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2. Movimenti di profughi dall’età moderna ai nostri giorn

2.2. Italia: da Paese di emigrazione a Paese d’immigrazione e d’asilo

L’Italia, per gran parte della sua storia dall'Unità in poi, è stata un Paese di emigrazione. Lo sviluppo economico, più lento e tardivo rispetto ad altri Paesi europei, indusse le popolazioni dei territori più poveri della penisola, il mezzogiorno ed il nord est, a spostarsi per cercare fortuna all'estero o addirittura al di là dell'Oceano. Fino agli anni settanta il principale Paese europeo esportatore di manodopera era proprio l’Italia, e in particolare il Mezzogiorno, che alimentava i più grandi movimenti di lavoratori; infatti i dati dell'epoca e gli studi svolti negli ultimi anni dimostrano che quello italiano è stato in ambito europeo lo

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Non configura un illecito internazionale, a meno che lo Stato di rifugio ometta di provvedere al controllo degli individui ammessi a soggiornare sul proprio territorio al fine di impedire che ivi impiantino la base di attività offensive a danno di altri Stati. La Risoluzione sull'asilo nel diritto internazionale pubblico, emessa nel 1959 dall'Istituto di diritto internazionale (Institut de droit

international), fondazione che si occupa di sostenere gli sforzi volti ad eliminare i motivi di

conflitto fra le nazioni e diretti alla codificazione del diritto internazionale recita “Ogni Stato

che, nell'adempimento dei suoi doveri di umanità, accordi asilo sul proprio territorio, non incorre per questo fatto in alcuna responsabilità internazionale” (art. 2 comma 1).

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spostamento più ingente (considerato in rapporto al numero di abitanti complessivo della penisola), e nel maggior numero di direzioni. Si stima che nell’arco di un secolo, tra il 1876 e il 1976, partirono oltre 24 milioni di persone67

, al punto che oggi si parla di grande emigrazione o diaspora italiana68.

Gli italiani all’estero, come del resto sempre i migranti, incontrarono difficoltà di integrazione nel tessuto sociale, economico e culturale straniero; soffrirono il distacco dalla terra d’origine, lo spaesamento, l’emarginazione, lo sfruttamento nel lavoro e il pregiudizio, che spesso li rese facili capri espiatori. Alcuni fecero fortuna, altri caddero nelle reti del crimine organizzato, la maggior parte si rassegnò a tenori di vita inferiori alle aspettative e alcuni rientrarono.

Per tutto questo periodo il fenomeno dell’immigrazione in Italia era stato invece pressoché inesistente, ove si eccettuino le migrazioni dovute alle conseguenze della seconda guerra mondiale, come l’esodo istriano69

, o il rientro degli italiani dalle ex colonie d'Africa. Tali fenomeni però ebbero allora un carattere episodico, e soprattutto non presentarono sostanziali problemi di integrazione dal punto di vista sociale o culturale. L'Italia rimase dunque tendenzialmente un Paese dal saldo migratorio negativo70.

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Rielaborazione dati Istat, in ROSOLI GIANFAUSTO, Un secolo di emigrazione italiana 1876-

1976, Roma Centro Studi Emigrazione (Cser), 1978.

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Il fenomeno dell'emigrazione cominciò ad affievolirsi in modo significativo solo a partire dagli anni sessanta, anni del miracolo economico.

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L'esodo istriano, noto anche come esodo giuliano-dalmata, è un evento storico consistito nella diaspora forzata della maggioranza dei cittadini di etnia italiana, che si verificò a partire dalla seconda guerra mondiale e negli anni ad essa successivi, dai territori che prima appartenevano al Regno d’Italia, e che poi furono occupati dal maresciallo Tito e annessi alla Jugoslavia. Il fenomeno, susseguente agli eccidi noti come massacri delle foibe, coinvolse in generale tutti coloro che diffidavano del nuovo governo jugoslavo (RAOUL PUPO, Il lungo esodo. Istria: le

persecuzioni, le foibe, l'esilio, Rizzoli, Milano, 2005).

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Il saldo migratorio è la differenza tra il numero di immigrati e quello di emigrati riferito ad una determinata città, zona o Paese in un anno, o in un determinato periodo di tempo. Il saldo

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La svolta si ebbe nel 1973 quando per la prima volta si calcolò un leggerissimo saldo migratorio positivo (101 ingressi ogni 100 espatri), caratteristica che sarebbe poi diventata costante, amplificandosi negli anni a venire. Inizialmente gli ingressi erano perciò in gran parte costituiti, piuttosto che da stranieri, ancora da migranti italiani che rientravano, soprattutto a causa della crisi del 1973, che aveva provocato per molti la perdita del posto di lavoro all’estero. Il flusso di stranieri veri e propri, inizialmente migranti in cerca di lavoro, e poi sempre di più profughi extraeuropei, cominciò a prendere consistenza solo verso la fine degli anni settanta, sia per la politica delle “porte aperte” praticata dall'Italia, sia per le politiche più restrittive adottate dagli altri Paesi europei.

I cittadini extraeuropei inizialmente erano per lo più di origine mediorientale (iraniani fuggiti dal regime di Khomeini71, o iracheni disertori e sfollati del conflitto tra Iran e Iraq72) e sudamericana (che fuggivano dalle dittature dell’America Latina, in particolare dal Cile di Pinochet73

). Alcuni di essi, pur essendo extraeuropei, nell’ambito di misure straordinarie, furono riconosciuti

migratorio è in positivo di solito in molti Paesi economicamente sviluppati, dove il numero di immigrati è molto superiore a quello degli emigrati; viceversa, è negativo in molti Paesi definiti nella visione occidentale dominante “in via di sviluppo”, a causa dell'alto numero di emigrati che si trasferiscono in altri Paesi.

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Autore della Rivoluzione islamica iraniana del 1979 che trasformò la millenaria monarchia persiana governata dallo Scià, in una Repubblica islamica la cui Costituzione si ispira alla legge coranica, la sharia.

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Fu una guerra combattuta tra i due Paesi dal settembre 1980 all'agosto 1988, in seguito all'invasione irachena dell'Iran, avvenuta dopo una lunga storia di dispute sul confine e tensioni internazionali tra i blocchi delle superpotenze, che appoggiavano le parti avverse convogliando armi e finanziamenti (DI NOLFO E., Storia delle relazioni internazionali. Dal 1918 ai giorni

nostri, Editori Laterza 2011, Parte quinta).

73In Cile, l’11 settembre 1973, un sanguinoso golpe militare guidato dal generale Augusto

Pinochet rovesciò il governo Allende, scatenò una durissima repressione, sospese la Costituzione e si rese colpevole dell’assassinio e dell’arresto di varie migliaia di dirigenti sindacali e politici, nonché di comuni cittadini dissidenti (DI NOLFO E., Storia delle relazioni internazionali. Dal

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rifugiati in deroga alla riserva geografica, che l’Italia aveva adottato al momento della ratifica della Convenzione di Ginevra (1954) insieme a pochi altri Paesi74. Ma di essi solo una minima parte si fermò nel nostro Paese.

Il flusso migratorio continuò ad aumentare negli anni ottanta, con un numero sempre crescente di profughi extraeuropei: nel 1981 il primo censimento Istat degli stranieri ne calcolò 321.000, di cui circa un terzo “stabili” e il rimanente “temporanei”.

Fino agli anni ottanta, comunque, l’Italia rivestì prevalentemente il ruolo di Paese di transito, in quanto passaggio obbligato per il Nord Europa, o al massimo di primo asilo soprattutto per persone che scappavano dal mondo comunista europeo, insieme all’Austria e all’ “allora Jugoslavia”75

che, per la loro posizione geografica e politica, erano loro favorevoli, quasi in una sorta di accordo internazionale implicito di distribuzione dei compiti, per cui quello di predisporre una protezione per i rifugiati provenienti dai Paesi extraeuropei, era delegato invece a Stati Uniti, Canada e Australia innanzitutto (ma anche, in Europa, a Repubblica Federale Tedesca, Regno Unito e Francia); salvo, per l’Italia, alcune sporadiche eccezioni estemporanee svincolate da un preciso quadro normativo76.

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La riserva geografica, prevista dalla Convenzione di Ginevra (Capo 1, Art. 1, B 1), offriva agli Stati Contraenti la possibilità di limitare gli obblighi loro derivanti dalla Convenzione alle persone divenute rifugiate in seguito ad avvenimenti verificatisi in Europa soltanto e non anche altrove. Tale limitazione è tuttora vigente in alcuni Paesi membri: Repubblica Democratica del Congo, Madagascar, Principato di Monaco, Malta, Turchia, Ungheria e, fino al 31 dicembre 1989, anche in Italia.

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La Jugoslavia, pur essendo comunista, non si era “allineata” al regime sovietico.

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Si tratta della presa in carico, ad esempio, nel 1973, di circa mille cileni, extracomunitari, i quali si rifugiarono nell’ambasciata italiana a Santiago durante il golpe militare, e chiesero protezione; o dei cosiddetti boat people (persone che usano il mare come unico percorso possibile per un esodo in massa, imbarcati su mezzi di fortuna, chiatte, barche, zattere, spesso in sovraccarico, senza guida e senza criteri di sicurezza), quali nel 1979 i 3500 cittadini del Sud-est asiatico (cambogiani, laotiani, sud-vietnamiti), raccolti in mare da navi italiane; o nel 1987/1988 l’accoglimento di piccoli gruppi di cittadini iracheni, afghani e ghanesi, nonché in seguito di

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I flussi provenienti dall’Est europeo erano dovuti all’intensificarsi in quei Paesi dei tentativi di rivolta al dominio sovietico, com’era stata nel 1956 l’insurrezione ungherese, e come furono la Primavera di Praga del 1968, o il colpo di stato in Polonia del 1981 a seguito delle manifestazioni del sindacato Solidarnosz.

Nel censimento del 1991, il numero dei migranti in Italia era addirittura raddoppiato rispetto a dieci anni prima. Nel corso degli anni novanta i flussi migratori verso il nostro Paese si intensificarono ulteriormente e significativamente, rendendolo un punto d'approdo non secondario per cittadini europei, extraeuropei ed extracomunitari, che fuggivano da guerre e povertà, da regimi oppressivi e persecutori.

In questi anni, dunque, il saldo migratorio continuò a crescere, e crebbe a tal punto da diventare il solo responsabile della crescita della popolazione italiana. Da allora continuò a raddoppiare ogni dieci anni77. Le ragioni della scelta dell'Italia come approdo da parte dei migranti erano molteplici, e lo sono tuttora: la sua collocazione geografica nel Mediterraneo, che la rende facilmente raggiungibile; le caratteristiche dei confini nazionali che ne rendono molto difficile una completa e corretta supervisione, e pertanto difficilmente controllabili; e non ultimo il fenomeno della malavita organizzata, che ha messo in moto una vera e propria tratta di manodopera e di nuovi “schiavi”.

Fu proprio negli anni novanta che l’Italia dovette confrontarsi con grandi emergenze: continue ondate di migrazioni forzate giunsero soprattutto, ma non

alcuni cittadini palestinesi. (PETROVIC N., Rifugiati, profughi, sfollati. Breve storia del diritto

d’asilo in Italia dalla Costituzione ad oggi, Collana di diritto e società, edit. Franco Angeli,

2011).

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solo, dall’area balcanica, prima fra tutte nel 1991 la prima migrazione di massa dall'Albania (alla quale ne seguirà una seconda nel 1997).

Prima nel porto di Brindisi, poi in quello di Bari, a bordo di navi mercantili e di imbarcazioni di ogni tipo definiti boat people, giunsero migliaia di migranti. Fuggivano dalla crisi economica e dalla dittatura, e per loro l'Italia rappresentava un futuro migliore. L’evento fu vissuto dai Pugliesi, ma anche dagli altri Italiani attraverso la rappresentazione che ne davano i media, come una vera e propria “invasione”, di fronte alla quale le autorità statali, prive di strumenti legislativi, organizzativi ed operativi adeguati (nonostante la neonata legge Martelli), assunsero un atteggiamento incerto e altalenante: dapprima li accolsero come rifugiati, poi concessero loro un permesso straordinario per un anno, e infine, quando si resero conto della portata del fenomeno, chiusero le frontiere rifiutando loro l’ingresso nel territorio italiano, o li rimpatriarono forzatamente (contravvenendo in tal modo agli orientamenti e ai principi comunitari e internazionali in materia di richiedenti asilo)78.

Ci fu poi l’arrivo dei profughi somali, che scappavano dalla guerra civile iniziata nel 199179 e di quelli della ex Jugoslavia, in una prima ondata negli anni 1991-1995 a seguito dello scoppio dei conflitti armati che portarono allo

78“La politica della netta chiusura espressa dalle istituzioni governative nei confronti

dell’immigrazione viene giustificata dalla necessità di difendersi da presunta, incombente invasione. Si sviluppa una sindrome da assedio che, peraltro, è certamente rafforzata dai mezzi di comunicazione di massa” da MACIOTI M. A. e PUGLIESE E., Gli immigrati in Italia,

Laterza 1993, in PETROVIC N., “Rifugiati, profughi, sfollati. Breve storia del diritto d’asilo in

Italia dalla Costituzione ad oggi, Collana di diritto e società, edit. Franco Angeli, 2011, nota 12.

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Nel 1991, dopo la fine dell’aiuto sovietico, il dittatore somalo Siad Barre fu rovesciato; ma in breve tempo anche il nuovo governo si dissolse. Si scatenò allora una violenta guerra civile che ridusse il Paese alla fame. La sempre più violenta e caotica situazione evolse in una crisi umanitaria e in uno stato di anarchia, che richiamò l’intervento dell’ONU prima e degli USA poi, senza che il problema si risolvesse (DI NOLFO E., Storia delle relazioni internazionali. Dal

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scioglimento della federazione e all’indipendenza degli Stati che la componevano80; in una seconda tra il 1998 e il 2000 sotto la spinta della guerra del Kosovo81. I profughi jugoslavi varcarono le frontiere italiane passando soprattutto attraverso le regioni nordorientali, accolti nell’immediato da tangibili e consistenti slanci di generosità delle famiglie. Mentre lo Stato, nonostante le disposizioni sull’accoglienza si dimostrassero sulla carta tra le più avanzate a livello europeo82, riuscì a prendersi cura solamente di poco più di duemila profughi che, ospitati peraltro in caserme militari, vivevano in condizioni di ghettizzazione più che di accoglienza vera e propria e che, pur essendo dei civili, erano costretti a dimorare in ambienti militari sorvegliati da guardie.

Contemporaneamente alla cessazione dell’emergenza legata ai profughi della ex Jugoslavia, nel 1997 l’Italia venne investita dalle conseguenze di una nuova crisi albanese. Nuovamente, di fronte all’intensificarsi del flusso migratorio, la politica italiana di apertura venne gradualmente sostituita da politiche di contrasto, attuate anche mediante blocchi navali da parte della marina

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Le guerre jugoslave sono state una serie di conflitti armati, inquadrabili tra una guerra civile e conflitti secessionisti, causati principalmente dal nazionalismo imperante nelle diverse repubbliche, ma anche da motivazioni economiche, interessi e ambizioni personali dei leader politici coinvolti, nonché gli interessi di alcune entità religiose (DI NOLFO E., Storia delle

relazioni internazionali. Dal 1918 ai giorni nostri, Editori Laterza, Bari 2011, Parte Sesta)

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Il Kosovo era una provincia autonoma i cui abitanti erano in maggioranza albanesi. Con la morte di Tito (1980) e con il rinascere e crescere dei vari nazionalismi, l'insofferenza etnica della popolazione albanese in Kosovo verso la federazione Jugoslava aveva cominciato a sfumare dalla rivendicazione autonomista a quella indipendentista. Il conflitto precipitò alla fine degli anni ottanta. In questo primo periodo furono gli Albanesi a fuggire in massa e trovare asilo in altri Stati. Ma dopo la sconfitta della Serbia per l’intervento delle truppe NATO, gli Albanesi rientrarono e furono i Serbi a dover esiliare (DI NOLFO E., Storia delle relazioni internazionali.

Dal 1918 ai giorni nostri, Editori Laterza, Bari 2011, Parte Sesta, e PETROVIC N., “Rifugiati, profughi, sfollati. Breve storia del diritto d’asilo in Italia dalla Costituzione ad oggi, Collana di

diritto e società, edit. Franco Angeli, 2011).

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Nei primi anni novanta, infatti, in seguito alla legge Martelli (n. 39/90), l’unica finora ad aver dedicato un articolo apposito (art.1) ai richiedenti asilo tuttora confusi nella massa indifferenziata dei migranti, erano stati previsti interventi connessi alla ricezione, al trasporto, all’alloggio, al vitto, al vestiario, all’assistenza medico-sanitaria e socio-economica, nonché alla ricezione dei profughi in strutture di accoglienza individuate all’occasione sul territorio nazionale.

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militare che vennero denunciati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite come violazione del principio del non-refoulment83.

L’ultimo massiccio arrivo di rifugiati provenienti dai Balcani fu quello degli sfollati kosovari84. Ancora una volta l’atteggiamento del Governo italiano fu altalenante: dapprima si rese disponibile ad accoglierli; subito dopo, ipotizzando una durata breve del conflitto, decise di adottare una politica di aiuti agli sfollati affluiti negli Stati limitrofi, assistendoli il più possibile vicino ai luoghi di provenienza, ovvero all’interno dei confini della ex Jugoslavia (così da disincentivarne l’affluenza in territorio italiano); infine, di fronte all’appello dell’UNHCR preoccupato della forte pressione migratoria su quegli stessi Stati conseguente il protrarsi delle ostilità, decise di accoglierne un gruppo consistente (circa 5000), trasferendoli con un ponte aereo, nella ex base NATO di Comiso in Sicilia85.

Negli anni novanta, dunque, l'Italia si trovò a rivestire, non più solo il ruolo di Paese di transito, ma soprattutto quello di Paese di destinazione finale dei migranti. Se fino agli anni settanta era stata coinvolta solo marginalmente nel

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Art. 33 della Convenzione di Ginevra.

84Mentre molti dei rifugiati jugoslavi della prima ondata finirono con l’inserirsi nel tessuto sociale

e lavorativo italiano, quelli kosovari albanesi della seconda ondata, invece, a fine conflitto ritornarono nel loro Paese; da dove, però, in seguito al ribaltamento della situazione socio- politica che gli esiti della guerra avevano determinato, si mosse un nuovo massiccio esodo, questa volta dei non-albanesi: migliaia di cittadini soprattutto serbi, ma anche montenegrini e gitani, fuggirono pertanto dal Kosovo per scampare alle rappresaglie albanesi e molti di essi giunsero in Italia (PETROVIC N., “Rifugiati, profughi, sfollati. Breve storia del diritto d’asilo in

Italia dalla Costituzione ad oggi”, Collana di diritto e società, edit. Franco Angeli, 2011 e

Documentario autoprodotto, distribuzione dal basso, col supporto di SMK video factory, di V. BASSAN- A. LEGNI, Kosovo versus Kosovo).

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“L’operazione Comiso può essere considerata una pratica di successo nella storia dell’asilo in

Italia sotto diversi profili. Si è trattato di una specie di operazione di reinsediamento pro tempore di un gruppo consistente di cittadini in fuga dal proprio Paese ai quali non solo viene offerta protezione ed accoglienza ma anche la possibilità di arrivo e ritorno nel proprio paese d’origine in condizioni dignitose e piena sicurezza” (PETROVIC N., Rifugiati, profughi, sfollati. Breve storia del diritto d’asilo in Italia dalla Costituzione ad oggi, Collana di diritto e società,

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sistema delle migrazioni internazionali, negli anni novanta se ne trovò pienamente investita, trasformandosi a pieno titolo da Paese d’emigrazione e d’esilio, in Paese di forte attrazione migratoria e d’asilo. Nel tentativo di superare la pratica dei provvedimenti emergenziali, alla fine degli stessi anni novanta, venne varata una nuova legge, la Turco-Napolitano, che confermò le procedure di assistenza previste dalla legge precedente e istituì i Centri di accoglienza86.

Dopo il boom di questo decennio, determinato, come si è visto, dall’acutizzarsi dei conflitti nell’Europa orientale, nel corso del primo decennio duemila i flussi migratori non cessarono, ma si attenuarono notevolmente rispetto al decennio precedente, e pertanto il numero dei richiedenti asilo diminuì, anche in conseguenza di nuove disposizioni87 e di accordi bilaterali o di partenariato che l’Italia stipulò con alcuni Paesi di provenienza dei migranti stessi, e che assicurarono più rigidi controlli alle frontiere e respingimenti in alto mare. Intanto la geografia politica dei flussi in questo decennio andò progressivamente mutando: a quelli provenienti dall’area balcanica e dal medio Oriente, si sostituirono quelli provenienti dall’Africa.

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Nella legge Turco-Napolitano (n. 40/98), il tema dell’asilo perdeva la specificità acquisita con la

legge Martelli e tornava ad essere, restandolo fino ad oggi, un tema residuale nell’ambito della

normativa in materia di immigrazione.

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Agli inizi degli anni duemila la nuova legge Bossi-Fini (189/2002), aveva riformato in senso restrittivo la disciplina dell’asilo. Attenta soprattutto alla prevenzione del fenomeno e per limitare gli ingressi in Italia, aveva disposto maggiori controlli transfrontalieri, con particolare attenzione alla vigilanza delle coste; contestualmente aveva reso più difficoltoso il soggiorno in Italia dello straniero e agevolato l’allontanamento. Aveva inoltre istituito i Centri di

Identificazione (CID) all'interno dei quali “potevano” o “dovevano” essere “trattenuti”, a

seconda del caso, i richiedenti asilo in attesa dell'esito dell'esame della domanda. Nonostante ciò riconobbe e rifinanziò il Programma Nazionale Asilo (PNA), ideato e messo in atto nel 2001 come progetto sperimentale da UNHCR, ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) e Ministero dell’Interno, che confluì poi nel Sistema di protezione per richiedenti asilo e

rifugiati (SPRAR), il quale mira alla costituzione di una rete di accoglienza capace di

accompagnare i richiedenti asilo durante tutto l’iter del riconoscimento dello status e di predisporre interventi in sostegno dell’integrazione dei rifugiati. Alla fine degli stessi anni duemila, poi, la legge n. 94/2009 (nell’ambito del Pacchetto Sicurezza), ha introdotto il molto discusso reato di “immigrazione clandestina”.

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E fu proprio in Africa che, a fine decennio, una nuova emergenza umanitaria andò profilandosi all’orizzonte meridionale del Mediterraneo, un’emergenza che interessò l’Italia a partire dal 2011: la cosiddetta Emergenza Nord Africa (di cui si tratterà diffusamente nel secondo capitolo). Essa fu la

conseguenza di una nuova “ondata” migratoria determinata dalla cosiddetta Primavera Araba, termine di coniazione giornalistica che si riferisce all’insieme