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L’ἀσφάλεια e la comunità filosofica

CAPITOLO 1: Giustizia e politica in Epicuro

1.2. Λάθε βιώσας: la comunità filosofica

1.2.4. L’ἀσφάλεια e la comunità filosofica

Prima di passare all’analisi del tema della giustizia nell’Epicureismo, è necessario tener presente una proposta di primaria importanza che è stata avanzata da Roskam nel suo libro Live Unnoticed263. Nei frammenti epicurei si fa riferimento all’ἀσφάλεια ἐξ

ἀνθρώπων. La maggior parte dei commentatori ha reso questa locuzione nelle traduzioni in lingua con l’espressione sicurezza contro gli altri uomini, dando così una sfumatura negativa alla preposizione ἐκ. In realtà, Roskam afferma che ἐκ in nessuno scritto epicureo e in generale in nessun luogo viene inteso come against, ma piuttosto ha lo stesso valore di coming from. Per dimostrare questa ipotesi, Roskam fornisce un esempio chiarissimo che riprende da Diogene Laerzio. L’espressione diametralmente opposta ad ἀσφάλεια ἐξ

261 Cfr. Dorandi-Gigante, 1980, pp. 479 ss.

262 Cfr. Schofield, 1999, pp. 742-744.

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ἀνθρώπων è βλάβαι ἐξ ἀνθρώπων264: questo sintagma viene sempre tradotto con “i danni

che provengono dagli uomini”, mantenendo così il significato letterale della preposizione ἐκ. Un altro esempio che può essere fornito riguarda l’espressione ἀσφάλεια ἐκ τῆς ἡσυχίας, nella quale ancora una volta la preposizione ἐκ sta a significare coming from piuttosto che against, dato che viene resa abitualmente con la frase “sicurezza che proviene da una vita quieta e serena”. L’autore, quindi, coerentemente con il discorso appena fatto, sostiene che, in virtù di questa traduzione, ogni qualvolta si trovi scritto ἀσφάλεια ἐξ ἀνθρώπων sarebbe bene renderlo con “sicurezza che proviene dagli altri uomini”, invece che con “sicurezza contro gli altri uomini”. Seguendo una tale interpretazione a questo punto è più facile comprendere i testi epicurei sul tema della sicurezza. Essa era la garanzia del raggiungimento del bene sommo e le vie per assicurarsela potevano essere molteplici. Il fondatore del Κῆπος, infatti, ha fatto in modo di venire incontro alle esigenze di ognuno e alla natura propria di ciascun individuo, indirizzando tutti verso lo stesso fine, sebbene attraverso strade differenti. Si potrebbe supporre che a chi non poteva far a meno di perseguire l’onore e la gloria265, Epicuro dicesse:

«Ἕνεκα τοῦ θαρρεῖν ἐξ ἀνθρώπων ἦν κατὰ φύσιν ἀρχῆς καὶ βασιλείας ἀγαθόν, ἐξ ὧ ἄν ποτε ποῦτο οἷός τ’ᾖ παρασκευάζεσθαι»266.

“Allo scopo di aver sicurezza (proveniente) dagli uomini era un bene secondo natura anche quello del potere e della regalità, sempre che per mezzo di queste cose si potesse ottenere tanto” (corsivo aggiunto).

Coloro che sentivano, quindi, il bisogno impellente di impegnarsi in politica, o i φιλότιμοι e i φιλόδοξοι, potevano provare a trovare la tranquillità attraverso gli uomini e le folle, seguendo così la propria natura. In questa prospettiva va inteso il fatto che qui Epicuro dica che il potere e la regalità erano beni secondo natura, ossia solo perché la φύσις di certi uomini li faceva protendere verso la fama e gli onori e, quindi, congelare queste pulsioni sarebbe stato per loro contrario alla natura e avrebbe causato un grande dolore267. Tuttavia,

264 Cfr. Diog. Laert., X 117.

265 Cfr. Plutarch., De tranq. anim., 465F = fr. 555 Us.

266 Epicur., Rat. Sent., VI. 267 Cfr. Epicur., SV 21.

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come visto, abitualmente per Epicuro la vita pubblica non garantiva la serenità necessaria al conseguimento del fine epicureo, dato che tendenzialmente gli amanti degli onori e della fama erano soggetti a un desiderio illimitato che era impossibile da soddisfare268:

«Ἔνδοξοι καὶ περίβλεπτοί τινες ἐβουλήθησαν γενέσθαι, τὴν ἐξ ἀνθρώπων ἀσφάλειαν οὕτω νομίζοντες περιποιήσεσθαι ὥστε, εἰ μὲν ἀσφαλὴς ὁ τῶν τοιούτων βίος, ἀπέλαβον τὸ τῆς πύσεως ἀγαθόν· εἰ δὲ μὴ ἀσφαλής, οὐκ ἔχουσιν οὗ ἕνεκα ἀξ ἀρχῆς κατὰ τὸ τῆς φύσεως οἰκεῖον ὠρέχθησαν»269.

“Famosi e illustri vollero diventare alcuni pensando di procurarsi così la sicurezza degli uomini; così che, se la loro vita è tranquilla, ottennero ciò che è il bene secondo natura; se non è tranquilla non posseggono quello per cui da principio furono mossi da un impulso conforme a ciò che è bene secondo natura”.

Questa massima è un’ulteriore esemplificazione dell’applicazione del calcolo razionale: la fama, gli onori e il potere non sono beni o mali in sé, di conseguenza se possono contribuire alla felicità del singolo ha senso perseguirli, altrimenti è preferibile evitarli270.

Quelli che appartengono a questa seconda categoria di persone, che per Epicuro comprende la maggior parte degli individui, e che non riescono a non essere turbati dalla vita politica o dalle folle, è bene che trovino un’altra maniera per conseguire il bene secondo natura. In tal caso per loro è meglio ritirarsi in disparte, lontano dalle lotte politiche, dalle invidie altrui e dai πολλοί che non comprendono la filosofia epicurea271. L’eliminazione di tutti i turbamenti e la serenità di una vita piacevole, infatti, si ottengono solo quando si è in grado di mettersi in sicurezza, ossia quando si è certi che gli altri non saranno più nocivi per la propria felicità, ma che anzi contribuiranno a essa per quanto possibile272:

268 Cfr. Epicur., SV 81; Cic., Tusc., II 12, 28 = fr. 550 Us.. 269 Epicur., Rat. Sent., VII.

270 Cfr. Fish, 2011, pp. 81 ss.

271 Cfr. Sen., Ep., 25, 6 = fr. 209 Us.; Sen., Ep., 29, 10 = fr. 187 Us. 272 Cfr. Barigazzi, 1953.

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«Τῆς ἀσφαλείας τῆς ἐξ ἀνθρώπων γενομένης μέχρι τινὸς δυνάμει τε ἐξερειστικῇ καὶ εὐπορίᾳ, εἰλικρινεστάτη γίνεται ἡ ἐκ τῆς ἠσυχίας καὶ ἐκχωρήσεως τῶν πολλῶν ἀσφάλεια»273.

“Una volta ottenuta la sicurezza (proveniente) dagli uomini per la possibilità di avere fino a un certo grado di agiatezza e abbondanza, purissima diventa la tranquillità che proviene da vita serena e appartata dalla folla” (corsivo aggiunto).

Epicuro, piuttosto che affermare in maniera assertoria λάθε βιώσας, nel suo catechismo più semplice inserisce massime che si adattano sia a coloro che non si sentono minacciati dai πολλοί e che traggono dalla gloria e dal potere la sicurezza indispensabile per disporre l’animo verso il godimento di una vita piacevole, sia a quelli che invece preferiscono condurre una vita ritirata poiché i turbamenti derivanti dalla politica non permetterebbero loro di vivere felicemente. A ogni modo, sebbene Epicuro tenga in considerazione la possibilità che qualcuno per natura senta il bisogno assumere incarichi pubblici, predilige la vita in disparte come la via più pura e la più serena e la indica come la migliore per vivere felici e beati come dei fra gli uomini. La comunità filosofica, quindi, diventa il fulcro della vita felice. Gli Epicurei possono così vivere e insieme filosofare in un modello sociale alternativo a quello storico-politico, ma del tutto dipendente da esso, dato che la struttura politica della società diventa condicio sine qua non per raggiungere il proprio τέλος. Non sarebbe possibile per gli Epicurei attuare il proprio modello etico se non ci fossero delle leggi prestabilite fuori dal Giardino e se non esistessero delle figure istituzionali pronte ad attuarle. La comunità filosofica, quindi, viene tutelata dallo stato e non a caso Epicuro prevede, come visto274, un eventuale ingresso in politica del saggio stesso qualora le circostanze lo dovessero richiedere. La totale mancanza di un apparato di leggi e di una struttura politica sarebbe una fonte di grandi turbamenti per gli Epicurei, proprio per il fatto che non tutti sono in grado di autoregolarsi e sottostare ai principi cardine del modello di vita del Giardino.

Bisogna, inoltre, notare che, sebbene spesso si trovino critiche verso chi non comprende quale sia il giusto comportamento da assumere per poter godere di una vita

273 Epicur., Rat. Sent., XIV. 274 Cfr. supra, pp. 53 ss.

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piacevole, non si può non tener conto del fatto che le porte del Giardino siano state aperte a qualsiasi categoria di persone. Come accennato, l’accesso al Κῆπος era garantito sia agli schiavi, sia alle donne, sia a personaggi pubblici, anche se Epicuro tentava in un primo momento di dissuadere questi ultimi dai loro affari275. All’interno di questa comunità epicurea così variegata a livello sociale, l’amicizia era un bene immortale ed Epicuro più volte sostiene l’importanza di avere molti amici276. Nonostante la φιλία traesse la propria origine dall’utilità, essa era un bene immortale, necessario per godere del piacere. Per questa ragione quando gli Epicurei sostenevano di volersi allontanare dai πολλοί e dalle loro invidie, volevano mantenere le distanze da chi non era disposto a capire quale fosse il fondamento della vera amicizia, la quale non doveva essere basata sull’accumulazione di ricchezze e, quindi, sul desiderio di sfruttare l’altro, ma piuttosto sulla volontà di raggiungere insieme un τέλος individuale ma uguale per tutti, aiutandosi vicendevolmente, al contrario di quanto accadeva in politica. La φιλία epicurea, quindi, era una forma di socialità alternativa a quella che si aveva all’interno dello stato e sicuramente era un modello che si distaccava del tutto dai tipi di legami che si stringevano in politica. Gli Epicurei, dunque, benché non si mischiassero alla folla, non escludevano l’altro: essi tendevano a nascondersi da chi non voleva aderire alla loro etica per proteggersi, ma erano desiderosi di mostrare a tutti coloro che avessero voluto, e che fossero stati ben disposti, la via e la terapia che li avrebbe liberati dalle paure infondate che turbavano l’anima, sempre animati da un’autentica φιλία.

Tenendo conto di questi elementi, bisogna valutare il giudizio di Plutarco e Cicerone sugli Epicurei, secondo il quale i filosofi del Giardino erano da considerarsi come dei parassiti della società che sfruttavano i vantaggi che offriva la vita vissuta nel regno, ma non collaboravano nella gestione di questo277. Se da una parte è vero che per raggiungere il proprio scopo gli Epicurei si pongono ai margini della società e tendono a non entrare in politica, di fatto in alcuni casi sono stati coinvolti in affari politici e sono stati disposti a scendere in campo qualora le circostanze lo avessero richiesto. In questo l’Epicureismo dimostra di essere molto pragmatico e di non essere mosso da verità

275 Cfr. infra, pp. 105-116.

276 Cfr. Diog. Laert. X 10. Sulla critica alla πολυφιλὶα cfr. Epicur., SV 28.

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assolute e sempre valide, che si rivelano troppo generiche e inapplicabili alla vita reale. Epicuro si è chiuso nella sicurezza del Κῆπος in quanto nessuna legge lo costringeva a uscirne. Se il σοφός fosse stato obbligato a prendere parte alle vicende politiche, lo avrebbe fatto senza riserve, in modo tale da non dover subire punizioni per non aver adempiuto ai propri doveri. Per questa ragione gli Epicurei non sono stati dei parassiti della società, ma hanno semplicemente vissuto nel modo che per loro era più conveniente, senza infrangere nessuna legge. Gli Epicurei non elaborano una vera e propria dottrina politica, ma non possono prescindere dalla sottomissione ai governi e alle leggi, dato che non tutti gli uomini aderiscono alla filosofia epicurea. La comunità filosofica, ovviamente, non può essere del tutto indipendente dalla vicenda storica in cui è collocata, anche qualora si tenti di vivere in disparte, lontani dal resto della società. In questo contesto, tuttavia, la φιλία si rivela essere una valida alternativa alla vita politica, in quanto è nella ristretta comunità di amici che si riescono a mettere in pratica i dettami del Maestro in vista dell’εὐδαιμονία. A partire da Epicuro, gli Epicurei hanno trattato di temi politici perlopiù “in senso negativo”, ossia senza dare vere indicazioni su quale dovesse essere la costituzione migliore possibile e senza redigere una vera e propria filosofia del diritto. Questo, tuttavia, non ha impedito loro di far convivere la politica e la filosofia e di cercare un punto d’incontro, quando era possibile farlo, sempre riservando un primato alla seconda, unica vera via che avrebbe condotto alla felicità. Gli Epicurei, quindi, non hanno mai rinnegato la propria identità di cittadini, come al contrario avevano fatto i Cinici, pur evitando di agire in prima linea. È più giusto affermare, invece, che chi entrava a far parte della cerchia epicurea preferiva dare il primato al proprio essere etico, piuttosto che all’uomo politico. Questo non rendeva l’Epicureo un parassita della società, ma era la via migliore per riuscire a diventare un θεὸς ἐν ἀνθρώποις278.

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