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La neonata giurisprudenza della Corte penale internazionale: un

adempimento meramente formale nel mandato di arresto …

Nonostante lo Statuto di Roma sia entrato in vigore il primo luglio del 2002, di fatto la Corte penale internazionale ha iniziato il suo mandato a partire dal gennaio del 2004 a seguito di un referral presentato dal presidente dell’Uganda,

51 V. Pre-trial Chamber I, Warrant of Arrest emesso il 4 marzo 2009. 52 V. A.C

ASSESE, Giustizia impossibile, in La Repubblica, 5 marzo 2009.

53 V. supra Capitolo I Dai Tribunali ad hoc alla Corte penale internazionale, par. 1. 54 Art. 13 dello Statuto.

55 Art. 16 dello Statuto. 56 V. A.C

84 CAPITOLO IV

Yoweri Museveni, con il quale, sottoponendo al Procuratore la “situazione” relativa al nord del paese, si chiedeva di indagare sui presunti crimini internazionali commessi da parte del gruppo guerrigliero Lord’s Resistance Army. Da quella data fino ad oggi ed in relazione a quattro differenti “situazioni”57, la Corte penale internazionale ha spiccato 13 mandati di arresto. Risulta interessante notare come, nonostante l’assenza di un obbligo in tal senso, tutti e tredici gli atti, dopo una succinta descrizione dei fatti e dei crimini contestati, indichino – attraverso il richiamo all’art. 58 dello Statuto – le finalità per le quali i provvedimenti sono stati emessi. Quello operato risulta certamente un semplice e scarno rimando privo, sotto il profilo sia della congruità logica sia della completezza argomentativa (mutuando le parole della Corte di Cassazione58), di una qualsiasi, seppur minima, valutazione delle fonti di prova e delle esigenze cautelari allegate dal Procuratore.

Tuttavia, la finalità perseguita viene sommariamente indicata.

Analizzando i 13 mandati di arresto emessi fino ad oggi59, si nota infatti come la Camera Preliminare (intesa come entità astratta, senza operare in questa sede distinzioni tra le varie Sezioni) abbia differentemente motivato, almeno in modo formale, la concessione di ciascun mandato di arresto: in ognuno di essi viene richiamata la parte dell’art. 58 dello Statuto appropriata al caso concreto e relativa alla esigenza cautelare che, nella specifica situazione, la Corte intende perseguire, risultando inconferente il fatto che, talvolta, le finalità tutelate corrispondano a tutte e tre le istanze previste dalla disposizione dello Statuto di Roma60. Se è vero, infatti, che i mandati di arresto emessi dalla II Sezione della Camera Preliminare nei confronti di Joseph Kony, Vincent Otti, Raska Lukwiya, Okot Odhiambo e Dominic Ongwen richiamano tutte e tre le esigenze cautelari previste dallo Statuto di Roma61, quasi suggerendo che l’abbondanza del riferimento nasconda una mancata valutazione delle reali esigenze cautelari, è altresì vero che quelli emanati sia dalla Prima che dalla Terza Sezione, in relazione alla situazione – rispettivamente – della Repubblica Democratica del Congo e della Repubblica Centro-africana, traggono la loro giustificazione solo da due istanze cautelari62. Ma il caso ai nostri fini più esemplare risulta quello esaminato dalla Prima

57 Situazione sull’Uganda (referral 29/1/2004, Decision to open investigation 29/7/2004), sulla

Repubblica Democratica del Congo (referral 19/4/2004, Decision to open investigation 23/06/2004), sulla Repubblica centro-africana (referral 7/1/2005, Decision to open investigation 22/5/2007) e sul Darfur-Sudan

referral 31/3/2005, Decision to open investigation 6/6/2005).

58 Corte di Cassazione, sez. fer., sent. del 13 settembre 2005.

59 Per un aggiornamento dei Casi su cui sta procedendo, si veda il sito della Corte penale internazionale

http://www.icc-cpi.int/.

60 Alla base dei mandati di arresto inerenti alla Situazione dell’Uganda emessi nei confronti di Joseph

Kony, Vincent Otti, Raska Lukwiya, Okot Odhiambo e Dominic Ongwen si trovano, a parere della Corte, la necessità di garantire la presenza dell’imputato al processo, esigenze processuali ed investigative e il pericolo che essi persistano nella commissione di crimini internazionali.

61 La Seconda Camera preliminare, composta dai giudici Tuiloma Neroni Slade, Mauro Politi,

Fatoumata Dembele Diarra, si occupa della situazione relativa all’Uganda.

62 Le finalità cautelari sottese ai mandati solo attengono al rischio di inquinamento delle prove e

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Sezione della Camera preliminare che, in relazione ai due mandati di arresto emessi nello stesso giorno nell’abito della medesima “situazione” del medesimo “caso”, ha individuato esigenze cautelari diverse63.

Ad una analisi più accurata, tuttavia, la tecnica utilizzata dalla Corte potrebbe fondatamente sembrare un ottemperamento meramente formale al principio in questione: in mancanza di qualunque tipo di procedimento argomentativo sulla congruità logica e sulla coerenza delle prove addotte dal Procuratore, il lapidario richiamo all’articolo 58, primo comma, dello Statuto e alla casistica che lo compone (lett. i) ii) e iii)) rappresenterebbe, infatti, un semplice adempimento formale all’obbligo di motivazione degli atti giurisdizionali, privo tuttavia di rilievo sostanziale.

Ci si può legittimamente chiedere, quindi, se una scarna e succinta enunciazione dell’esigenza cautelare perseguita – operata attraverso il richiamo al comma dell’art. 58 più adatto – possa davvero soddisfare il principio costituzionale dell’obbligo di motivazione. Secondo la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, l’attestazione dell’esistenza di esigenze cautelari realizzata attraverso la mera “parafrasi” delle ragioni indicate dalla legge non ottempera all’obbligo di motivazione64: affinché un provvedimento limitativo della libertà personale possa dirsi legittimo e, quindi, conforme alla ratio dell’art. 5 della Convenzione europea («ovvero proteggere l’individuo dagli arbìtri»65), è necessario infatti che esso contenga la comunicazione al soggetto, «con linguaggio semplice e non tecnico che possa essere [facilmente] compreso, [de]gli elementi essenziali in fatto ed in diritto che giustificano il suo arresto»66. L’obbligo di motivazione quindi assolve alla sua funzione di garanzia processuale nel momento in cui impone alle autorità di dimostrare, in modo convincente, l’esistenza di un “pubblico interesse” che, in ottemperanza al principio della presunzione di innocenza, giustifichi uno scostamento dalle regole sul rispetto della libertà personale e, quindi, l’applicazione di un provvedimento di detenzione preventiva, per quanto breve essa possa essere67. E tale dimostrazione deve

basarsi, in riferimento al caso concreto, su prove non certo “generali” ed “astratte”, bensì “rilevanti” e “sufficienti”68.

63 V. Situazione sul Darfur (Sudan), caso Procuratore v. Ahmad Muhammad Harun (“Ahmad Harun”)

and Ali Muhammad Ali Abd-Al-Rahman (“Ali Kushayb”), nello specifico i mandati di arresto emessi il 2

maggio 2007.

64 Cfr. CEDU Modarca v. Moldova, application n. 14437/05, judgment 10/5/2007, par. 77. 65 V. CEDU Čonka v.Belgium, application n. 51564/99, judgment 5/2/2002, parr. 41. 66 V. CEDU Čonka v.Belgium, par. 50.

67 Cfr. CEDU Sarban v. Moldova, parr. 96 e 97. V. anche CEDU Belchev v. Bulgaria, application n.

39270/98, judgment 8/4/2004, par. 82.

68 Cfr. CEDU Nikolova v. Bulgaria, application n. 31195/96, judgment 30/9/2004, par. 61; CEDU

Labita v. Italy, application n. 26772/95, judgment 6/4/2000, parr. 152-153; CEDU Smirnova v. Russia, applications nn. 46133/99 and 48183/99, judgment 24/7/2003, par. 63; CEDU Clooth v. Belgium, application n. 12718/87, judgment 12/12/1991, par. 44; CEDU Tase v. Romania, application n. 29761/02, judgment 10/6/2008, parr. 40-41.

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Quanto al “pubblico interesse” meritevole di tutela, la giurisprudenza della Corte europea ha individuato quattro giustificati motivi che legittimano una misura limitativa della libertà di un soggetto accusato di un reato: il rischio che l’imputato non si presenti al processo, il pericolo di inquinamento delle prove e di commissione di altri crimini, la probabilità che possa causare disordini pubblici69.