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IV , Conclusioni di Angela Zucconi

Volgendo uno sguardo d’insieme al programa di lavoro che abbiamo deli­ neato, ci auguriamo risulti chiara la connessione dei tre programmi, il proposito di seguire un comune metodo di lavoro, il ruolo di « tessuto connettivo » che assume il settore sociale e culturale e il ruolo che assume il Progetto stabilendo una comunicazione a due vie con la programmazione regionale, cominciando ad occupare la vasta terra di nessuno che separa il dire dal fare e, al tempo stesso, tenendo conto che le m aggiori difficoltà nel nostro Paese non provengono dalla mancanza di strutture, come nei paesi di nuovo sviluppo, ma dalla loro sovrabbondanza.

Un « progetto di sviluppo di comunità » in Italia intraprende un lungo cammino (avemmo occasione di scrivere alcuni anni or sono) durante il quale ci si accorge che per ogni tappa è già passato qualcuno, il quale ha divorato le provviste della comunità, promulgando leggi che sono rimaste inoperanti, promettendo aiuti che non sono stati dati, promuovendo inchieste che non sono servite a cambiare le cose.

D’altra parte chi lavora non può intraprendere questo cammino, se non tentando di guardare al nostro Paese come ad un paese « nuovo ». Le « novità » che possono animare questa iniziativa, a differenza di altri progetti di sviluppo comunitario che hanno operato in Italia negli anni passati, sono la programmazione, il rilancio, sia pure assai timido, del­ l’ordinamento regionale e soprattutto il più diffuso convincimento che sviluppo economico e sviluppo sociale debbono procedere di pari passo e che anzi, in certe situazioni, come quelle della Basilicata, lo sviluppo sociale è la condizione per cui lo sviluppo economico possa realizzarsi. In questi ultimi anni l’attenzione dei nostri esperti economici al problema della scuola ha messo in luce questo convincimento. La modesta conquista dell’obbligo scolastico esteso fino al quattordicesimo anno di età (modesta, se si pensa che in altri paesi risale al 1814 e che in quasi tutti i paesi europei l'età deH’obbligo arriva ormai al sedicesimo e diciottesimo anno di età), probabilmente non si sarebbe realizzata, se proprio gli economisti non avessero posto in termini così drammatici il problema della scuola in Italia. Tuttavia, quando dalle asserzioni e dalle constatazioni sulla

indis-solubilità del binomio sviluppo sociale e sviluppo economico si passa alla pratica, le cose si complicano. Si fa presto ad affermare che devono almeno procedere di pari passo : in pratica il tiro a due è composta da « Achille e la tartaruga », non più visti, come nel noto paradosso dei Sofisti, in gara di velocità, ma affiancati per portare a destinazione lo stesso carro.

L ’immagine della tartaruga serva non soltanto a dire l’arretratezza delle nostre strutture educative, ma la generale arretratezza dello sviluppo sociale rispetto allo sviluppo economico, nonché la lentezza dei tempi propri detrazione educativa rispetto alla rapidità con la quale si possano ottenere vistosi risultati per incrementare, ad esempio, il reddito agricolo in zone più facili di queste « non suscettibili di sviluppo ».

Queste riflessioni ci portano a riconsiderare l’équipe che lavora nel Progetto Avigliano e a chiederci chi in concreto svolgerà l’ampio programma che abbiamo esposto.

E ’ improbabile, e risulterebbe estremamente costoso nell’attuale dimen­ sione del Progetto, un eccessivo allargamento del gruppo di lavoro. D ’al­ tronde di fronte alla vastità e complessità dei problemi sarebbe assurdo pensare che un gruppo così esiguo possa efficacemente operare.

Solo la capacità di associare a questo gruppo di lavoro tutti gli operatori sociali effettivi e potenziali presenti in questi paesi può risolvere il dilemma: il medico condotto, l’ istruttrice di economia domestica rurale, l’assistente sanitaria, il collocatore comunale, i maestri beninteso, gli espo­ nenti sindacali e quelli degli istituti di patronato dove ci siano, il segre­ tario dell’ECA, il rappresentante delle famiglie in seno ai patronati sco­ lastici e quanti altri, indipendentemente dall’attività che svolgono, sono o vorrebbero essere « civicamente impegnati » ; tutte queste persone rappre­ sentano quella équipe allargata che noi dobbiamo non solo auspicare, ma comporre, formare ed assistere.

Non abbiamo elencato tra i vari compiti del programma sociale e culturale l’assistenza e la formazione degli operatori locali, perché questo compito riguarda tutti i settori nei quali si articola il Progetto e tutti gli enti nominati nel corso di questa esposizione.

Il problema della formazione deve considerare due aspetti: la riqualifi­ cazione in senso sociale delle persone localmente investite di funzioni sociali, e i corsi per l’acquisizione di determinare tecniche da parte di elementi professionali e volontari.

A nostro avviso la cura di questa formazione, le possibilità di aggiorna­ mento e di assistenza sul lavoro, l’inserimento del singolo programma di lavoro in un programma più vasto e più articolato, la consapevolezza di fa r parte dell’équipe allargata, potranno rimediare all’ isolamento del

gaio operatore, al suo senso di inadeguatezza e al continuo fluttuare del personale che opera in questi paesi.

La costituzione dell’équipe allargata, in sostanza, non è solo la condizione per realizzare il programma che abbiamo esposto, ma anche per realizzare i singoli programmi ai quali si è avuto occasione di accennare.

Tornando alla composizione dell ’équipe ristretta (che in questa pro­ spettiva opera come un gruppo promotore), si è già parlato nella « Intro­ duzione » al presente fascicolo delle difficoltà incontrate per mettere insieme questa équipe e di come sia mancata una partenza simultanea dei vari settori di lavoro.

La partenza simultanea avrebbe comportato anche quel periodo di fo r­ mazione comune e di riflessione sul comune programma di lavoro indispen­ sabile ad attenuare le differenze che sussistono tra persone provenienti da diverse formazioni professionali e da diverse esperienze di lavoro.

Nella stessa « Introduzione » è detto come questi errori fossero resi inevitabili dalle circostanze in cui un progetto di sviluppo comunitario si trova ad operare oggi in Italia. Probabilmente è stato opportuno intra­ prendere il lavoro comunque, proprio perché la situazione italiana offre così scarse esperienze concrete sulle quali misurare la validità delle enunciazioni teoriche.

Su un punto invece non abbiamo dubbi : la necessità che gli assistenti sociali siano presenti nel momento in cui si avvia il lavoro, o meglio ancora, fin dalla fase di studio che precede l’avvio delle attività.

L’assistente sociale è il solo veramente preparato (quando è preparato) all’attenta utilizzazione delle risorse individuali e collettive che questo lavoro richiede, a formare i gruppi e attendere alla loro crescita, a indivi­ duare in questi gruppi gli uomini disposti a servire la comunità e ad aiutarli ad assumere le responsabilità della leadership, a considerare il coordinamento come un lento processo e non come qualcosa che si realizzi in virtù di una circolare, ad operare infine quella sintesi molto complessa tra i vari interventi, in modo che il prodotto finale risponda ai complessi bisogni della comunità. La sua presenza, inoltre, è la più seria garanzia contro il pericolo che il progetto diventi l’ennesimo « ufficio » e perda in breve tempo la sua natura di « s e r v iz io » . Gli specialisti dell’assistenza tecnica possono arrivare in un secondo tempo, quando l’assistente sociale (si chiami animatore di sviluppo o animatore di comunità, non importa) è riuscito ad individuare e a maturare le richieste di assistenza tecnica. Non dobbiamo dimenticare che l’assistenza tecnica richiesta, anziché offerta,

opera più disinvolta e con maggior efficacia.

Se avessimo potuto contare sin dall’ inizio sulla presenza degli assistenti sociali nelle varie comunità, si sarebbe avuta probabilmente una migliore

utilizzazione degli specialisti e delle altre consulenze che il Progetto metteva a disposizione.

Una ipotesi molto verosimile è che sia sufficiente uno specialista per un gruppo di sei-sette assistenti sociali e un assistente sociale per dieci-quindici operatori locali, professionali o volontari che siano. Se si potesse verificare questa ipotesi, che affacciamo in base all’esperienza del Progetto Abruzzo, risulterebbero di molto inferiori i costi dell’assistenza tecnica e della con­ sulenza, perché queste potrebbero servire un territorio molto più vasto di quello attuale.

Uno dei punti sui quali si può valutare l’ effettività di un tale lavoro, è proprio questa capacità di allargare l’équipe, di associare quante più per­ sone è possibile intorno ad un comune programma di lavoro.

Questo, per esempio, è un risultato- verificabile perfino quantitativamente, ma non è il solo.

Si suol dire che i risultati di queste iniziative purtroppo non sono tangibili. Questa voce corrente da una parte scoraggia gli operatori più impegnati in queste iniziative, dall’altra consiglia gli amministratori e gli amministrativi a non intraprenderle e nemmeno ad incoraggiarle.

Proprio per questa dolorosa constatazione, vogliamo chiudere con alcune riflessioni sulla valutazione; non è vero che i risultati di una fatica così lunga e paziente siano scritti soltanto in Cielo e, per essere più convin­ centi, vogliamo limitare- le nostre riflessioni proprio al settore sociale e culturale, che è il più incriminato quando si parla della inconsistenza dei risultati.

E ’ un risultato tangibile, per esempio, che più ragazzi proseguano gli studi, o che usufruisca dell’assistenza medica gratuita soltanto chi ha effettivamente bisogno, o che il comune e l’ECA collaborino per identificare i più bisognosi di aiuto e per dare loro un aiuto più consistente; è un risultato tangibile essere riusciti a riunire tante famiglie separate a causa della emigrazione, o far sì che un gruppo di comuni si associ per istituire un servizio di medicina scolastica ; è un risultato tangibile il mutamento di determinati criteri assistenziali, quello, per esempio, constatato in un’altra regione, per cui si ovviava al limitato numero di razioni per la refezione scolastica diffondendo la voce che era vergognoso riceverla, o far sì che i vecchi dell’ospizio non siano più costretti a seguire a pagamento i fune­ rali per portare qualche entrata alla « casa di riposo » ; è un risultato tangibile l’aver pazientemente sciolto il nodo delle cariche accumulate nella stessa persona e aver convinto i più timidi e disinteressati ad assumere qualcuno di quei compiti per il bene della comunità. Così può essere un risultato tangibile l’aver dato sicurezza a questi agricoltori, per ora piut­ tosto estraniati dall’amministrazione della cosa pubblica, in zone invece in

cui l’economia è prettamente agricola; un altro risultato può essere la partecipazione delle donne alle cooperative agricole, composte per ora quasi esclusivamente da uomini, in zone in cui l’agricoltura è praticamente in mano alle donne, o aver aiutato le donne ad assumere un ruolo nelle ammi­ nistrazioni locali dalle quali sono per ora praticamente escluse.

Quasi tutti gli esempi che abbiamo citato sono esempi di risultati verifi­ cabili e perfino traducibili in cifre, e tutti si riferiscono in modo preciso agli interventi di cui si è parlato nelle pagine precedenti. La documentazione relativa al lavoro è stata predisposta in vista di questo tipo di valutazione.

Certamente, non si tratta di un lavoro in vitro e molti di questi risultati non saranno dovuti soltanto alle nostre esperienze. Sappiamo che tante cose cambiano in bene o in male con noi e senza di noi. Soltanto tre o quattro anni fa si parlava della televisione come di un surrogato della lettura, oggi certa lettura è già diventata un surrogato della televisione.

Abbiamo voluto illustrare con questi esempi solo il primo punto di un ipotetico schema di valutazione: quali risultati tangibili può conseguire questo lavoro.

Tra gli altri punti, ovviamente seguirebbe come il più importante quello che notasse « quali fattori esterni favorevoli sono intervenuti » e « quali fattori sfavorevoli », con tutta la gamma delle variabili possibili, che vanno dalla casuale circostanza locale (come potrebbe essere l’ eredità toccata a tutti gli abitanti di S. Marco d’Urri) al rafforzamento oppure all’indeboli­ mento della politica sociale che il governo oggi persegue, alla realizzazione oppure aH’accantonamento deH’ordinamento regionale e di tutte le riform e nelle quali oggi speriamo.

Da queste variabili dipende il senso o il non senso del programma descrit­ to : questo lavoro può essere un’esercitazione scolastica alla ricerca di un mezzo che insegue senza mai raggiungere il suo campo di applicazione, o può essere un esempio di democrazia diretta, un primo modesto concreto esempio di partecipazione democratica alla programmazione, realizzato proprio in una situazione della quale si dice al solito che non c’è niente da fare.

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