Antinomie reali e superabili, ad avviso di chi scrive, solamente ricorrendo ad una revisione costituzionale si evidenzierebbero in materia di effettivo rispetto del
principio di legalità nella determinazione della cornice edittale e in alcune fasi
del procedimento di revisione della pena.
Quanto al primo nodo, lo Statuto di Roma appare disegnare un eccessivo margine di discrezionalità in capo ai giudici internazionali nella deliberazione in concreto della punizione45. La previsione, infatti, di un’unica disposizione contenente l’elenco delle sanzioni comminabili finisce, infatti, per accomunare più condotte tra loro eterogenee, affidando al giudice internazionale «il compito di diversificare le une dalle altre, sulla base di un giudizio di maggiore o minore gravità che sarà lo stesso interprete a dover formulare». E Il delicato giudizio di bilanciamento a cui è chiamato il giudice internazionale nella determinazione del
quantum della sanzione genera inevitabilmente una inaccettabile dose di
incertezza e preoccupazione soprattutto a fronte del silenzio dello Statuto circa la finalità della pena.
Pur potendo ricavare sistematicamente una seppur minima indicazione circa lo scopo a cui l’attività sanzionatoria della Corte penale internazionale deve tendere, l’insufficiente grado di tassatività nella definizione della cornice edittale provoca, di fatto, una irrisolvibile lesione del principio di separazione dei poteri
44 V. supra cap. V Delle immunità e dei crimini internazionali, par. 6. 45 V. supra cap. III Del principio di legalità penale, parr. 4, 5, 6 e 7.
ANTINOMIE APPARENTI, INESISTENTI E REALI 163
derivante dalla sovrapposizione tra «il livello normativo della qualificazione del disvalore del fatto (…) e quello della commisurazione della pena»46.
Costituzionalmente problematico appare anche il procedimento di revisione
della pena che sembrerebbe caratterizzarsi per la sostanziale mancanza di
contraddittorio e per una eccessiva semplificazione delle garanzie difensive dell’imputato47. Pur assicurando alcuni elementi minimi della giurisdizione (la presenza irrinunciabile del condannato, del suo difensore e del procuratore e un essenziale diritto alla prova), quello davanti alla Corte sembrerebbe porsi «in netta antitesi rispetto al procedimento di sorveglianza (…) per la concessione della liberazione condizionale» previsto in Italia, dove una copiosa e costante giurisprudenza costituzionale ha provveduto negli anni a “giurisdizionalizzare” l’intero settore normativo sull’esecuzione penale.
Analogamente a quanto ipotizzato a seguito della mancata previsione di una cornice edittale definita per ciascun tipo di reato, una tale lacuna potrebbe porre seri ostacoli per una futura attività di collaborazione del nostro Paese con il Tribunale internazionale, inducendo le autorità italiane a negare la consegna di indagati ad un organismo giurisdizionale carente di strumenti adeguati di tutela dei diritti fondamentali dei carcerati. E l’insufficienza di tali strumenti non si evidenzierebbe esclusivamente nel procedimento di revisione della pena, ponendosi dubbi anche in merito al meccanismo di controllo e di garanzia delle condizioni di esecuzione della condanna.
46 S. C
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