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II. Dinamiche social

2. L’apogeo della città tra Due e Trecento *

Tra le città dell’Italia settentrionale del pieno medioevo, ancora non ben definite dal punto di vista politico, ma ormai autonome ed avviate verso pro- cessi di costruzione di entità statuali e verso forme di legittimazione dagli esiti diversi, viene assegnato un ruolo primario a Genova enfatizzato da un mito storiografico, il cosiddetto del volo del grifo, coniato nel primo Novecento. Si parla di una città dalle enormi potenzialità marittime ed economiche, prossi- ma a raggiungere i centomila abitanti prima della Grande Peste, delle straor- dinarie ricchezze dei suoi abitanti ed anche della singolarità di una soluzione politico-istituzionale, la diarchia Doria-Spinola, capace per una trentina d’an- ni, dal 1270 al 1299, salvo una breve parentesi di circa cinque anni, di guidare la città a strepitose vittorie nei confronti delle eterne rivali Pisa e Venezia, di conferire uno stabile assetto geopolitico a tutto il Dominio, di sedare e con- vogliare l’intensa conflittualità interna in una abbastanza solida cultura delle istituzioni.

Il mito è stato costruito su riscontri documentari e sulle voci del tem- po, di provenienza genovese o esterna. Giovanni Balbi, Iacopo da Varagine, Iacopo Doria, l’Anonimo poeta genovese vissuto tra Due e Trecento parlano entusiasticamente di una città potente, ricca, attiva, temuta, dominatrice dei

* Testo pubblicato originariamente come Genova, in Le città del Mediterraneo all’apogeo del-

lo sviluppo medievale: aspetti economici e sociali, Atti del diciottesimo convegno di studi del

Centro italiano di studi di storia e d’arte, Pistoia 2003, pp. 365-386.

 Credo che il primo a parlarne sia stato Vito Vitale. Tuttavia già lo storico tedesco George Caro aveva individuato nel lasso 1257-1311 il periodo più fulgido della storia genovese: g. cAro, Genova

e la supremazia sul Mediterrano (1257-1311) [tit. orig. Genua und die Machte am Mittelmeer,

Halle 1895-99], trad. it., «Atti della Società Ligure di storia patria», n. s., XIV (1974), 2 voll. Per quanto attiene al grifone, un animale ibrido che simboleggia varie virtù, compare nel sigillo gran- de di cera verde del Comune in cui il grifone (Genova) artiglia una volpe (Pisa) che tiene tra le fau- ci un gallo con la legenda Griphus ut has angit, sic hostes Ianua frangit: georgII STeLLAe Annales

Genuenses, a cura di g. peTTI BALBI, Bologna 1975 (Rerum Italicarum Scriptores XVII/2), p. 56. Il cronista dice di non sapere quando sia entrato in uso il sigillo e cosa rappresenti effettivamente il gallo, da altri indicato come un’aquila raffigurante l’impero: esistono comunque ancora opinio- ni divergenti su quest’animale, mentre il sigillo sarebbe entrato in uso alla fine del sec. XII. g. BAScApe’, Sigilli medievali di Genova, «Bollettino ligustico», XIII (1961), pp. 17-20; F. ceLLerIno,

Genova e il grifone, «Studi genuensi», VI (1988), pp. 109-113; M. MAcconI, Il grifo e l’aquila.

Genova e il regno di Sicilia nell’età di Federico II, Genova 2002.

Giovanna Petti Balbi, Governare la città : pratiche sociali e linguaggi politici a Genova in età medievale, ISBN 978-88-8453-603-7 (online), ISBN 978-88-8453-604-4 (print), © Firenze University Press

mari, giunta all’apice della potenza, nel momento della perfezione, in cui si manifestano però già segni di decadenza: degenerazione dell’etica mercan- tile, disinteresse per il bonum comune, affievolimento della tensione civica e dei valori etico-morali che erano stati alla base delle sue fortune. Queste impressioni di natura etico-morale sono consone allo status dei religiosi ap- pena citati e al loro pessimismo di laudatores temporis acti di fronte ad un riesame critico della storia e della funzione storica della loro città. Tuttavia paiono anche suggerite da riscontri oggettivi, quali la ripresa dei disordini in- terni e le competizioni politico-militari irrisolte di fine secolo, che li inducono a ritenere che si sia già concluso il ciclo dell’apogeo e si sia avviata la parabola discendente.

All’esterno si colgono più sfumati e più tardi i segnali di cedimento e la città continua ad essere celebrata ed annoverata tra le maggiori, non solo della penisola. Significativa in proposito è un’autorevole testimonianza spes- so chiamata in causa durante questo convegno. Si tratta della tassa imposta nel 1311 da Enrico VII di Lussemburgo nel Regnum Italiae per provvedere al mantenimento del vicario generale Amedeo V di Savoia e del suo eser- cito, usata dallo Hyde come indicatore della ricchezza delle principali città dell’Italia centrosettentrionale. Su una cifra di 300.000 fiorini ripartita tra una cinquantina di città e di signori Genova compare al primo posto con la contribuzione di 40.000 fiorini, seguita da Milano e da Venezia che non rag- giungono i 30.000, da Padova con 20.000, Brescia, Verona, in ordine decre- scente. Occorre precisare che la contribuzione riguarda Ianua cum districtu

videlicet Sangona, Naulum, Albengun, Ventimilia, cioè Genova con Savona,

Noli, Albenga e Ventimiglia, le città del suo distretto poste sulla Riviera oc- cidentale. Le riserve sul diverso atteggiamento politico delle città tassate nei confronti dell’imperatore e sul fatto che pochi giorni prima dell’attribuzione delle quote Genova si era data a Enrico VII possono suggerire cautele e ri- serve, ma non inficiare del tutto le valutazioni dei consiglieri imperiali sulle capacità contributive e sulla ricchezza delle città soggette o, come pare più probabile, sulla loro consistenza demografica.

 Un esame più complesso sulla mentalità del tempo e sull’atteggiamento di questi autori, con le indicazioni bibliografiche delle loro opere è in g. peTTI BALBI, Società e cultura a Genova tra Due

e Trecento, in Genova, Pisa e il Mediterraneo tra Due e Trecento. Per il VII centenario della bat- taglia della Meloria, «Atti della Società Ligure di storia patria», n. s., XXIV (1984), pp. 121-149 e

in eAD. L’identità negata: veneziani e genovesi nella cronachistica delle due città (sec. XII-XIV), in Genova, Venezia, il Levante nei secoli XII-XIV, ibid., XLI (2001), pp. 413-440.

 È la celebre Promissio civitatum et nobilium de subsidio solvendo, edita da I. SchWALM, Hannover 1906 (Monumenta Germaniae Historica, Constitutiones 4/1), n. 553. È stata ripropo- sta da J. K. hyDe, Società e politica nell’Italia medievale, 1999, trad. it., Bologna 1999, cartina n. 5 [London 1973].

 Cfr. da ultimo, A. ASSInI, Genova negli anni di Enrico VII di Lussemburgo: le fonti archivisti-

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Del resto anche dopo che la città aveva perduto la propria libertà ceden- done il dominio prima a Enrico VII e poi a Renato d’Angiò, tra il 1320 ed il ‘21 Giovanni Villani osserva che i genovesi sono i più ricchi e i più potenti non solo tra i cristiani, ma anche tra i saraceni. Benzo d’Alessandria, Guglielmo de Adam, Al Umari ne esaltano la potenza e la ricchezza, ma sottolineano anche l’instabilità di governo, la concorrenza in atto tra le più potenti consorterie cit- tadine, la precarietà dell’assetto socio-politico, le tensioni che vanno distrug- gendo la città. È quindi percepita da costoro, in particolare da Al Umari sul quale ritornerò, la dicotomia tra il disordine politico e la floridezza economica dei cittadini, tra l’instabilità delle istituzioni e la gestione individualistica delle risorse e del potere dentro e fuori la città da parte di un ristretto numero di famiglie che possono contare su forze e clientele mobilitate anche nel contado e nei loro feudi, oltre che su interessati appoggi esterni.

Alla luce di queste considerazioni il volo del grifo non pare una mera for- mulazione fantasiosa, ma la trasposizione in una suggestiva immagine di un giudizio storiografico costruito su dati obiettivi e strutturali che possono es- sere ancora arricchiti, come cercherò di dimostrare, integrando dati e notizie consolidate con qualche ulteriore parametro o qualche spunto di riflessione, in un tentativo di sistemazione non certo esaustiva, ma teso “a mettere insie- me le cose” per dirla con Marino Berengo.

Ritengo che, per parlare del periodo dell’apogeo della città, si debba par- tire dalla morte di Federico II che chiude una fase della competizione politica italiana ed innesca nuovi problemi. Al pari di altre città del Regnum Italiae Genova ha affrontato un lungo e dispendioso conflitto con l’imperatore, non solo per la salvaguardia della propria autonomia ed il controllo del Dominio, ma anche per la difesa delle posizioni economiche in precedenza acquisite nel

Regnum Siciliae, da dove viene di fatto estromessa0. I genovesi sembrano as-  D. ABuLAFIA, Genova angioina, 1318-35: gli inizi della signoria di Roberto d’Angiò, in La storia

dei genovesi, XII, Genova 1994, pp. 15-29.

 g. vILLAnI, Chronica, a cura di F .gherArDI DrAgoMAnnI, Firenze 1844-45, II, p. 244. Cfr. anche g. peTTI BALBI, Genova medievale vista dai contemporanei, Genova 1979, pp. 76-83.

 Per Benzo la città ditissima, opulentissima et potentissima è preda di violente lotte intestine che le si rivolgono contro. Guglielmo de Adam osserva che i genovesi sarebbero potentissimi inve- ce che ridotti a nulla, se non conoscessero la furibonde lotte di fazione che dilaniano le città della penisola: peTTI BALBI, Società e cultura, cit., p. 140.

 AL uMArI, Condizioni degli stati cristiani dell’Occidente, in Italia euro-mediterranea nel medioe-

vo: testimonianze di scrittori arabi, a cura di M. g. STASoLLA, Bologna 1963, pp. 289-299. Questo autore è ricordato anche da g. pISTArIno, Politica ed economia del Mediterraneo nell’età della

Meloria, in Genova, Pisa, il Mediterraneo, cit., pp. 23-50, in partic. pp. 45-46, ora anche rielaborato

in ID, La capitale del Mediterraneo: Genova nel medioevo, Genova 1993, cap. V, pp. 127-154.  M. Berengo, L’Europa delle città, Torino 1999.

0 g. peTTI BALBI, Federico II e Genova: tra istanze regionali e interessi mediterranei, in Studi e

sorbire il colpo e compensare la perdita di questo ricco mercato con strategie alternative. Intensificano le relazioni commerciali con l’Oriente, il Nord Africa, il Nord-Atlantico; si inseriscono abilmente nelle iniziative politico-religiose di Innocenzo IV e di Luigi IX di Francia, fornendo navi ed uomini ad alto prezzo; controllano le poche risorse del Dominio; incominciano ad interessarsi alle attività artigianali sorte in città ad opera soprattutto di forestieri e di immi- grati, mentre in precedenza il commercio aveva assorbito tutte le energie ed i capitali locali, generando una forte sperequazione tra commercio e industria, rappresentata quasi esclusivamente dall’attività cantieristica, la cui funzione positiva come strumento privilegiato per successi individuali o collettivi è pari o supera quella proveniente dai trionfi militari.

In particolare si sviluppa l’arte della lana che con le sue varie fasi di lavo- razione e con l’indotto conferisce un vigoroso impulso all’immigrazione e al- l’economia, favorendo anche l’ascesa economica e sociale di individui nuovi, in particolare i draperii. Si innesta un processo a catena e si crea un vorticoso giro d’affari che richiama, oltre mano d’opera generica e specializzata, cospicui operatori economici e banchieri forestieri, astigiani, senesi, piacentini, lucchesi, che operano su piazza per provvedere ai movimenti di merci e di danaro verso le fiere di Champagne e al trasferimento delle prebende dei molti canonicati che la politica nepotistica di Innocenzo IV ha elargito a parenti e connazionali. Ed in questo contesto nel 1252 si arriva anche a coniare il genovino, la prima mo- neta aurea battuta da un comune. Questa moneta locale ha però una limitata circolazione, forse perché i genovesi, sempre duttili e pronti ad adattarsi alle situazioni locali, non la impongono ad altri, nemmeno nelle proprie colonie.

Con lo sguardo rivolto soprattutto all’ambito artigianale e alla produzione laniera, il Lopez ha parlato di una fase di accelerazione dell’economia genove- se tra il 1248 ed il ‘55, alla quale segue una crisi fulminea, una sorta di tracollo non annunziato da altri sintomi significativi. Contratti di apprendistato e di lavoro, acquisti di lana, vendita di prodotti finiti, rivelano che quest’impresa ha raggiunto il suo culmine tra il ‘53 ed il ‘55, per precipitare rapidamente, ge- nerando fallimenti, crisi della mano d’opera, disordini, tensioni, malcontenti

n. s., XXXVI (1996), pp. 59-94, ora anche in Federico II e la civiltà comunale nell’Italia del Nord, a cura di c. D. FonSecA - r. croTTI, Atti del comitato nazionale per le celebrazione dell’VIII cente- nario della morte di Federico II, Roma 1999, pp. 99-130.

 r. S. Lopez, Studi sull’economia genovese nel medioevo, Torino 1936.

 g. peTTI BALBI, I signori della finanza: i Bonsignori a Genova nel pieno Duecento, in Società e

istituzioni del medioevo ligure, «Serta antiqua et mediaevalia», V (2001), pp. 83-98.

 F. cASAreTTo, La moneta genovese in confronto con le altre mediterranee nei secoli XII e

XIII, «Atti della Società Ligure di storia patria», LV (1928); g. FeLLonI, Profilo storico della

moneta genovese dal 1139 al 1814, in g. peSce-g. FeLLonI, Le monete genovesi, Genova 1975; A. M. STAhL, Genova e Venezia: la moneta dal XII al XIV secolo, in Genova, Venezia, il Levante, cit., pp. 19-334.

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sociali, che sfociano nel 1257 in rivolta politica e nell’istituzione del capitano del popolo. In realtà sintomi premonitori, causa ed effetto di una crisi non limitata al settore manifatturiero, sono il venire meno di commesse navali dopo la smobilitazione militare, la perdita temporanea del commercio isla- mico dopo il fallimento della crociata del ‘49, l’indebitamento e l’insolvenza della corona francese, il fallimento attorno al ‘55 di taluni importanti banchie- ri genovesi e forestieri, come il piacentino Guglielmo Leccacorvo o i genovesi Gregorio Negrobuono e Nicolò Calvo, le continue sfide con Pisa e Venezia per il controllo delle posizioni acquisite in Occidente ed in Oriente, la morte di Innocenzo IV che priva Genova di un naturale fautore e i Fieschi ed altre fa- miglie nobili a loro legate dell’appoggio necessario a mantenere il controllo politico sulla città. Si dovrebbe parlare di nobili e nobiltà di parte guelfa, se i termini guelfo e ghibellino non fossero vuoti contenitori di comodo; meglio quindi parlare di una parte della nobiltà, quella più chiusa, ancorata agli an- tichi privilegi ed ai possedimenti fondiari nel contado, non disposta ad asse- condare le istanze di rinnovamento sociale e politico provenienti dal basso e da larghi strati mercantili.

In altra sede mi sono già occupata dell’assetto sociale e ho delineato il per- corso e le modalità con le quali questi malcontenti si coagulano e approdano alla creazione del “popolo”, all’aggregazione di forze socialmente e cultural- mente non omogenee, accomunate dalla volontà di detronizzare l’antica classe di governo, ritenuta responsabile della difficile congiuntura, malcontenti che portano al potere nel ‘57 Guglielmo Boccanegra, il quale proclama di voler governare con l’appoggio dei consules ministeriorum et capitudines artium, ma che in realtà si mantiene per un breve periodo di tempo, avvalendosi del sostegno determinante del ceto mercantile da cui lui stesso proviene e della connivenza di una parte della nobiltà ghibellina, de potencioribus civitatis.  r. S.Lopez, L’attività economica di Genova nel marzo 1253 secondo gli atti notarili del tempo, «Atti della Società Ligure di storia patria», LXIV (1935), pp. 163-270; ID., La prima crisi della

banca di Genova (1250-59), Milano 1956; F. guereLLo, La crisi bancaria del piacentino Guglielmo

Leccacorvo (1259), «Rivista storica italiana», LXXI (1959), pp. 292-311; g. peTTI BALBI, Apprendisti

e artigiani a Genova nel 1257, «Atti della Società Ligure di storia patria», n. s. XX (1980), ora an-

che in eAD., Una città e il suo mare Genova nel medioevo, Bologna 1991, pp. 84-115.

 Sempre valido rimane l’ampio e documentato affresco di cAro, Genova e la supremazia sul

Mediterraneo, cit. Oltre le opere citate alla nota precedente, L. T. BeLgrAno, Documenti genovesi

editi ed inediti riguardanti le due crociate di san Ludovico re di Francia, Genova 1869; A. e.

SAyouS, Les mandats de Saint Louis sur son trésor et le mouvement international des capiteaux

pendant la septième croisade (1248-1254), «Revue historique», CLXVII (1913), pp. 254-304; A.

M. BoLDorInI, Da Tunisi a Trapani con i genovesi alla seconda crociata di Luigi IX, Genova 1967; M. BALArD, La Romanie génoise (XII-début du XV siècle), «Atti della Società Ligure di storia pa- tria», n. s., XVIII (1978), 2 voll.; peTTI BALBI, L’identità negata, cit.

 g. peTTI BALBI, Genesi e composizione di un ceto dirigente: i “populares” a Genova nei secoli

XIII-XIV, in Spazio, società e potere nell’Italia dei comuni, a cura di G. roSSeTTI, Napoli 1986, ora anche in eAD., Una città e il suo mare, cit., pp. 116-136.

Il nuovo regime “popolare” ridà linfa e slancio all’economia locale soprat- tutto a seguito del trattato del Ninfeo che assegna a Genova il monopolio com- merciale nel Mar Nero, nel Caspio ed in Crimea a scapito di Venezia, aprendole il lucroso mercato d’importazione degli schiavi orientali. All’intensificarsi delle attività mercantili e della cantieristica, al potenziamento di specializzazioni ar- tigianali, quali la lavorazione dell’oro filato, della carta e della seta, allo sviluppo della finanza locale, ai reiterati interessi mediterranei di Luigi IX che coinvol- gono ancora i genovesi, ai vittoriosi scontri con pisani e veneziani, si accompa- gnano dopo il ‘62 profonde tensioni sociali e nuove aggregazioni politiche, che terminano nel 1270 con la creazione del capitanato dei due Oberto.

Con la diarchia dei nobili ghibellini Doria e Spinola, sostenuti da una parte dei popolari, si apre un ventennio di stabilità interna, di vittorie mi- litari, di mobilitazione collettiva, di effettivo controllo e di organizzazione del Dominio, anche a scapito della chiesa locale costretta a cedere gli ultimi possedimenti sulla Riviera occidentale, successi che contribuiscono a crea- re il mito, l’idea della città potente, ricca, solida, che né il pesante interven- to di Carlo d’Angiò prima né la dedizione all’imperatore Arrigo VII di inizio Trecento riescono a scalfire. Il riacutizzarsi delle lotte intestine dopo la vitto- ria su Venezia di fine secolo, la mancanza di coesione socio-politica, il coin- volgimento nel generale conflitto guelfo-ghibellino che travaglia la penisola, la nascente conflittualità con la corona d’Aragona, le congiunture interna- zionali, finiscono comunque per incidere sulla tenuta anche economica dei cittadini, dopo una trentennale e dispendiosa lotta di fazione che si conclude nel 1339 con l’avvento del dogato.

È questa la trama, il percorso in cui inserire i vari tasselli, i riscontri og- gettivi, gli eventi locali ed internazionali di diversa natura, per cercare di ri- spondere a taluni dei tanti, troppi, quesiti proposti dagli organizzatori del convegno. Non credo che si possa prescindere dal quadro globale, dalla com- plementarietà e dai reciproci condizionamenti tra istituzioni e organizzazione  Questi eventi sono ampiamente trattati negli annali di IAcopo DorIA, (Annali di Genova e

de’suoi continuatori, a cura di c. IMperIALeDI SAnT’AngeLo, V, Roma 1929) e nella cronaca del da Varagine (Iacopo da Varagine e la sua cronaca di Genova, a cura di g. MonLeone, Roma 1941, 3 voll). Cfr. anche i contributi attinenti a vari settori specifici in Genova, Pisa e il Mediterraneo, cit., e in Genova, Venezia e il Levante, cit.

 A. gorIA, Le lotte intestine in Genova tra il 1305 e il 1309, in Miscellanea di storia ligure in

onore di G. Falco, Milano 1962, pp. 251-280; g. pISTArIno, Genova all’epoca dei due capitani, «Studi genuensi», IV (1986), pp. 3-21, ora anche con qualche aggiustamento in ID., La capitale

del Mediterraneo, cit., pp. 155-182; g. peTTI BALBI, Simon Boccanegra e la Genova del Trecento, Genova 1991; eAD., Un “familiare” genovese di Giacomo II: Cristiano Spinola, «Medioevo. Saggi e rassegne» 20 (1995), pp. 113-133 [ora anche in questo volume]; eAD., Magnati e popolani in

area ligure, in Magnati e popolani nell’Italia comunale, Atti del quindicesimo convegno di studi

del Centro italiano di studi di storia e d’arte, Pistoia 1997, pp. 243-272; c. AzzArA, Verso la genesi

dello stato patrizio. Istituzioni politiche a Venezia e Genova nel Trecento, in Genova, Venezia, il Levante, cit., pp. 175-188.

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del potere da un lato, assetti sociali e sviluppo economico dall’altro, se non si vuole correre il rischio di giungere alla dissoluzione del senso e del concetto di città paventato da Giorgio Chittolini. Affronterò quindi taluni aspetti, l’asset- to urbanistico, l’andamento demografico, l’armamento navale e il movimento commerciale, la politica fiscale e il debito pubblico, per riproporre o suggerire considerazioni alle quali può ancora ancorarsi il volo del grifo.

Nel periodo dell’apogeo o della perfezione, come sostiene il da Varagine, la città si presenta “compiuta”, nel senso che è giunto a conclusione il pro- cesso socio-urbanistico. All’interno della cinta muraria eretta all’epoca del Barbarossa si sono definiti spazi pubblici e privati, laici e religiosi; si è avvia- ta dal 1260 la costruzione del palazzo de mari, palazzo del comune, nucleo originario di palazzo San Giorgio, e di quello del capitano del popolo, nucleo dell’attuale palazzo ducale; si sono consolidate le strategie demotopografiche delle grandi consorterie nobiliari e degli “alberghi” tesi ad aggregare attorno ad un polo insediativo dominato dalle torri e dalla domus magna del capoclan