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Italo Calvino: “mi par di riconoscere qualcosa che già sapevo”

III. Fuoriuscire dallo schema: le eccezioni

III.2 Italo Calvino: “mi par di riconoscere qualcosa che già sapevo”

P. Spriano ricorda I. Calvino come “il comunista più allegro, meno «problematico» che io abbia conosciuto. Voleva fare tutto, il rivoluzionario e lo scrittore, l’editore e il giornalista; c’era in

184 Ibid.: XIX-XX.

108 lui quella voglia di vivere che indicherà in uno dei suoi racconti più felici come bisogno e impossibilità di vivere insieme sette vite, una delle quali era di dedicarsi esclusivamente, a tempo pieno, alle donne” (1986: 16).186

La storia del viaggio in Urss di Italo Calvino rispecchia questo profilo di giovane comunista entusiasta di partecipare attivamente alla costruzione di un paese nuovo, l’Italia del dopoguerra. Secondo quanto scrisse qualche anno dopo, l’intellettuale poteva contribuire in maniera attiva affinché si creassero nel paese quelle condizioni in grado di rendere la penisola culturalmente e politicamente matura per affermare finalmente i diritti delle classi più deboli, nella fattispecie della neo nata classe operaia (cfr. Calvino 1995: 2748-2754). Calvino aveva già avuto modo di osservare da vicino gli operai nelle fabbriche dopo il suo trasferimento a Torino per lavorare all’Einaudi, e di seguire nel corso delle numerose manifestazioni di protesta sindacale le rivendicazioni operaie, delle quali aveva scritto su quotidiani come l’Unità. Partigiano della prima ora, nemico di quella società borghese dalla quale pure egli derivava per ascendenza familiare, il giovane scrittore si impegnò in una militanza attiva nel Pci, che presupponeva, insieme al desiderio di “una civiltà la più moderna e progredita e complessa dal punto di vista politico, sociale, economico, culturale”, una forte commistione con “nostre aspirazioni culturali e letterarie” (Calvino 1995: 2752):

[…] La mia «leva» dei giovani di sinistra del ’45-’46 era animata soprattutto dal desiderio di fare; quella che ci ha seguiti – diciamo un cinque o dieci anni dopo – è animata soprattutto dal desiderio di conoscere: sa tutto dei sacri testi e delle raccolte di giornali vecchi ma non ama la vita politica attiva come noi l’abbiamo amata. A quel tempo, le contraddizioni non ci spaventavano, anzi: ogni diverso aspetto e linguaggio di quell’organismo così complesso che era il Partito comunista italiano era un diverso polo d’attrazione che agiva anche su ciascuno di noi; dove finiva il richiamo del «partito nuovo», della «classe operaia classe di governo», si continuava a sentire la voce estremista della vecchia faziosità popolare italiana, e le fredde parole d’ordine della strategia internazionale si sovrapponevano alla capacità di compromessi della tattica spicciola. A quel tempo non avevamo ancora individuato una dialettica di correnti ben chiara; non che la nostra milizia fosse mai docile e conformista: questioni particolari da discutere ne avevamo sempre, ed erano sempre ricche anche d’implicazioni ge nerali, ma potevamo trovarci ad essere volta a volta «operaisti» e fautori del rigore ideologico, o tattici e liberaleggianti, a seconda delle circostanze.187

L’Unione Sovietica, come rappresentazione della Rivoluzione d’Ottobre, “antitesi” di quella società che aveva dato origine in Italia al ventennio fascista, costituiva il punto di partenza per ogni buon comunista, sebbene “una immagine edulcorata” dell’Urss non sia mai stata alla base della formazione politica giovanile di Calvino. Lo stesso scrittore confessò, nelle Pagine autobiografiche, che gli eventi terribili che si erano succeduti in Urss, dalle lotte all’interno del partito per la

186 Sul riferimento alle donne si vedano le pagine del Taccuino di viaggio nell’ Unione Sovietica, nelle quali Calvino dedica la sua attenzione e lascia commenti riguardo all aspetto fisico e al carattere delle fanciulle russe (cfr. Calvino 199 5: 2411; 2412; 2422; 2438).

109 successione di Lenin sino ai fatti immediatamente precedenti il secondo conflitto mondiale, continuavano ad essere motivo di discussione nella sinistra italiana tutta.188

Accettavo in parte questi fatti convincendomi che «erano necessari», in parte li mettevo «tra parentesi» aspettando di riuscire a spiegarmeli meglio, in parte avevo fiducia che fossero aspetti temporanei , non giustificabili ideologicamente e quindi destinati a venir ridiscussi in un futuro più o meno prossimo (prospettiva che si rivelò poi – almeno tendenzialmente – giusta).

Non che fossi poco informato sui fatti, dunque, ma neanche avevo delle idee molto chiare su quello che tanti fatti significavano.189

Quando riceve l’invito per un viaggio in Urss a seguito delle Federazione Giovanile comunista,190

per il giovane scrittore ventottenne si tratta finalmente di andare a visitare il paese dove era nato il comunismo, specchio e confronto per le sinistre di tutto il mondo. Calvino parte con un obiettivo ben definito: “Quel che m’ interessa di vedere è il socialismo adulto, il socialismo che sta per compiere trentaquattr’anni” (Calvino 1995: 2409).

Calvino affronta questa trasferta come un rito d’iniziazione laica, in cui egli, giovane intellettuale problematico, brucia sull’altare del socialismo le scorie della propria perplessità, vestito del saio di ciò che Vittorini sul “Politecnico” aveva definito “vergogna di essere borghesi”.191

Lo scrittore è pronto a ritrovare nel viaggio le certezze delle quali si è voluto nutrire negli anni della sua preparazione politica e intellettuale ed è disposto a scovare immediatamente il noto che egli porta con sé nelle sue idee, nella sua formazione, nei suoi convincimenti:

E’ il primo tuffo nell’umanità sovietica; mi par di riconoscere qualcosa che già sapevo, ritrovo quel sapore di vecchia Russia imparato sui libri; perfino l’odore dolciastro dei cibi mi sembra subito inconfondibile, ed è la prima volta che lo sento. Sarà quel caldo senso d’umanità che abbiamo scoperto leggendo Tolstoj e Dostojevskij, che ora mi si ripresenta con la stessa immagine: il popolo russo?192

E poco più avanti nel testo, incontrando le prime ragazze del Komsomol che fanno festa alla delegazione che fa sosta presso la stazione di Lvov:

188 Ibid.: 2752.

189 Ibid.: 2754.

190 Nella cartolina postale inviata alla madre e datata “Torino, 4 settembre 1951”, Calvino le comunica che di ritorno dalle vacanze estive ha trovato la bella notizia dell’invito per il viaggio in Urss. La partenza, tanto attesa e rimandata diverse volte, avviene finalmente agli inizi di ottobre (Cfr. Calvino 2001: 325-331).

Il viaggio durerà circa un mese. Il Taccuino di viaggio nell’Unione Sovietica comparirà sulle pagine de l’Unità con una serie di articoli tra marzo e febbraio del 1952. Per una ricostruzione della cronologia degli articoli nelle varie edizioni del quotidiano, quella nazionale di Roma, quelle di Torino e Milano, per la diversa titolazione degli stessi, si veda Note e

notizie sui testi in Calvino 1995: 3019-3025.

191 Scarpa 1990: 22. 192 Calvino 1995: 2410.

110 […] Ragazze semplici, non dipinte, allegre. Confermano le impressioni sulle ragazze sovietiche che già avevo sentito da altri, ma non c’è per nulla un tipo di ragazza standardizzato.193

Il primo sguardo che Calvino getta sulla realtà sovietica non ha dunque nulla dello stupore del viaggiatore che ha un primo impatto con un mondo completamente diverso, ed anche in seguito nel reportage, non è riscontrabile nulla che faccia pensare allo shock culturale da contatto con un paese sconosciuto. Al contrario, lo scrittore talvolta evidenzia una sicurezza conoscitiva che lo rende esperto nei giudizi e nelle deduzioni, frutto più di una predisposizione decisamente favorevole verso l’Unione Sovietica, che di informazioni già in possesso del viaggiatore (“Ormai posso dire di conoscere la fisionomia della piccola città sovietica”, ibid.: 2411; “Ho idea che siano le donne a comandare tutto”, ibid.: 2412; “Comincio a capire come va guardata l’U.RS.S.: come un mondo che non sta mai fermo e di cui non puoi mai dire: «è così», perché sempre vedi insieme com’era e come sta diventando e come diventerà”, ibid.: 2419).194

C. Mee pone l’accento sulla tendenza di Calvino di muovere dal dettaglio al generale per definire un paese (la studiosa nel suo contributo fa riferimento sia al viaggio in America dello scrittore

raccontato nelle lettere del Diario americano195 sia al viaggio in Unione Sovietica del Taccuino),

fallendo tuttavia nell’ottenere un’efficace ed obiettiva rappresentazione della realtà nel suo insieme:

Calvino’s tendency to generalize is especially evident in the Taccuino, where he reproduces the Soviet myth. He is constantly looking for evidence that the Soviet people are different and that their way of life is better. […] He often takes the single places he visits or experiences he has as being representative of the Soviet Union as a whole […]. Elsewhere he simply makes flat generalizations […].

[…] Calvino uses the small to try to reach the great, to catch a glimpse of the whole through close scrutiny of the part. But he lacks the objectivity and the knowledge to be able to give any really insightful perspective on either country. In the USSR what he defines and redefines is the established Soviet myth, which gets between himself and the reality of Soviet life. Whatever he sees or experiences there, he feeds back into the myth, always taking what he sees and experiences to be representative of the country as a whole, willingly accepting a blinkered version of the USSR […].

Considering the Taccuino and the Diario together, the metaphor of the myopic eye seems a particularly appropriate one to express the difficulty of the observer’s leap from part to whole. Both texts are demonstrative of Calvino’s skill at close observation and his attention to detail, when his sguardo is sharply focused. However, as he moves away from the particular and tries to draw general definitions about the USA and the USSR, he becomes less compelling: his sguardo does not penetrate the visual surface to reach deeper conclusions.196

Non appare plausibile neppure la spiegazione che Di Nucci forse vorrebbe dare a questa mancanza di un’analisi profonda della realtà sovietica da parte di Calvino, né il fatto che lo scrittore sia rimasto

193 Ibid.: 2411.

194 Poche pagine prima, nel Taccuino, lo stesso Calvino scriveva: “Sono a Mosca da dodici ore; ci ho capito ancora poco. Case di legno vicino ai grattacieli, gente nerovestita che con questo freddo mangia gelati per le strade, vie piene d i librerie e di farmacie, negozi d’alimentari con la roba finta in vetrina, case di otto piani che per allargar la strada vengo no spostate la notte mentre gli abitanti dormono… Ci capisco ancora poco” (1995: 2417). Una presa d’atto forse oggettiva della complessità del mondo sovietico e una dichiarazione d’onestà dello scrittore che lo indurrà a focalizzare lo sguardo sul particolare.

195 Vd. Calvino 2011: 21-126. 196 Mee 2005: 994-998.

111 “vittima […] delle «tecniche dell’ospitalità»”, né che a partecipare del giudizio di Calvino sull’Urss abbiano contribuito gli “incontri «pilotati» con i cittadini sovietici” che fortificarono l’immagine positiva di un paese privo di artifici, nel quale si contraddistingueva “un elemento assolutamente naturale, non determinato dalle circostanze” (1988: 637).

Difatti, persino nei casi nei quali lo scrittore viene assalito da qualche ragionevole dubbio alla vista delle normali e (quelle sì naturali) lunghe code davanti ai negozi (“Già l’avevo sentito dire in Italia, di code ai negozi di Mosca, ma pensavo alle solite bugie”, ibid.: 2429), Calvino scioglie immediatamente l’esitazione prestandosi ad accogliere l’articolata e bizzarra spiegazione della guida, che chiosa con un conclusivo: “C’est clair?”. È quasi disarmante l’arrendevolezza della logica di Calvino, disposto a lasciarsi irretire dal gioco della bugia insensata (“Chiarissimo. Cercavo di trovare una disorganizzazione, una magagna, invece tutto è semplice e naturale. Comincio ad orizzontarmi nell’orario quotidiano della vita sovietica, a riconoscere l’aspetto della città nelle varie ore, ad avvicinarmi al loro ritmo”, ibid.: 2432). Così, ad esempio, egli deduce che il carattere del popolo russo sia proteso verso un “internazionalismo […] naturale e spontaneo del costume sovietico” che lo induce ad una facile amicizia con lo straniero (cfr. Calvino 1995: 2416), oppure descrive "alla prima occhiata” quel senso di “uguaglianza” che a suo dire pervade la società sovietica dall’osservazione della gente per le strade (ibid.: 2416); un concetto che lo scrittore sembra quasi avere in tasca ed essere pronto a tirare fuori al momento opportuno.

Il pregiudizio positivo di Calvino si mette in mostra persino sull’accento che a più riprese lo scrittore pone sulla presenza numerosa di automobili in giro per la capitale (cfr. ibid.: 2417-2418; 2441), notizia che va in controtendenza con gli appunti di altri viaggiatori che parlarono invece di una scarsità di mezzi privati in Unione Sovietica, sia a causa dello sbilanciamento tra l’offerta e la sempre crescente domanda, sia perché, secondo quanto ad esempio riferirà Piovene, ancora nel 1960 il governo Chruščëv osteggiava una maggiore produzione di veicoli ad uso privato (cfr.1990: 40).

Nel Taccuino è riscontrabile altresì un pregiudizio detrattivo nei confronti del mondo occidentale, che a paragone con l’Urss non appare né più avanzato nella produzione dei beni (si veda sempre l’esempio dell’automobile, sulla quale Calvino fornisce anche un giudizio morale: “Le auto sovietiche non hanno nulla da invidiare alle americane, in quanto a lusso e modernità di linea. Ma direi che hanno l’aria meno tronfia”, Calvino 1995: 2418), né lodevole nell’organizzazione ad esempio del futuro delle giovani generazioni (si veda la contrapposizione tra il desiderio di progresso della società sovietica e il senso del dovere nel formare i ragazzi tenendo conto delle loro inclinazioni e dei valori culturali del paese, rispetto ai risultati fallimentari della società italiana, evidenti ad esempio nel proporre vecchi e compassati modelli letterari oppure nel non riuscire ad impartire maggiore

112 disciplina e consapevolezza sull’importanza di partecipare ad attività formative, ibid.: 2449; 2486- 2489).

Calvino insomma sembra continuare a rifugiarsi in quella sorta di “minimalismo stalinista”, dove il dettaglio del viaggiatore servirà a nascondere, in primo luogo a se stesso, la realtà incontrata.

Nel 1979, nell’ articolo intitolato Sono stato stalinista anch’io?, lo scrittore parlerà di una forma particolare di stalinismo che avrebbe impresso il suo marchio sulla scrittura del reportage dall’Urss.

Per l’URSS pensavo che fosse diverso, che il comunismo, passati gli anni delle prove più dure, fosse diventato una specie di stato naturale, avesse raggiunto una spontaneità, una serenità, una matura saggezza. Proiettavo sulla realtà la semplificazione rudimentale della mia concezione politica, per la quale lo scopo finale era di ritrovare, dopo aver attraversato tutte le storture e le ingiustizie e i massacri, un equilibrio naturale al di là della storia, al di là della lo tta di classe, al di là dell’ideologia, al di là del socialismo e del comunismo. Per questo nel Diario di un viaggio in URSS, che pubblicai nel ’52 sull’ «Unità», annotavo quasi esclusivamente osservazioni minime di vita quotidiana, aspetti rasserenanti, tranquillizzanti, atemporali, apolitici. Questo modo non monumentale di presentare l’URSS mi pareva il meno conformista. Invece la mia vera colpa di stalinismo è stata proprio questa: per difendermi da una realtà che non conoscevo, ma in qualche modo presentivo e a cui non volevo dare un nome, collaboravo col mio linguag gio non ufficiale che all’ipocrisia ufficiale presentava come sereno e sorridente ciò che era dramma e tensione e strazio. Lo stalinismo era anche la maschera melliflua e bonaria che nascondeva la tragedia storica in atto.197

Solo un anno dopo lo stesso Calvino, rilasciando un’intervista a E. Scalfari, ritorna sul 1956, descrivendo quella che fu la sua reazione alle rivelazioni del rapporto Chuščëv come una specie di liberazione dello spirito dell’intellettuale comunista che fino ad allora aveva partecipato, pure con il proprio rumoroso silenzio, a propagandare il modello dello stalinismo. Lo scrittore ne aveva elogiato persino gli aspetti più superficiali, nei suoi articoli su l’Unità (trasposti poi nel Taccuino), condividendo difatti il culto dei capi (si vedano le pagine riguardanti la visita al mausoleo sulla piazza Rossa e quella all’esposizione dei doni per i settanta anni di Stalin). Le dichiarazioni che lo scrittore rilascia a Scalfari sembrano allora contraddire l’atteggiamento e il clima di entusiasmo che Calvino ha costruito intorno al Taccuino:

Quell’estate del ’56 fu piena di tensione e di speranze. […] Provo a descrivere esattamente la mia reazione, molto simile a quella degli altri: per me la destalinizzazione e la testimonianza di verità che veniva da Mosca rappresentava l’inveramento del socialismo. Per anni il paese del socialismo, l’URSS, era apparso anche a noi come un luogo cupo, retto da regole di ferro, da un’austerità inflessibile, da castighi tremendi e da una logica spietata. Si metteva tutto questo sul conto dell’«assedio», della lotta rivoluzionaria. Ma quando Kruscev denunciò Stalin dinanzi al Comitato centrale e poi dinanzi al Congresso del partito, pensammo: ecco, la pace fiorisce, ora i frutti del socialismo arriveranno, quell’oppressione, quell’angoscia segreta che sentivamo, scompare.

[…] Tu mi domandi: ma se tutti, intellettuali, dirigenti, militanti, questo peso sul petto l’avevate, come mai non avevate pensato a togliervelo prima? Perché avevate dovuto aspettare il segnale da Mosca, da Kruscev, dal Comitato Centrale? E perché poi, nonostante tutto, proprio allora, 1956, le cose finirono come finirono? Bene. questa risposta la diede, proprio a te se non ricordo male, Giancarlo Pajetta, in una conferenza stampa dopo il XXII Congres so del PCUS. Tu facesti a lui più o meno la domanda che stai adesso facendo a me e lui ti rispose che tra la rivoluzione e la verità un rivoluzionario sceglie prima la rivoluzione. Personalmente non credo affatto che le cose stiano così e non mi pare che quella risposta fosse accettabile. Ma allora, ventiquattro anni fa, la nostra ottica era più o meno quella.198

197 Calvino 1995: 2841. Quello che qui l’autore ricorda come Diario di un viaggio in URSS è in realtà il Taccuino di

viaggio nell’Unione Sovietica.

113 Si può pensare a un’indiretta confessione della tendenziosità del Taccuino? Sicuramente, stupisce ancora il candore con il quale Calvino accoglie le notizie da Mosca, unendosi al coro di tutti coloro che pensavano ad un rivolgimento pacifico del socialismo sovietico, ad uno smantellamento di quel rigido e implacabile sistema che aveva governato l’Urss per oltre trenta anni. È plausibile anche in questo caso la spiegazione dell’intellettuale che intende giustificare gli anni di militanza, nei ranghi delle disposizioni di partito, con l’accoglienza e il pensiero verso le nuove e più illuminate sorti del socialismo?

La risposta sarà lo stesso Calvino a darla quando, con la pubblicazione della lettera di dimissioni dal Pci, rigetterà non solo le posizioni assunte dal partito in merito ai fatti d’Ungheria, ma sancirà di fatto la liberazione dagli errori commessi, in primo luogo da quelli personali. Lo scrittore che pare aver disubbidito con la propria letteratura alle predicazioni del partito, creando personaggi autenticamente liberi (una reazione che ricorda da vicino quella di molti colleghi scrittori russi che optarono per una letteratura fantastica per sfuggire alle maglie censorie e accusatorie del sistema stalinista e in aperta opposizione con le direttive sul realismo socialista), rivendica finalmente la propria indipendenza e spirito critico, pur non rinnegando la formazione culturale e politica, le battaglie, il credo nell’uguaglianza.199

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