CAPITOLO IV: Donne rifugiate e richiedenti asilo: il fenomeno della tratta intercettato
4.7 Possibilità di inserimento professionalizzante settoriali ed esclusive
Il tema dell’apprendimento linguistico poi è doppiamente collegato all’inserimento lavorativo, da una parte perché spesso tra i criteri di selezione per le attività di tirocinio sono espressamente richieste conoscenza della lingua italiana, e dall’altra, i pochi posti disponibili a fronte di un ampio numero di utenza, creano meccanismi di esclusione di quella parte di utenza con una conoscenza inferiore della lingua italiana.
Di base l’opportunità di tirocinio o di lavoro è sempre gradita e ricercata da tutti quanti, perché a differenza di un volontariato il tirocinio ti dà una retribuzione. Poi quando arrivano alle strutture magari tramite nostri canali o tramite ricerche, opportunità di tirocinio ma per magari uno o due posti e tu hai trenta ospiti è ovvio che la proposta deve passare da una scelta ad esclusione purtroppo, che di base è l’italiano, se un’ospite ha fatto un pochino del percorso di italiano, ha raggiunto un livello discreto, almeno quelle basi di interazione col prossimo ci sono quindi ha quelle possibilità che venga proposto un tirocinio piuttosto che a chi è alle basi, è un grande spartiacque ed è un qualcosa su cui noi con gli ospiti continuiamo a rimarcare.
(Referente 2 cas provincia di Bologna)
Di tirocini ce ne sono pochi, e spesso se non sono pagati, a meno che la ragazza non sia molto molto motivata non lo fa e poi c’è sempre il problema della lingua, quando devono fare un corso o un tirocinio richiedono un livello di italiano minimo e poi non passano la selezione.
Il fatto di non poter accedere ad un inserimento lavorativo risulta frustrante e disincentivante per chi in passato ha avuto la possibilità di lavorare e di imparare la lingua locale immergendosi direttamente in un contesto lavorativo.
Le ragazze hanno sempre detto, magari quelle che son passate per la Libia “io ho iniziato a lavorare e poi ho imparato un po’ la lingua, è impossibile non lavorare e imparare una lingua solo studiando”. Non avendole mai studiato le lingue direttamente le hanno sempre imparate lavorando, stando sul posto, anche perché in Italia non parlano con così tanti italiani nel centro di accoglienza, è anche questo il problema.
(Responsabile di un ex sprar e due cas)
Mi son trovata a chiedere “magari non vuoi imparare l’italiano perché non vuoi stare in Italia e vuoi andar altrove” e loro dicevano “eh no magari poi lo imparo lavorando”
(Referente 1 cas provincia di Bologna)
L'immigrazione femminile ha posto una serie di interrogativi di genere: come è cambiata la divisione del mercato del lavoro con l'arrivo di queste donne? Alcune nuove domande sorgono quando i flussi si modificano con l'arrivo di nuove componenti: Donne magrebine o bengalesi per motivi di ricongiungimento familiare; donne africane rifugiate come le somali; donne trafficate dall'Europa orientale o dalla Nigeria (Campani, 2007). La femminilizzazione delle migrazioni ha a che fare con la domanda di lavoro di cura da parte delle società di arrivo (Ambrosini, 2013). L'Italia è uno dei pochi paesi europei in cui le donne straniere hanno un più alto tasso di partecipazione alla forza lavoro rispetto alle donne native (Rubin et al. 2008). Le ricerche, che non mostrano dati differenziati per donne migranti economiche e forzate, mostrano in generale come la segregazione lavorativa sia particolarmente forte per le donne migranti. Esse infatti sono concentrate in cinque settori professionali: lavoratrici domestiche, donne delle pulizie, cameriere, infermiere, impiegate e il 40 per cento del lavoro nel settore domestico (Fondazione Leone Moressa 2011).
I tirocini che sono stati attuati fino ad ora, sprar dà tirocini, cas no, erano donne delle pulizie, perché il livello della lingua era così basso che riuscivano a far quello e loro comunque richiedono di far le pulizie.
Tra le ospiti delle strutture seguite, gli ambiti professionali nei quali si sono inserite sono aree prevalentemente “femminili”: aiuto cucina, sartoria e amministrazione. Le tre donne che attualmente sono inserite in un corso formativo o di tirocinio, sono quelle poche con una buona padronanza della lingua italiana e che hanno ricevuto nel paese di origine un livello di istruzione almeno primaria, una è laureata. Un’altra delle ragazze ha in autonomia trovato lavoro informale come assistente alla persona. Nel caso di lavori informali spesso si appoggiano alle proprie reti sociali di persone che sono a loro volta inserite in altri centri di accoglienza.
Loro hanno la loro rete, anche fra di loro, che però noi non ne facciamo parte. Spesso ci dicono “la mia amica sta facendo questo questo lavoro e questo allora voglio farlo anche io” e son persone in altra accoglienza, quindi fra di loro c’è una rete e sfruttano più quei canali lì che magari, si non si sa mai se è una rete positiva o negativa, per carità.
(Referente 2 cas provincia di Bologna)
Le dinamiche del lavoro destinano alle lavoratrici immigrate- impieghi per i quali ci sarebbe una “naturale predisposizione” in quanto donne, e che possono essere classificati come lavori in cui è centrale la cura. Nel contesto preso in esame sembra riflettersi la divisione settoriale delle attività lavorative tradizionalmente assegnate alle donne anche in quelle immigrate come quelle di cura, il che porta ad escludere ulteriormente le donne dal mercato lavorativo.
Gli uomini è più facile anche che trovino un inserimento perché fanno lavori più pesanti dove bisogna avere forza fisica e anche a condizioni lavorative molto più pesanti. Mentre le donne o pulizie o prendersi cura di bambini o di anziani. L’uomo poi facendo più lavori manuali se glielo spieghi una volta poi glielo fai vedere non c’è bisogno che ci sia una comunicazione.
(Operatrice presso due ex sprar e due cas)
Dei quattro nuclei familiari presenti nelle strutture C.A.S, tre degli uomini richiedenti asilo sono inseriti in corsi professionalizzanti o svolgono mansioni lavorative nel settore agricolo o industriale. Tendenzialmente si nota come gli uomini siano i principali fornitori di sostentamento economico della famiglia, e anche in un’ottica di uscita dall’accoglienza, si inseriscono maggiormente in una dimensione lavorativa muovendosi nel territorio, mentre le donne, soprattutto se i minori non sono stati inseriti nel nido d’infanzia, si occupano delle cure e della dimensione domestica.
Ci son delle famiglie che arrivano con un’impostazione per cui la cura del bambino viene più affidato alla donna, poi nel corso dell’esperienza che fanno sul territorio, vuoi per motivi di progettualità, vuoi per altro, la situazione si ribilancia e si adegua su uno standard che è più il nostro rispetto che al contesto di partenza, però quello che è più comune osservare è che c’è una netta divisione dei ruoli dove l’uomo va alla ricerca del lavoro, quindi esce di casa e sta fuori, e dove alla donna viene affidata la cura dei bambini.
(Referente distrettuale dell’area cas di sette strutture)
Oltre ad un discreto livello di conoscenza della lingua viene facilitato nell’inserimento in un’attività di tirocinio poi chi ha proprie risorse ed esperienze pregresse spendibili. Nell’inserimento in un tirocinio professionalizzante sono le risorse che ognuna ha poi, perché ti arrivano quelle che hanno avuto un background, che son poche ma sono riuscite a studiare, o che sono particolarmente dotate in cucina, in sartoria, nei capelli, nelle extension e quindi riescono a trovare più facilmente un lavoro perché hanno qualcosa di pratico da offrire, e poi ad esempio il settore della cucina in Italia va molto, così come la sartoria, quindi risorse individuali.
(Responsabile di un ex sprar e due cas)
Dopodiché si valuta anche il tipo di attività richiesta, dal tipo di predisposizione degli ospiti, dal tipo di esperienza pregressa che hanno, se so che ho delle persone che erano state delle sarte quando erano in Nigeria, oppure che hanno fatto un corso di sartoria e c’è un laboratorio di sartoria lo propongo prima a queste persone rispetto ad altre che non hanno nessun tipo di esperienza simile.
(Referente distrettuale dell’area Cas di 7 strutture)
Tuttavia le risorse individuali che ognuna può mettere in gioco si scontrano con le ridotte possibilità offerte e come si accennava precedentemente anche con la collocazione fisica della struttura di accoglienza:
Sull’accesso ai tirocini il territorio in cui si trova la struttura può far la differenza. Perché se si è un territorio in cui viene fatta molta richiesta, o soprattutto c’è mobilità, ci sono mezzi di trasporto che ti permettono di raggiungere un luogo di lavoro, è più semplice rispetto ai luoghi isolati in cui per andar dal tirocinio dall’altra parte della città “ci metto due ore e non c’è l’autobus, e poi non torno a casa e se non dormo a casa è un problema perché il progetto mi caccia”.
(Referente distrettuale area Cas 7 strutture)
Chi dunque si trova con meno possibilità di inserimento professionalizzante sono le donne scarsamente alfabetizzate, con minori a carico e senza la presenza di un partner. Questi fattori si ricollegano spesso al profilo delle donne africane provenienti da regioni subsahariane, con particolare riferimento alla Nigeria, e il Corno d'Africa, Somalia ed Eritrea, che pur presentando esperienze migratorie diverse, condividono il rischio comune di finire in una sorta di "ghettizzazione" senza prospettive di integrazione nei paesi di ricezione a causa delle politiche migratorie dell'UE. I migranti africani in generale non hanno molte opportunità di lavoro nei Paesi dell'Europa meridionale: molti di loro sono impiegati nell’economia informale, che è un fenomeno estremamente visibile, incluso il fenomeno delle "nicchie etniche"; alcune sono coinvolte nei lavori domestici e di cura (ad esempio donne eritree che lavorano come domestiche e badanti in famiglie italiane) o settore dell'intrattenimento (ad esempio donne nigeriane, buona parte delle quali sono vittime della tratta) (Campani e Lapov, 2015).