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Leibniz e il caos

Nel documento Gilles Deleuze storico della filosofia (pagine 114-139)

Io sono l'unico spettatore di questa strada; se smettessi di vederla morirebbe

Jorge Luis Borges

Nel 1988 la ricerca deleuziana si volge ad un autore crocevia di un'epoca, quella del '600 contraddistinta letterariamente ed artisticamente dal concetto di "Barocco": Gottfried Wilhelm von Leibniz. Dopo aver scritto i due fondamentali lavori L'Anti Edipo (1972) e Mille piani (1980) collaborando con Guattari, Deleuze torna ad una monografia, seppur trasversale, inter-relazionata a questioni matematiche, cosmologiche, pittoriche. Proviamo a comprendere questo volgersi deleuziano che coincide con un doppio problema di cui Deleuze aveva già, nei testi precedenti, assunto ad oggetto speculativo: da un lato il problema del nesso metafisico tra materia e caos, dall'altro la quaestio subiecti, cioè il soggetto e il suo rapporto con la verità. Nel penetrare il reame Leibniz, così come valso per gli altri autori, Deleuze non smentisce la sua trama intessuta attorno ad una filosofia creativa, non ricucendo semplicemente l'aneddotica leibniziana, ma interagendo nell'affermazione problematica di concetti che, per motivazioni che tra poco andremo ad analizzare, fanno capo all'ontologia pluralista dello stesso Deleuze.

Il variegato plesso categoriale portato in emersione dallo studio sulla filosofia di Leibniz, trasversalmente connotato dalla metafisica classica, dalla matematica, dallo studio delle lingue e da dispute sugli universali letti in chiave moderna, era avvertito da vari studiosi oltre Deleuze, quasi si potesse parlare di una "temperie Leibniz"1; il testo di Deleuze2 spicca per la sua originalità

e per la prospettica d'approccio adottata, notevole sforzo riflessivo attorno a temi concernenti, anche con un certo livello tecnico, la fisica e la matematica. Dal momento che si parla di "pluralismo", di Deleuze inventore e fondatore di una filosofia pluralistica, di una rigorosa teoria della molteplicità, non si può tralasciare l'impalcatura che regge questa edificazione (rammentiamo il costruttivismo deleuziano); pertanto, da principio, risulta vincolante connotare la molteplicità nel suo prodursi impersonale non letto dal soggetto che, tra le altre cose, è anch'esso un prodotto della

1 Si veda in proposito, l'introduzione di Tarizzo al volume deleuziano, dove vengono riassunte le interpretazioni principali di filosofi e storici della cultura, ricordando su tutti Roland Barthes , Jacques Lacan e Michel Serres, ma anche Severo Sarduy e Christine Buci-Glucksmann.

2 In merito alla riflessione su Leibniz: G. Deleuze, La piega, a cura di D. Tarizzo, Einaudi, Torino 2004 (d'ora in poi PI); tra gli studi critici importanti segnaliamo: J.P. Esquenazi, Deleuze et la théorie du point de vue. La question du signe, in Aa. Vv.,

Le cinéma selon Deleuze, Olivier Falhe et Lorenz Engell (éds.), 1997; S.B. Duffy, Deleuze and the History of Mathematics,

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molteplicità stessa, ma nella sua autonomia ontologica. L'idea di "piega" esplica, secondo Deleuze, il modus di disposizione materiale, l'organizzazione della fucina da cui emerge la vita. Abbiamo concluso, in precedenza, che da Hume a Nietzsche, passando per Kant, Bergson e Spinoza, Deleuze ha coerentemente destrutturato il fundamentum inconcussum dell'Occidente (la soggettività razionale che arriva a Dio e in cui trova giustificazione), aprendo ad una struttura della totalità costituita da un piano di immanenza prepersonale, τόπος, interazione fluida di divenire strutturanti per concatenamento. Tra questi il soggetto viene a formarsi. Frammento entro il molteplice, l'ente "uomo" comprende il suo statuto epistemologico quale passaggio dall'associazione all'abitudine, fino al ricorrere di ciò che chiamerà "causa", dal tempo vitale intensivo-qualitativo alla scoperta della differenza (motore operativo), pervenendo al carattere unico e totale del substratum sostanziale (impersonale, materiale) asse di percorribilità per mezzo di relazionalità da parte del "modo" umano, singolarità in movimento laddove la temporalità si fa indisponibile poiché decisiva nel ritorno eterno di un'Alterità, crollo di ogni dialettica e misticismo in funzione della gioia affermativa della vita. E Leibniz? Questa strana "piega"?

A nostro avviso, tematica cruciale ne La piega è il rapporto tra il mondo nel suo carattere universale e il soggetto che interagisce con esso e, ci arriveremo in corso d'analisi, produce egli stesso ma senza alcuna ombra residuale di stampo idealistico. Da abile studioso della storia della cultura, Deleuze individua il punto d'intersezione tra Leibniz e il suo tempo nel Barocco. Ad esempio, per prima cosa, si avverte una grande cura nel mettere in scena il pensiero e i suoi concetti: «Leibniz mette quindi in scena un grande allestimento barocco» (PI, p. 6), fatto di curve, pieghe, panneggi, levigazione infinita dell'ordine. Facile nesso logico con la mathesis universalis di Leibniz. Nell'epoca dell'eccesso, dello spasmodico lavorio sui materiali, sulla piegatura della materia ad infinitum, Leibniz ricerca la conciliazione con le matematiche e l'imposizione, riferita ad ogni concetto, di ricadere sotto l'egida dell'armonia. Ma l'epoca si connota così per Deleuze: «Il Barocco non connota un'essenza, ma una funzione operativa, un tratto. Il Barocco produce di continuo pieghe» (ivi, p. 5). Proviamo a percorre il viaggio deleuziano nel cosmo leibniziano ponendoci la resa intelligibile di due passaggi chiave: in primo luogo l'idea di come, per Deleuze, attraverso Leibniz, si possa descrivere la vita della materia, quindi la vita della molteplicità; in secondo luogo, ci domanderemo quale soglia, frattura o ricomposizione viene a configurarsi tra il mio sguardo sul mondo e il mondo stesso, ovvero quale possa essere il tipo di legame attivo tra Io e mondo (posta la nozione di Io in Deleuze che è praticamente assente, meglio parlare di singolarità o, più tardi, di ecceità).

Per quanto concerne il primo punto, da materialista Deleuze ha ricondotto con obiettività storiografica, tale concetto negli altri autori "classici" studiati. L'empirismo trascendentale implica un piano di immanenza pura, scevro da verticalità trascendenti confermato dall'andare e venire dei flussi di eventi, accumuli e dispiegamenti, fratture e nuove composizioni segnate dalla consistenza temporale intensiva della differenza. Inoltre, dopo Spinoza e Nietzsche le quaestiones divengono afferenti al "come" vivere in questa struttura della totalità e, pertanto, l'etica spinoziana e la volontà di potenza nietzscheana (come già approfondito nei capitoli precedenti) assurgono a cifra dello stare al mondo. Ma era inevitabile, per Deleuze, affrontare ontologicamente il nucleo fondante la materia. Fin dalle prime pagine, egli afferma: «Il molteplice non è soltanto ciò che ha molte parti, ma è anche ciò che risulta piegato in molti modi» (ibid.). Chiedere conto della formazione della materia trova stretta analogia con la domanda sulla molteplicità e sull'aspetto materiale di essa. Ancora il nostro spiega:

La materia presenta così una tessitura infinitamente porosa, spugnosa o cavernosa, senza presentare vuoti, ma simile semmai a una caverna nella caverna: ogni corpo, per

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quanto piccolo, contiene un mondo, poiché è percorso da passaggi irregolari, circondato e penetrato da un fluido sempre più sottile (ivi, pp. 8-9).

C'è un micromondo nel mondo. La maggioranza degli uomini non prende in considerazione il pullulare che li circonda e, in termini scientifici, considerare questo universo pulviscolare è quanto ha tentato la scienza all'epoca di Leibniz. La nozione di monade elegge questo cosmo ripiegato a carattere fondamentale della relazione soggetto-mondo e, conseguentemente, ci risulta chiaro l'interesse filosofico, metafisico e matematico che Leibniz ha mostrato in merito3.

L'intento di Deleuze è suscitato dall'interrogazione sulla struttura della materia, universalizzabile a unica vera sostanza della vita, tuttavia l'approfondimento di essa è necessario per rendere conto delle molteplici composizioni microfisiche. Quale immagine concreta la materia assume e restituisce nel cuore del suo interno movimento? Domanda cui Deleuze trova un percorso problematico aprirsi proprio nella concezione di "Barocco" intrecciata con la filosofia di Leibniz. Provando a tener fermo un primo punto esplicativo, parleremo di materia piega.

In Spinoza, come in Nietzsche e già in Hume, Deleuze aveva iniziato a concepire ed ampliato per complessificazione l'idea di una materialità unica espressa dal molteplice, scevra dai caratteri del vecchio materialismo meccanicistico (ad esempio di un Hobbes e di alcuni illuministi), pervenendo a definirla come una composizione molteplice del molteplice. Attraverso Leibniz e il Barocco, giunge il momento per Deleuze di dar conto del particolare effettivo del divenire materiale. Non è più sufficiente, dunque, definire l'unicità dell'orizzontalità materiale (si pensi alla sostanza di Spinoza) in quanto l'immanenza ontologica possiede in sé linee di multi-composizione da esplicare al fine di confermare quello status differenziale che, dopo gli studi su Nietzsche, è destinato a ritornare come Altro (il ritorno come "essere del divenire"). Il piano di immanenza di cui è costituita l'ontologia deleuziana, spazio di movimento e cinetica delle forze, indica un pluralismo, sia nella stessa struttura oggettuale del piano (esso è unico poiché niente lo trascende), sia nella sua interna macchinica (perché è connotato da singolarità plurali, essere del molteplice). La

materia-piega e la nozione di monade esprimono tali questioni.

Quali elementi interagiscono, nel particolare, entro quel concetto universalizzato definito "materia"? Deleuze muove subito da una divergenza di assetto tra elementi organici ed elementi non organici: «Un organismo è caratterizzato da pieghe endogene, mentre la materia inorganica è caratterizzata da pieghe esogene, determinate sempre dal di fuori o dall'ambiente» (PI, p. 12); si tratta di forze agenti dalle quali emerge il fatto che il vivente è attraversato in un regime di variazione da ripiegamenti propri a partire dai sensi fino alla determinazione del contenuto della massa cerebrale, mentre ciò che è inorganico preleva dall'ambiente circostante una certa quantità di elementi che ne assicurano l'interna composizione (si pensi al fattore levigante e modificante degli agenti atmosferici o delle congiunzioni di prossimità con materiale organico che mutano la composizione chimica). L'idea deleuziana, a capo del suo costruttivismo, è quella di un montaggio i cui pezzi compongono lungo varie linee procedenti; avevamo visto già in Hume come la relazione fosse un processo centrale allo scopo di definire entità singolari ed ora, grazie a Leibniz e al Barocco, Deleuze ha modo di determinare a livello molecolare e particellare le formazioni edificate nei ripiegamenti della materia. Bisogna precisare un punto. Rispetto alla metafisica classica mirante ad un solido monolite verticistico (dall'antichità almeno fino a Hegel), ad un

3 Per quanto concerne le opere di Leibniz, da notare il volume Leibniz, Mondadori, Milano 2008 al cui interno vi sono

Monadologia e Discorso di metafisica, tr. it di V. Mathieu, Nuovi saggi sull'intelletto umano, tr. it. di E. Cecchi e L'armonia delle lingue, a cura di S. Gensini; inoltre, G.W. Leibniz, Saggi di Teodicea, a cura di S. Cariati, Bompiani, Milano 2005; Id., De summa rerum, tr. it. di E.M. De Tommaso, Aracne, Roma 2013; Id., Scritti di logica, a cura di F. Barone, Laterza, Roma-Bari

1992; Id., Saggi filosofici e lettere, a cura di V. Mathieu, Laterza, Roma-Bari 1963; Id., Ricerche generali sull'analisi delle nozioni

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sistema nel quale ogni parte partecipa alla costruzione sotto l'egida del tutto4, nell'ontologia

deleuziana si costruisce dal caos ed esso non viene risolto tramite scomparsa da un ordine superiore, ma produce un cosmo. Ecco il motivo della peculiarità fondante del termine caosmo. Il Barocco rende più di altre epoche la cinetica plastica delle forze materiali nei vari ambiti della scultura, della musica, del teatro, della pittura; «I meccanismi, infatti, sono composti di parti, che non sono a loro volta macchine, mentre l'organismo è infinitamente macchinato, è una macchina di cui tutte le parti o tutti i pezzi sono macchine» (PI, p. 13). Essere in vita, a partire dalla materia come unico spazio d'esistenza (la sostanza spinoziana, il piano di immanenza), vuol dire piegarsi, ripiegarsi, passare da una curvatura ad un'altra: «L'organismo vivente, invece, in virtù della preformazione, possiede una determinazione interna che lo fa passare di piega in piega, o costituisce all'infinito macchine di macchine» (ivi, p. 14). Di tale possibilità va chiarita la differenziazione poiché dall'uomo al lupo, dalla farfalla alla zecca, muta l'assetto di curvatura, ovvero la tipologia e la consistenza delle pieghe: «L'organismo è caratterizzato dalla capacità di piegare le sue parti all'infinito, e di spiegarle, non all'infinito, ma fino al grado di sviluppo concesso alla singola specie» (ivi, pp. 14-15).

Ogni tassonomia che si voglia tentare a partire da quella classica di Linneo fino all'ipotesi di Darwin, rischia di farsi sfuggire la ricchezza delle possibili interconnessioni tra linee evolutive divergenti; Deleuze, infatti, parlerà di "evoluzione aparallela" o del più letterario "nozze tra due reami" proprio ad indicare l'irriducibilità a schemi prefissati e fissi dell'in sé materiale, incentrato su una produzione molteplice e, pertanto, del molteplice, per cui «[...] le linee organiche mantengono una pluralità irriducibile» (ivi, p. 16). "Piega da piega, plica ex plica" spiega Deleuze. La figura della curva assume i contorni del tratto distintivo, si fa espressione caratterizzante di cosa avviene nella materia, è la spazialità interna della materia, il modo di procedere di quest'ultima. Curve, pieghe, ripiegamenti che rimandano ad altrettanti punti di ampliamento, punti espansivi d'intensità che potremmo accostare, come già fatto per il prospettivismo nietzscheano, con il concetto di frattale in Mandelbrot. Più si penetra nella materia e maggiore incastonamento microfisico si palesa, in scala di riduzione ma pur sempre attivo, espressivo, producente. Deleuze, che ricorrerà a Mandelbrot ne La piega, così afferma: «Il fatto è che la Piega è sempre tra due pieghe, e questo tra-due-pieghe sembra passare dappertutto» (ivi, p. 23). Anche quando si verifica una linea disgiuntiva, essa codifica comunque una relazione, nel senso che mostra una variazione che fa presa, viaggia, "fila via"; giustamente Godani mostra che «[...] il sistema di Leibniz è definito dal fatto che ogni cosa concorre, cospira, consente con ogni altra» (DEL, p. 43).

Relazionalità a variazione perenne, densità del rapporto intensivo tra aree macro e microfisiche, mobilità costante tra pieghe. Potremmo parlare di tali concetti come di "produttori" consustanziali alla materia. Tuttavia, tenuto fermo quanto detto, il problema che si apre è rendere intelligibile il momento della creazione, della produzione concreta di un ente, di una singolarità, in qualsiasi punto del piano d'immanenza. Come avviene? A quali coordinate geografiche entro il piano di composizione dobbiamo riferirci per comprendere l'assetto genetico della materia? Deleuze scorpora il fattore genetico, produttivo-creativo, in tre fasi: inflessione, posizione, inclusione. Andiamo ad esaminarli. In primo luogo, con "inflessione" si intende il momento chiave, la virata d'appoggio su un incrocio particolare di linee, la formazione di una curva determinata. «L'elemento genetico ideale della curvatura variabile, o della piega, è l'inflessione. L'inflessione è il

4 La stessa struttura dell'organismo sia letteralmente sia metaforicamente (si pensi all'organicismo politico di Hobbes) prevede un ferreo ordine cui è dato giustamente il nome di meccanismo; al contrario Deleuze e Guattari, ne L'Anti Edipo come in Mille piani, parlano di concatenamenti macchinici, pertanto di macchine. Macchinico contro meccanismo profilano due diversi tipi di materialismo, il secondo statico, il primo dinamico. Ne L'uomo macchina di La Mettrie e nel De corpore di Hobbes si possono notare esempi del materialismo fondato su meccanismi (o meccanicismi).

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vero atomo, è il punto elastico» (PI, p. 24). Quando una linea disegna un'inflessione si piega, curva, produce un particolare inflectere generativo. Ciò che in Spinoza avevamo delineato nel rapporto tra i modi (si pensi alle nozioni comuni), in Leibniz è commisurato alle congiunzioni tra pieghe, ai nessi tra ripiegamenti, all'incurvarsi della linea. Ha luogo una prospettica multilineare, l'inizio di una tendenza che trasformandosi diviene "mondo", quella singolarità che si fa Evento e, per la precisione, Evento-Mondo: «[...] l'inflessione è il puro Evento, della linea o del punto, il Virtuale, o l'idealità per eccellenza [...] è il Mondo stesso, o piuttosto il suo cominciamento» (ivi, p. 25). Intrecciando la pittura di Klee al Barocco, geografia e architettura, Deleuze penetra gli interstizi della materia nella loro produttività intrinseca, negli aspetti genetici che non restituiscono una modalità universale di produzione, ma intessono incroci tra linee evolutive differenti. Torna un doppio perno teorico in precedenza mostrato nello studio deleuziano di Bergson: la molteplicità possiede una struttura differenziale e le linee di composizione seguono matrici intensive che soltanto in seconda battuta assumono contorni misurabili in estensione. Va integrato al presente passaggio concettuale il fatto che la genetica della materia non possiede un finalismo interno, non traccia linee di continuità, assi compatti a seconda dell'evoluzione delle specie poiché, estirpando dal cuore stesso della nascita della vita ogni storicismo, Deleuze insiste su rapporti cangianti e frammentari, oltre che molteplici; una linea a frammento intersezionerà le sue pieghe salvo poi produrre nel suo intermezzo, nel suo "tra", altre pieghe, una sorta di interpiega, motivo per cui l'occhio all'universo a frattale di Mandelbrot assume cogenza. Chiarifica così Deleuze: «[...] si procede di piega in piega, non di punto in punto, ed ogni contorno sfuma a profitto delle potenzialità formali del materiale, che risalgono alla superficie e si presentano come altrettante deviazioni o piegature supplementari. La trasformazione dell'inflessione non ammette più qui alcuna simmetria, né alcun piano privilegiato di proiezione. Diventa vorticosa e viene attuata per ritardo, per differita, piuttosto che per prolungamento o proliferazione: la linea si ripiega infatti in una spirale per differire l'inflessione in un movimento sospeso tra cielo e terra, che si allontana e si avvicina indefinitamente a un centro di curvatura» (ivi, p. 27).

Chi si accosta a questa fase del pensiero e della ricerca di Deleuze non può tralasciare un ponte teso dall'autore tra filosofia e scienze fisico-matematiche; una giusta e rigorosa riflessione in merito viene fatta costantemente dialogare, con concretezza categoriale, con la filosofia, con questioni metafisiche di fondo. In onestà intellettuale, è impossibile parlare di ontologia senza affacciarsi alla comprensione di certi assunti chiave della fisica e della matematica degli ultimi due secoli e mezzo. Sulla scorta leibniziana e di vari autori contemporanei (Koch, Mandelbrot, Lautman, Caches, Poincaré) Deleuze profila una teoria della molteplicità a partire da una metafisica

del caos. Come rammenta Jean Claude Dumoncel: «Dévoilant la face mathématique de la

métaphysique leibnizienne, il rejoint la tradition de la Mathesis Universalis. Repensant les points singuliers de Poincaré en points distingués de Leibniz, il y introduit la théorie du chaos»5. È

evidente l'obiettivo anti-sistematico di Deleuze rispetto al tendere verso l'architettura perfetta di un universo armonico, l'armonia prestabilita definita dalla scelta di Dio del "migliore dei mondi possibili", tuttavia indici di regolarità emergono dal caos dando luogo alla fusione del caos stesso con l'idea di cosmo, cioè di ordine (κόσμος). Come nel colpo di dadi di Mallarmé, caos lanciato la cui ricaduta determina l'invalicabile necessità di cui farsi carico (Nietzsche docet), così nella metafisica del caos le linee acquistano un tracciato di variabilità emergendo con singolarità indicanti, in seguito, delle regolarità che ne individuano le trame. Deleuze ricalca ancora il tratto

5 «Svelando la faccia matematica della metafisica leibniziana, si unisce alla tradizione della Mathesis Universalis. Riconsiderando i punti singolari di Poincaré nei punti distinti di Leibniz, egli introduce la teoria del caos»; traduzione mia da J.C. Dumoncel, Gilles Deleuze et le deux voies d'une mathématisation de la métaphysique, in A. Jdey, Gilles Deleuze-

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sul termine "potenza", incoronato nei suoi studi su Nietzsche quale virtualità in atto, realtà della creazione: «[...] vi è sempre un'inflessione che trasforma la variazione in una piega, e che porta la piega o la variazione all'infinito. La piega è la Potenza» (PI, p. 29). Tenendo saldo il valore della nozione di potenza in Deleuze, comprendendo il milieu concettuale di cui è scaturigine, tale affermazione che pone l'equivalenza piega-potenza sancisce la concretizzazione di un altro e, se si vuole, logicamente conseguente, nesso: materia-vita. Se la potenza, infatti, è il propulsore genetico e se la materia consiste in una struttura di pieghe, ripiegamenti e interpieghe, affermare che "la piega è la potenza" implica che gli interstizi della materia sono la dimora della generazione, della possibilità produttiva e della produzione in sé. Ogni piega è espressione di un potenziale generativo.

Nell'indagine entro il cuore della materia, all'individuazione di una determinata curva lungo una variazione, si dispone ciò che Deleuze denomina oggettile, ovvero un oggetto particolare, pervenuto a forma da una linea di curvatura:

L'oggetto non è più definito da una forma essenziale, ma raggiunge una funzionalità pura, nel declinare una famiglia di curve individuate da parametri, inseparabile da una serie di declinazioni possibili o da una superficie a curvatura variabile, descritta proprio dall'oggetto. Chiamiamo "oggettile" (objectile) questo nuovo oggetto [...]

Nel documento Gilles Deleuze storico della filosofia (pagine 114-139)

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