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L’acquisizione dell’italiano come lingua L2

CAPITOLO IV: Donne rifugiate e richiedenti asilo: il fenomeno della tratta intercettato

4.6 L’acquisizione dell’italiano come lingua L2

I dati nazionali mostrano che 3 beneficiari su 4 presentano un livello di istruzione medio- bassa o sono analfabeti al momento dell’arrivo in Italia (Sprar 2016), tale percentuale si collega a determinate aree di provenienza, le quali corrispondono alla maggioranza dell’utenza accolta nelle strutture.

In più si aggiunge il fattore che chi si trova in certe zone geografiche non ha avuto l’accesso all’istruzione che hanno avuto persone che provengono da altre zone. Tant’è che i dati stanno su

una percentuale del 25% con picchi di 30 per alcune località geografiche e provenienti dall’africa subsahariana che vengono in Europa analfabete, non sanno leggere e non sanno scrivere in nessuna lingua.

(Formatore linguistico, coordinatore scuola italiano)

Per chi lavora in senso lato nell’accoglienza e richiesto dagli stessi progetti, risulta il ruolo dell’apprendimento linguistico e il conseguimento della licenza media.

Consideriamo una cosa come primo fattore, l’esito felice o infelice, di più successo del percorso d’accoglienza dipende dal riconoscimento da parte di chi vi lavora all’interno dell’aderenza degli ospiti al progetto. I tirocini, le formazioni, vengono proposti non solo a chi parla meglio l’italiano ma a chi è più aderente al progetto. Il tema della lingua è e rimane comunque sempre centrale.

(Formatore linguistico, coordinatore scuola italiano)

Considerata tale criticità di partenza, inerente al contesto di origine, la scuola di italiano rappresenta un tassello fondamentale per la possibilità della persona di inserirsi nel tessuto economico e sociale, tuttavia:

Gli viene chiesto di imparare italiano in posti che cambiano in continuazione, in posti differenti, con modalità differenti, all’interno di quella che è la scuola pubblica italiana che non prevede percorsi di alfabetizzazione quindi al CPIA non è previsto un corso di letto-scrittura. La difficoltà diventa oggettiva per questo 25% e 30% persone.

(Formatore linguistico, coordinatore scuola italiano)

All’interno della struttura SPRAR/SIPROIMI nella quale sto svolgendo l’esperienza di servizio civile, la maggior parte delle utenti parla il nigerian pidgin english84(NPE), ad eccezione di una ragazza francofona della Guinea, di un nucleo mono-parentale albanese, e all’interno del C.A.S. di un nucleo mamma-figlio pakistani e di un nucleo familiare georgiano.

Il Pidgin nigeriano può essere considerato un anello di una catena di pidgin lessicali inglesi e Creoli parlati lungo la costa dell'Africa occidentale e nelle comunità della diaspora africana in tutto il bacino atlantico (Faraclas. 1996) ed è in costante espansione; sono rilevabili circa 75 milioni di parlanti di Nigerian Pidgin English (Faraclas, 2013).

I centri di accoglienza spesso si trasformano in enclave di apprendimento linguistico ma non sempre dell’italiano. Sempre ritornando all’osservazione degli utenti delle strutture, gli utenti francofoni o di altri paesi prima dell’italiano imparano il pidgin, cioè la varietà di inglese tipica della Nigeria, che non è inglese ma è un’altra lingua.

(Formatore linguistico, coordinatore scuola italiano)

È stato attivato un corso di italiano della durata complessiva di 12 ore per gruppi di 4 persone, suddiviso in livello A0 e A1, all’interno della struttura SPRAR/SIPROIMI, alla quale hanno accesso anche le persone inserite nei CAS adiacenti, ha aiutato, anche se per R., una mamma con due gemelli di due anni con un forte attaccamento nei suoi confronti e con il marito non convivente, è difficile seguire le lezioni, così come per un’altra donna richiedente con un figlio di pochi mesi a carico; nonostante la presenza del marito è comunque lei la principale responsabile delle cure.

Da quanto ho visto non c’è un bilanciamento delle cure dei figli, poi ci son delle eccezioni, ci son delle famiglie che arrivano con un’impostazione per cui la cura del bambino viene più affidato alla donna, poi nel corso dell’esperienza che fanno sul territorio, vuoi per motivi di progettualità, vuoi per altro la situazione si ribilancia e si adegua su uno standard che è più il nostro rispetto che al contesto di partenza, però quello che è più comune osservare è che c’è una netta divisione dei ruoli dove l’uomo va alla ricerca del lavoro, quindi esce di casa e sta fuori, e dove alla donna viene affidata la cura dei bambini.

(Referente distrettuale dell’area Cas di 7 strutture)

I progressi nelle lezioni di italiano all’interno della struttura sono maggiori per coloro che hanno ricevuto un’istruzione più elevata nel paese di origine, le due donne laureate di origine pakistana e georgiana, nonostante la loro permanenza in struttura sia più recente, hanno risultati più evidenti. Al contrario, coloro che non hanno ricevuto un’istruzione nel paese di origine e sono bassamente scolarizzate hanno difficoltà elevate. Chi ha i figli non inseriti all’asilo nido e un compagno non presente fisicamente in struttura o che lavora, non riesce a seguire con costanza le lezioni del CPIA, talvolta anche quelle interne alla struttura, che si svolgono sempre al mattino, poiché appuntamenti sanitari (molto frequenti per chi ha un bambino nella fascia 0-2) o legali si collocano nella prima parte della giornata.

Chi ha un’alta scolarizzazione aderisce molto di più al progetto e aderisce con successo, riescono più facilmente ad imparare la lingua, prima di tutto, poi anche a trovare un lavoro e ad integrarsi di più. Quelle che hanno una bassa scolarizzazione è difficile, perché un’integrazione senza una lingua è praticamente impossibile.

(Operatrice all’interno di due ex sprar e due cas)

Perché la terza media è il trampolino di lancio per tutto, alcune utenti dicono che vogliono far dei corsi professionalizzanti e poi come requisiti si legge “terza media” e tu utente non stai frequentando un bel niente.

(Referente 2 Cas provincia di Bologna)

Tuttavia, l’apprendimento linguistico sembra essere caratterizzato da difficoltà plurime, strutturali e individuali, difficilmente separabili. Da una parte, se nell’apprendimento linguistico uno dei fattori che influisce maggiormente sembra la motivazione individuale, anche strumentale, poiché imparare per inserirsi in un contesto lavorativo è quasi sempre considerato l’obiettivo primario qualora l’apprendente stia costruendo un progetto di vita sul territorio di accoglienza, (Mamusa, 2020) i limiti strutturali di dipendenza dal progetto di accoglienza schiacciano spesso l’agency individuale. La logica del sistema di accoglienza tra “tensione profonda e pervasiva tra cura e controllo” (Fassin, 2005, p. 362) dei richiedenti protezione internazionale si riflette anche sulle dinamiche che si dispiegano nella scuola d’italiano (Galli, 2017).

Anche a livello relazionale, di autonomia, di dipendenza, per come è disegnata l’accoglienza schiaccia la loro agency da ogni lato, chiaramente questo va ad influenzare l’apprendimento linguistico. Anche perché dentro casa non si parla italiano, quello che viene considerato italiano l2, l2 è una lingua in un contesto immersivo, chi vive in una struttura d’accoglienza non vive in un contesto immersivo di italiano. È un limite strutturale delle persone in cui le persone vivono.

(Formatore linguistico, coordinatore scuola italiano)

L’ambivalenza della relazione d’aiuto finisce per produrre un’immagine del richiedente asilo come passivamente bisognosa di assistenza e, dunque, destinataria di interventi che come effetto ultimo ne impediscono l’autonomia (Galli, 2017).

Inoltre, specificatamente per l’utenza femminile che è portatrice di vissuti di violenza, si aggiunge il tema dei pensieri intrusivi traumatici nelle difficoltà di apprendimento linguistico.

L’apprendimento ha un filtro affettivo, il muro sopra la testa. Il trauma è un filtro affettivo bonus. Tu hai già i tuoi filtri affettivi e poi questo. Bisogna riuscire a scavalcarlo quando serve. Far vivere l’esperienza dell’apprendimento come anche un’esperienza catartica e non “lo devi fare perché sennò sei nei casini”. Diventa una punizione.

(Formatore linguistico, coordinatore scuola italiano)

Se ci sono delle condizioni chiaramente post traumatiche cioè un allarme costante noi sappiamo che alcune parti della nostra mente non funzionano proprio. Noi ci occupiamo solo dell’allarme, di stare in guardia. Senza lavorare su quella cosa lì non rendiamo una persona capace di aderire a nessun tipo di progetto che può essere la scuola, le relazioni, il contatto con i luoghi, con le persone, con tutto. Noi ci dobbiamo occupare di questa cosa per rendere le persone capaci o meglio libere da questo incastro di poter costruire il loro progetto di vita.

(Psicologo psicoterapeuta all’interno di un’associazione)

Per quanto descritto precedentemente, è fondamentale che le strutture d’accoglienza possano far riferimento a servizi che offrano un sostegno psicologico, e si riscontra positivamente come sul territorio dell’area metropolitana di Bologna siano presenti servizi specialistici con un’attenzione specifica alla dimensione di genere nell’accoglienza.

Forse con le donne quello che noi immaginiamo possa essere in un qualche modo facilitante ma non per forza è la presenza delle donne in equipe che noi formiamo, che sono sempre formate nella maggior parte da donne e forse questo aiuta ma poi sappiamo che all’interno della tratta non è solo il maschile ad essere violento, persecutorio o allarmante, è anche la presenza femminile. In ogni caso la possibilità di far incontrare a loro sia presenze maschili che femminili rassicuranti e accoglienti è necessario io li userei sempre insieme.

(Psicologo psicoterapeuta all’interno di un’associazione)

Se da una parte il contesto territoriale sembra essere propositivo e accogliente, tuttavia, la

proposta di un invio a questi tipi di servizi di presa in carico psicologica non è immediata, e anche qualora vengano iniziati, non è detto che si arrivi ad una continuità nel percorso.

Spesso le ragazze preferiscono parlare di una persona di cui si si fidano perché già le ha aiutate su altri versanti e quindi spesso siamo noi che facciamo le psicologhe senza averne le competenze. È più per loro un setting informale quando parlano con noi e quindi riescono a dir le cose in quel momento, in quel contesto. Poi per creare una relazione di fiducia con un operatore non è facile

poi non sai le informazioni come vengono utilizzate quindi c’è molta confusione, poi è complicato anche dal punto di vista pratico, i figli non possono andare con loro, dove li lasciano?

(Operatrice presso due ex sprar e due cas)

Delle undici donne rifugiate e richiedenti asilo che ho potuto seguire, di fronte ad un vissuto di violenza intra-familiare o di sospetta permanenza nella tratta che può riguardare circa la metà delle ospiti, ed in particolare quelle provenienti dall’Africa subsahariana, tuttavia soltanto una ha seguito con costanza un percorso di sostegno psicologico.