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QUALE SECOLO?

Nel documento Gilles Deleuze storico della filosofia (pagine 162-175)

Un giorno forse il secolo sarà detto deleuziano.

Michel Foucault

Una soglia. Entrata e uscita restano impalpabili. Frontiera in cui si sente di ritrovarsi. Deleuze muore nel 1995, alle porte del XXI secolo. La sua filosofia resta un'eccedenza, uno scarto che non scommette, ma lancio di dadi, gesto del possibile e ricaduta nel necessario. L'attraversamento dei classici da parte di Deleuze ci ha consegnato una storia del pensiero oculata, rigorosa ma, anche, creativa; la via convergente battuta dalla restituzione oggettiva della storicità concettuale del pensiero accanto al pensiero di Deleuze, quindi al conio filosofico, è cifra e carattere determinato di tale percorso. L'impianto contro-storiografico rispetto alla tradizione ha sancito la messa a concretezza deleuziana di quel fondamentale concetto spinoziano ascrivibile alle nozioni

comuni. Michael Hardt ne sottolinea l'evidenza: «Le nozioni comuni non sono prioritariamente una

forma di analisi speculativa, ma uno strumento pratico di costituzione»1. Siamo dinanzi ad una

matassa strutturata da multicomposizioni, costruzione cui si concatenano orizzontalmente elementi caosmici, non legati da stretta successione consequenziale. Deleuze ha fatto concrescere l'analisi di periodi, autori, opere, insieme alla sua filosofia, alla messa in discussione della tradizione filosofica a partire dalle sue fondamenta (Cogito, trascendenza, dialettica su tutte); il lungo tirocinio storico-filosofico è un quotidiano "andare a bottega" come per gli artisti rinascimentali, ad apprendere, spiare, rubare con un pugno di sguardi la potenza di una linea, l'accostamento di certi colori, il tocco tra lo sfumato e il netto. Deleuze ha realizzato tutto ciò nel terreno della filosofia ponendo dei problemi, vocazione fondativa del pensiero. Questioni non risolvibili nella stretta rigidità della logica, utile ma limitata, ma posti nella circolarità delle loro relazioni entro una profonda interconnessione tra gli scritti minori di un autore (si rammenti l'importanza del "minore" in Deleuze), i ponti mobili con l'arte e la letteratura, la scienza e la poesia, il teatro e il cinema. Un procedere folgorante, un novum smarginante. La teoria della molteplicità assume i connotati del "fondato" e, in contemporanea, diviene la chiave metodologica a prioristica (in senso funzionale) dell'operari del pensiero. Con un simile percorso, rigorosamente antistoricistico poiché lo stesso Deleuze ri-pensa, ri-problematizza, ri-diviene come Altro tra i suoi autori, si è condotti a scoprire il pluralismo composizionale delle idee, nonché la matrice molteplice che ne sottende la dinamica. "Differenza", "singolarità", "immanenza", vengono a tessere lo specifico concettuale della filosofia deleuziana che nel suo iter non ha mai rinunciato al rigoroso approccio con i classici, adempiendo all'oggettività storiografica. Ma ciò non basta. "Pensare" è

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sempre un'operazione a cui si perviene (ricordiamo Foucault) e, per tale motivo, la "bottega" diviene "officina", ovvero una fucina di sperimentazione sul materiale già levigato del passato ma del quale l'euristica deleuziana ci mostra la possibilità di funzione, di nesso cogente con altri emisferi d'intelligibilità.

La metafisica del caos irrora le sue vene per opera della "differenza" ed eccede le strettoie metafisiche sia di un'ontologia dello scarto privilegiantesi (Heidegger), sia della mistificazione della differenza di cui è intrisa la dialettica (Hegel); l'essere è percorso da molteplicità nell'unicità del piano di immanenza, laddove le singolarità intrecciano le loro linee e dove la vita è ex materia, coerenza dell'ontologia pluralista. Ancora Hardt: «L'ontologia di Deleuze esige una prospettiva materialista, perché ogni superiorità concessa al pensiero indebolirebbe la struttura interna dell'essere. Il materialismo allora non è solo il rifiuto della subordinazione del corpo alla mente, ma anche un innalzamento dell'essere al di sopra di entrambe le sfere. Deleuze rifiuta qualunque concezione idealistica che in qualche modo subordini l'essere al pensiero»2. Pensiero e corpo, idea e

sensorialità, occupano il medesimo spazio della materialità. Il fulcro del piano di immanenza, oltre alla sua unicità (quale spatium o campo, non a livello contenutistico) ruota attorno ad una postura congiuntiva, relazionale, concatenantesi tra cose; il molteplice costruisce reti asimmetriche, non previste da un sottofondo storicistico o evoluzionistico, anzi si dà proprio nella compenetrazione tra differenti, tra "due reami" come usa dire Deleuze. Anche la disgiunzione, come ricordato più volte nel nostro percorso, è una forma di congiunzione. Il reale non incarna immagini metaforiche, nuclei rappresentativi che "rimandano a..."; esso è il molteplice che lo anima. Godani scrive: «[...] l'immanenza assoluta viene conquistata nel momento in cui, rese ineffettuali le partizioni prestabilite del mondo della rappresentazione, tutto viene rimesso in gioco di volta in volta, tutto si decide sempre di nuovo» (DEL, p. 119); risulta evidente come la nozione dialettica di "superamento conservativo" (Aufhebung) non è ammissibile nell'ontologia deleuziana poiché ristretta ad una logica da un lato identitaria, mentre dall'altro tesa alla reductio del molteplice ad un

unum, che è anche unicum, assoluto, sintetizzante, chiudente. L'alternativa non è l'apertura. Ma è

l'infinita apertura. Lo spazio deleuziano del reale è una topologia di macchine concatenanti (di varie tipologie, si veda L'Anti Edipo), rifiuto del Medesimo e costante connessione, ad intensità variabili, con l'Altro.

Il reale è il costruito, e viceversa. La naturalità, l'immediatezza ontologica è ascrivibile alla materia nella sua infinità vitale, mentre ogni epifenomeno, ogni posteriorità, sin dai suoi primi atti, è artificiale, ovvero composto. E, come sappiamo, tra queste artificialità c'è anche l'uomo; un uomo che, tuttavia, può determinare se stesso e il mondo in base agli incontri nel reale, gestendo in autonomia politica la sua traiettoria mai definitiva. Qui agisce il bio-potere, qui avviene la distribuzione colonizzatrice sulle singolarità che, come detto nel confronto Foucault-Deleuze, coordina il motore chiave della raffinata repressione contemporanea nel mondo globalizzato. Ancora Godani è chiaro in questo passo: «Nel pensiero di Deleuze costruttivismo e realismo non solo non si oppongono, ma finiscono per identificarsi» (ivi, p. 135). L'inversione non risolve il portato della filosofia e della storicità filosofica deleuziana in quanto, qualora ad essa si permanesse, avremmo l'ennesima storia del pensiero fatta di "alto" e "basso", ovvero di dualismi, quando, al contrario e sulla scia dell'opera di Nietzsche, Deleuze opera edificando un altro terreno di intelligibilità, forando la matassa degli schemi dualistici classici, traghettando la riflessione su lidi non semplicemente "rinnovati" ma radicalmente "nuovi". Si ha, pertanto, un nuovo soggetto, un nuovo immanentismo, un nuovo materialismo, un nuovo pluralismo, una nuova verità, una nuova politica. Il novum assume critica e costruzione in senso universale poiché l'impatto

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deleuziano rifiuta ogni specialismo, non si ritaglia settori elitari, ma vive entro gli sciami concettuali emanati dall'orizzonte estetico come di quello scientifico, di quello etico come di quello fisico; Deleuze ha saputo oltrepassare l'interdisciplinarità pervasa ancora di un gioco "tra sezioni", verso un universo referenziale decisamente trasversale (l'incontro con Guattari ha rafforzato quest'idea). In analogia con la produzione desiderante, "fare filosofia", per Deleuze, è aprire varchi d'eccedenza non lasciando spazio al Simbolico come angolo di tolleranza, ma altresì mostrando la vastissima densità e prolificità molteplice del Reale. L'attraversamento centrale dell'opera di Freud, altro perno nell'ideale "storia della filosofia deleuziana", mira alla destrutturazione delle categorie, ancora una volta separatiste, quindi manichee, tra la realtà e il simbolo. Tutto è reale. Secondo Palumbo «[...] Deleuze sottolinea proprio il concetto di desiderio come forza che costituisce il proprio campo d'immanenza in patente opposizione alla concezione pulsionale della ricerca del piacere»3; la divergenza tra forza e mancanza non caratterizza soltanto la libido, ma l'intero

approccio costruttivista deleuziano per cui il Reale produce forza, non manca di nulla e non cerca di colmarsi rifugiandosi nel Simbolico.

L'ontologia materialista teorizzata da Deleuze compone una topologia di compresenza complessificata tra la coerenza logico-teoretica e la politicità; nel gioco di congiunzioni tra queste polarità la dimensione estetica in senso lato, la facoltà creativa, vivifica le tracce di questi luoghi del contemporaneo, luoghi di conoscenza e di lotta. Il pensiero come stile agonico, capace di attraversare soglie di intensità di varia determinazione; l'ontologia si fa politica dal momento che idee come quelle di empirismo-trascendentale, piano di immanenza, singolarità, ecceità si concatenano a quelle di macchina da guerra, produzione desiderante, evento, schizoanalisi. L'opera deleuziana ha elaborato un lungo tirocinio sui classici, peraltro mai abbandonati, commistionandone i punti di approdo parziali e mobili con la critica alla psicoanalisi e la formulazione di un divenire rivoluzionario intriso di contemporaneità. I vari Hume, Kant, Bergson, Spinoza, Leibniz, Nietzsche, hanno (s)fondato le categorie per la nuova ontologia pluralista ma già in essi la politicità dei concetti, la loro potenza creativa era decisiva; Freud, Marx, la letteratura americana, Bacon, Proust, Carroll, gli Stoici, hanno sancito dei tagli produttivi, non riducendosi a mere "incursioni", ma sono divenuti proliferazioni di senso nell'Evento ontologico- politico deleuziano. La figura di Jean Paul Sartre, riconosciuto quale "maestro" dallo stesso Deleuze4, aveva lanciato i dadi della trasversalità scombinando lo scacchiere ermeneutico-

storiografico valido fino a quel periodo; gli studi letterari impattano il filosofema che vi scorre dentro, quella particolare intersezione che non mutila mai un'euristica, anzi ne cerca le correnti, i flussi di amplificazione. Una ritrattistica concettuale, come un Rembrandt o un Géricault, sfaccettature percettivo-concettuali che pur mantenendo l'oggettività del factum filosofico ci svelano una congiunzione inaspettata, diremmo con Nietzsche inattuale. Gli studiosi attuali hanno colto questa serialità "non seriale" per mezzo della quale Deleuze ritrae il laboratorio filosofico, mostra gli interni delle botteghe "fucina delle idee", rifiutando di osservare passivamente "i grandi", ma ponendoli in un piano di attività relazionale con epoche, etiche, estetiche, frammenti storici. I classici, sulla scorta della lezione nietzscheana, non sono "museizzati", appartengono altresì alla storia critica, a quella τέχνη che si fa arte del divenire del pensiero. Osserva Cherniavsky: «Les critiques deleuziennes de l'histoire de la philosophie font partie d'un certain diagnostic de l'actualité de la discipline»5. Deleuze inquadra sempre il doppio asse critica-clinica.

3 F.D. Palumbo, Economia del desiderio. Freud, Deleuze, Lacan, Mimesis, Milano 2015, p. 51.

4 Cfr. G. Deleuze, È stato il mio maestro, in L'isola deserta e altri scritti-Testi e interviste 1953-1974, cit., pp. 95-99.

5 «Le critiche deleuziane della storia della filosofia fanno parte di una certa diagnostica dell'attualità della disciplina»; traduzione mia da A. Cherniavsky, Fidélité ou efficacité?, in L'Art du portrait conceptuel, sous la direction d'Axel Cherniavsky et Chantal Jaquet, cit., p. 15.

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Vaglio e risorsa connettiva. Un classico è in tal modo attraversato dal pensiero deleuziano, ne è nobilitato ma al tempo stesso decostruito. I presupposti del rapporto critico-clinico6 lasciano

scorgere, tra i tanti spunti, la politicità emanata dalle dischiusure operate dalla filosofia e la propulsiva attitudine a porle nel concreto mondano, nell'immanenza storica interna all'immanenza assoluta. In fin dei conti, non è sufficiente dire che la monade è, tradizionalmente, un mondo "senza porte e senza finestre", ma piuttosto che, nella lettura deleuziana, la monade è un punto di vista sul mondo e il mondo stesso nella sua interezza (un dipartimento della città), perché a tale conquista concettuale, all'apparenza astratta, urge la funzione di potenziale nella congiuntura attuale. Così il filosofare torna ad essere, grazie a Deleuze, il perno di indagine sulla realtà, qualcosa di utile o, meglio, di insostituibile.

Il nome di Hegel racchiude tutti gli elementi contrastati dalla filosofia di Deleuze. Un autore che pervade l'opera deleuziana senza che gli sia dedicata una monografia. Tuttavia, l'antihegelismo di Deleuze è la disseminazione mai cessata, il ritmo critico mai sopito onnipervadente il suo percorso. Le istanze dialettiche, come abbiamo avuto modo di vedere, minano il pluralismo poiché ne impediscono la δύναμις, intessono trame con l'effigie della riconducibilità di ogni frammento o parzialità alla totalità ("il vero è l'intero" per Hegel). Niente sfugge, laddove le forze effettuanti nell'ontologia deleuziana fanno della linea di fuga la scintilla di vitalità, la congiuntiva che si attua nell'inaspettato, nel parziale, per poi sostarvi e mutarsi in altre linee. L'hegelismo non prevede deterritorializzazioni, esso preclude "docilmente" l'alterità, la rende funzione di scambio (secondo la logica marxiana) al fine di costringerla ad una produzione che, già

in nuce, si dà nel suo susseguente essere superata. Ciò che il biopotere, sulla scorta di Foucault,

instaura nei meccanismi di "presa sul vivente" contemporanei, il "proibire concedendo", trova immediata analogia nel sistema hegeliano, dove le tendenze del negativo non affermano ma forniscono un urto necessario all'Aufhebung. La logica del previsto ha in sé una doppia radice teoretico-politica. Le rivalutazioni storico-critiche di un Hegel "rivoluzionario" (gli studi sulla

coscienza infelice e la dialettica servo-signore di Alexandre Kojève e Jean Wahl, nonché il confronto

Hegel-Marx in Jean Hyppolite) reggono se commisurate a spunti particolari ravvisabili nella vasta opera del massimo esponente dell'Idealismo tedesco, ad esempio nella Fenomenologia dello Spirito, tuttavia il segno del "compimento totalizzante" resta indiscutibilmente l'approdo ontologico, epistemologico, gnoseologico di Hegel. Le figure dello Spirito recano lo stigma del predisposto, in quanto "momenti" cadenzano un inevitabile riassorbimento, una sussunzione concreta nella logica del sistema che, inoltre, non può e non potrà mai, in quanto tale, essere scossa da imprevedibilità di fondo, essere trascinata a congiunzioni inerenti nuove creazioni. Il novum è abolito in Hegel. Alle "figure" hegeliane, Deleuze contrappone le singolarità, inflessioni aparallele che compiono tracciati intensivi, assolutamente privi di coordinate prefissate da uno storicismo già ben determinato. La storia è una costruzione, è realtà pluri-attraversante con ritorni, accumuli, rotture, discontinuità, regolarità periodiche, curve anomale, geodetiche in transito. Nomadismo contro

storicismo. Tale, a mio avviso, appare lo scenario filosofico dischiuso da Deleuze, fecondo di

riattivazioni parziali, riprese a lungo raggio, ma anche di inversioni vettoriali. Ecco perché la differenza fondamentale tra Hegel e Deleuze è sintetizzabile nel presentare "concetti gabbia" non modificabili in un sistema chiuso per il primo, mentre per il secondo nel fornire strumenti di compromissione pensante nel mondo, con concetti, percetti o funzioni (filosofia, arte, scienza, come riferito da Che cos'è la filosofia? del 1991). Disporre contro creare. Inglobare contro entrare. Un agone verbale a suon di infiniti.

Accanto alla netta e radicale presa di posizione contrastiva sulla dialettica, Deleuze ha

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avuto un confronto in apparenza a latere, ma comunque decisivo, anche con Marx e con il marxismo. La congiuntura storico-politica ha fatto di Deleuze un punto di indubbio e giustificato riferimento per le lotte degli anni '60 e '70, ragion per cui il Marx di Deleuze è ravvisabile, in altre forme e mutati intenti rispetto ad Hegel, lungo l'intera sua opera. Tutto ciò, lo si conceda, senza forzature ideologiche, nel solco dello studio rigoroso di un autore e di un'opera, tenendo altresì in conto, il sintomale di sapore althusseriano, quel "tra le righe" che, lungi dall'essere soggiogato ad imposizioni identitarie che contravverrebbero all'euristica dello stesso Deleuze, proviamo, nelle nostre considerazioni finali, a ricavare.

Competenza storiografica e tensione critica accompagnano il lavorio deleuziano nel tentativo di cesellare un nuovo armamentario concettuale, una batteria verbobalistica e operazionale, calata trasversalmente non solo nelle lotte inerenti la periodizzazione di certi lavori di Deleuze, ma adatta a porsi come universale. La figura di Marx, ancor più di quella di Hegel, appare in echi sottesi al binomio filosofia-politica, al famoso "tutto è politica" decretato da Deleuze. In un saggio importante, Politique et Ètat chez Deleuze et Guattari, Guillaume Sibertin-Blanc parla di un materialismo storico-macchinico, esemplato dal convergere della mappatura ritrattistica dei classici deleuziani e dalla spinta agente fornita dalla nozione di macchina da guerra e schizoanalisi quali forme di conflitto. L'ipotesi si erge sul terreno di una serie di materiali incentrati sulla critica all'organica dello Stato, dal suo stadio primitivo a quello biopolitico contemporaneo, evidenziando il portato emancipativo troppo spesso tralasciato dagli interpreti concentrati su aspetti più particolari, quasi monografici dell'opera deleuziana: «La pensée politique de Deleuze et Guattari est largement négligée»7. In effetti, come dimostrato nei capitoli su Spinoza e Foucault, gli autori di

L'Anti Edipo e Mille piani, tra gli altri, hanno riversato la problematica filosofica direttamente tra le

maglie del politico, con un'abilità "frontale" inattuale, contrappuntistica. L'idea di proporre, accanto a Foucault, un'alternativa al marxismo, ci impone una ricognizione non opposta ad esso, ma altresì interna, come una possibile filosofia della differenza e del nomadismo desiderante dove lo stesso marxismo può schierare concetti all'attivo. Dal freudo-marxismo8 di matrice francofortese,

Deleuze e Guattari innestano un concatenamento liberante integrato dal filo doppio politica- inconscio: «[...] Deleuze et Guattari maintiennent la nécessité de rendre compte de l'Ètat des conditions socio-économiques qui seules peuvent expliquer la disparité de ses formations historiques concrétes, et la pluralité des voies de sa transformation dans le devenir des sociétés»9.

Archeologia delle società, cui non manca l'aspetto antropologico, che segna un tracciante di innovazione sotto l'aspetto critico-politico ma che, d'altro canto, rende l'opera di Marx presente nel nuovo universo di referenza dei due filosofi, come un "a crearsi". Nell'Abécédaire, Deleuze decostruisce nettamente ogni figura storicistica del pensiero marxiano e marxista affermando di essersi sempre preoccupato del "divenire" della rivoluzione e non del suo "avvenire". Senza piegare con forzature improprie gli autori considerati, Deleuze legge Marx sotto la lente

differenziale.

La consistenza politica del pensiero, nelle sue declinazioni più disparate, non può considerarsi come quantité négligeable, ad essa si intersecano forme e formazioni genealogiche che stratificano le mentalità, gli stili etici, finanche i gusti estetici; la pluridisciplinarità deleuziana

7 «Il pensiero politico di Deleuze e Guattari è largamente trascurato»; traduzione mia da G. Sibertin-Blanc, Politique et

Ètat chez Deleuze et Guattari, Presses Universitaires de France, Paris 2012, p. 7. In merito agli studi specifici sulla coppia

Deleuze-Guattari cfr. R. Bogue, Deleuze and Guattari, Routledge, London-New York 1989. 8 Si tenga presente il contributo filosofico di autori come Marcuse, Reich, Adorno, Fromm.

9 «Deleuze e Guattari mantengono la necessità di rendere conto dello Stato a partire dalle condizioni socio-economiche che sono le uniche a poter esplicare la disparità delle sue formazioni storiche concrete e la pluralità dei modi della sua trasformazione nel divenire delle società»; traduzione mia da G. Sibertin-Blanc, Politique et Ètat chez Deleuze et Guattari, cit., p. 19.

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intreccia i problemi intorno lo Stato e l'autorità10 con i sistemi o gli anti-sistemi filosofici, per cui la

nozione di durata in Bergson, in apparenza scevra da contenuti politici, qualora sussunta problematicamente, apre scorci affini al modus politico poiché indica, come ogni concetto, un farsi carico attivo, concreto, vivo nell'esistente. Questa è una delle novità maggiori dell'impalcatura sempre rinnovata della storia della filosofia percorsa da Deleuze. Non vi sono scienze pure o settori della riflessione chiusi, motivo per cui l'antiaccademismo e l'antispecialismo sono per Deleuze irrinunciabili. La figura intellettuale si fa collettività interagendo con i saperi che, sulla scorta di quanto diceva lo stesso Foucault, sono la risultante di un groviglio multilineare costante, non conducibile né riducibile ad unum. Differenza e concatenamento definiscono una metodologia di ricerca che, nello spazio di produttività euristica, si muta in un divenire di forze atte a porre in crisi il sedimentato, a decostruire, a lottare. L'ipotesi marxista rientra in questo discorso, epurata dal paneconomismo e da burocraticismi dogmatici ma, al tempo stesso, l'economia (dallo stock di debito delle società primitive fino alla circolazione globalizzata) è funzionale alla ricerca a patto di essere coniugata al costume antropologico, agli ideali estetici o alle varie "questioni morali" delle civiltà; tutto ciò per dire che ad essere deposta è un'azione escludente o esclusiva poiché con essa ci si riverserebbe nel dominio del significante, assolutezza mortifera. Un volume come Mille piani intreccia strati e soglie di provenienza eteroclita. Solo in tal modo prende forma una concreta teoria

della molteplicità, nella quale botanica ed economia, etica e medicina, musica e politica, pittura e

Nel documento Gilles Deleuze storico della filosofia (pagine 162-175)

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