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II. Dinamiche social

1. Magnati e popolani in area ligure *

L’area geografica su cui appunto la mia attenzione non è tutta la Liguria, ma solo quella occidentale, perché qui si svilupparono città e comuni di una certa importanza, in cui è possibile cogliere in atto l’evoluzione socio-politi- ca, la formazione di classi e di ceti in una costante dialettica con la civitas

mater.

Genova, Savona, Albenga formano quindi oggetto di questa mia ana- lisi; il riferimento primo va a Genova perché è sulla falsariga delle vicende genovesi e delle volontà del comune egemone che spesso avvengono muta- menti politico-istituzionali nelle località soggette. Ma anche di per sè Albenga e Savona offrono utili spunti di riflessione perché dispongono di organiche raccolte statutarie abbastanza antiche, ricche ed illuminanti, risalenti al 1288 per Albenga e al 1345 per Savona, in cui confluiscono per stratificazione di- sposizioni di età precedente.

In sede storiografica il rapporto magnati-popolani, soprattutto in ambi- to genovese, è stato in genere interpretato come un conflitto di classe e iden- tificato con le ricorrenti lotte intestine registrate in scansione evenemenziale dagli annalisti cittadini, senza alcuna attenzione particolare alla fisonomia dei contendenti, al reale significato ed alla portata di questi scontri o alle possibili connessioni con eventi esterni. Questa interpretazione conflittua- le, alla Salvemini per intenderci, è stata adottata per analogia, suggerita dalla suggestione del modello o del mito fiorentino, con cui le città liguri e * Testo pubblicato originariamente come Magnati e popolani in area ligure, in Magnati e popo-

lani nell’Italia comunale, Atti del quindicesimo convegno di studi del Centro italiano di studi di

storia e d’arte, Pistoia 1997, pp. 243-272.

 Statuti di Albenga del 1288, a cura di J. COSTA RESTAGNO, Collana storico-archeologica del- la Liguria orientale XXVII, Bordighera 1995; Statuta antiquissima Saone (1345), a cura di L. BALLETTO, ibid., XVII, Bordighera 1971.

 A. CALENDA DI TAVIANI, Patrizi e popolani nel medioevo nella Liguria occidentale, Torino 1891-92, 2 voll.; G. CARO, Genova e la supremazia nel Mediterraneo (1257-1311) (tit. orig. Genua

und die Mächte am Mittelmeer, Halle 1895-99), «Atti della Società Ligure di Storia Patria», n. s.,

XIV-XV, 1984-85; V. POGGI, Le guerre civili di Genova in relazione con un documento economi-

co finanziario dell’anno 1576, ibid., LIV, 1930, pp. 1-176; V. VITALE, Guelfi e ghibellini a Genova nel Duecento, in «Rivista Storica Italiana», LX, 1948, pp. 525-541; ID., Il comune del podestà a Genova, Milano-Napoli 1951.

Giovanna Petti Balbi, Governare la città : pratiche sociali e linguaggi politici a Genova in età medievale, ISBN 978-88-8453-603-7 (online), ISBN 978-88-8453-604-4 (print), © Firenze University Press

Genova in particolare hanno ben poco da spartire nella loro evoluzione socio- istituzionale.

Basterebbe ricordare che a Genova, città dalla vocazione mercantile e commerciale, portata più allo scambio che alla produzione, le corporazioni di mestiere, gli artifices e le arti, vero fulcro del governo di popolo in tanti comuni della penisola, compaiono e si organizzano assai lentamente. A parte la breve parentesi del capitanato di Guglielmo Boccanegra, il quale a metà del Duecento vuole accanto a sé anche i capitudines artium, hanno scarso peso economico e poca rappresentatività politica, soffocati e controllati dall’altra parte del popolo, i più potenti mercatores, con cui pure dovrebbero dividere tutte le cariche, almeno dal 1339. Solo nel 1399, oltre un secolo dopo l’analoga esperienza fiorentina, vengono creati a Genova quattro priori delle arti con un ruolo politico però limitato, perché si affiancano al governatore francese e al consiglio degli anziani. Ma è una breve parentesi: forse perché sospetta- ti di aver favorito la sommossa antifrancese di Battista Boccanegra o perché avversati dai grandi di popolo, sono subito aboliti nel 1402. A Savona pare invece esistere un più stretto legame tra arti e popolo: là dove gli statuti par- lano di arti, le definiscono artes populi, quasi fossero una diretta emanazione di questo. Oltre il riconoscimento giuridico delle loro organizzazioni attraver- so la consueta revisione annuale, gli statuti sanzionano anche una periodica consultazione dei capi delle arti sui principali problemi cittadini ed arrivano a

 F. L. MANNUCCI, Delle società genovesi d’arti e mestieri durante il secolo XIII, in «Giornale storico e letterario della Liguria», VI, 1905, pp. 241-303; R. LOPEZ, Le origini dell’arte della

lana, in Studi sull’economia genovese nel medioevo, Torino 1936, pp. 64-204; G. PETTI BALBI, Apprendisti e artigiani a Genova nel 1257, in «Atti della Società Ligure di Storia Patria», n. s.

XX, 1990, ora in EAD., Una città e il suo mare. Genova nel medioevo, Clueb, Bologna 1991, pp. 84-115; G. PISTARINO, La civiltà dei mestieri in Liguria (sec. XII), in Saggi e Documenti II/1, Genova 1992, pp. 7-74. Sulla necessità di scindere nella seconda metà del Duecento il binomio popolo-arti, sulle iniziative autonome del populus anche al di fuori delle corporazioni, insiste E. ARTIFONI, Corporazioni e società di «popolo»: un problema della politica comunale del secolo

XIII, in Itinerarium. Università, corporazioni e mutualismo ottocentesco: fonti e percorsi stori- ci, Centro Italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto 1994, pp. 17-40.

 G. PETTI BALBI, Genesi e composizione di un ceto dirigente: i «populares» a Genova nei secoli

XIII e XIV, in Spazio, società, potere nell’Italia dei comuni, a cura di G. ROSSETTI, Quaderni

Gisem 1, Liguori, Napoli 1986, ora in EAD., Una città cit., pp. 116-136.  Cfr. oltre a nota 60.

 G. STELLA, Annales Genuenses, a cura di G. PETTI BALBI, RIS, XVII/2, Zanichelli, Bologna 1975, pp. 242-43, 245, 248, 259, 261.

 Statuta cit., I, art. CXXXXVI, p. 193: Item dabo operam toto posse ut populus Saone sit in

firmamento perpetuo et quod artes populi conserventur in iuribus suis. Cfr. anche art. CXXXX

VIII, pp. 194-197, in cui si autorizza per ogni arte l’elezione di un console che duri in carica sei mesi. Anche a Genova per gli artifices c’è la presunzione de iure di appartenenza al popolo, men- tre per i mercatores si specifica talora l’appartenenza al popolo: G. FORCHERI, La «societas

populi» nelle costituzioni genovesi del 1363 e del 1413, in Ricerche d’archivio e studi storici in onore di G. Costamagna, Roma 1974, pp. 50-72, in partic. p. 55.

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premiare gli artefici ed in particolare i marinai, assegnando loro la terza parte delle cariche di spettanza popolare, a ricordo della sollevazione da loro pro- vocata, che nel 1339 aveva portato al potere il popolo a Savona prima ancora che a Genova.

Comunque non è solo un conflitto sociale o uno scontro di ceti. Mi pare si debba parlare, come del resto sosteneva l’Ottokar anche per Firenze, di contrasti di interessi familiari all’interno del ceto dirigente, tra nobili e ma- gnati che, per prevalere gli uni sugli altri, sfruttano ed assecondano tensio- ni e malcontenti degli esclusi dalla gestione del potere, intrecciando accordi più o meno occulti con una parte degli uomini di popolo, con quelli che con la spregiudicatezza negli affari e con le strategie matrimoniali hanno saputo conquistarsi appoggi e simpatie da parte di famiglie di antica tradizione. I contrasti tra le fazioni nobiliari per il predominio politico si intrecciano con le tensioni sociali e con le rivendicazioni di classe, che si configurano come richieste politiche dei popolari per l’accesso alle cariche e per una gestio- ne meno violenta della cosa pubblica, con una diversa cultura ed una diversa concezione dell’assetto cittadino teso al bene comune ed alla concordia. Ma proprio i popolari, dopo essere stati innalzati ed accolti in quest’élite di po- tere soprattutto per il censo, finiscono per estromettere gli antichi alleati e diventare da soli ceto dirigente.

Questo accade al termine di un lungo e talora contorto percorso, segnato da molte tappe e da tanti protagonisti, a Genova, a Savona e ad Albenga. È bene però ricordare che contrasti e lotte comunque intese danno vita in area ligure a schieramenti, fazioni, parti, non sempre chiaramente identificabili o definite in modo univoco nelle fonti e nel linguaggio del tempo.

1. Genova

Il termine magnati ha poca fortuna e scarsa circolazione in area ligure durante il Duecento, sia in senso giuridico stretto, sia in senso generico. Negli annali genovesi compare in due sole circostanze: una prima volta nel 1237, quando nel bel mezzo di contrasti sorti per l’elezione di un nuovo podestà, si riferisce che omnes magnates de civitate Ianue tenebant servientes et fere

 Su questi fatti cfr. oltre a nota 94.

 Sono su questa linea interpretativa i contributi più recenti di J. HEERS, Il clan familiare nel

medioevo (tit. orig. Le clan familial au moyen âge, Paris 1974), Liguori, Napoli 1976; A. PACINI, I pressuposti politici del «secolo dei genovesi». La riforma del 1528, «Atti della Società Ligure

di Storia Patria», n. s., XXX, 1990; G. PETTI BALBI, La città dei mercanti: iniziative economi-

che e dialettica sociale a Genova in età medievale, in Un’idea di città. L’imaginaire de la ville médiévale, 50 rue de Varenne, n. 43 di «Nuovi Argomenti», Paris 1992, pp. 138-149.

omnes ibant armati et habebant turres munitas0. In questa situazione piut- tosto confusa, anche per le diverse simpatie e gli schieramenti pro e contro Federico II, il termine non pare indicare solo i nobili ricordati esplicitamente qualche riga prima, ma avere una valenza semantica più ampia, includendovi forse anche non nobili, una parte dei popolari. Si deve infatti ricordare che dieci anni prima Guglielmo de Mari, esponente di una famiglia nobile legata a Federico II, aveva ordito una congiura con l’appoggio ed il consenso di ta- luni suoi pari e dei popolari che già allora pensione non modica conducabant

domos et turres Ingonis et Iohannis de Volta. Il termine magnati ritorna nel 1241 a proposito di quamplures ex magnatibus Ianue qui patriam defen-

debant ad servicium Sancte Matris Ecclesie. In questo caso si chiamano in causa i guelfi, avversari di Federico II, in gran parte reclutati tra i nobili, al cui fianco però si schierano inizialmente taluni esponenti dei popolari.

Anche nel Trecento il termine magnati non incontra miglior fortuna. Il cro- nista Giorgio Stella lo usa nel 1306 in occasione di contrasti tra gli Spinola, sostenuti da tutto il popolo, ed i Doria, a fianco dei quali scendono in cam- po aliqui magnati gibellini pro maiori parte qui mascarati dicebantur cum

quibusdam de populo eorumdem sequacibus ed ancora nel 1335 quando, dopo l’elezione a capitani del popolo di Raffaele Doria e di Galeotto Spinola, molti nobili guelfi vengono a prestare giuramento di fedeltà e multi quoque

magnati de populo guelfo effecti sunt gibellini. Nel primo caso indica rap- presentanti della nobiltà che hanno seguaci tra i popolari, nel secondo espo- nenti del popolo di parte guelfa, in modo da confermare l’uso ambiguo del termine che finisce per essere applicato sia a nobili, sia a popolari, purché provvisti dei caratteri e delle qualità magnatizie.

Non sono di alcun aiuto gli statuti genovesi, savonesi o albenganesi, pur ritenuti gli strumenti più utili per lumeggiare i molteplici aspetti della vita cittadina, perché solo quelli di Savona registrano questa qualifica, in oc- 0 Annali genovesi di Caffaro e de’ suoi continuatori, a cura di L. T. BELGRANO - C. IMPERIALE DI SANT’ANGELO, FISI, Roma, I-V, 1890-1929, III, p. 82. Il passo è ripreso integralmente dallo Stella con la sostituzione di clientes al posto di servientes: STELLA, Annales cit., p. 47.

 Annali cit., III, p. 29. Sul significato e la valenza della congiura, PETTI BALBI, Genesi e com-

posizione cit., pp. 118-120.

 Annali cit., III, p. 108. Per le vicende genovesi di questi anni, G. PETTI BALBI, Federico II e

Genova: tra istanze regionali ed aspirazioni mediterranee, in Federico II e la civiltà comunale nell’Italia del Nord, Atti del convegno internazionale di studi, a cura di C. D. FONSECA - R.

CROTTI, Roma 2001, pp. 99-130.

 STELLA, Annales cit., p. 73. Cfr. anche A. GORIA, Le lotte intestine in Genova tra il 1305 e il

1309, in Miscellanea di storia ligure in onore di G. Falco, Feltrinelli, Milano 1962, pp. 251-280.

 STELLA, Annales cit., p. 126. Anche dopo l’avvento del dogato nel 1339, il termine compare in poche altre circostanze: cfr. nota 102.

 P. CAMMAROSANO, Italia medievale. Struttura e geografia delle fonti scritte, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1991, pp. 151-152.

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casione dell’accordo stipulato nel 1303 tra homines de populo e nobiles et

magnates.

In ambito locale il termine di uso comune, quasi sinonimo di magnati, pare essere quello di maiores, talora accostato a nobiliores o ex nobilibus,o di «maioranti» nella forma vulgata usata dall’Anonimo poeta genovese vissuto tra Due e Trecento, qualifiche inizialmente riservate ai soli nobili, in seguito estese anche ai più cospicui tra i popolari, ad esponenti di famiglie mercan- tili, protagonisti più o meno occulti di tutti i rivolgimenti politici accaduti a Genova dal secondo Duecento, in collusione con una parte della nobiltà.

Più che come segni di appartenenza ad una categoria o con un preciso significato politico, questi termini sono spesso usati in senso largo e generico, come segno di distinzione e di prestigio personale all’interno dei due opposti schieramenti cittadini0. Sono maiores per potenza, larghezza di mezzi, eser- cizio del potere, indiscussa autorità politica, esponenti di famiglie di origine feudale o consolare; ma lo diventano anche per ricchezza e censo rappresen- tanti di famiglie popolari che con il loro modus vivendi, i comportamenti, le strategie matrimoniali, la mentalità, emulano e si assimilano agli antichi

maiores. Rientra in questo progetto di escalation sociale, teso a colmare le

distanze dall’antica oligarchia, anche la corsa verso l’acquisizione della mi- lizia, soprattutto nel Trecento, già in atto però nel Duecento, almeno a detta dell’arcivescovo di Pisa Federico Visconti, il quale nel 1257 accusa i ricchi mercanti genovesi di voler diventare tutti cavalieri: cum de mercatione lu-

cratus esset, voluit fieri miles.

Sono senz’altro magnati gli appartenenti alle quatuor gentes, espressione tipicamente genovese con una precisa carica ideale ed ideologica che conferi- sce alle persone così qualificate le cosiddette doti magnatizie, cioè prestigio, potere, grandezza, ricchezza. Con il termine quatuor gentes si indicano le  Statuta cit., I, cap. CXXX, p. 178 e cap. CXXXI, p. 180.

 Annali cit., III, p. 29; IV, p. 46; IV, p. 52.

 Anonimo genovese. Le poesie storiche, a cura di J. NICOLAS, Genova 1983, n. 122, p. 85, v. 2.  Significativo è l’elenco dei tredici ex maioribus et melioribus civitatis del 1227, tutti esponenti della nobiltà: Annali cit., III, p. 32. Anche nel 1263, in occasione di un’inchiesta sul comporta- mento dei capitani e degli equipaggi in Oriente, vengono eletti tres de melioribus et maioribus

civitatis Ianue e precisamente i nobili Oberto Cicala, Ido Lercari e Ansaldo Doria: ibid., IV, pp.

52-53.

0 Iacopo Doria parla de maiores de progenie anche all’interno dei Grimaldi, facendo sorgere il sospetto che taluni, pur appartenenti alla famiglia, non siano reputati tali: Annali cit., V, p. 65 e p. 139. Pure lo Stella nel 1317, parlando di Corrado Doria, scrive che tunc inter viros sui cognominis

maior erat: Annales cit., p. 82. Per i popolari cfr. nota 26.

 La citazione è tratta da J. KOENIG, Il «popolo» dell’Italia del Nord nel XIII secolo (tit. orig.

The Popolo of Northern Italy in the XIII Century, 1986), Il Mulino, Bologna 1986, p. 228, nota

184. Già nel 1173 il comune genovese aveva deciso di procedere alla creazione di cavalieri, milites

nativos in urbe nostra, per ovviare alle spese necessarie ad assoldare forestieri da inviare contro

prestigiose famiglie, domus o progenie di Spinola, Doria, Grimaldi, Fieschi, che, dopo aver relegato in secondo piano antiche famiglie nobili, quali della Volta, de Castro, Embriaco, de Mari, Pevere, protagoniste della prima fase comunale, dalla metà del Duecento assumono il ruolo di gruppi-guida e si contendono la leadership cittadina, anche sfruttando ed assecondando le ri- vendicazioni economiche, i malumori, le aspirazioni che serpeggiano tra i popolari. Eloquente spia del loro carisma e del loro potere, come anche della selezione in atto all’interno dell’aristocrazia, è quanto narrano gli annali sot- to il 1264. In occasione dell’elezione degli otto nobili, preposti con il podestà al governo della città, due sono eletti de parte illorum de Grimaldis, altret- tanti de parte illorum de Flisco, de Auria et de Spinolis e solo due sono scelti

de comunalibus, non de parte, tra esponenti dell’intero ceto nobiliare allora

al potere. Sono del resto queste famiglie che, pur appoggiando nella loro lotta di potere anche tentativi per instaurare velleitarie e sporadiche forme di governo popolare, danno vita agli alberghi, a quelle aggregazioni familiari o più allargate, tipiche del mondo genovese, sorte a mio parere anche per meglio fronteggiare l’avanzata economica oltre che politica dei popolari. Il primo albergo di cui si ha menzione è infatti quello degli Spinola, ricordato nel 1270, in un momento di gravi tensioni interne quando, con il sostegno di quibusdam iuvenibus de albergo suo, Oberto Spinola tenta di rovesciare il governo nobiliare e conquistare da solo il potere appoggiandosi a popolari ed abitanti del distretto.

Anche all’interno del popolo già nel secondo Duecento si colgono diffe- renziazioni di posizioni, di fortune e di stima collettiva: c’è il vilis populus e il

convenienter dives, ci sono i populares divites vel boni e i pauperes et rixosi. Se non a livello politico, a livello sociale e mentale, nella considerazione della gente esiste una precisa scala gerarchica, come traspare dagli annali nel 1243 quando, parlando dell’elezione al soglio papale di Sinibaldo Fieschi, scrivo- no che è salutata con entusiasmo dall’intera cittadinanza, universi de Ianua,  Non esistono validi lavori specifici su queste famiglie, comunque presenti e sempre citate in ogni lavoro attinente alla storia genovese. Meramente divulgativi sono i contributi in AA.VV.,

Dibattito su quattro famiglie del grande patriziato genovese, in «Accademia ligure di scienze e

lettere», VII, 1992.  Annali cit., IV, p. 65.

 Ricca è la bibliografia sugli alberghi con interpretazioni non sempre concordanti: G. PETTI BALBI, Dinamiche sociali ed esperienze istituzionali a Genova tra Tre e Quattrocento, in Italia

1350-1450: tra crisi, trasformazione, sviluppo, Atti del tredicesimo convegno di studio, Centro

italiano di studi di storia e d’arte, Pistoia 1992, pp. 113-128.

 Annali cit., IV, p. 70. Sul ruolo e sul significato non solo ludico delle societates giovanili, S. GASPARRI, I rituali della cavalleria cittadina. Tradizioni militari e superiorità sociale nell’Ita-

lia del Duecento, in Riti e rituali nelle società medievali, Spoleto 1994, pp. 102-103.

 Annali cit., IV, p. 71, V, pp. 11-12. Parlando di Iacopo Traverio il Doria dice che erat de bonis

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magni, mediocres et minores. Una chiara coscienza dell’assetto sociale rive- lano anche Iacopo da Varagine con l’impianto tripartito della sua Cronaca di Genova e l’Anonimo poeta, il quale parla spesso di «grandi, mezzani e pic- cin». In occasione poi del capitolo generale dei francescani tenutosi a Genova nel 1302 egli ricorda la generosità e la munificenza dimostrata nei confronti dei frati dai genovesi, «non miga pur li gran segnor, ma per i atri homi povolar chi tenem stao grande e adorno»0.

La precisa collocazione e l’identità sociale sono ulteriormente complicate da alleanze ed appoggi esterni, dallo schieramento con le fazioni trasversali dei mascherati o ghibellini e dei guelfi o rampini, formatesi durante il conflit- to con Federico II, da tutti deprecate, vietate dalla normativa comunale, ma saldamente radicatesi nel tessuto sociale. In un primo momento i popolari sembrano parteggiare per i guelfi soprattutto per il carisma ed il potere di Innocenzo IV e dei Fieschi; ma subito si accostano alla nobiltà ghibellina, a Spinola e Doria che offrono loro i due primi capitani del popolo. Forse pro- prio il costante riferimento, durato per quasi mezzo secolo, alle due potenti famiglie ghibelline potrebbe essere uno dei motivi che hanno rallentato il mo- vimento popolare, che ne hanno attenuato la carica propulsiva invischiandolo nelle lotte tra le fazioni nobiliari. All’inizio del Trecento comunque le più o meno forti simpatie, le collusioni trasversali con i popolari, portano non solo alla rottura del fronte ghibellino e dell’alleanza Spinola-Doria, ma addirittura alla scissione degli stessi Spinola in due rami, quelli di San Luca o della Piazza e quelli di Luccoli.

In altra sede ho delineato i percorsi, i momenti più salienti, i protagoni- sti, che dal secolo XII favoriscono lo sviluppo di solidarietà economiche e di vincoli su base topografica e professionale, la formazione e la crescita del po-

pulus, un’aggregazione eterogenea di persone dalle vocazioni e dalle fortune

assai diverse, accomunate dalla volontà di porsi come antagonisti all’antico ceto dirigente anche qui rappresentato dalla nobiltà. Ho sottolineato anche le tensioni all’interno di questo gruppo sociale privo di caratteri di omogeneità e di una precisa identità, come pure gli appoggi ricevuti da una parte della