• Non ci sono risultati.

L’Italian Sounding e la concorrenza tra operatori economici: effetto distorsivo e

Le conseguenze principali derivanti dalle varie tipologie di Italian Sounding investono da un lato il normale e leale gioco della concorrenza tra produttori che, come sopra accennato, corre oggi su binari non più nazionali ma europei e mondiali e, dall’altro, quell’insieme di aspettative che il consumatore nutre nell’acquisto di prodotti, spacciati per essere di alta qualità e che si ritengono legati alla cultura e alla tradizione italiane. Va altresì detto che per i beni agroalimentari formulare una definizione di qualità risulta a dir poco arduo, data la fumosità degli strumenti di cui dispone la persona per percepirla e distinguerla. Generalmente si assume un concetto di qualità non univoco, legato alla “capacità di un dato bene o servizio di soddisfare i bisogni espressi o latenti dei consumatori e/o dei clienti”54. Ora, al fine di valutare la capacità del singolo bene alimentare di soddisfare le esigenze della clientela sarà necessario, quantomeno per la maggior parte delle sue caratteristiche, un’esperienza di consumo diretta, ragione per cui tali prodotti vengono generalmente denominati experience goods. In questi termini la funzione svolta dall’etichetta è cruciale nel fornire quante più informazioni possibili al consumatore al fine di poter comparare i risultati derivanti dal consumo con quanto riportato

54

nella stessa dall’impresa produttrice. In alcuni casi, tuttavia, non risulta sufficiente la prova dell’esperienza diretta per ottenere una completa conoscenza delle caratteristiche di un dato prodotto (si pensi ad esempio all’utilizzo di additivi, conservanti, ma anche alle proprietà salutistiche dello stesso), potendo la clientela fidarsi della sola notorietà dei marchi o delle indicazioni contenute in etichetta; questa è la ragione della qualificazione dei beni alimentari anche come “beni fiducia” o credence goods. È proprio tale fiducia ad essere frustrata nel momento in cui il prodotto o non è accompagnato da informazioni sufficienti (in taluni casi si registra una totale assenza di dati essenziali per l’acquisto) o tali informazioni risultano asimmetriche e falsate: nel primo caso il consumatore non verrà messo nelle condizioni di poter reperire il bene desiderato a causa della carenza o insufficienza di elementi identificatori (si pensi ad esempio alla mancata indicazione dello stabilimento di produzione/lavorazione, dell’origine geografica o del Paese d’origine delle materie prime trasformate). Nel secondo caso il cliente sarà spinto all’acquisto di un bene alimentare attribuendo allo stesso determinate caratteristiche che in realtà non possiede. Questo è il terreno in cui si incontrano – scontrano il vero Made in Italy e il falso Made in Italy, la contraffazione con l’autenticità. Il danno che si genera nei confronti del consumatore è enorme, se visto nei termini della diminuzione di benessere “dovuta all’errore di valutazione derivante dalla contraffazione”55.

Non dimentichiamo i numerosi rischi, statisticamente evidenti, legati alla sicurezza sanitaria degli alimenti di imitazione, non di rado realizzati in modi scorretti e

55

pericolosi (come l’uso di ormoni della crescita, antibiotici ecc) che comportano pericoli per la salute del consumatore e dell’ambiente56.

Il vantaggio che le imprese di produzione del “falso italiano” traggono dallo sviluppo di forme sempre più sofisticate e precise di Italian Sounding, non si ripercuote negativamente solo sulla clientela ma anche sui produttori di alimenti di qualità. La riduzione del livello qualitativo dei prodotti italianeggianti, infatti, permette un risparmio di spesa considerevole, frustrando il gioco della leale concorrenza tra operatori e nel tempo determinando la scomparsa di coloro che, in nome della qualità, sostengono costi di produzione più alti. Si realizza così un “appiattimento verso il basso della qualità stessa e una riduzione del grado di varietà disponibile per i consumatori”57.

È chiaro infatti che l’imitatore del Made in Italy non sarà animato dall’ottenimento di una copia perfetta dell’“originale”, ma si accontenterà di un simile, confondibile ed economicamente vantaggioso. A fronte di ciò, se il produttore del vero Made in Italy è costretto ad applicare prezzi maggiorati ai propri prodotti per recuperare i costi sostenuti in ricerca, sviluppo e promozione, l’imitatore sfrutterà indebitamente i risultati raggiunti da altri non sopportando alcun onere58. Gli alimenti di qualità saranno perciò vinti dalle imitazioni vendute a prezzi ridotti, con conseguente aumento del rischio di investimento nel vero Made in Italy; nel contempo

56

Si prenda ad esempio il caso del latte alla melanina prodotto e distribuito da alcune aziende cinesi nell’anno 2008, di cui discute Agromafie, 1° Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia, rapporto pubblicato da Eurispes nel 2011, pagg. 112 e 113, reperibile in www.eurispes.eu/content/agromafie-1%C2%B0-rapporto-sui-crimini-agroalimentari-2011

57

Cfr. Agroalimentare italiano nel commercio mondiale, op. cit., pag. 191.

58

l’imitatore non sosterrà alcun costo legato all’impiego di materie prime di eccellenza o alla ricerca di metodi di produzione innovativi.

Il colpo inferto dai fenomeni di imitazione al vero Made in Italy non interessa solamente i Paesi ove questo si è già affermato, ma anche i nuovi Paesi emergenti, caratterizzati da mercati che potrebbero non aver ancora espresso a pieno la loro domanda potenziale. Tipico esempio è il mercato cinese, caratterizzato da una sempre più crescente propensione al risparmio e da un aumento dei consumi di prodotti importati di qualità; spazi come questo potrebbero cadere facilmente nelle insidie dei beni di imitazione, a danno delle specialità italiane e delle possibilità di nuovi posti di lavoro.

Infine, l’impossibilità per il consumatore di individuare un prodotto veramente italiano tra le numerose copie, a causa della carenza di informazioni circa le caratteristiche del primo, può generare diffidenza nei confronti del marchio Made in Italy. Questo accade tanto se si possiedono le competenze tecniche e il tempo per ottenere informazioni complete sull’origine e caratteristiche degli alimenti e, di conseguenza, smascherare il falso, quanto se le merci recanti tale marchio ma ottenute con la lavorazione di materie prime provenienti dall’estero, divengono protagonisti della cronaca giornalistica59.

59

Cfr. Agromafie, 1° Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia, op. cit., pag. 117: “Il caso più recente è quello delle “mozzarelle blu”, importate dalla Germania, vendute come Made in Italy con marchio Land, Malga Paradiso, Lovilio, Fattorie Torresina e Monteverdi e che, al contatto con l’aria, diventano blu perché contaminate da un batterio. […] Secondo Coldiretti, il caso delle “mozzarelle blu” ha causato in pochi giorni un crollo del 20% delle vendite di mozzarella (circa mezzo milione di euro al giorno per effetto della riduzione degli acquisti familiari), che ha riguardato indistintamente i prodotti con latte o cagliate importate dall’estero e quelle con latte italiano”.

7. Dall’Italian Sounding all’Italian Laundering: le infiltrazioni criminali