• Non ci sono risultati.

Il portico e l’iscrizione

CAPITOLO 4: L’eredità di Diogene di Enoanda

4.1. Il portico e l’iscrizione

Prima di concludere, è necessario soffermarsi su un ultimo esponente dell’Epicureismo del II secolo d.C.: Diogene di Enoanda. Il dibattito concernente la datazione del portico di Enoanda è stato molto fervido1: mentre Canfora tende ad anticipare la data dell’iscrizione del portico al I secolo a.C., ritenendo che vi sia un legame tra Diogene e Lucrezio, Smith sostiene che questo sia improbabile e propone di posticiparlo al periodo del regno di Adriano. Il nome di Diogene, infatti, è stato restituito da una monumentale iscrizione posta su un portico a Enoanda. Su quest’uomo si hanno poche informazioni2: si sa solo che egli visse a Enoanda in Licia, Asia Minore3, oggi in Turchia, e che una volta convertito all’Epicureismo decise di diffondere la filosofia di Epicuro in un modo del tutto nuovo, incidendo sul portico di una piazza della sua città, alcuni degli insegnamenti epicurei. L’iscrizione non è stata ricostruita nella sua interezza perché gli scavi sul sito archeologico turco sono ancora in corso. Non si sa di preciso come fosse il portico su cui era posta l’iscrizione e quanto fosse grande, tuttavia, sono già stati ritrovati diversi frammenti di testo che trattavano di fisica e di etica epicurea, vi erano poi inserite numerose lettere appartenenti all’epistolario di Diogene, una raccolta di massime, principalmente di carattere etico, alcuni testi dello stesso Epicuro, tra cui la Lettera alla madre, della quale non tutti gli interpreti sono concordi sull’attribuzione4, il breve

1 Cfr. Canfora, 1992; Smith, 1993b e Canfora, 1993a.

2 Sull’impossibilità di identificare chi esattamente sia stato Diogene di Enoanda, cfr. Hall, 1979,

studio nel quale sono avanzate delle ipotesi per risolvere questo dubbio, ma che poi non fornisce una risposta al quesito di partenza. Per l’interpretazione di Chilton, invece, cfr. Chilton, 1971, pp. XVIII-XXI. Cfr., inoltre, Casanova, 1984, pp. 70-74 e Clay, 1989, pp. 316-319.

3 Cfr. Chilton, 1971, pp. XV-XVIII.

152

Testamento di Diogene e il suo De senectute5. Dall’iscrizione, però, emerge qualche notizia sul suo autore: Diogene sicuramente quando fece costruire il portico6 era in età avanzata7, soggiornò a Rodi8 e aveva degli amici ad Atene, Calcide e Tebe.

Per quanto riguarda i contenuti filosofici, egli sembra essere in linea con i principi dettati dalla scuola epicurea. Anche sui temi che sono più specificamente oggetto di questo lavoro, Diogene non si discostò da quello che era stato sostenuto dai suoi predecessori. Ad esempio, afferma che:

«| πολλοὶ γὰρ πλούτου καὶ δό]- | [ξες] ἕ̣[νε]κ̣εν τὸ φιλο- | [σο]φ̣εῖν̣ μ̣εταδιώκου- |[σ]ιν, ὡς ἤτοι παρ’ ἰδι- | ωτῶν ποριούμενοι | ταῦτα ἢ βασιλέων, οἷς | μέγα τι καὶ τείμιον | κτῆμα φιλοσοφία | πεπίστευται. οὐχ ἵ- | να οὖν τι τῶν εἰρη- | μένων καὶ ἡμεῖν γέ- |νηται, πρὸς τὴν αὐ- | τὴν ὡρμήσαμεν πρᾶ- | ξιν, ἀλλ’ ὅπως εὐδαι- | μονήσωμεν τὸ ἐπι- | ζ̣η̣τ̣ούμενον ὑπὸ τῆς | φύσεως κτησάμενοι | τέλος. τί δ’ ἐστὶ τοῦ- | το, ὅτι τε μήτε πλοῦ- | τος αὐτὸ δύναται | παρασχεῖν, μήτε δό- | ξα πολειτική, μήτε | βασιλεία, μήθ’ ἁβρο- | δίαιτος βίος καὶ τρα- | πεζῶν πολυτέλεια, | μήτ’ ἀφροδεισίων | ἐγλελεγμένων ἡδο- | ναί, μήτ’ ἄλλο μη- | δέν, φιλοσοφία δὲ | περιπο[ιεῖν δύναται], | ἡμεῖς [νῦν ἀποδείξο]- | μεν, ὅλ[ον προθέντες τὸ] | πρόβ̣λ̣η[μα ὑμεῖν. τήν]- | δε μὲν [γὰρ τὴν συνγρα]- | φὴν οὐχ [ἡμῶν αὐτῶν χά]- | ριν, ἀλλ’ ὑ̣[μῶν ἕνεκα, ὢ πο]- | λεῖται, κ[οινῶς ἐγραψά]- | μεθα, ὅ[πως αὐτὴν παροῦ]- | σαν ὑμε[ῖν πᾶσιν εὐπρο]- | σόδῳ τ[ρόπῳ χωρὶς φθόν]- | γου κατ[ασκευασώμε]- | θα, καὶ – – – – – – – – – | ὑμῶν δ – – – – – – – – – –»9. 5 Cfr. Casanova, 1984, pp. 29-69; Hammerstaedt, 2015.

6 Di parere diverso è Casanova, 1984, p. 30, secondo cui Diogene non fece costruire il portico, ma

commissionò solo l’iscrizione.

7 Cfr. fr. 3, col. II, ll. 7-12 Smith: «[ἐν δυ]σμαῖς γὰρ ἤδη | [τοῦ β]ίου καθεστη- | [κότ]ες (διὰ τὸ

γῆρας | [καὶ ὅ]σον οὔπω μέλ- | [λοντ]ες ἀναλεύειν | [ἀπὸ τ]οῦ ζῆν) (...)»: “(...) avendo ormai raggiunto il tramonto della vita – per la vecchiaia appunto essendo quasi sul punto di staccarmi dal vivere (...)” (traduzione mia). Cfr. anche l’incipit del De senectute in cui l’autore si rivolge ai giovani dicendo che spesso si arrabbia con chi non è ancora invecchiato (fr. 138, col. I, ll. 1-12 Smith), la Lettera ad Antipatro (fr. 63, coll. I-II Smith) e il Testamento (fr. 117, col. I, ll.1-11 Smith), in cui Diogene afferma di avere una grave malattia al cuore.

8 Cfr. frr. 62, col. II, ll. 9-14; 63, col. I, ll. 1-14; 122, col. III, ll. 1-6 Smith. 9 Fr. 29, coll. I-II Smith. Cfr. anche NF 207.

153

“(...) molti perseguono la filosofia in vista di ricchezza e fama, con lo scopo di procurarsi queste cose da individui privati o dai re, dai quali la filosofia è ritenuta essere un possesso grande e prezioso. Bene, non in modo tale da ottenere qualcuna delle cose dette ci siamo avviati alla stessa attività, ma per essere felici raggiungendo il fine desiderato dalla natura. Che cos’è questo, che in sé non possono procurare né la ricchezza, né la fama politica, né il regno, né la vita raffinata, né i banchetti sontuosi, né i piaceri di amori straordinari, né nient’altro, ma soltanto la filosofia può assicurarlo, questo appunto, o cittadini, noi lo renderemo disponibile a tutti voi in una forma accessibile senza istruzione orale” (trad. propria).

Diogene, dunque, non ritiene che la ricchezza e il potere possano essere la fonte del piacere e della felicità, dato che questi non sono beni da perseguire, a differenza della filosofia. In molti sperano di trovare nella ricchezza la vita piacevole e si affaticano per diventare ricchi, ma poi una volta raggiunto il loro scopo si lamentano10, in quanto i beni di cui si

circondano non riescono a tranquillizzare l’animo e ad eliminarne le passioni. Più avanti, poi, ribadisce un punto essenziale:

«[οὔτε πολει]- | τικὴ δόξα οὔτε βασι]- | λεία οὔτε πλοῦτος] τ̣ῆς | [ἡδονῆς ποιητι]κός | [ἐστιν. ὁ δ’ οὖν φ]ι̣λόσο- | [φος τὴν] ἐπισ̣τατείαν | [καὶ ἀρχὴ]ν̣ Ἀλεξάνδρου, [ἢ ἔτι πλέ]ον ἢ καὶ αὐτὸς | [εἶχεν, οὐ] βούλεται, ὡς | [ἄνθρωποι] φύσιν ἔχο̣[υ]- | [σιν οὐδὲν] τοῦ κ[ενοῦ] | [χρῄζοντες]»11.

“Né la fama politica, né la regalità, né la ricchezza producono il piacere. Il filosofo, perciò, non vuole l’autorità e il comando di Alessandro, o ancor di più di quanto lui ne avesse, dal momento che gli esseri umani sono costituiti per non avere bisogno di ciò che è vano”.

Questa sembra essere una esplicita condanna rivolta a coloro che sono al potere: chi riveste ruoli politici importanti, come Alessandro, perde di vista il vero bene e si rivolge solo all’accumulazione di piaceri vani, senza provare mai soddisfazione e, dunque, tranquillità.

10 Cfr. frr. 152, col. III, ll. 5-13; 154, col. I, ll. 1-8 Smith. 11 Fr. 51, col. I, ll. 1-12 Smith (traduzione mia).

154

In opposizione alla vita condotta da coloro che aspirano a rivestire ruoli importanti, Diogene mostra quale sarebbe la situazione ideale che avvicinerebbe gli uomini agli dei:

«[τὴν μὲν οὖν σοφίαν οὐ παντακοῦ κομι]- | οῦμεν, ἐπεὶ πάντες μὴ | δύνανται. δυνατὴν δὲ | αὐτὴν ἂν ὑποθώμ̣ε̣θα̣, | τότε ὠς ἀληθῶς ὁ τῶν | θεῶν βίος εἰς ἀνθρώπους | μεταβήσεται. δικαιο- | σύνης γὰρ ἔσται μεστὰ | πάντα καὶ φιλαλληλίας, | καὶ οὐ γενήσεται τειχῶν | ἤ νόμων χρεία καὶ πάν- | των ὅσα δι’ ἀλλὴλους | σκευωρούμεθα. περὶ δὲ | τῶν ἀπὸ γεωργίας ἀναν- | καίων, ὡς οὐκ ἐσομέ- | νων ἡμ̣[εῖν τότε δούλων] - | καὶ γὰρ ἀ[ρόσομεν αὐτοὶ] | καὶ σκάψο[μεν, καὶ τῶν φυ]- | τῶν ἐπιμελ̣[ησόμεθα], | καὶ ποταμο[ὺς παρατρέ]- | ψομεν, καὶ τὰ̣[ς φορὰς] | ἐπιτηρήσο̣[μεν - - - -] | μεν ἃ μὴ τῶ[- - - - -] | μενοι καιρο[- - - -], καὶ διακόψει̣ [κατὰ τὸ] | δέον τὸ συνε[χῶς συνφι]- | λοσοφεῖν τοι̣α̣[ῦτα· τὰ] | γὰρ γεωργή[ματα ὧν ἡ] | φύσις χρῄζει̣ [παρέξει]»12.

“Così noi non dovremmo ottenere la saggezza universalmente, dal momento che non tutti siamo capaci di farlo. Ma se assumiamo che questo sia possibile, allora davvero la vita degli dei passerà agli uomini. Infatti, tutto sarà pieno di giustizia e di amore reciproco, e non ci sarà alcun bisogno delle fortificazioni o delle leggi e di tutto ciò che macchiniamo gli uni contro gli altri. Ma cura per i prodotti necessari dell’agricoltura, perché non dovrebbero esserci schiavi. E infatti areremo noi stessi e zapperemo e ci cureremo del bestiame e devieremo i fiumi e scruteremo gli astri al loro sorgere (...). E tali attività interromperanno secondo il necessario la continuità dello studio in comune della filosofia; dal momento che i lavori agricoli ci procureranno ciò di cui la natura ha bisogno (...)”.

Questo è ciò cui ambirebbe Diogene teoricamente. Il saggio non agisce giustamente perché segue le leggi o le prescrizioni divine, ma in virtù della propria capacità di giudizio dei propri deideri13. Di nuovo qui si può notare come la legge non abbia alcun valore in una società di uomini dediti alla filosofia e che desiderano soltanto di vivere semplicemente,

12 Fr. 56, coll. I-II Smith (traduzione mia). 13 Cfr. NF 126, coll. I-II.

155

senza accumulare grandi ricchezze14, ma praticando l’agricoltura15 solo per soddisfare i propri bisogni naturali e necessari. Diogene sa benissimo che questa è una fantasia inattuabile nella realtà, poiché egli constata il fatto che:

«[πᾶν ζῶ̣]ο̣ν̣ οὐ δύναμαι συνθήκην̣ [ποιεῖσθαι ὑπὲρ τοῦ μὴ βλάπτειν μηδὲ βλάπτεσθαι]»16.

“ogni essere vivente non è capace di stringere il patto di non danneggiare né essere danneggiato” (trad. propria).

Qui egli sembra voglia intendere che solo il timore di una punizione17 e, quindi, l’instaurazione di una legge, rendono possibile la vita in comune, che altrimenti sarebbe caratterizzata da continue lotte e turbamenti. Questa lotta perenne ha fatto sì che si creassero le classi sociali, visto che:

«οὐχ ἡ φύσις, μία γε οὖ- | σα τῶν πάντων, εὐ- | γενεῖς ἢ δυσγενεῖς | ἐποίησεν, ἀλλ’ αἱ πρά- | ξεις καὶ διαθέσεις»18.

“Non la natura, che è la stessa per tutti, ci ha reso persone nobili o ignobili, ma le azioni e la disposizione personale”.

Ma bisogna comprendere che non sono queste le cose importanti di cui curarsi e che non bisogna affannarsi nel compiere delle azioni che recano più fastidi che benefici19. Questo continuo impegnarsi in pratiche inutili non giova alla propria anima, come anche l’essere schiavi di attività che non aiutano a conseguire il proprio fine, quali per esempio l’arte

14 Cfr. fr. 108, col. I, ll. 1-10 Smith: «[οὐ χρησιμώτερον τὸν παρὰ] | φ̣ύ̣σ̣ι̣ν̣ π̣λοῦτ̣ο̣[ν ἢ ὕδωρ ἀν]- |

γείῳ τινὶ πλήρει̣, [ὥστε] | περιρεῖν ἔξωθεν̣, [ὑπολημ]- | πτέον. vacat | δυνάμεθα βλέπειν [ἀφθόνως] | καὶ τὰ τῶν ἄλλων κτή̣[ματα] | κἀκείνων γε ἥδεσθαι [καθα]- | ρώτ̣ε̣ρ̣ο̣ν̣. τ̣ῆ̣ς γὰρ ὀ̣[ρέξε]- | [ώς ἐσμεν ἐλεύθεροι]»: “Bisogna considerare la ricchezza oltre natura come se non avesse più valore che l’acqua in un vaso pieno: entrambe traboccano fuori. Possiamo guardare anche i beni degli altri senza invidia e goderne in modo più puro di loro, dal momento che siamo liberi da questi desideri” (traduzione mia).

15 Cfr. Diog. Laert., X 120.

16 Cfr. fr. 56 – lower margin – Smith.

17 Cfr. Morel, 2017, pp. 226 ss..

18 Fr. 111, col. I, ll. 7-11 Smith (traduzione mia). 19 Cfr. fr. 113, col. I, ll. 1-10 Smith.

156

oratoria o la carriera militare, nelle quali si deve necessariamente stare alle dipendenze di altri20. Diogene, dunque, ha fatto trasparire dal suo portico quello che era il suo pensiero politico, senza riserve. Egli è talmente esplicito nello sconsigliare l’impegno in politica, che arriva a criticare anche Alessandro Magno, considerato da tutti come l’uomo più potente di tutti i tempi e stimato largamente21. In questo Diogene si avvicina molto all’atteggiamento tipico di Epicuro che criticava uomini potenti del passato e amati da tutti, in quanto paradigmi canonizzati della politica che non avevano compreso realmente quale fosse la giusta condotta da mantenere22. Egli, infine, critica gli effetti della tirannia23, seguendo ciò che è stato riportato anche da Diogene Laerzio nel libro dedicato a Epicuro24.