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Kant e il metodo trascendentale

Nel documento Gilles Deleuze storico della filosofia (pagine 30-48)

La conoscenza delle cose, quando è del tipo che chiamiamo conoscenza diretta, è per sua natura più semplice di qualsiasi conoscenza di verità

Bertrand Russell

Il percorso deleuziano ha posto, con Hume, non solo un plesso di categorie problematiche, ma ha altresì aperto a controversie decisive per la strutturazione ontologica ed epistemologica di un nuovo pensiero, sia riconducibile all'alveo della riflessione sul fondamento e sui fondamenti, sia concernente la dimensione produttiva, creativa, laboratoriale, in fieri del fare filosofia; aggiungeremmo anche, in chiave estetica, un originale modus estetico, uno stile di pensiero attento a superfici e profondità, capace di fare i conti con la classicità filosofica e di leggere le emergenze della contemporaneità politica ed etica. Passaggio obbligato, pertanto, e per le questioni messe in gioco e per la nozione di critica, sarà quello che attraversa Kant e la sua elaborazione concettuale. Deleuze si è già affacciato con Empirismo e soggettività ad alcuni punti nodali della speculazione che Kant porterà alla ribalta teoretica, ma con l'opera La filosofia critica di Kant1 perviene ad un

confronto serrato con il filosofo tedesco, segnando la strada per un pensiero della differenza. La complessità del polo noetico inerente il trascendentale appare a Deleuze un perno di svolta sul quale far leva per attuare teoreticamente e praticamente quel rovesciamento radicale rispetto alla modernità della tradizione filosofica. Del resto, già per Kant nel 1781 con la Critica della ragion pura a porglisi dinanzi erano due istanze strutturanti: il passaggio dal “cosa” al “come” della conoscenza e, in secondo luogo, il ruolo del soggetto nel rapporto con il mondo esterno. Sulla medesima scia si innesta la riflessione deleuziana, emersione fulcro per dare uno statuto che, pur non essendo Deleuze un sistematico tout court, fa della sua ricerca allo stesso tempo un'ansia filosofica di decostruzione della tradizione e una concreta esigenza di posizionare concetti chiave per un fondamento mobile, in fieri costante. Sotto questo aspetto, Kant incarna l'autore la cui opera

1 In merito al confronto con Kant, cfr. G. Deleuze, La filosofia critica di Kant, tr. it. di M. Cavazza-A. Moscati, Cronopio, Napoli 2009; Id., L'idea di genesi nell'estetica di Kant, in L'isola deserta e altri scritti, Testi e interviste 1953-1974, cit., pp. 67-87; Id., Fuori dai cardini del tempo. Lezioni su Kant, Mimesis, Milano 2004. Tra gli studi riferiti esplicitamente al rapporto di Deleuze col kantismo cfr.: F. Zourabichvili, Deleuze. Una filosofia dell'evento, tr. it. di F. Agostini, Ombre Corte, Verona 2002; D. Cantone, Cinema, tempo e soggetto. Deleuze e il sublime kantiano, Mimesis, Milano 2009; J. Vignola-P. Vignola, Sulla

propria pelle. La questione trascendentale tra Kant e Deleuze, Aracne, Roma 2012; S. Palazzo, Trascendentale e temporalità. Gilles Deleuze e l'eredità kantiana, ETS, Pisa 2013; C. Negri, Homo tantum. L'istanza trascendentale nel pensiero di Gilles Deleuze,

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intesse un'elaborazione critica decretante uno spostamento di orientamento a livello epistemologico, torsione che fa del porre i problemi filosofici un modo di riflessione, non più soltanto teso all'oggettività, ma anche a come essa sia possibile.

Prima di aprire la “questione trascendentale”, Deleuze riconnette le fila di ciò che per Kant segna il punto di separazione rispetto al pensiero precedente: cosa ne è della ragione? La riflessione kantiana si carica subito di un intrinseco problematicismo che porta la stessa ad imputare alla ragione di rendersi manifesta a se stessa; il nocciolo della rivoluzione copernicana ha qui il suo avvio e Deleuze ne raccoglie, attualizzandole, le controversie teoretiche più stringenti; infatti parla di una «critica immanente, la ragione come giudice della ragione, questo è il principio essenziale del metodo cosiddetto trascendentale»2. Si ponga attenzione all'aggettivazione di

“immanente”, poiché essa restituisce, conoscendo a posteriori l'opera deleuziana, l'interesse precipuo per il piano dell'orizzontalità, sul quale Deleuze fonderà un'ontologia materialistica plurale. Kant ha saputo convergere le traiettorie fin lì assiomatiche in merito alla posizione metafisica del soggetto e della ragione verso una precarizzazione della loro centralità. In altri termini, si innesta hic

et nunc la crisi stessa, ovvero quel dubbio che non trova, cartesianamente, legittimità trascendente,

ma, una volta affermato lascia crepe nell'edificio filosofico sin lì dominante. In Hume la ragione veniva sgretolata nella sua inviolabilità epistemologica e ontologica, ricondotta ad un “poi” che ne detronizzava il portato mostrandone tuttavia una produttività gnoseologica decisamente differente. Deleuze ammette che il radicalismo di Hume non è accostabile al più cauto criticismo kantiano, anche se quest'ultimo svela che la ragione stessa non è costituita per lo più da solidità talmente definitive da essere extra-temporali, anzi cala la sua azione all'interno delle forme spazio-temporali (si pensi alle forme a priori della sensibilità)3. Come Deleuze stesso ammette «[...] tra il

razionalismo e l'empirismo, c'è meno differenza di quanto si potrebbe credere» (FC, p. 13); Hume e Kant vicini nel demolire, con strumenti diversi, lo statuto assoluto della soggettività, pur se le due vie che percorrono sembrano divergenti. Il soggetto frantumato e posteriorizzato (se così si può dire) da Hume determina l'artificialità e l'invenzione che ne stanno alla base, mentre per Kant l'Io soggettivo non può essere accettato tout court, perché ad attenderlo vi è il severo vaglio della ragione stessa, della medesima facoltà, in definitiva, che lo aveva nobilitato. Ora, la soggettività è costretta ad attraversare la prospettiva critica per poter, in seguito, precisarsi come forma di conoscenza legislatrice. Questo è l'obiettivo di Deleuze tra il 1953 e il 1963, dieci anni cadenzati dal binomio Hume-Kant. Il nostro intento è quello di comprendere che tipo di legislatore sia il soggetto kantiano entro l'orizzonte deleuziano, dal momento che non è più assoluto in quanto ha passato il setaccio criticista.

Dal quadro della “filosofia critica” Deleuze intercetta il nodo iniziale entro il quale si delinea il processo di conoscenza nella dottrina delle facoltà, imperniata sulla categoria di

rappresentazione. Se in Hume era la fluidità, il divenire delle cose a scorrere nella mente

(impersonale), con Kant va intesa primariamente una distinzione: presentificare-rappresentare. La fenomenicità rimanda al suo significato letterale, ovvero “apparire”, “manifestarsi”, ϕαινόμενον; in lessico kantiano è l'oggetto che si dà, si presenta all'intuizione pura della sensibilità (andamento caotico). Soltanto successivamente si rappresenta e Deleuze pone in rilievo il prefisso di ripetizione, in francese “re-présentation”; da qui in poi avviene il passaggio alla conoscenza (le categorie come strumenti dell'intelletto): «È il ri-presentare stesso che si definisce come conoscenza, vale a dire come la sintesi di ciò che si presenta» (ivi, p. 23). Il prefisso di ripetizione è ben più che una precisazione terminologica poiché inferisce al soggetto stesso, decaduto dal dominio

2 G. Deleuze, La filosofia critica di Kant, cit., p. 14 (d'ora in poi FC).

3 Cfr. I. Kant, Critica della ragion pura, a cura di P. Chiodi, Utet, Torino 2005. In particolare cfr. Parte prima. Estetica

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(che sarà anche idealista e Deleuze non si sottrae alla sua critica), costretto a marginalizzarsi all'interno della stessa dinamica conoscitiva ma di nuovo produttivo dentro la temporalità; Cantone, cogliendo lo spostamento oppositivo rispetto al fondazionismo classico da parte di Deleuze, afferma che: «La radicalizzazione di Kant consiste proprio nel togliere al soggetto il primato, il ruolo legislatore: la scoperta di una spaccatura interna all'io fa sì che non sia più il tempo a essere il nostro senso interno, ma che siamo noi a essere interni al tempo»4. Entriamo,

pertanto, nel problema della temporalità, plesso dirimente nell'articolazione filosofica kantiana. Nessun oggetto conoscibile può sottrarsi alle forme a priori di tempo e spazio, la consequenzialità cronologica e la disposizione territoriale esprimono, nella loro complementarità, il campo imprescindibile di azione gnoseologica; affiora il tema della “condizione” circa il quale verteranno i tratti salienti del Kant deleuziano. Due fattori fondativi per l'esperienza ma che non appartengono ad essa, fungono da antecedenti di senso che, qualora tolti, darebbero luogo ad un'impossibilità radicale che coinciderebbe con l'assenza di intelligibilità; l'avvento del trascendentale sortisce già dalle pagine della sezione kantiana dell'Estetica trascendentale poiché l'urgenza di Kant e della modernità è, indubbiamente, l'aggiogare stabile del soggetto e della sua esperienza ad un sostrato inconfutabile (anche se non più formalistico come l'esito del Cogito cartesiano): «L'a priori si definisce come ciò che è indipendente dall'esperienza, proprio perché l'esperienza non ci “dà” mai niente che sia universale e necessario» (FC, p. 27). L'affermazione dell'Io, del soggetto, dell' Ich denke, risulta inscindibilmente connessa al riconoscimento degli a priori-perno; Hume non aveva dato una sistematizzazione dal momento che l'empirismo coincideva con il fluire della e nella mente, portato che posteriormente si fa scaturigine del soggetto, dell'individualità pubblica, della stessa natura umana; Kant non può ammettere che tutto si svolga ed esaurisca nell'esperienza, lo scarto è il trascendentale:

È chiaro dove avviene la rottura fra Kant e Hume. Hume aveva capito che la conoscenza implica dei principi soggettivi attraverso i quali noi andiamo oltre il dato. Ma questi principi gli sembravano soltanto dei principi della natura umana, principi psicologici d'associazione propri delle nostre rappresentazioni. Kant trasforma il problema: ciò che si presenta a noi in modo da formare una Natura deve necessariamente obbedire a principi dello stesso genere (anzi, agli stessi principi) che regolano il corso delle nostre rappresentazioni. Sono gli stessi principi che debbono rendere conto dei nostri processi soggettivi e del fatto che il dato vi si sottomette. In altri termini la soggettività dei principi non è una soggettività empirica o psicologica, ma una soggettività “trascendentale” (ivi, p. 29).

Due plessi che problematizzano la relazione strutturale della gnoseologia: prima l'esperire e nel suo medesimo territorio la formazione, attraverso associazionismo e immaginazione schematizzante, del soggetto (Hume), poi il rinvenimento di capisaldi teoretici (astratti) dai quali si legittima il processo conoscitivo (Kant). Deleuze, tra i due fuochi, assume e critica al tempo stesso entrambi e, se con Hume il fulcro si posa sulla nozione di inventio, di creatività del sé (senza storicismi da Bildung), dall'altro lato con Kant il novum è l'attraversamento ermeneutico-critico del trascendentale che, come vedremo, diverrà campo prepersonale5. Chiarificando la determinazione

temporale in Kant, giustamente Cantone separa sfera della concretezza (tipologie dello svolgimento temporale) e astrattezza (il tempo in sé): «[...] il tempo non può essere subordinato al

4 D. Cantone, Deleuze lettore di Kant. I corsi di Vincennes, in Esercizi Filosofici 1, 2006, p. 104.

5 Questa decifrazione implica una rottura rispetto all'asse ermeneutico-storiografico perché costituirà una lettura originale che, a varie riprese e in differenti opere, accompagnerà la riflessione deleuziana, fino al suo ultimo scritto

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divenire, alla successione delle cose. La successione sarà sì temporale, ma sarà uno dei modi del tempo, così come la coesistenza e la simultaneità»6. Kant rifiuta di lasciare che il divenire nel suo

scorrimento possa poi essere mutato in forme logiche, individualità di senso, soggettività compiute senza far intervenire una retroazione aprioristica consustanziale alle stesse possibilità del pensiero (discorso che vale sia per spazio-tempo in qualità di forme a priori della sensibilità, sia per le categorie in merito all'ordinamento definito dall'intelletto). Kant è lapidario: «Il tempo non è un concetto empirico, derivante da una qualche esperienza»7 e, precisando con le sue stesse parole

quanto poco fa detto sul divenire, «[...] l'estetica trascendentale non può annoverare fra i suoi dati a priori il concetto di mutamento; il tempo come tale infatti non muta, bensì muta qualcosa che è nel tempo. Per ciò si richiede la percezione di un qualche esistente e la successione delle sue determinazioni: quindi l'esperienza»8. L'approccio deleuziano si pone in una sorta di trasversalità

nei confronti della rigidità del sistema kantiano, non potendo negare l'essenza temporale dell'esperienza, tuttavia non ammettendo l'apriorismo dogmatico del filosofo di Königsberg; il rovesciamento avverrà sul terreno agonico della chiave di volta del trascendentale che, come ricorda Deleuze, viene da Kant connotato e organizzato come un principio di inaggirabilità ontologico ed epistemologico: «“Trascendentale” designa il principio in virtù del quale l'esperienza sottostà necessariamente alle nostra rappresentazioni a priori» (FC, p. 30).

Ciò che Deleuze raffigura come “soggetto” è, altresì, divenuto grazie a Kant legislatore, forgiatore e protagonista della rivoluzione copernicana, in quanto per mezzo del trascendentale che costringe gli oggetti dell'esperienza ad essere sottomessi alle proprie condizioni di conoscibilità di cui si fa garante l'Io legislatore della Natura, esso domina sugli oggetti: «L'idea fondamentale di quella che Kant chiama la sua “rivoluzione copernicana” consiste in questo: sostituire all'idea di un'armonia tra il soggetto e l'oggetto (accordo finale) il principio di una sottomissione necessaria dell'oggetto al soggetto. La scoperta essenziale è che la facoltà di conoscere è legislatrice, o, più precisamente, che vi è un che di legiferante nella facoltà di conoscere» (ivi, p. 31). Alcune considerazioni a chiarimento di questa articolata posizione. Per Deleuze la soggettività non ha in alcun modo i caratteri della fondatività, non rappresenta la scaturigine dell'intero processo di “presa” sul mondo, idee ricavate, criticate e rese contemporanee dal lavoro di Hume per il quale, come abbiamo avuto modo di vedere, si “diviene soggetti”, l'individuo è il prodotto di un flusso, declinato differentemente a seconda delle proprie passioni e delle proprie facoltà associative e immaginative di grado superiore. In Kant, Deleuze vede una doppia caratterizzazione per cui, da una parte mostra diniego filosofico per l'ansia, seppur attraversata dal criticismo e dal “tribunale della ragione”, di instaurare un fondamento logico- epistemologico, tuttavia riconosce l'importanza di Kant per aver posto lo sguardo sui caratteri e i modi del darsi della conoscenza con la nozione di trascendentale che, in seguito, Deleuze de- soggettiverà (entro la nuova condizione della coscienza come flusso prepersonale, asignificante per l'individuo) e, inoltre, per aver concepito un Io che Deleuze vedrà come un creatore del mondo, come una conoscenza capace di aprire e formare ex novo idee, strumenti del cosmo.

Il percorso kantiano intrapreso da Deleuze risulta essere molto rigoroso, a tratti espositivo, motivo scaturito dal serrato confronto con l'intelaiatura composta da Kant della quale si snodano tutti i fili atti a comporre la sua filosofia; da quell'isomorfismo antecedente alla Critica della ragion

pura si passa ad una rottura dell'ordo rerum-ordo idearum, l'oggetto è per il soggetto, ad esso

sottomesso per necessaria costituzione: «La tesi kantiana è che i fenomeni sottostanno necessariamente alle categorie, tanto che, attraverso le categorie, noi siamo i veri legislatori della

6 D. Cantone, Deleuze lettore di Kant. I corsi di Vincennes, cit., p. 105. 7 I. Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 106.

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Natura» (ivi, p. 34). La dimensione creativa, un arte concettuale vera e propria, è presente anche nel confronto con Kant, motivo per cui Deleuze semantizza una cesura centrale per la sua futura speculazione teoretica, riassumibile nella seguente domanda che trova, già lo abbiamo intuito, risposta affermativa: può essere creativa la conoscenza? O si tratta soltanto di un mero riconoscimento? Dell'oggettività, del mondo fenomenico, Kant non dubita affatto, né riguardo la relazione gnoseologica per cui gli oggetti hanno un'intrinseca causalità che il soggetto può e deve intuire e successivamente organizzare e possedere intellegibilmente; ma non si limita a questo, per Deleuze, il sistema epistemologico kantiano, altrimenti sarebbe un “prendere atto” tipico del tomismo (dove l'uomo deve registrare che l'essere del mondo è creazione divina, non avendo nessuna parte attiva alle fasi di comprensione-invenzione di esso), o di un Positivismo (dove l'ipotesi scientifica può solo, dopo evidenti confronti e prove, trovare analogie con le verità esterne), o degli aspetti verificazionisti della filosofia analitica intorno alla dottrina della verità. Insomma, si tratta di teorie che espungono la possibilità forgiante del pensiero sulla realtà. D'altro canto, il rischio è però quello di cadere in un idealismo soggettivo dove l'intera realtà è frutto della mente e in essa si sviluppa (dall'esse est percipi di Berkeley, all'idealismo di Fichte o al neoidealismo italiano). Serve un ancoraggio reale, materialistico e una virtualità che faccia del pensiero l'arma e la potenza di trasformazione, invenzione e creazione dell'universo. Deleuze delinea nel rapporto Hume-Kant questi due assi di ricerca per una nuova ontologia: potenza del pensiero e posteriorità dello stesso perché primum è la materia nella sua assoluta immanenza. Nasce l'empirismo

trascendentale.

Recenti studi hanno espresso la “differenza trascendentale” ravvisata da Deleuze in Kant nei termini della separazione tra je e moi: «Le je du cogito kantien, le “je” du “je pense”, se distingue du moi, qui n'est pas seulement une fonction de synthèse mais est quelqu'un qui pense et qui est dans le temps […] Le moi passif, c'est le moi qui apparaît dans le temps. Sitôt que le temps s'introduit dans le je pensant (actif), une différence et une corrélation se produisent entre un je actif et un moi passif et temporel»9. Quel “soggetto che si costituiva nel dato” emerso dall'empirismo

humeano accede all'inventio, alla potenza legislativa (diremmo in termini politici “istituzionale”, si veda Istinti e istituzioni), è una singolarità che prodotta dalla materia ne curva le dinamiche, ne direziona linee e ne crea altre, concatena, intreccia, “corre via”. Un'istanza di siffatte prospettive non collima con la visione di Kant, tesa maggiormente a “formalizzare” il rapporto trascendentale Io-Mondo; la ricerca delle condizioni riguardo al “darsi” degli oggetti dell'esperienza fa di essi, nel loro essere sondati come spazi vuoti, degli involucri in attesa di essere riempiti dalla realtà. Nell'immanentismo deleuziano non può trovare accoglimento un simile atteggiamento teoretico dal momento che si è “da subito” nel campo della realtà. Come osserva Godani: «Le condizioni individuate da Kant non sono altro, in fondo, che condizioni per la formazione di generalità» (DEL, p. 33); se Kant ha indubbiamente innescato un itinerario critico finalizzato a rompere con l'assiomatica metafisica dei suoi predecessori, permane “nel suo tempo” in quanto ricava dal criticismo una sintesi nuovamente fondazionista, essenzialista e, in definitiva, formalistica10. Da

9 «L'io del cogito kantiano, l'“io” dell'“io penso”, si distingue dal me, che non è solamente una funzione di sintesi ma è

qualcuno che pensa e che è nel tempo […] Il me passivo, è il me che appare nel tempo. Dal momento in cui il tempo si

introduce nell'io pensante (attivo), si producono una differenza e una correlazione tra un io attivo e un me passivo e temporale»; traduzione mia da M. Caimi, Deleuze, lecteur de Kant, in L'Art du portrait conceptuel, sous la direction d'Axel Cherniavsky et Chantal Jaquet, cit., p. 87. Sottile sfumatura, in questo caso, che un po' si perde nella traduzione italiana, in francese il moi sarebbe comunque un Io, interiore, e il je la componente logico-conoscitiva e identitaria nel senso esterno, esprimibile, visibile, non riferito subito alla vita emotiva.

10 Critica che, in una sezione della sua Dialettica negativa nel 1966, Adorno esprimerà anche in merito al plesso problematico etico, al dovere per il dovere, al formalismo connotato dalla logica massime-imperativi che tramuta la dinamica reale e concreta dell'individuo in una libertà formale, de facto illibertà concreta. Cfr. T.W. Adorno, Dialettica

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Hume come da Kant, Deleuze estrae le ipotesi decostruttive, per poi rovesciarne i termini escludenti caratterizzati dalla copula “è” in congiunzioni produttive, linee molecolari quali altrettante motrici innovative.

Sono gli anni della ricerca di una differenza, di un nuovo modo di fare filosofia, di concepire il pensiero stesso, del suo “farsi”, serrando il confronto con la tradizione filosofica senza rinunciare a criticarne le derive dogmatiche a tutti i livelli; l'architettura del pensiero scopre, con Deleuze, la futilità e la vanità puerile di coloro che pretendono di assolutizzarlo sotto varie egide (anima, Dio, trascendentale, Stato, Essere), riconducendolo in gabbie che del ruolo spodestante e liberante del pensiero non hanno niente; la dialettica hegeliana, come vedremo, riassume in sé l'emblema sintetico e paradigmatico della chiusura del pensiero, nonostante Deleuze fosse cresciuto filosoficamente con i contributi di Kojeve e Hyppolite, un classico dell'hegelismo francese, aperte ad una rivisitazione in ottica contrastiva, quasi rivoluzionaria, puntando sulla differenza, insistendo sulla dialettica servo-signore11. La svolta ontologica risiede nell'euristica differenziale

incentrata sull'orizzontalità, sull'immanenza (Spinoza e Nietzsche consacreranno la propulsività

Nel documento Gilles Deleuze storico della filosofia (pagine 30-48)

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