• Non ci sono risultati.

Italia: la ratifica e l’attuazione

L’Italia vanta il primato di essere il quarto paese al mondo57 ed il primo stato

europeo ad aver depositato lo strumento di ratifica dello Statuto della Corte penale internazionale presso il Segretariato Generale delle Nazioni Unite. Dietro a questo pregevole record stanno ovviamente motivazioni di natura politica e di visibilità internazionale che certamente risulterebbero del tutto irrilevanti se il nostro Paese, colto da una irresistibile sollecitudine, non avesse tralasciato di adottare la legislazione di attuazione necessaria per dare piena effettività alla Convenzione stessa. Una lacuna che a tutt’oggi non è ancora stata colmata.

Ad onor del vero, l’originario disegno di legge per la ratifica e l’esecuzione dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale conteneva anche la delega al Governo per l’attuazione dello Statuto medesimo58. Tuttavia, la primaria esigenza di una rapida ratifica, che ha informato tutti i differenti momenti dei lavori parlamentari, sia in sede di Commissioni referenti che nel corso dei dibattiti delle Assemblee, ha portato allo stralcio degli articoli di delega e all’adozione della sola legge di autorizzazione59. Una premura dettata non solo «da ragioni di prestigio internazionale, ma anche dalla necessità di raggiungere in tempi ragionevoli il quorum di ratifiche da cui dipende[va] l’entrata in vigore dello statuto di Roma»60.

Ne è derivato, quindi, che dall’originario disegno di legge per la ratifica e l’esecuzione del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale61 sono stati eliminati gli articoli 2, 3 e 4 che contenevano per l’appunto l’attribuzione al Governo del potere di emanare «uno o più decreti legislativi recanti le disposizioni occorrenti per dare attuazione allo Statuto». Nella relazione delle Commissioni 2a (Giustizia) e 3a (Affari Esteri) riunite comunicata alla Presidenza

del Senato il 2 febbraio 1999, si legge, infatti, come esse abbiano deliberato di «riferire favorevolmente all’Assemblea sul provvedimento in esame proponendo lo stralcio degli articoli 2, 3 e 4 (...), perchè l’urgenza di ratificare lo Statuto medesimo (…) [avrebbe potuto] essere compromessa dall’esame dei contenuti

56 Il riesame della condanna è previsto negli artt. 110 dello Statuto di Roma e 223 del Regolamento di

Procedura e di Prova. Quella del riesame automatico della pena è argomentazione prospettata dalla Corte costituzionale ecuadoregna per affermare la compatibilità dello Statuto di Roma rispetto al divieto della condanna all’ergastolo. V. ICRC, Ecuador, in Issues raised with regard to the Rome Statute of the

International Criminal Court by National Constitutional Courts, Supreme Courts and Councils of State, in

http://www.icrc.org, p. 10.

57 Dopo Senegal, la Repubblica di Trinidad e Tobago e la Repubblica di San Marino. 58 Disegno di Legge A.S. n. 3594, XIII Legislatura.

59 Legge n. 232 del 12 luglio 1999.

60 Relazione delle Commissioni 2a (Giustizia) e 3a (Affari Esteri) riunite comunicata alla Presidenza del

Senato il 2 febbraio 1999.

30 CAPITOLO II

della delega, che invece richiedono un dibattito più approfondito». La relazione osserva, infatti, che si tratterebbe di «adattare a quanto previsto nello Statuto il codice penale, le norme di procedura e – secondo alcuni autorevoli colleghi delle Commissioni referenti – anche le norme costituzionali in materia di responsabilità penale del Capo dello Stato», cioè gran parte del corpus legislativo nazionale.

Per la verità, i nodi costituzionali evidenziati nel corso dei dibattiti parlamentari non si sono limitati alla sola immunità del Presidente della Repubblica. Certamente l’attenzione si è prevalentemente focalizzata sulla problematica dell’incompatibilità tra l’articolo 27 dello Statuto di Roma, in materia di “irrilevanza delle qualifiche ufficiali”, e l’articolo 90 della Costituzione italiana relativo all’istituto dell’irresponsabilità del Presidente della Repubblica. E se da un lato, l’onorevole Pera, anche a causa di questa incompatibilità, dichiarava che si sarebbe astenuto dal voto, dall’altro, l’onorevole Salvato ipotizzava l’infondatezza di tale nodo ritenendo che, «ove [il Capo dello Stato] arrivasse a macchiarsi di crimini contro l’umanità, avrebbe già violato il principio di attentato alla Costituzione prevista dall’ordinamento italiano»62. L’onorevole Previti, poi, estendendo il dubbio costituzionale anche a tutte quelle norme attributive di immunità dalla giurisdizione penale a soggetti istituzionali – quali i parlamentari, i ministri, i consiglieri regionali, i giudici della Corte costituzionale –, sottolineava la necessità di un’ampia ed organica revisione della nostra Carta fondamentale63.

Lo stesso onorevole Previti proseguiva, poi, auspicando l’opportunità di procedere ad una «discussione ben più particolareggiata rispetto al principio della discrezionalità dell’azione penale» sancito dagli artt. 17, primo comma, lett. d) e 532 dello Statuto di Roma, in quanto «in contrasto con l’affermazione, nella nostra Costituzione, dell’opposto principio dell’obbligatorietà (…)». La necessità di operare una armonizzazione tra i due divergenti assiomi era stata precedentemente manifestata anche dal Senatore Pettinato nel corso della sua relazione sul disegno di legge alle Commissioni 2a (Giustizia) e 3a (Affari Esteri) riunite.

Tuttavia, al di là di queste scarne osservazioni, la questione circa la compatibilità costituzionale dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale ha impegnato in poca misura i dibattiti parlamentari sul provvedimento, tutti imperniati, invece, sulla portata storica del Trattato e sulla necessità politica di ratificare al più presto lo Statuto.

Parallelamente, è mancata anche una riflessione organica in relazione all’impatto delle disposizioni del Trattato sull’intero corpus normativo nazionale, probabilmente nella convinzione che considerazioni più approfondite avrebbero trovato adeguato spazio in sede di approvazione della legge di delega al Governo. Secondo la relazione delle Commissioni riunite del Senato, infatti, «l’urgenza della ratifica non significa[va] che le norme stralciate [fossero] di secondaria importanza; anzi, proprio per sottolineare la valenza strategica dell’adattamento del diritto interno al diritto internazionale pattizio e l’importanza dei contenuti

62 Senato, Commissioni 2a e 3a riunite, 12a seduta, 27 gennaio 1999.

DELL’ADATTAMENTO DELLO STATUTO DI ROMA 31

[della delega] [era] necessario che esse [fossero] oggetto di un altro iter che richiede tempi e modalità diversi, pur essendo ugualmente essenziale il loro esame».

La procura al Governo, quindi, venne inserita in un progetto di legge autonomo64 il cui esame tuttavia si arenò a seguito dei numerosi rilievi eccepiti dalla Commissione Giustizia del Senato in merito alla eccessiva genericità della delega in esso contenuta65. Una occasione persa anche alla luce del fatto che, forse, quella poteva rappresentare la sede adatta per un serio ed articolato dibattito sulle eventuali questioni di costituzionalità derivanti dalla ratifica dello Statuto di Roma. Se è pur vero che nessuna modifica costituzionale può avvenire ad opera di decreti legislativi, si potrebbe però ipotizzare che una discussione intensa e consapevole sui contenuti della delega, o quanto meno un ragionamento responsabile durante l’iter di preparazione dei decreti stessi, avrebbe potuto evidenziare eventuali contrasti con la Carta fondamentale e formulare possibili soluzioni.

Fallita la strada del decreto legislativo, il Governo, quindi, si premurò di incaricare la già esistente Commissione Pranzetti di elaborare un testo di lavoro che desse attuazione agli obblighi sostanziali derivanti dallo Statuto di Roma e da altre convenzioni di diritto internazionale umanitario. Ma ancor prima della conclusione dei lavori, questa commissione venne sostituita da un’altra nominata dal Ministro della giustizia (Commissione La Greca prima, Lattanzi poi) con il compito di aggiornare la legislazione processual-penalistica italiana in conformità a quanto disposto dai trattati ratificati dal nostro Paese66.

Negli anni successivi, poi, si susseguirono altre due Commissioni ministeriali – le Commissioni Conforti 67e Scandurra68 –, l’una incaricata di elaborare progetti in materia di diritto penale sostanziale e di obblighi di cooperazione con la Corte e l’altra deputata alla riforma dei codici penali militari di pace e di guerra.

Tuttavia, nel dedalo di questo avvicendarsi di Commissioni e di sottocommissioni possiamo rintracciare ben pochi risultati tangibili. Ed infatti l’unica proposta concreta arrivata al vaglio del Parlamento è stata quella in materia di riforma dei codici penali militari licenziato dalla Commissione Scandurra, già approvato dal Senato e passata poi all’esame della Camera69.

64 A.S. n. 3594 bis, XIII Legislatura presentato il 9 febbraio 1999. 65 Seduta n. 412 del 6 aprile 1999 della Commissione Giustizia del Senato.

66 Nella XIII Legislatura furono istituite la Commissione Pranzetti (1998-2001) e la Commissione

Lattanzi (1999-2002) rispettivamente ad opera del Ministro per gli Affari Esteri e del Ministro della Giustizia. La Commissione Lattanzi-La Greca ha completato il proprio lavoro elaborando un disegno di legge-delega a fine 2001.

67 La Commissione Conforti, istituita dal Ministro della Giustizia durante la XIV Legislatura, ha

concluso i propri lavori nel 2003 con due progetti di legge mai resi pubblici.

68 La Commissione Scandurra, istituita dal Ministro della Difesa durante la XIV Legislatura, ha

concluso i propri lavori con un altro progetto di legge-delega, approvato dal Senato il 18 novembre 2004 (A.S. n. 2493, XIV Legislatura) e passato poi alla Camera (A.C. n. 5433), ma mai esaminato.

32 CAPITOLO II

Purtroppo, con la fine della XIII Legislatura il disegno di legge A.S. 3594-bis che conteneva l’originaria delega governativa, dopo essere stato assegnato all’esame della Commissione Giustizia del Senato, è decaduto senza lasciar traccia di alcuna discussione rilevante in merito.

Analogamente sono decaduti anche i progetti di legge presentati durante la XIV Legislatura. Ad onor del vero, però, le proposte depositate nel quinquennio compreso tra il 2001 ed il 2006 non contenevano alcuna delega al Governo, bensì recavano una disciplina dettagliata per l’adeguamento della legislazione interna agli obblighi derivanti dallo Statuto della Corte penale internazionale70. Allo scadere della Legislatura, per tutti questi disegni, assegnati alla Commissione permanete Giustizia, non era ancora iniziato l’esame.

Nella XV Legislatura, sono stati presentati, assegnati ad una Commissione e decaduti altri due disegni di legge recanti disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento interno allo Statuto della Corte penale internazionale71. Per entrambi, l’esame non era nemmeno iniziato.

Attualmente, pendono davanti alle rispettive Commissioni parlamentari ben 6 proposte di legge in materia di attuazione della Convenzione sul Tribunale de L’Aja72. Nella 2a Commissione permanente (Giustizia) della Camera dei Deputati sono stati riuniti tutti i progetti in materia depositati presso quel ramo del Parlamento. I lavori hanno avuto ufficialmente inizio nello scorso mese di giugno, ma ad oggi non si è aperta alcuna discussione nel merito ed il provvedimento, pur comparendo regolarmente nel calendario dei lavori, viene sistematicamente rinviato.

Per quanto, invece, attiene ai disegni di legge sull’adeguamento dell’ordinamento interno allo Statuto della Corte penale internazionale assegnati alla fine del 2008 alla Commissione giustizia del Senato, giacciono in quella sede totalmente ignorati.