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Centro sociale A.11 n.57-60. Il progetto Avigliano

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Centro

Sociale

n. 57-60, 1964

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(3)

Centro Sociale

inchieste sociali

servizio sociale di gruppo educazione degli adulti sviluppo della comunità

a. X II - n. 57-60, 1964 - un fascicolo L . 400 - un fascicolo doppio L. 650 abb. a 6 numeri L. 2.200 - estero L. 4000 - spediz. in abbonamento postale gruppo IV - c.c. postale n. 1/20100 - Direzione Redazione Amministrazione: piazza Cavalieri di Malta, 2 - Roma - tei. 573.455

Sommario

Il Progetto Avigliano

a cura dell’ Ufficio Pubbliche Relazioni della Esso Standard Italiana Federico Spantigati 3 Introduzione

Camillo Bonanni, 12 Claudio Guida, Aldo La Capra, Elio M assei

I. Descrizione di Avigliano

cap. 1 - Dati geografici e storici cap. 2 - Popolazione

cap. 3 - Attività economiche

cap. 4 - Organizzazione sociale e istituzioni

Angela Zucconi 68 II. Il comprensorio del Progetto e i primi interventi

cap. 1 - Problemi del comprensorio e metodi di intervento

cap. 2 - 1 1 lavoro del Progetto nel primo biennio

Angela Zucconi 92 III. Il programma di lavoro

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Angela Zucconi 126 IV. Conclusioni

131 English summaries

138 Résumés français

M . Rossi Doria 147 Ricordo di Emily Pitkin

149 Recensioni

E . B . Hill, Ricerche applicate al servizio sociale

negli Stati Uniti (T. Ciolfi Ossicini); E . Koblank, D ie Situation der sozialen Berufe in der sozialen Reform (E . B . Hill); Vari, La scuola e la società italiana in trasformazione (A . Signorelli d9A yala)

165 Estratti e segnalazioni

(A cura di Adele Antonangeli M arino, Teresa Ciolfi Ossicini, Egisto Fatar eli a, Giuliana M ilana Lisa, M ario Zucconi),

211 Documenti

Foto: pagg. I, II sopra, III, V I sotto Robert

Mottar; pag. V Aldo La Capra; pag. V I Fiorita Botts; in copertina R . Mottar

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Introduzione

1. Il tema del Progetto Avigliano sono le aree « di sistemazione » : quelle aree « non suscettibili di sviluppo » che occupano la parte interna mon­ tuosa del Mezzogiorno, correntemente chiamata « l’osso ». Intorno e dopo il 1960 nelle discussioni sui risultati dell’attività della Cassa per il Mezzo­ giorno e successivamente sul « rilancio » di essa la politica meridionalista ha elaborato per il Mezzogiorno una ipotesi di intervento basata sulla distinzione fra zone1 di sviluppo industriale, di agricoltura intensiva, di sviluppo turistico, e zone non suscettibili di sviluppo; questa ipotesi, accolta nella legge convenzionalmente denominata « di rilancio della Cassa », prevede la concentrazione degli investimenti per le infrastrutture, degli incentivi alle attività produttive e degli interventi di assistenza tecnica nelle zone dei tre tipi « suscettibili di sviluppo », e le zone « non suscettibili » lasciate alle trasformazioni indotte in via riflessa dallo sviluppo delle zone suscet­ tibili e dalla dinamica interna, loro propria.

Questa politica « delle tre zone » lascia in pratica scoperto il tema della trasformazione (lo sviluppo è escluso per definizione) delle zone non suscettibili: la concentrazione degli sforzi, finanziari e di assistenza, ove la loro produttività si prevede certamente maggiore è concetto strategico di dementare evidenza, ma in tal modo la politica per le zone non suscet­ tibili resta definita solo per esclusione: si esdude che in esse convenga concentrare massicciamente capitali e tecnici.

Accettando l’impostazione delle tre zone, resta ancora del lavoro da fare, per una politica coerente e globale di sviluppo del Mezzogiorno: inventare una prospettiva di lavoro e creare gli strumenti (tecnica, orga­ nizzazione, uomini) per la trasformazione delle zone non suscettibili. Le indicazioni degli anni trascorsi sono già sufficientemente condusive per sapere che abbandonare le zone non suscettibili alla dinamica loro propria ed agli effetti dello sviluppo delle zone suscettibili e del resto del Paese significa avviarle lungo la strada di una progressiva degrada­ zione e sfasciamento.

2. Perché la Esso Standard Italiana si è proposta questo tema, inter­ venendo nel Sud con il Progetto Avigliano? La risposta parte da un presupposto, che occorre avere chiaro: la concezione del ruolo di una grande impresa nella vita sociale e culturale del Paese, proprie oggi in Italia delle organizzazioni industriali più avanzate.

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La capacità organizzativa, la tensione, la dinamicità e la aggressività che sprigionano dalle grandi organizzazioni industriali non sono destinate

o possonorestare utilmente confinate al solo mondo della produzione dei beni e dell’organizzazione dei fattori produttivi ; l’astrazione economica non dà giustizia, né spiega il significato storico della grande impresa. La quale, oltre a un fatto quantitativo, estende i suoi riflessi su tutta la vita umana nella società in cui opera; e non ha perciò aspetto della vita sodale del Paese nei cui confronti possa considerarsi estranea. In particolare, i problemi sociali e culturali che possono arrestare lo sviluppo del Paese a livelli di civiltà é condizioni economiche più arretrate sono di immediato cruccio e responsabilità per la grande impresa, in una visione a lungo periodo della sua esistenza, non meno della efficienza organizzativa delle vendite e della qualità tecnologica dei prodotti.

3. In questa direzione la Esso opera dagli anni della ripresa dell’at­ tività produttiva nel dopoguerra, con una serie di iniziative in settori della vita nazionale ove ritiene possa svolgere una funzione di rottura e di stimolo un proprio apporto di tecniche, di mezzi e di energie. L ’entità dei mezzi disponibili per questo fine è nel bilancio di una grande impresa necessariamente limitata, tuttavia il valore di esse dovrebbe consistere ed essere misurato più in termini di novità di idee, energia realizzatrice, precisione di proposte che non di entità dei mezzi finanziari ; non ci si può attendere da una grande impresa soluzioni decisive per i problemi civili del Paese, né la sua sostituzione nei compiti specifici di altri enti, quanto si può avere, attraverso questo tipo di iniziative, una indicazione di metodi e una esemplarità di soluzioni (1).

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fra le zone a civiltà e standard di vita europeo e quelle a società stagnante in villaggi a economia di sussistenza e cultura pre-Rinas cimento, ei i feno­ meni di travaso o strozzatura che questa differenza di livello comporta nella dinamica della società italiana, sono un aspetto dell’attuale processo storico fondamentale per le prospettive di sviluppo di urta grande impresa.

Con i suoi investimenti per impianti industriali e reti di distribuzione commerciale la Esso ha portato nel Mezzogiorno un cospicuo volume di finanziamenti e una considerevole spinta produttiva; la Rasiom ad Augusta, la più grande raffineria italiana (8 milioni di tonn/anno) e il più grande impianto europeo per lubrificanti selettivi (200.000 tonn/anno), è stata il motore primo per lo sviluppo della zona industriale di Catania- Siracusa che è oggi fra i casi più spettacolari di industrializzazione nel Mezzogiorno, Ma melle zone non suscettibili la spinta innovatrice non può consistere nella costruzione di raffinerie o di impianti su largai scala; è a queste zone appunto che si rivolge il Progetto Avigliano.

5. Il Progetto Avigliano verme preceduto nell’interesse della Esso per le zone montane del Mezzogiorno da una limitata azione di assistenza nel villaggio di S. Cataldo (comune di Bella, provincia di Potenza), noto per le condizioni di depressione (2).

L’intervento della Esso era affidato in questi anni (1960-62) ad Aldo La Capra, di Potenza. Nel 1962, dopo tre anni di esperienza e avendo cono­ sciuto ormai da vicino persone e problemi della zona, si ritenne opportuno ripensare criticamente il lavoro fino allora svolta e le prospettive del suo svolgimento. Il tema venne sottoposto a Manlio Rossi Doria, il cui consiglio a questo punto fu di abbandonare S. Cataldo, ove le caratteristiche del­ l’insediamento e le condizioni di vita facevano prevedere come possibile il dissolversi della comunità in un futuro più o meno prossimo, e, se la Esso intendeva occuparsi del Mezzogiorno povero, affrontarne i problemi su più larga scala con un progetto pilota di assistenza tecnica e sociale su una zona in via di trasformazione (e non di probabile dissolvimento, come S. Cataldo) per effetto dell’emigrazione.

6. La scelta di Avigliano per la localizzazione del Progetto fu naturale conseguenza del 'precedente lavoro: Avigliano è centro di gravitazione per il villaggio di S. Cataldo, e continuando così a lavorare nella zona si poteva capitalizzare quanto fino allora fatto. Rossi Doria, che conosceva bene Avigliano per avervi trascorso nel ,19/2 alami mesi di confino, confortò questa inclinazione considerando che Avigliano non aveva ancora subito a causa dell’emigrazione un processo di sfasciamento, che costituiva un centro urbano importante per tradizioni e per essere capitale di un piu vasto territorio (la « nazione aviglianese »), che il carattere dei suoi abitanti

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(cultura, iniziativa, attaccamento alla loro terra) dava garanzia per la riuscita del programma.

Non era quindi, Avigliano, il paese di miseria e desolazione cheI sarebbe stato scelto per considerazioni populiste o di colore, ma un centro urbano ancora saldo, vitale, e in condizioni già a prima vista migliori di quelle della media dei comuni della Basilicata.

7. L’ipotesi di lavoro assunta a base del Progetto fu che i problemi delle zone non suscettibili di sviluppo nel Mezzogiorno non si risolvono lasciando che in esse le cose vadano avanti da sole: la dinamica delle forze ad esse interne, messa in crisi dallo sviluppo economico generale del Paese, tende al loro progressivo svuotamento e abbattimento; per provo­ care una inversione di tendenza occorre una programmazione di interventi. Queste zone, in secondo luogo, sono già state abbondantemente studiate, i loro problemi sono noti, lo Stato ha già largamente destinato ad esse investimenti e strutture tecniche e assistenziali; non è quindi tanto que­ stione di portarvi altri investimenti o di sottoporle a nuove analisi, quanto di energie umane che utilizzino quegli investimenti e quegli studi; il pro­ blema delle zone non suscettibili di sviluppo, secondo l’ipotesi dì lavoro del Progetto, è essenzialmente problema di formazione di uomini e di capacità organizzative e operative.

Occorre, quindi, in punti strategicamente anche se empiricamente scelti, portare una carica di energie realizzatrici e capacità che utilizzando le tecniche dello sviluppo di comunità, dell’assistenza tecnica, della program­ mazione, delle scienze psicoiogico-sociali ed economiche, possa suscitare sul posto le forze umane necessarie a provocare l’inversione di tendenza, e attivare e guidare un processo di ricostruzione e riequilibrio. Non quindi finanziamenti di opere pubbliche o ulteriori contributi oltre quelli previsti dallo Stato dovevano essere il contenuto del Progetto, ma la costituzione di una équipe di tecnici attamente qualificati che 'studiassero le prospettive della zona per il futuro, elaborassero progetti dì intervento e dessero l’assistenza tecnica necessaria alla loro realizzazione.

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e loro assistenza. Di qui esigenza inderogabile la residenza in loco dei tem ici della équipe, e l’utilizzazione da parte loro delle tecniche di sviluppo di comunità. Infine, l’apporto di energie e il compito di suscitarne delle nuove sarebbero stati illusori, o comunque avrebbero limitato assai la loro efficacia, se il Progetto si fosse posto in contrasto o in sostituzione di altre iniziative già esistenti o comunque istituzionalmente affidate ad altri organismi: non sostituzione di iniziative ed enti esistenti, il compito del Progetto, ma integrazione e collaborazione con essi e offerta della propria assistenza nella realizzazione dei loro programmi.

La dimensione territoriale di un Progetto di tal fatta doveva essere empiricamente determinata: si partì dall’esame della situazione di un comune (Avigliano), ma si vide presto che le dimensioni dei problemi, le circoscrizioni degli enti istituzionalmente competenti nei vari settori, l eco­ nomicità di intervento consigliavano tutti l’allargamento dell’area. La deter­ minazione dei confini venne effettuata con riferimento alle circoscrizioni degli enti tecnici, in particolare dell’agricoltura, già operanti netta zona, e facendo perno su Avigliano il Progetto gradatamente si estese a coprire un comprensorio di sei e poi sette comuni.

8. Il valore « pilota » del Progetto sta nella capacità di creare un esempio di politica per le zone povere detta montagna meridionale ; di inventare procedure e metodi di lavoro; di verificare i problemi pratici che una tate politica può incontrare, i costi della sua realizzazione, i tempi, i possibili risultati. L’obbiettivo principe era non il risolvere i problemi di Avigliano in sé e per sé considerati, quanto il mettere a punto e dimo­ strare una metodologia di soluzione; il valore pilata non consiste netta ripetibilità in condizioni diverse di tempo e di spazio dell’identico esperi­ mento, quanto netta precisione metodologica ottenuta e netta diffusione di nuovi concetti nell’opinione pubblica.

7 risultati del Progetto dovranno essere valutati sia in termini quanti-^ tarivi, di sviluppo economico, sia qualitativi, di sviluppo civile; ma perche abbia un senso definirlo pilota occorrerà anche un altro risultato, me o

dologico, la documentazione e pubblicazione dette varie fasi del lavoro le tecniche, i problemi, gli strumenti usati per risolverli. Questo obbiettivo, che è stato chiaro al Progetto fin dagli inizi, ha richiesto considerevole tempo e attenzione per la raccolta dei dati e documentazione del lavoro man mano che esso andava svolgendosi (3).

9 L’inizio del Progetto nel gennaio 1963 fu innanzi tutto studio e presa di contatto con le iniziative di sviluppo comunitario e assistenza tecnica

cke g ii ri emno « » t e fine « i l o » - <*: i Centri "

Canavese, Castelfranco Veneto, Borgo a Mozzano, il Progetto OECE-bar

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degna, i Centri dell’Unione nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo, il Progetto Abruzzo; dalla loro esperienza si cercò di essere ammaestrati sulla impostazione del lavoro e sugli errori da evitare.

La ricerca delle persone che componessero la équipe ad Avigliano venne iniziata non appena i primi contatti ebbero chiarito una ipotesi di struttura organizzativa del Progetto; ma allora e in seguito la difficoltà di trovare persone atte a tradurre in atto l’idea e realizzare l’iniziativa del Progetto fu tra le più ardue da superare; la qualità delle persone per preparazione tecnica, precedenti esperienze, livello intellettuale, desiderio di impegnarsi in questo tipo di lavoro era tale da scoraggiare ogni speranza di ricerca. La fortuna che ha assistito il nostro Progetto nel suo corso si mostrò particolarmente in questa circostanza, giacché il problema potè essere risolto; ma solo a dicembre 1963 la équipe di tre persone ad Avigliano era completa. La ripetibilità di un esperimento pilota quale è questo nella situazione attuale in Italia si può ritenere difficile, giacché difficil­ mente si troverebbero le persone a ciò adatte; non perché intrinsecamente occorre che esse siano fuor di misura, ma perché chi pur possieda poten­ zialmente le qualità intellettuali e morali e il desiderio di azione che lo renderebbero capace di questo tipo di lavoro non trova in Italia luogo ove formarsi — se si eccettui, per i problemi assistenziali e educativi, taluna scuola per iassistenti sociali. In questo appunto sta il valore pilota del Progetto, nel dimostrare la necessità oggi in Italia di un certo tipo di lavoro, e per esso di un certo tipo di formazione di persone, e nel contribuire a formarle.

La difficoltà nella composizione della équipe rese impossibile osservare una regola che da più parti era stata consigliata teoricamente e che Vespe­ rienza del Progetto ha confermato nella pratica ancora una volta: la neces­ sità di una partenza simultanea del Progetto nei vari settori di lavoro. L’inizio scalato nei tempo, dal luglio al dicembre 1963, quale in pratica avvenne, creò varie difficoltà per lo studio dei dati e l’elaborazione dei programmi, e rese possibile approfondire all’interno del Progetto l’analisi del ruolo, funzioni e compiti di esso solo dopo l’inizio del 1961.

La discussione su ipotesi di lavoro e definizione del ruolo del Progetto si rese veramente necessaria dopo il completamento della équipe ad Avigliano, ed assorbì notevole tempo ed energie, dal gennaio al maggio 1961.. Si era iniziato nella presupposizione che concetti fondamentali, tecniche di lavoro e metodologia di rilevazione dei risultati esistessero già come dati di fatto, definiti e utilizzabili; ci si accorse invece, nei contatti con l’esterno e poi all’interno della équipe, che ciò ìnon è 'vero, ìche assistenza tecnica e sviluppo comunitario sono un campo di lavoro ove in Italia non esiste

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linguaggio comune, chiarezza di concetti, metodologia definita; per end occorsero lunghe discussioni e un notevole sforzo di ciascuno all interno della équipe per trovare un linguaggio comune è;definire i concetti fonda- mentali.

Per l’introduzione nell’ambiente locale si scelse di iniziare il lavoro dallo studio della situazione, senza previa presentazione e contatti ufficiali con le autorità e la popolazione: per il lavoro svolto a S. Cataldo era già genericamente noto l’interesse della Esso ai problemi della zona, e si pensò preferibile attendere da un lato che fosse possibile presentare un primo risultato concretolo studioanziché dichiarazioni di intenzioni neces­ sariamente vaghe, dall’altro di avere individuato prospettive di lavoro concrete e meglio definito il ruolo del Progetto. Sulla bontà di questa partenza si può essere incerti, poiché da essa derivò una crisi, poi felice­ mente superata, nei rapporti con talune autorità locali non sufficientemente informate sui propositi e la struttura del Progetto, a metà 1961, è dubbio tuttavia se non si sarebbero verificati altri o maggiori inconvenienti con un tipo di partenza opposto.

10. La struttura della équipe venne articolata in tre settori: agricoltura, attività extragricole, settore sodo-educativo. Le questioni dell’emigrazione e quelle strettamente connesse dell’istruzione professionale costituirono a lungo un problema in questa articolazione della équipe: da 'un lato per rilevanza e complessità sembravano giustificare un’attribuzione di settore specifico, dall’altro per natura, e connessioni erano certamente comprese nel settore sociale e culturale. Si ondeggiò così fra una struttura a tre ed una a quattro settori, finché l’approfondimento che l’esperienza consentì dei problemi organizzativi rese evidente l’assorbimento di esse nel settore socio- educativo.

Mentre il settore sociale e culturale avrebbe dovuto essere il primo a partire, fu invece l’idtimo; primo fu il settore delle attività extragricole, nel luglio 1963, con Elio Massei che si stabilì ad Avigliano venendo da una esperienza di quattro anni di assistenza tecnica all’artigianato nel Progetto OECE-Sardegna; a settembre 1963 verme ad Avigliano per il settore agricolo Claudio Guida, formatosi alla scuola di Rossi Doria, Hauss- mann e Barbero; dal dicembre 1963 al settembre 1961 lavorò nel Progetto per il settore sociale e culturale Camillo Bonanni, che aveva avuto una esperienza di più anni come direttore di progetti UNESCO in Somalia. Il gruppo di Avigliano era completato da Emilia Salvia, per il lavoro di segreteria, mentre Aldo La Capra ebbe dapprima principalmente il compito di aiutare l’introduzione della équipe nell’ambiente locale, poi si interesso di emigmzione, dell’istruzione professionale e di talune attività produttive.

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Nella Esso Standard Italiana il Progetto Avigliano era di responsabilità dell’ Ufficio Pubbliche Relazioni, e per esso del suo capo, Lorenzo Cantini; il compito di seguirne il lavoro era stato taffidato nel dicembre 1962 fi Federico Spantigati, e i numerosi problemi esecutivi a Virginia Mazzucco. Il problema della direzione del Progetto era tuttavia troppo complesso perché la buona volontà di due persone dell’ Ufficio Pubbliche Relazioni della Esso, organizzatori generici, potesse bastarvi; nella primavera del 1961, inoltrato il lavoro, si riferirne indispensabile chiedere aU’Osservatorio di Economia agraria di Portici e al Centro di Educazione professionale per Assistenti sociali ( CEPAS) di RomaInelle persone di Manlio Rossi Doria ed Angela Zucconidi voler aiutare con la loro competenza il Progetto partecipando alla sua direzione. Rossi Doria stabilì una consuetudine di incontri periodici ogni due o tre mesi in cui dibattere le linee generali della politica del Progetto; Angela Zucconi accettò la fatica di creare con gli altri il Progetto dando così, oltre all’apporto della sua esperienza nei problemi del lavoro sociale, il giudizio di realtà su di esso. Dal maggio 1961 si stabilì la regola di dibattere i problemi di direzione del Progetto in riunioni mensili collegiali ad Avigliano.

I costi del Progetto Avigliano sono stati sostenuti interamente dalla Esso Standard Italiana; nei primi due anni i risultati indicano un costo complessivo tra i 25 e i 30 milioni annui, così ripartiti fra le varie voci:

a) personale ( inclusi viaggi, consulenze esterne, visite di consulenti al Progetto, collaborazioni locali, borse di studio per elementi locali o presso il Progetto) : 80,6%; b) spese per iniziative ( escluse borse di studio e colla­ borazioni locali) : 7,8% ; c) ufficio (inclusa attrezzatura, spese per lavori di copiatura, materiale giornalistico): 9,2% ; d) rappresentanza e varie: 2,b%.

11. I risultati dei primi due anni di lavoro del Progetto sono esposti nelle pagine che seguono: prima lo studio della situazione attuale e le prospettive di sviluppo di Avigliano, poi le prime azioni e il piano di un intervento di assistenza tecnica a livello di programmazione operativa in sette comuni che famio perno (eu Avigliano.

II ruolo della Esso nel promuovere questa azione è a questo punto desti­ nato a cessare: si è voluta dimostrare la validità di una impostazione di lavoro e le possibilità della sua riuscita, ma il carattere dell azione stessa esige che essa, superata- la fase di studio e impostazione del problema, sia proseguita attraverso l’intervento degli enti pubblici responsabili del destino delle comunità interessate.

L’attuazione del Piano regionale di sviluppo che attualmente in Basilicata come in altre regioni è allo studio, sembrerebbe richiedere la presenza dì centri a carattere operativo, quale è appunto il Progetto Avigliano, «

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eia » e « cinghie di trasmissione » sul campo, in contatto da una parte con l’elaborazione del Piano di sviluppo stesso, dall’altra con le comunità che dovranno attuare e vivere lo sviluppo. L’opera della Esso non sarà stata spesa invano se in questa prospettiva l’esperienza del Progetto avra potuto dare indicazioni valide che saranno Utilizzate e rielaborate negli anni futuri.

Federico Spantigati

(1) Esemplificazione delle iniziative della Esso in settori ^ la scuJ /¡coltura l’informazione scientifica ed economica possono essere il viag efif premio dei 40 migliori studenti delle scuole secondarie italiane organi^ zato ogni anno dal 1955 in collaborazione con il Touring Club italiano, realizzazione dell’edizione italiana di 21 film PSSC per l’insegnamento della

in collaborazione con le Commissioni nazionali per le classi pilota in fisfet fi c o n c ^ s o T l giovani e la scienza» per gli studenti che progettano e realizzano esperimenti scientifici; la produzione di un corso filmato per l’addestramento Pdei trattoristi, la pubblicazione della Piccola Enciclopedia di Meccanica Agraria, la collaborazione con il Centro per l’Economia e la Coope- ' razione agricola trevigiana (CECAT) per l’istituzione di una scuola per Monitori agricoli a Onè di Fonte (Treviso); la organizzazione di convegni f dibattiti !n collaborazione con enti quali la Federazione delle Associazioni scientìfiche e tecniche di Milano (FAST) e l’Associazione per la Ricerca scien­ tifica italiana (ARSI), e la pubblicazione dei materiali relativi, sullo sta S S L S S hÌ scientifica in Italia, l’informazione economica e i suoi rap­ porti con le fonti, fi problema delle due culture m Italia.

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^ontag^e di Potenza: un tentativo di inchiesta antropoio gico-culturale, m «Centro Sociale», a. IV, n. 16-17, 1957.

131 II tipo di documentazione elaborato è stato organizzato in: 1) ™ o «sfudio prdinfinare» della situazione locale, prima dell’intervento del Pre­ cetto • 21 « linee programmatiche » dell’intervento di ciascun settore, rivis e anno’ per anno- 3) «schede operative» per singole azioni, con programma­ zione ^dell’intervento, delle previsioni di costo, delle finalità ; 4) «rapporti mensili» per ciascun settore, articolati in corrispondenza alle schede ope­ rative ; 5) «singole relazioni» su problemi e risultati specifici.

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I. Descrizione di Avigliano

di Camillo Bojianni

9

Claudio Guida

,

¿lido L a Capra

9

Elio JYIassoi

cap. 1 - Dati geografici e storici

Avigliano è un comune della Basilicata, in provincia di Potenza, a circa km. 20 dal capoluogo. Nel 1963 contava 11.328 abitanti. Il territorio comu­ nale, di 8.173 ettari, è prevalentemente montuoso (tra i 570 e i 1.236 metri sul livello del mare) ed è situato a cavallo dello spartiacque appenninico, tra i bacini fluviali del Bradano, dell’Ofanto e del Sele. Punto culminante del comune è il Monte Caruso, che domina i tre bacini suddetti. Il terri­ torio di Avigliano risulta quindi frazionato in più versanti fino a qualche tempo fa malamente collegati tra di loro attraverso mulattiere valicanti le creste montane, spesso coperte di neve durante l’inverno. La zona setten­ trionale, che fa capo all’antico centro di Lagopesole, comprende i terreni migliori e più pianeggianti ; quella meridionale, più scoscesa e meno fer­ tile, comprende il centro capoluogo che si trova, rispetto al territorio comunale, in posizione assai eccentrica.

Il centro capoluogo del comune è costruito fra quota 900 e quota 800, sulla sella di uno sperone del monte Carmine, che digrada verso sud dalla collina dell’Angelo sino all’altezza della piazza principale, per poi risalire verso il Castello. Tra il colle dell’Angelo e la stazione delle ferrovie calabro- lucane si sono sviluppati gli insediamenti nuovi, composti per la maggior parte da costruzioni di edilizia sovvenzionata. I rioni del centro, Serri- tiello e Poggio, risalgono al 1300, il quartiere Lavanga al 1500; mentre assai più antichi sono i quartieri orientali, il Casale, il Borgo Santa Cate­ rina, il Poggio dietro le Rocche (1).

Il comune è attraversato da nord-ovest a sud-est dalla strada statale 93 Apulo-Lucana che, provenendo dalla Puglia, tocca Lagopesole e di qui per

Alla raccolta dei dati presentati in questa I parte hanno collaborato Lucia Cap- piello, Donato Maggiotta, Giuseppe Mecca. La stesura definitiva del testo è stata curata dall Istituto per lo Studio dei Problemi dello Sviluppo economico e sociale

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S. Angelo e S. Nicola, centri abitati del comune di Avigliano, giunge a Potenza.

La statale n. 7 (Appia) lambisce a sud il territorio del comune; è attra­ verso questa strada che si svolge il traffico tra Avigliano e Potenza. I prin­ cipali accessi al comune di Avigliano quindi sono: a sud un tratto di pro­ vinciale che collega l’Appia col capoluogo, a est ed a nord altri due tratti di provinciale che collegano il capoluogo stesso e le principali frazioni con la statale 93 e le stazioni della ferrovia Potenza-Foggia.

La ferrovia Napoli-Tàranto-Brindisi passa per Potenza, donde si dirama una linea per Foggia, che, a pochi chilometri da Potenza attraversa da sud a nord la parte orientale del territorio del comune di Avigliano. Due sta­ zioni di questa linea si trovano nel comune (2).

La ferrovia Napoli-Taranto sarà in futuro affiancata da una strada a scor­ rimento veloce (la « Basentana ») che, innestata presso Castelluccio Cosen­ tino all’autostrada Salerno-Reggio Calabria, collegllerà agevolmente Potenza con la Campania da un lato e con Taranto dall’altro.

Il territorio dell’attuale provincia di Potenza, impervio e montuoso, fu, nell’antichità, evitato ed aggirato dalle grandi vie di comunicazione. La via Appia correva molto più a nord rispetto al tracciato attuale e aggirava queste montagne passando da Benevento e da Venosa. Forse per questa ragione, nessuna traccia di insediamenti romani è stata trovata nel terri­ torio aviglianese.

Fu probabilmente raffermarsi di Napoli come capitale dell’Italia meri­ dionale a spostare il tracciato deH’Appia più a sud, attraverso i valichi deH’Appennino presso i quali sorgono adesso, a cavallo dei due versanti, Avigliano e Potenza.

Le prime notizie storiche certe su Avigliano risalgono al 1240, anno in cui essa è citata negli Statuti officiorum Federici II come un piccolo casale dipendente da Montemarcone, allora sede di una « casa imperiale ». Pochi anni dopo (1242) lo stesso Federico II fece costruire un castello di caccia a Lagopesole (nucleo del castello odierno) riedificando l’antica rocca longobarda, già riattata dai Normanni; il che sembra indicare che il territorio fosse allora prevalentemente coperto da foreste, e scarsa­ mente popolato.

In origine casale o addirittura semplice praedium o podere coltivato da vari coloni, Avigliano assurge al rango di castrum soltanto con la domi­ nazione angioina, quando vi s>i trasferiscono esuli sfuggiti al massacro seguito alla repressione della insurrezione ghibellina scoppiata a Potenza nel 1269 e propagatasi nei castelli della valle di Vitalba.

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Tuttavia Avigliano rimane ancora per oltre un secolo uno dei più pic­ coli e meno popolati centri abitati della regione sino a quando, dopo il terremoto del 1456, vi si trasferiscono uomini da Atella e dai paesi della zona del Vulture.

Nel febbraio del 1579, essendo barone della terra di Avigliano Giovanni Battista Caracciolo, gli abitanti di quel feudo ottengono la concessione di uno statuto con cui vengono concordate le norme intese a regolare la vita cittadina ed i rapporti tra barone e vassalli. Lo statuto, nel novem­ bre del 1595, viene confermato dall’erede di Giovanni Battista, Giuseppe Antonio Caracciolo.

Il centro abitato, tra il XVI ed il XVII secolo, vede aumentare notevol­ mente e con ritmo costante la sua popolazione : tassato nel 1532 per 133 fuochi, nel 1545 per 176, nel 1561 per 216, nel 1595 per 439, nel 1648 per 537, nel 1660 per 601, diviene, nel corso del sec. XVIII, il più ricco ed il più popolato centro abitato del potentino grazie alla sua posizione geo­ grafica: posto ai piedi del Carmine, tra l’alta valle del Bradano e quella del Bianco, si trova sulla strada che, attraverso il potentino, congiunge i paesi lucani del versante ionico con la piana di Salerno.

Nel 1735, quando Carlo III dispone la sua inchiesta sulla Basilicata, Avigliano è numerata per 598 fuochi e conta 5.500 abitanti (3). Assurta al rango di città alla fine del X VIII secolo, nel 1806 i suoi abitanti sono 9.071, 12.112 nel 1821, 13.352 nel 1843, 14.600 nel 1953, 15.410 nel 1857, 16.176 nel 1861.

Avigliano raggiunge il massimo splendore nella seconda metà del XVIII secolo. Non più il piccolo casale angioino o il grosso centro contadino dell’età aragonese e spagnola, ma una cittadina ricca e progredita, nella quale, tra l’altro, alcuni ceti sociali assumono una posizione di contrasto con gli agenti e gli amministratori feudali.

La popolazione contadina, oppressa dal regime feudale, si schiera con gli esponenti dei ceti più progrediti del paese, tra i quali si distinguono quei giovani che hanno completato i propri studi a Napoli alla scuola di Antonio Genovesi ed hanno frequentato gli ambienti progressisti della capitale.

Il 19 gennaio del 1799 i discepoli di Girolamo Gagliardi promuovono una manifestazione repubblicana e, nel febbraio, si costituisce ad Avigliano la Municipalità.

I Corbo, i Vaccaro, i Palomba, i Gagliardi assumono posizione premi­ nente nella vita della regione e nell’ aprile del 1799, con i repubblicani di Potenza e di Tolve, organizzano la resistenza armata contro le forze san- fediste che marciano alla conquista di Napoli.

(17)

Lagopesole ed occupato le difese di Montemarcone, Montalto, Isca e Padule, partecipa attivamente ai vari combattimenti che si svolgono in Basilicata.

La restaurazione borbonica colpisce severamente i patrioti aviglianesi : molti riescono a riparare in Francia, da dove rientreranno dopo la pace di Firenze, ma alcuni, catturati dalle forze sanfediste, finiscono sul patibolo.

Durante il decennio francese, Avigliano, che ha ingrandito il proprio territorio con l’antico feudo di Lagopesole estendendo i suoi confini da Atella a Potenza e da Bella a Forenza ed a Pietragalla, viene proposta come nuovo capoluogo della provincia e designata come sede del Reai Col­ legio di Basilicata. Ma poi, scartata la sua designazione a capoluogo, nono­ stante sia sede fino al 1816 del Collegio di Basilicata, perde quella posizione che aveva assunto alla fine del secolo precedente.

Mentre Potenza le subentra come centro propulsore della vita regionale, Avigliano, ridotta a grosso centro artigiano e contadino, continua a svol­ gere una certa influenza nella economia della regione.

Nel 1848 i contadini di Avigliano insorgono contro l’autorità costituita ed occupano le terre di Lagopesole. Ancora nel 1860 sollecitano la quotiz­ zazione dei beni comunali e delle terre usurpate e, di fronte all atteggia­ mento del nuovo regime, aderiscono al movimento legittimista che degenera rapidamente nel brigantaggio.

Aviglianesi sono molti dei seguaci del brigante Crocco; aviglianesi alcu­ ni tra i più autorevoli esponenti del movimento legittimista che ha il suo centro in Rionero e in Melfi.

Dopo l’unità d’Italia, verso il 1890, si manifestano i primi fermenti nelle classi popolari. Tra gli artigiani e gli « zappaterra » di Avigliano vi è chi accoglie con entusiasmo i delegati del Circolo socialista di Potenza. La borghesia aviglianese, raccolta intorno al nome di Emanuele Gianturco, comincia a perdere quell’autorità che aveva sempre esercitato incontra­ stata sugli altri ceti sociali.

Nel 1919 la Lega socialista di Lagopesole organizza gli uomini della campagna e promuove invasioni di terre nelle proprietà del principe Doria e dei più ricchi « galantuomini » della zona.

Il periodo che va dall’unità d’Italia fino all’avvento del fascismo è anche caratterizzato da una forte emigrazione verso le Americhe. Negli anni tra il 1884 e il 1913 lasciano Avigliano 8.845 persone (in media 295

all’anno). . , , . ,. . .

Nonostante le perdite subite per l’emigrazione, la popolazione di Avi-gliano è sempre in eccedenza rispetto alle risorse. Nei primi decenni del secolo continua (con un’accentuazione negli anni immediatamente seguenti l’avvento del fascismo) l’ emigrazione verso i territori vicini.

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lazione, molti contadini alla ricerca di terre da coltivare si insediarono nei territori dei comuni vicini meno popolati, a Bella, a Ruoti, a Potenza, a Vaglio, a Pietra gali a, ad Acerenza, a Forenza a Ripacandida, ad Atella e a Rionero (4). Già nel 1936 la « nazione aviglianese » (il complesso cioè dei contadini oriundi di Avigliano), è presente nelle campagne dei comuni sopra citati, e anche in quelli di Picerno, S. Fele e Tito.

Nel 1943, caduto il fascismo, le nuove leghe contadine tornano ad inva­ dere gli stessi terreni al cui possesso i contadini avevano sempre aspirato. Questi, affamati di terra, occupano e mettono a coltura zone boscose su cui vantano diritti civici.

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cap. 2 - Popolazione

La popolazione residente del comune di Avigliano ammonta, come si è visto, a 11.328 abitanti (1963), con una densità di 137,50 abitanti per kmq. Circa la metà della popolazione vive nel capoluogo (4.940 abitanti, pari al 44,67% ); l’altra metà abita nei casali e nelle case sparse. Essendo il movimento migratorio più forte nelle campagne che nel capoluogo, mentre la popolazione di quest’ultimo è in aumento (da 4.554 abitanti nel 1951 agli attuali 4.940 abitanti), quella dei casali e delle case sparse, è in diminu­ zione (da 6.331 nel 1961 a 6.119 nel 1963).

Le « case sparse » sono soltanto una trentina (cui si aggiungono quelle in gruppi di tre o quattro, la cui situazione è però analoga) e in esse vivono 219 persone. Il resto della popolazione abita nei « casali », cioè in nuclei che solo raramente (com’é nel caso di Lagopesole) assumono i caratteri di veri e propri centri dotati di attrezzature e di servizi. I « casali » del comune di Avigliano sono 66 di cui:

— 26 con popolazione inferiore a 50 abitanti; — 20 con popolazione tra 50 e 100 abitanti ; — 13 con popolazione tra 100 e 200 abitanti ; — 6 con popolazione tra 200 e 300 abitanti ; — 1 (Lagopesole) con 669 abitanti.

L ’insediamento presenta dunque ad Avigliano un aspetto del tutto par­ ticolare che si discosta da quanto normalmente si verifica nelle altre zone agricole della montagna meridionale. Infatti, contrariamente a quanto avvie­ ne nella maggior parte dei comuni dove la popolazione è fortemente accen­ trata, ad Avigliano più della metà degli abitanti (e addirittura 186,4% della popolazione agricola) vive in « campagna », sia pur in quella form a particolare di abitato — a metà tra l’ insediamento sparso e quello accen­ trato — rappresentato dal « casale ».

Struttura per sesso ed età

Nel 1963 la popolazione aviglianese era composta per il 49,16% di maschi e per il 50,84% di femmine (5). Il rapporto è abbastanza normale in un comune caratterizzato, come si vedrà più avanti, da una emigrazione defi­ nitiva relativamente bassa.

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Quanto alla distribuzione per classi di età, si danno qui, per brevità, le sole percentuali, raffrontate con le corrispondenti provinciali e nazionali:

Avigliano Potenza Italia

0-6 12,88 12,7 10,0 6-14 15,92 16,3 12.8 14-21 10,90 10,4 10,8 21-25 7,86 6,7 6,4 25-35 16,24 15,4 15,1 35-45 11,10 11,7 12,9 45-55 11,07 11,0 12,8 55-65 7,32 8,1 9,6 oltre 65 6,71 7,7 9,6 100,00 100,0 100,0

Da questa tabella si ricava che:

— i bambini sotto i 14 anni sono, ad Avigliano come in tutta la pro­ vincia, più numerosi che nel complesso della nazione;

— i giovani fra i 14 e i 35 anni non sono, invece, più numerosi della media nazionale;

— dai 35 anni in poi, le classi di età sono, ad Avigliano e in tutta la provincia, meno numerose che nel complesso nazionale.

In conclusione, la popolazione aviglianese è più giovane, nel suo com­ plesso, della media nazionale; ciò significa però soltanto meno vecchi e più bambini, non già una maggiore disponibilità di forze giovani di lavoro.

Più difficile accertare le variazioni nel tempo della struttura per età della popolazione. Per Avigliano sono disponibili soltanto i dati del censimento della popolazione del 1961. Se si vuole invece considerare un periodo più lungo è solo possibile una comparazione tra la popolazione di Avigliano e di Filiano nel 1961 e quella del comune di Avigliano del 1951 quando Filiano non era ancora amministrativamente autonomo. Dal 1961 al 1963 la popolazione dai 14 ai 35 anni passa dal 35,0% al 35,1% del totale; non si notano quindi differenze sensibili. Nel decennio 1951-1961, invece, la popolazione dai 14 ai 35 anni era discesa dal 40,2% nel 1951 al 35,0% nel 1961.

Composizione per attività economiche

Secondo dati rilevati presso l’amministrazione comunale e riferiti alla popolazione attiva oltre i 14 anni nel comune di Avigliano (4.458 unità), il 48,5% degli abitanti attivi sarebbe addetto all’agricoltura (2.162 unità),

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il 33,4% alle attività secondarie (1.488 unità) e il 18,1% ai servizi (808 unità). La maggior parte della popolazione attiva è dunque dedita ad atti­ vità extragricole. Pur considerando che parte degli addetti all’ industria sono in realtà « figure miste », cioè contadini che continuando a lavorare la terra sono saltuariamente occupati in attività industriali (ad esempio nell’ edilizia), non c ’è dubbio che l’occupazione in settori diversi da quello agricolo tradizionale ha trovato in questi ultimi anni, anche al di fuori dell’emigrazione permanente, notevoli possibilità di espansione nel comune e soprattutto nella vicina Potenza.

Se consideriamo infatti gli anni 1951-1961 per i quali abbiamo dati omogenei e confrontabili, la struttura dell’occupazione presenta le seguenti variazioni (per il comune di Avigliano compreso anche il territorio di Filiano) :

occupati in agricoltura:

1951- 5.617 (78,0% sulla popolazione attiva) 1961; 4.137 (58,9% sulla popolazione attiva) differenza — 1.480

__ occupati nelle attività industriali e nell’artigianato :

1951: 978 (13,6% sulla popolazione attiva) 1961; 1.968 (28,0% sulla popolazione attiva) differenza + 990

occupati in altre attività:

1951: 601 ( 8,4% sulla popolazione attiva) 1961; 919 (13,1% sulla popolazione attiva) differenza + 318

Se si raffronta la distribuzione della popolazione attiva di Avigliano con i dati provinciali e nazionali si ha nel 1961 il quadro seguente:

Avigliano 'provincia Italia

% % % agricoltura industria altre attività 47,7 35.1 17.2 58.6 26.6 15,8 29,0 40,4 30,6 100,0 100,0 100,0

Da questo confronto appare come Avigliano abbia una struttura profes­ sionale assai più « evoluta » della provincia, caratterizzata ancora, nel suo complesso, da una occupazione prevalentemente agricola.

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Molto interessante risulta un’analisi della popolazione attiva (oltre i 14 anni) distinta, oltre che per attività economiche, in uomini giovani e anziani, e donne:

uomini

14-45 anni oltre 45 anniuomini donne totale

agricoltura 532 (27 %) 1.215 (81 %) 415 (42 %) 2.162 industria 1.046 (53 %) 76 ( 5 %) 368 (37 %) 1.490 altre attività 395 (20 %) 209 (14 %) 204 (21 %) 808 1.973 (100,0) 1.500 (100,0) 978 (100,0) 4.460 Da questa tabella si può dedurre:

— che l ’agricoltura è per tre quarti affidata alle donne e agli uomini anziani ;

— che gli uomini giovani sono per tre quarti occupati nell’ industria e nei servizi ;

— che le attività terziarie sono esplicate per una buona metà da uomini giovani.

Se poi vogliamo distinguere ancora la popolazione attiva per tipo di inse­ diamento, i dati disponibili per il 1963 dicono che :

— gli occupati in agricoltura risiedono per l’86,4% nella zona rurale, e soltanto per il 13,6% nel capoluogo (che pertanto non è una « città con­ tadina » come tante del Meridione, ma un centro a carattere urbano) ;

— gli occupati nell’industria risiedono invece sia nel capoluogo che nella zona rurale (51,5% e 48,5 % ); e ciò perché la maggior parte dei posti di lavoro sono fuori del comune, e gli occupati nell’ industria, in gran parte, « pendolari » ;

—• che le attività terziarie sono accentrate quasi tutte nel capoluogo (72,9% dei relativi addetti vi risiede).

Il capoluogo è infatti provvisto di tutti i servizi, mentre la campagna, i casali, ne sono per buona parte privi.

Livelli di istruzione

Secondo i dati del censimento del 1961, il livello di istruzione della popola­ zione aviglianese era il seguente:

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La situazione aviglianese, nettamente peggiore della media italiana, è tuttavia notevolmente migliorata nel decennio 1951-1961:

La comparazione è approssimativa, perché nel 1951, come è noto, il comune di Avigliano comprendeva il territorio di Filiano, la cui situa­ zione è sempre stata nettamente peggiore della media comunale.

Dal 1961 ad oggi il livello di istruzione è certamente aumentato, special- mente per quanto riguarda i possessori di licenza media inferiore. Si cal­ cola infatti che nel biennio 1961-63 abbiano conseguito questo titolo di studio circa 150 ragazzi, da aggiungersi ai 510 possessori di tale titolo censiti nel 1961.

Movimento naturale e migratorio

La popolazione residente di A vigliano è passata da 10.785^ unità nel 1951 a 11.307 nel 1961, con un incremento assoluto di 522 unità.

Nel biennio 1961-1963 la tendenza si inverte e la popolazione diminuisce di 69 unità, comprendendo così, nel 1963, 11.238 persone. Mantenendosi a livelli pressoché costanti i tassi di incremento naturale, come si vedrà più avanti, la diminuzione della popolazione è essenzialmente da attri­ buirsi al flusso emigratorio, in aumento negli anni recenti. Il fenomeno non è nuovo per Avigliano. Già nella prima metà dell’800 infatti Avigliano aveva quasi il livello attuale di popolazione (13.352 nel censimento del 1843, compreso l’attuale comune di Filiano). Il ritmo d’accrescimento della popo­ lazione determinato soprattutto dall’alta natalità rallenta o subisce degli arresti nei periodi di forte emigrazione: dapprima nel periodo compreso tra l’unità d’Italia e la guerra mondiale in conseguenza dell’emigrazione verso le Americhe, poi tra il 1921 e il 1936, per la continua e costante emigrazione verso i comuni limitrofi alla ricerca di terre da coltivare. Nel 1962, per la prima volta nel dopoguerra (se non ci si riferisce, come sembra corretto, alla revisione amministrativa del 1951 e al passaggio al nuovo comune di Filiano di 3.743 abitanti), la popolazione di Avigliano diminuisce. Pur in presenza, come si è accennato, di un incremento natu­ rale relativamente alto.

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Dalla data del 1° gennaio 1952, quando il comune di Avigliano viene ridotto alle attuali dimensioni, fino al 31 dicembre 1963, l’anagrafe comu­ nale ha registrato 3,440 nascite e 1.363 decessi. Il tasso di natalità è stato del 27,0 per mille nel sessennio 1952-57 e del 24,7 nel successivo sessennio 1958-63. La mortalità è stata rispettivamente dell’11,9 e dell’8,5 per mille. Nonostante la diminuzione del tasso di natalità nel periodo considerato, il tasso d’incremento naturale è salito:

natalità mortalità incremento naturale

1952-57 27,0 11,9 15,1

1958-63 24,7 8,5 16,2

Se vogliamo ora fare un paragone con i tassi dell’intera provincia, e dell’Italia, abbiamo:

natalità mortalità incremento naturale

Avigliano (1958-63) 24,7 8,5 16,2

provincia (1961) 22,7 7,9 14,8

Italia (1961) 18,4 9,3 9,1

La maggiore natalità di Avigliano rispetto alla media provinciale denota forse che, in questo comune, gli appartenenti alle classi giovani e profiliche hanno abbandonato il paese in misura minore rispetto a quanto è avve­ nuto in altri comuni della provincia dove l’emigrazione è più forte.

Nel periodo 1962-63 la popolazione legale di Avigliano sarebbe aumentata di 2.077 unità, se non si fosse verificata, nel frattempo, una eccedenza delle emigrazioni sulle immigrazioni. Infatti, nel periodo 1953-63, l’anagrafe comunale ha registrato 2.044 iscrizioni di persone stabilitesi in Avigliano, e 3.702 cancellazioni di persone che hanno trasferito altrove la loro resi­ denza. Il saldo è di — 1.658. In particolare, il saldo medio annuo che era di — 124 nel decennio 1952-61, sale a — 211 nel biennio successivo.

Com’è noto, il movimento delle iscrizioni e cancellazioni anagrafiche non rispecchia l’ eifettivo movimento migratorio. Chi lascia il paese per lavoro, anche se accompagnato dalla famiglia, spesso tarda anche parecchi anni a trasferire la residenza anagrafica; e lo stesso dicasi per gli immigrati.

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della Repubblica) risultano essere 492, Gli occupati fuori comune secondo l’ufficio di collocamento sono, nel 1963, 490 (ed erano 289 nel 1961 e 441 nel 1962).

I due dati non sono tra loro confrontabili, comprendendo l’elenco del­ l’ufficio elettorale anche gli emigrati in condizione non professionale (esclu­ si invece ovviamente dal computo delle forze di lavoro fuori comune del­ l’ufficio di collocamento) e non considerando invece i minori di 21 anni anche se attivi. Si può tuttavia ritenere, riferendoci a rilevazioni dirette compiute nel 1963, che rispetto alla situazione, anche la più alta cifra del­ l’ufficio di collocamento è approssimata per difetto, dal momento che i soli « pendolari » occupati a Potenza sono circa 450. Secondo stime atten­ dibili — si veda per questo il capitolo dedicato all’esame delle attività eco­ nomiche extragrieole ■—- più di 1.000 « attivi » risultano occupati fuori comune: cioè il 22,4% della popolazione attiva residente.

I dati dell’ufficio di collocamento possono essere attentamente considerati per avere più precise indicazioni circa le provenienze e le destinazioni delle forze di lavoro occupate fuori comune. Il 38,58% di queste forze di lavoro, e cioè 189 persone, provengono dal centro capoluogo e il 61,42%, cioè 301, dalla campagna. Le destinazioni sono le seguenti:

__ provenienti dal centro capoinogo :

Potenza e provincia 125 (66,0%) Italia settentrionale 35 (18,5%)

Italia centrale 4 (2,1%)

estero 25 (13,4%)

totale 189 (100,0)

provenienti dalla campagna:

Potenza e provincia 166 (55,3%) Italia settentrionale 116 (38,3%)

Italia centrale 5 (1,7%)

estero 14 (9,6%)

totale 301 (100,0)

provenienti dui comune di Avigliano in complesso:

Potenza e provincia 291 (59,4%) Italia settentrionale 151 (30,8%)

Italia centrale 9 (1,9%)

estero 39 (7,9%)

(26)

Gli indirizzi prevalenti dell’emigrazione aviglianese stagionale e giorna­ liera risultano essere tre:

1) verso il capoluogo o altri comuni della provincia. — Si tratta di spostamenti, quasi sempre giornalieri. I « pendolari » provengono dal cen­ tro capoluogo e dalle frazioni situate nei pressi delle strade statali e della stazione della linea ferroviaria Foggia-Potenza. Si calcola come si è detto che più di 400 aviglianesi raggiungano ogni giorno in treno o in corriera Potenza. Essi si possono dividere in due categorie, quella dei manovali edili e quella degli addetti ad attività terziarie. Fra questi ultimi sono alcuni professionisti ed impiegati, e molte donne: insegnanti, infermiere, operaie. I manovali dell’edilizia sono in generale contadini che cercano di integrare i loro modesti redditi agricoli con attività extragricole sta­ gionali. Essi trovano occupazione a Potenza, o in qualche altra località della provincia, per un numero di giornate lavorative annue che oscilla fra un minimo di 50 e un massimo di 200. Negli altri giorni, così come anche nelle prime ore del mattino e nelle ultime della sera, molti di essi continuano a dedicarsi al lavoro agricolo, che, in loro assenza, rimane affidato alle donne;

2) verso l’Italia centrale e settentrionale ( con preferenza per il P ie­ monte, la Lombardia, la Liguria e la Toscana). •—• Si tratta per lo più di giovani fra i 16 e i 35 anni. Tra di essi troviamo alcuni operai qualificati, diplomati presso il locale Istituto professionale di Stato per ITndustria e rArtigianato. Molti non sono coniugati; quasi tutti hanno completato gli studi di base. In genere cominciano a lavorare come manovali nell’ edilizia e nell’industria e spesso in seguito riescono a conquistare una migliore qualifica professionale. Oltre ad Avigliano e a Lagopesole, contribuiscono a questa emigrazione i casali che sono dislocati più lontano dalle strade e dalle ferrovie.

Per questa categoria di emigranti, il distacco dal paese non ha ancora assunto carattere definitivo; ritornano ogni anno nel periodo novembre- dicembre per poi ripartire in primavera, e spesso rientrano in famiglia ancora una volta nell’anno. Sono quindi forze recuperabili per un impiego in loco, qualora fosse disponibile. Bisogna notare però che col passare degli anni si attenuano le ragioni che all’ inizio frenano il distacco definitivo dal luogo di origine. Tra i nominativi cancellati dal registro anagrafico, sol­ tanto negli anni dopo il 1960, risultano i componenti di circa 150 nuclei familiari (dei quali 80 della zona rurale) che si sono trasferiti nel nord per raggiungere i capi-famiglia;

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(28)

In alto, una veduta della lunga vallata che conduce a S. Cataldo, frazione del comune di Bella.

In basso, Castel Lagopesole: è in parte costituito dalla casa di caccia edificata da Federico I I sulle fondamenta di una antica rocca longobarda.

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(30)

Una nobile tradizione artigianale, tuttora visibile anche nei numerosi dettagli archi- tettonici, ha caratterizzato Avigliano nei secoli scorsi. La ripresa dell'artigianato promossa dal Progetto ripropone quelle antiche form e, curandone le possibilità di assorbimento da parte di un pubblico moderno.

(31)

In alto, un bastaio e la lavorazione di una

« naca » per il mercato

americano; in basso, due artigiani intaglia­ tori.

(32)

L'attività di assistenza tecnica del P ro­ getto si svolge sui luoghi di lavoro. In alto, l'esperto del settore extragricolo segue la lavorazione di una bottega arti­ giana.

(33)

3) verso l’estero. — Secondo i dati dell’ufficio elettorale del comune, all’ epoca delle ultime elezioni risultavano all’estero 134 elettori aviglianesi, e precisamente:

I lavoratori aviglianesi che vanno all’estero sono quasi tutti ammogliati con figli, generalmente sforniti di qualificazione professionale, e spesso non hanno completato — o forse nemmeno iniziato — gli studi di base. Sono occupati in lavori di manovalanza, e provengono in genere dalle fra­ zioni più povere e più lontane dalle linee di comunicazione. Pochissimi finora hanno chiamato con sé le famiglie, e i più pensano di ritornare dopo alcuni anni di sacrificio e di lavoro.

E ’ opportuno far cenno in questa sede ad un primo esperimento di migra­ zione guidata di interi nuclei familiari, effettuata a partire dal 1953 dal­ l’Ente Riforma. In quegli anni, con una appassionata opera di persuasione che richiese l’impegno di un buon numero di tecnici dell’Ente, per superare resistenze che sembravano incrollabili, fu possibile trasferire dalla zona aviglianese al Metapontino circa sessanta nuclei familiari ai quali vennero assegnati poderi e case coloniche. Di essi, quattordici non riuscirono a supe­ rare la crisi di ambientamento. Gli altri si sono ben adattati ed hanno in breve tempo superato ogni difficoltà e ritrovato così, su una terra non più ingrata, il valore e il senso, allora quasi perduti, del loro stesso lavoro. A giudizio di alcuni tecnici dell’Ente Riforma del Metapontino, queste fami­ glie aviglianesi svolgono oggi un ruolo di guida nei confronti degli altri

slssegn t* i

Eccezion fatta per il caso sopra citato, è praticamente assente ogni guida e assistenza all’emigrazione, e non vengono prese iniziative volte alla preparazione degli emigranti. In generale, chi si è mosso per primo chiama poi parenti e amici. Il flusso migratorio si attua attraverso una serie di canali che tendono, tra l’altro, a ricostituire piccole comunità aviglianesi nelle nuove zone di residenza. L ’origine di questo fenomeno ovviamente sta nel fatto che chi si trova già sul posto costituisce il primo e più impor­ tante appoggio per nuovi immigrati (7).

(34)

Com’è facile immaginare, le ragioni prime dell’ emigrazione — ci rife ­ riamo naturalmente alla situazione al 1963, prima che la sfavorevole con­ giuntura influisse in termini non ancor accertati sul movimento migra­ torio — sono di carattere economico: l’esiguità dei redditi, specialmente nell’agricoltura, spinge soprattutto i giovani a cercare condizioni migliori. D’altro canto, al fatto che gli aviglianesi sono abituati all’ emigTazione da vecchia data, si aggiungono la m aggior facilità delle comunicazioni, e più ampie possibilità di trovare all’estero e nelle zone italiane più sviluppate lavori stabili e ben remunerati.

Alle ragioni puramente economiche si aggiungono quelle socio-culturali : i giovani, specialmente, capiscono che oggi hanno la possibilità di una scelta e sempre più spesso imboccano strade diverse da quelle tradizionali. Molti contadini desiderano di uscire da quello che essi stessi considerano l’ultimo gradino della scala sociale. Bisogna poi anche considerare lo sco­ raggiamento di fronte alla sproporzione fra fatica, rischio e risultati eco­ nomici dell’attività agricola; l’inadeguatezza delle prestazioni assistenziali, il maggior « rispetto » che sanno di poter godere nel nord ; la possibilità di poter usufruire di una maggior copia e varietà di servizi; e infine la profonda e radicata sfiducia nella possibilità di conseguire un sostanziale miglioramento della propria situazione nel paese d’origine.

Molti di questi motivi valgono anche per ohi non proviene dall’agricol­ tura : manovali che possono lavorare con sicurezza solo per una parte dell’anno, operai qualificati che in Avigliano o a Potenza non riescono a trovare impieghi adeguati alle proprie capacità ; artigiani che vedono diminuire progressivamente il loro mercato tradizionale. E chiaro che tutti questi motivi sono sempre più sentiti e che, specialmente tra i giovani, la tendenza all’emigrazione è in aumento.

E ’ opportuno però a questo punto esaminare brevemente anche le ragioni che limitano il fenomeno migratorio, riducendolo, per la maggior parte degli interessati, soltanto a trasferimenti giornalieri e stagionali.

Gli emigrati temporanei e i « pendolari » sono in genere proprietari di piccoli appezzamenti di terra, posseduti da tempo, ma legalmente e definitivamente loro assegnati solo da pochi anni. Bisogna quindi pensare che, dopo aver desiderato per buona parte della loro vita il raggiungimento di tale traguardo, non possano ora facilmente accettare l’idea di abbandonare la loro terra.

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periodo il sussidio di disoccupazione; tutto questo senza abbandonare la loro proprietà, raggiungendo così un equilibrio certo non ottimo, ma per alcuni a livello della loro capacità e, a volte, delle loro aspirazioni.

Prima di concludere queste note suH’emigrazione aviglianese, bisognerebbe poter trattare brevemente dei rimpatri ed anche offrire alcuni dati orien­ tativi delle rimesse visibili ed invisibili inviate degli emigrati, insieme alla indicazione della prevalente destinazione del risparmio.

Sul primo tema c’è da dire che in media circa i due terzi del numero totale degli immigrati nel comune in questi ultimi anni sono costituiti dai nuclei familiari di Aviglianesi che ritornano.

Si tratta però quasi sempre di contadini, provenienti da comuni finitimi, nei quali si erano trasferiti provvisoriamente per curare forse un nuovo pezzo di terra, acquisito per eredità o per matrimonio, oppure di pensio­ nati che dopo aver lavorato fuori comune per anni, in organismi statali o privati, rientrano in paese al termine della loro vita di lavoro.

Affrontare oggi un discorso sui rimpatri e sui motivi che potrebbero averli determinati è quasi impossibile, se si tiene conto che l’emigrazione aviglianese rivolta verso il capoluogo di provincia è ancora prevalente­ mente giornaliera, e che quella rivolta verso il nord d’Italia e verso l’estero è ancora prevalentemente stagionale. Solo in questi ultimi anni, dal 1961 ad oggi, si è verificato un aumento di trasferimenti definitivi al nord di interi nuclei fam iliari; e tra questi, tranne rare eccezioni, non vi sono stati rimpatri.

Il tema delle rimesse è considerato da tutti molto delicato, e per questo non si sono potute ottenere altro che indiscrezioni approssimative. Le rimesse, nonostante la presenza di due banche in Avigliano, vengono versate per la quasi totalità presso l’ufficio postale della cittadina e convertite molto più in buoni fruttiferi postali che in depositi su libretti di ri­

sparmio (8). . . . . .

Nei quattro uffici postali della zona rurale vengono depositati circa 170 milioni l’anno. V i concorrono però anche frazioni ricadenti all esterno del comune di Avigliano (S. Giorgio, Lolla, Cappellaccia, m comune di Pietragalla; Macchia Caprara, Chiancah, S. Nicola, in comune di

Nel centro i depositi si aggirano sui 400 milioni, bisogna pero di nuovo tener conto del fatto che ad Avigliano confluiscono anche alcune frazioni del comune di Ruoti e di Bella, oltre a parte della zona rurale al di qua

Monte Carmine o con maggiori comodità di trasporto (per esempio Cane-strelle) (9).

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In genere depositi forti vengono anche dalle frazioni più povere, dove gli abitanti vivono ancora in estrema povertà e soddisfano soltanto i bisogni primari. Costoro preferiscono, forse perché toccati da antiche prove e disillusioni, depositare il denaro alla posta, allo stesso modo in cui conservano, per paura di nuove ed ormai impossibili carestie, il grano nella madia.

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