionali, il φάρµακον instilla terrore e il vino emozioni e desideri anch’essi irrazionali. Non condivido tuttavia il parere di Burkert e Belfiore, secondo i quali ambedue le bevande sarebbero benefiche.577 È espresso infatti chiaramente nel testo che mentre il vino, se usato con moderazione,578 può essere liberatore, l’intruglio creato dai γόητες è unicamente volto a nuocere. Se pertanto il potere di alterazione della percezione della mente dovuto all’intossicazione alcolica potrebbe fornire un rimedio a un individuo troppo altezzoso,579 quello dovuto all’influsso di un φάρµακον si rivela essere una prerogativa di stregoni, temibili personaggi diversi dagli uomini comuni e capaci di creare pozioni magiche per nuocere. Ecco dunque come i γόητες sono qui descritti da Platone.
2. Menone
Senza alcuna cornice narrativa, il dialogo inizia in medias res con la domanda di Menone, giovane Tessalo di stirpe nobile e facoltosa,580 a Socrate, suo interlocutore, se la virtù possa essere insegnata o tocchi agli uomini per natura. I due personaggi dialogheranno fra loro per buona parte del dialogo con due sole interruzioni, quella di uno degli schiavi di Menone, chiamato a collaborare alla risoluzione di un problema di geometria, e quella di Anito, detrattore di Socrate che testimonia l’opinione dell’uomo medio ateniese in merito al tema trattato.
Fin dall’apertura del dialogo Socrate non tarda a stupire il suo interlocutore. Al contrario di Menone, che, in quanto Tessalo, ha goduto degli insegnamenti recati da Gorgia e (a 70 B 6-C 1)
576 Dickie 2001: 44 commenta che ambedue le sostanze sono mescolate con il cibo per “alter the
state of mind.”
577 Cf. Burkert 1962: 42; Belfiore 1986: 421. 578 Cf. Foucault 1990: 69.
579 Rinella 2010: 59-62. 580 Cf. Bluck 1961: 120.
[…] ἀφόβως τε καὶ µεγαλοπρεπῶς ἀποκρίνεσθαι ἐάν τίς τι ἔρηται, ὥσπερ εἰκὸς τοὺς εἰδότας […],581
Socrate infatti commenta riguardo alla virtù (71 A 5-7):
[…] ἐγὼ δὲ τοσοῦτον δέω εἴτε διδακτὸν εἴτε µὴ διδακτὸν εἰδέναι, ὥστ' οὐδὲ αὐτὸ ὅτι ποτ' ἐστὶ τὸ παράπαν ἀρετὴ τυγχάνω εἰδώς.582
Socrate esorta pertanto Menone a spiegargli quale sia l’essenza della virtù secondo lui (e conseguentemente Gorgia), poiché, dopotutto, bisogna sapere cosa essa sia prima di curarsi se possa essere insegnata o no. Menone però si rivela incapace di definire la virtù nella sua unità, visto che dai suoi esempi essa emerge solo in quanto molteplice e non univoca: ne sono enumerate varie forme, vari nomi e varie parti senza che si arrivi a un’unica definizione. Socrate dal canto suo non smette di incalzarlo583 e continua a correggere le proposte del Tessalo fino a fargli ammettere di non saper definire l’essenza della virtù.
Menone è talmente sconvolto584 dal confronto che, in un celeberrimo intermezzo, descrive così gli effetti prodotti dal dialogo confutatorio di Socrate (79 E 7-80 B 7): Ὦ Σώκρατες, ἤκουον µὲν ἔγωγε πρὶν καὶ συγγενέσθαι σοι ὅτι σὺ οὐδὲν ἄλλο ἢ αὐτός τε ἀπορεῖς καὶ τοὺς ἄλλους ποιεῖς ἀπορεῖν· καὶ νῦν, ὥς γέ µοι δοκεῖς, γοητεύεις µε καὶ φαρµάττεις καὶ ἀτεχνῶς κατεπᾴδεις,585 ὥστε µεστὸν ἀπορίας γεγονέναι. καὶ δοκεῖς µοι παντελῶς, εἰ δεῖ τι καὶ σκῶψαι, ὁµοιότατος εἶναι τό τε εἶδος καὶ τἆλλα ταύτῃ τῇ πλατείᾳ νάρκῃ τῇ θαλαττίᾳ· καὶ γὰρ αὕτη τὸν ἀεὶ πλησιάζοντα καὶ ἁπτόµενον ναρκᾶν ποιεῖ, καὶ σὺ δοκεῖς µοι νῦν ἐµὲ τοιοῦτόν τι πεποιηκέναι, [ναρκᾶν]· ἀληθῶς γὰρ ἔγωγε καὶ τὴν ψυχὴν καὶ τὸ στόµα ναρκῶ,
581 “Sa rispondere, quando qualcuno fa qualche domanda, in modo intrepido e grandioso, come
veramente si conviene a coloro che sanno.”
582 “Io invece sono tanto lontano dal sapere se possa o no essere insegnata, che non so neppure
cosa sia la virtù.”
583 Per Socrate come predatore si veda Scott 2006: 70. 584 Cf. McKim 1988: 116. Si veda anche Nehamas 1985: 6.
585 Notare che lo stesso vocabolo è stato impiegato da Callicle - che ricordiamo essere anch’egli
καὶ οὐκ ἔχω ὅτι ἀποκρίνωµαί σοι. καίτοι µυριάκις γε περὶ ἀρετῆς παµπόλλους λόγους εἴρηκα καὶ πρὸς πολλούς, καὶ πάνυ εὖ, ὥς γε ἐµαυτῷ ἐδόκουν· νῦν δὲ οὐδ' ὅτι ἐστὶν τὸ παράπαν ἔχω εἰπεῖν. καί µοι δοκεῖς εὖ βουλεύεσθαι οὐκ ἐκπλέων ἐνθένδε οὐδ' ἀποδηµῶν· εἰ γὰρ ξένος ἐν ἄλλῃ πόλει τοιαῦτα ποιοῖς, τάχ' ἂν ὡς
γόης ἀπαχθείης.586
Ritroviamo i termini oggetto della nostra ricerca in un passo denso di significato. Socrate è descritto come un uomo che ha fama di dubitare di tutto e di far dubitare i suoi interlocutori. Menone ha appena constatato di persona che tale fama è ben attribuita, dato che anche lui è stato stregato, incantato e sottomesso con le parole,587 tanto da divenire a sua volta pieno di dubbi. Per questo suggerisce scherzosamente il paragone588 tra Socrate e la torpedine marina, poiché ambedue
intorpidiscono chi gli si avvicina e lo rendono incapace di reagire. Ecco dunque che il giovane, da abile allievo di Gorgia abituato a discutere dinnanzi a tanta gente sulla virtù, scopre in verità di non sapere neppure cosa essa sia.
Ora, Menone, essendo stato messo in difficoltà589 dal suo interlocutore, è naturalmente portato a muovere una neppure tanto velata critica nei suoi confronti, commentando che, se da straniero590 in un’altra città Socrate facesse le cose che fa ad Atene, non tarderebbe a essere cacciato con il titolo di γόης.591 Apparirebbe dunque emergere dalle sue parole che ad Atene non vi siano leggi
586 “O Socrate, avevo udito, prima ancora di incontrarmi con te, che tu non hai fatto altro che
dubitare e fai dubitare anche gli altri: ora, come mi sembra, mi streghi, mi incanti, mi sottometti completamente con le parole, così che son diventato pieno di dubbio. E mi sembra veramente, se è lecito scherzare, che tu assomigli moltissimo, quanto alla figura e quanto al resto, alla piatta torpedine marina. Anch’essa, infatti, fa intorpidire chi le si avvicina e la tocca: e mi pare che, ora, anche tu abbia prodotto su di me un effetto simile. Infatti, io ho veramente l’anima e la bocca