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CAPITOLO 6 Dido y Eneas

6.3 Dido y Eneas: il riassunto

6.3.1 Jornada primera

La prima scena della tragedia si apre con Hiarbas che accoglie Dido, appena approdata sulle coste africane. Didone si presenta come Elisa Dido e, interrotta solo da alcuni commenti e da alcune parole di conforto del re mauritano, racconta come è arrivata fino lì: sorella infelice del re di Tiro, del quale evita di fare il nome, e sposa di Siqueo, sacerdote di Ercole, rivela che un giorno molti videro entrare il suo amato sposo al tempio, ma nessuno lo vide uscire, tanto che tutti, compresa Dido, persero la speranza di rivederlo. Una notte le appare in sogno l’ombra del marito morto a riferirle la verità sulla sua scomparsa, non prima di averle intimato di fuggire: è stato il fratello di Dido, Pigmaleón ad ucciderlo per la bramosia dei suoi tesori. Infine l’ombra di Siqueo svanisce.

Poi Dido racconta brevemente che, seguendo i consigli del marito, dopo aver radunato un folto gruppo di cittadini a lei fedeli, è salpata da Tiro, per approdare a Cartagine al cospetto di Hiarbas e chiedere il suo aiuto.

Il re mauritano, senza farsi pregare, invita Dido a far sbarcare tutta la sua gente, offrendole l’opportunità di restare e stabilirsi sulle terre africane, e assicurando che le avrebbe concesso addirittura delle città. Ma la futura regina cartaginese risponde così:

129 Valor me añades.

Mas porque el mundo mi valor entienda, desiertos campos pido y no ciudades; pues para enriquecerlos traigo hacienda, y gente traigo que podrá, al poblallos,

el nombre merecer de tus vasallos. (Jornada primera, p. 167) La scena si chiude con Hiarbas che apprezza e rispetta la richiesta di Dido.

Con la seconda scena l’ambientazione cambia completamente: siamo a Troia, nella notte dell’attacco greco iniziato con l’introduzione dell’ingannevole cavallo di legno. È Eneas che con poche parole ci inserisce in questo scenario disastroso:

¡Ah,Troya desdichada, del cauteloso griego

nunca vencida, pero ya engañada! ¡Bien Casandra decía!

¡Oh maldito Sinón; ah, Troya mía! (Jornada segunda, p. 168) Entra in scena Acates, che informa Eneas della gravità della situazione: la città è in balìa dei soldati greci («que el gran Caballo Griego pare gigantes y vomita fuego»); dalle mura che sono state abbattute per far entrare il cavallo arrivano soldati nemici in continuazione; Acates ha visto Pirro con la testa del re Priamo in mano, Ecuba sgozzata, così come sono tantissimi i morti in tutta la città.

Enea dopo aver visto Corebo cercare di difendere Casandra, decide di incitare i Troiani che sono con lui a combattere fino alla morte.

Nella scena successiva Acate cerca di convincere Enea che combattere non serve a niente e che sarebbe più sensato cercare di proteggere la sua famiglia. Ed ecco che entrano in scena Anquises, Ascanio e Creusa. Così comincia la fuga da Troia, con la celebre immagine di Eneas con il padre sulle spalle e la moglie ed il figlio dietro che lo seguono. Ma presto Eneas si rende conto di aver perso Creusa, e allora ordina ad Anchise ed Ascanio di proseguire fino al tempio di Cerere e di aspettarlo lì, mentre lui torna indietro a cercare la moglie.

Tra i lamenti di Eneas appare Creusa con la faccia sanguinante, che rivela al marito di essere solo la «funesta sombra» della sua amata. La donna invita Eneas a seguire il suo destino, che è quello di arrivare nel regno latino, del quale

130 diventerà re dopo che i latini stessi gli avranno dato una nuova sposa. Infine raccomanda a colui che fu suo marito di prendersi cura di Ascanio e, tra la disperazione di Enea, svanisce.

Nella scena seguente si cambia nuovamente scenario: Hiarbas contempla la bellezza di Dido in un ritratto che la raffigura, mentre un consigliere lo informa di come la regina sta costruendo la sua città, Cartagine. Hiarbas, interrotto il consigliere, comunica la sua decisione di chiedere Dido in matrimonio, mentre arriva un capitano ad avvisare il re che alcuni stranieri stanno arrivando nelle loro terre.

Sono proprio i Troiani che approdano sulle terre africane e si chiedono dove siano. Enea e Acate vanno a caccia, e a loro appare Venus nelle vesti di una cacciatrice. La dea spiega ai Troiani che si trovano sulle coste dell’Africa, il cui signore è Hiarbas, re valoroso temuto anche in Asia ed Europa. Ma nella parte occidentale, non lontano da lì, sorge una nuova città, le cui opere di costruzione sono ancora in corso. Così inizia il racconto di Venus sulla storia di Dido. Eneas si presenta e racconta le disavventure che lo hanno portato fino lì, in particolare la tempesta che gli ha fatto perdere tredici delle venti navi con cui era partito. La dea rincuora Eneas, facendogli notare che dodici delle tredici navi che lui pensava perdute stanno raggiungendo le coste africane. Inoltre gli rivela in linea generale il suo destino: l’Italia, una nuova sposa, la fortuna ed il valore dei suoi discendenti, che daranno vita alla «cabeza del mundo», ovvero alla città di Roma. Ed è qui che Eneas capisce che sta parlando con la madre Venere, ma lei prontamente svanisce. Si ritorna a Cartagine, dove Dido viene informata dell’arrivo delle venti navi troiane e che il suo generale sta già armando un esercito per fronteggiare il nemico. È il momento delle udienze: da una porta entrano un ambasciatore di Hiarbas ed un consigliere, dall’altra Eneas ed Acates. I due Troiani sono stupiti dalla bellezza della struttura del palazzo, ma soprattutto da quella della regina. L’ambasciatore mauritano riferisce a Dido la proposta matrimoniale di Hiarbas, alla quale la regina risponde così:

De ofendida estoy turbada Aparte. mas acuerdo es menester,

131 que el dudar al responder

hace la respuesta honrada. (Jornada primera, p. 177)

Interviene Anteo, che invoca una pacifica accoglienza, racconta la caduta di Troia e il loro arrivo casuale sulle coste libiche. Dopo aver rassicurato Anteo, Dido gli chiede perché non sia il loro re a parlare con lei. La risposta del troiano è che, secondo lui, Eneas è morto durante la tempesta199.

A questo punto interviene Eneas, che si presenta e chiede ospitalità alla regina, la quale acconsente offrendogli la miglior accoglienza possibile.

L’ambasciatore africano ricorda a Dido che sta aspettando la risposta alla richiesta del suo re. Intanto sopraggiunge Celio, che si rivolge alla regina invocando la pena capitale per la sorella Celeusia, rea di frequentare un uomo ad un anno di distanza dalla morte del marito. Entra in scena Celusia che ammette l’adulterio, ma che chiede giustizia per l’omicidio commesso dal fratello ai danni dell’uomo che lei stava frequentando. Dido in nome della fedeltà e del rispetto verso il proprio marito anche se morto, condanna la donna al rogo. Segue la maledizione di Celusia, ovvero che la regina venga colpita dalla sua stessa sventura, alla quale Dido risponde così:

Tapadle la boca, y venga por mí su mismo castigo,

si caigo en la misma afrenta. (Jornada primera, p. 179)

Questo episodio chiude la jornada primera, e dà l’occasione a Dido di giustificare il suo rifiuto alla proposta di Hiarbas.

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