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Irene Tomedi, restauratrice di tessuti antichiPORTRAIT

Nel documento BOLZANO BOZEN MAGAZINE (pagine 36-39)

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na carriera trentennale nel mondo affascinante e poco noto del restauro del tessuto antico. O come preferisce definirlo lei: della “conservazione”. L’abbia-mo incontrata nel suo atelier in via Portici, a Bolzano, in un luminoso pomeriggio di fine inverno.

Cominciamo con la domanda più semplice: come si diventa restauratori di tessuti antichi?

Ho sempre avuto la passione per gli oggetti antichi.

Dopo aver studiato pittura all’Istituto d’arte di Ortisei, in un primo momento avevo pensato di specializzarmi nel restauro di dipinti e affreschi. Nel 1978 fui indirizzata dal Sopraintendente Karl Wolfsgruber, allora direttore del Museo Diocesano e del Museo del Duomo di Bressano-ne. Fu lui a dirmi che di restauratori di pittura ce n’erano fin troppi. Al contrario serviva un professionista del re-stauro di tessuti. Poiché al tempo in Italia non esisteva una scuola o un indirizzo specifico per apprendere il re-stauro tessile, dopo varie ricerche e dopo aver bussato alla porta di qualche Museo in Germania, mi ritrovai a fare domanda di ammissione all’unica scuola allora esi-stente in Europa dove si insegnava sia il restauro tessile che la tessitura.

La tessitura?

Sì, perché senza aver appreso le basi di questa tecnica, ossia la trama e l’ordito, non è possibile avviare nessun intervento sui tessuti. Così ho frequentato tre mesi di corso intensivo sulla tessitura alla Heimatwerkschule di Richterswil presso il lago di Zurigo. Infine, per imparare il restauro dei tessuti ho completato la mia formazione studiando per tre anni alla Fondazione Abegg in Sviz-zera, fondata dai coniugi Margareth e Werner Abegg, collezionisti di tessuti antichi fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso.

Quindi alla teoria è seguita la pratica, immagino?

La mia fortuna è stata quella di seguire un percorso di formazione che combinava entrambi gli aspetti. Oggi il restauro si studia solo nelle università e nelle accade-mie, facendo soprattutto della teoria. L’attività sul cam-po arriva solo in un secondo momento. Io ho cam-potuto studiare e allo stesso tempo mettere in pratica quello che imparavo su pezzi di “prima mano”.

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E una volta imparato il mestiere, che cosa fa esatta-mente una restauratrice tessile?

Il campo è vastissimo. Il tessuto è un materiale mol-to fragile e complicamol-to da lavorare, con infinite ap-plicazioni. Il restauratore può intervenire su arazzi, gonfaloni, bandiere, abiti ecclesiastici, resti funerari ma anche oggetti d’uso comune, come gli ombrelli antichi. Inoltre, il restauro si basa su un principio fon-damentale, quello della “reversibilità”.

Cosa significa?

L’intervento deve essere reversibile, ovvero in qual-siasi momento dobbiamo essere in grado di toglierlo senza danneggiare il materiale originario. Ecco per-ché preferisco parlare di conservazione piuttosto che di restauro. Diverse volte mi è capitato di lavorare su opere già restaurate quando, purtroppo, i preceden-ti restauratori non avevano osservato questo stesso principio. A Palazzo Mocenigo, a Venezia, ho incon-trato tessuti trattati con il collaggio, tecnica origina-riamente sviluppata dalla scuola di restauro inglese ma assolutamente da evitare perché, una volta ap-plicata, la colla può essere rimossa solo a rischio di danneggiare il supporto. Ancora oggi, almeno per ciò che riguarda l’evidenza scientifica, non esistono colle totalmente reversibili.

Lei quindi cosa usa per il restauro?

Uso esclusivamente tessuti naturali come lino, seta, lana o cotone, e produco io stessa le tinture sia per il supporto che per il filo. Oggi non esistono più i co-loranti di un tempo. Le tinture industriali non garan-tiscono le stesse sfumature e tonalità che presenta il supporto di tessuto antico, il cui colore è per forza di

cose sbiadito. Una tintura deve avere sempre un’al-ta resistenza alla luce e all’acqua, ecco perché a un certo punto della mia carriera si è reso necessario lo studio della produzione di tinture secondo procedi-menti preindustriali.

Di solito, prima di restaurare un quadro si esegue un lavoro di pulitura della tela o della tavola, che consiste nel rimuovere gli strati di polvere e spor-cizia che si accumulano nel tempo sulla superficie pittorica. Si fa qualcosa di simile anche sui tessuti?

Certo, ed è una fase importantissima del nostro la-voro. Il tessuto è morbido e la polvere si annida fa-cilmente tra trama e ordito, i granuli di polvere col tempo creano attrito e portano la fibra a spezzarsi.

Il primo compito del restauratore è rimuovere questi granuli attraverso un delicato “lavaggio”, un interven-to che viene usata poco perché richiede esperienza:

dopo varie analisi, il tessuto viene immerso in una va-sca abbastanza ampia con acqua demineralizzata in modo che non vi siano pieghe sulla sua superficie.

Infine, si comincia a tamponarlo delicatamente, a più riprese, per far uscire la polvere.

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nasce a Bolzano nel 1959. Formatasi prima all’Istituto d’arte di Ortisei e poi presso la

pre-stigiosa Fondazione Abegg di Riggisberg in Svizzera, Irene Tomedi comincia la sua carriera di restauratrice di tessuti antichi sul finire degli anni Settanta del secolo scorso, collaborando con i musei più importanti di tutto il mondo. Pa-rallelamente all’attività restaurativa, Irene svolge

anche quella di didattica del restauro tessile e di curatrice di mostre e allestimenti dedicati

all’arte tessile. Nel suo sterminato curriculum può vantare interventi su opere di tutti i tempi e d’ogni provenienza, tra cui alcuni resti tombali

egizi e persino la Sacra Sindone.

sulti un po’ la “Cenerentola” delle discipline restaura-tive, io sono convinta che la sua pratica sia di fonda-mentale importanza.

Quali sono state le sfide più difficili affrontate nella Sua lunga carriera?

I restauri più difficili sono quelli sui tessuti tombali perché presentano molti problemi da risolvere come la sporcizia secolare, i resti di pelle, le incrostazioni…

Per rimuovere tutto questo ci vuole tanto tempo! In più si tratta di materiale frammentario e molto fragile.

A tal proposito, quale sarà la Sua prossima sfida?

Personalmente, ritengo che la sfida più grande per un restauratore di tessuti antichi sia trasmettere ai gio-vani la propria esperienza, e fare in modo che que-sto mestiere continui ad essere esercitato. Perciò mi impegno anche nella didattica e nella formazione di giovani apprendisti.

Infine, quale resta il Suo sogno proibito come re-stauratrice tessile?

Grazie alla mia formazione alla Abegg ho avuto il privilegio di collaborare con molti dei più importan-ti progetimportan-ti di restauro tessile degli ulimportan-timi anni, tra cui quello sulla Sacra Sindone. Cosa si può desiderare di più della Sindone?

(rm) Che significato assume per Lei il restauro di un tes-suto antico, al di là della tecnica e dell’esperienza necessarie per praticarlo?

Conservare in questo campo significa permettere alle generazioni successive di ammirare questi pezzi di tessitura unici, che ancora oggi non trovano ade-guata considerazione nei musei e nelle gallerie d’arte aperti al grande pubblico. Se solo pensiamo a quanto tempo e quanta perizia siano necessari per creare un unico filo di seta: dalla coltivazione del baco alla sua raccolta, dalla lavorazione della fibra alla sua tintura.

Senza parlare delle maestranze coinvolte nel lavoro meticoloso della tessitura. I visitatori dei musei spes-so non considerano il costo e il pregio asspes-soluti che le opere in tessuto avevano agli occhi dei nobili e degli alti ecclesiasti di un tempo.

È vero, in pieno Cinquecento gli stessi papi che ave-vano commissionato gli affreschi del Vaticano a Mi-chelangelo o Raffaello ordinavano alle manifatture tessili in Francia e nelle Fiandre la lavorazione di arazzi costosissimi destinati alle logge vaticane o all’allestimento della Cappella Sistina.

Sì, e non solo gli arazzi erano al tempo così richiesti.

Vede, il tessuto è qualcosa di unico, perché è stato sempre considerato un manufatto di grande valore ma allo stesso tempo un oggetto d’uso. Ecco perché il tessuto ancora oggi può insegnarci tante cose sui costumi, sugli usi e sulle mode di un tempo, più di qualsiasi altra opera proveniente dal passato. E per questo, nonostante il restauro tessile ancora oggi

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Nel documento BOLZANO BOZEN MAGAZINE (pagine 36-39)

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