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L'APPARATO CENSORIO SOVIETICO: UN PERIODO DI FORMAZIONE

Prima di entrare nel vivo della ricerca, ritengo opportuno aggiungere una premessa riguardo alle linee guida da me seguite, il modus operandi da me utilizzato e gli obiettivi che il mio lavoro si è prefissato.

Usufruendo di numerosi documenti ufficiali, dalle trascrizioni delle riunioni del Comitato Centrale o del Politbjuro agli articoli dei più importanti esponenti della politica sovietica, in particolare di Trockij, vorrei fornire al lettore un resoconto, il più completo possibile, dell'evoluzione della censura dai primordi della società comunista sino al 1925, anno della celebre risoluzione Sulla politica del partito nel campo letterario.

Innanzitutto, essendo la censura un'attività che non può prescindere dal Partito, e più in generale dalle decisioni della politica, nel corso degli anni essa cambierà spesso pelle, a seconda dei provvedimenti e delle leggi che via via i leader bolscevichi promulgheranno per essa. Era idea comune, soprattutto per screditare i metodi di alcuni editori come Voronskij, che consideravano la letteratura come un bene supremo che doveva trascendere i limiti imposti dalla politica, trattare il problema artistico come un problema politico. Verso la metà degli anni Venti, gruppi letterari che si definivano «proletari», guidati dai napostovcy, spingevano verso una riconsiderazione della questione letteraria sulla base dei principi del bolscevismo. Nella letteratura, come in ogni altro campo del sapere umano, doveva vigere il primato della rivoluzione, del Partito e della classe operaia: ogni scrittore veramente «proletario» doveva anteporre ai suoi interessi quelli del proletariato, cercando nelle sue opere di agevolare, e non osteggiare, la costruzione del socialismo (Trockij 1973, pp.602- 602). Per questo motivo nella mia tesi troveranno ampio spazio i dibattiti tra leader bolscevichi, scrittori, critici ed editori riguardo alla questione letteraria che sembreranno più politici che artistici.

A dibattiti di più ampio respiro, si accompagnerà la descrizione, il più dettagliata possibile, degli organi e delle istituzioni statali che si occuparono di censura (in primis naturalmente il Glavlit) e dei loro metodi nell'atto pratico.

degli sforamenti in periodi successivi, ma il grosso dell'analisi riguarderà tale arco temporale. Questo perché dopo il 1925, in particolare dopo la risoluzione del Comitato Centrale sulla letteratura, e più in generale nella seconda metà degli anni Venti, sarà sempre più complicato scrivere ed essere scrittore. Nel periodo invece preso da me in esame, in cui il Partito procedeva a tentoni chiedendosi quale strada intraprendere nel campo letterario, e in cui i problemi politici ed economici avevano la priorità assoluta, permaneva ancora una relativa libertà per gli scrittori sovietici. La censura doveva ancora delinearsi, e ciò, unito all'attività di riviste «illuminate» come «Krasnaja nov'», permise agli scrittori di mantenere una certa indipendenza rispetto alle direttive del Partito. Agli inizi degli anni Trenta, e già sul finire degli anni Venti, non sarà più il caso di parlare di censura, poiché senza il benestare del Partito o degli organi a lui sottoposti non si poteva pubblicare neanche una riga.

Nel marzo del 1917 il governo provvisorio guidato da Kerenskij abolì di fatto la censura: si compiva così un altro decisivo passo verso la democrazia e la liberalizzazione della cultura. La caduta del governo zarista aveva offerto finalmente l'opportunità di eliminare un potente strumento repressivo (il Comitato Generale per gli Affari di Stampa) che aveva minato per lungo tempo le libertà di pensiero, di espressione e di stampa. Ma i bolscevichi, ben consapevoli dell'importanza dei media e della letteratura in materia di propaganda, sin da subito si adoperarono per la sua ricostituzione: lo stesso 25 ottobre fu posta sotto sequestro la redazione del giornale «Russkaja volja» (La libertà russa), di tradizione borghese, a cui seguì nel giro di due giorni la chiusura di altri venti riviste e giornali di natura liberale e conservatrice. I bolscevichi si impossessarono inoltre delle radio e dei telegrafi della capitale. Già il 27 ottobre (9 novembre) usciva un importantissimo documento del Sovnarkom, il nuovo organo centrale del potere esecutivo, dal titolo Decret o soveta narodnych kommissarov o pečati (Decreto del consiglio dei commissari del popolo sulla stampa), in cui Lenin e gli altri delegati espressero in maniera chiara e inconfondibile le loro idee in ambito di carta stampata. Riproponiamo qui sotto la traduzione di tale risoluzione:

27 ottobre 1917

Nell'ora gravosa e decisiva della Rivoluzione, e nei giorni immediatamente successivi, il Comitato Rivoluzionario Provvisorio è stato costretto a intraprendere tutta una serie di misure contro la stampa controrivoluzionaria in tutte le sue forme.

Sin da subito da tutte le parti si sono alzate grida contro il nuovo potere socialista che, attentando la libertà di stampa, violava in questo modo uno dei principi fondamentali del proprio programma.

Il governo degli Operai e dei Contadini ha richiamato tuttavia l'attenzione della popolazione sul fatto che nella nostra società, dietro questo scudo liberale, si nasconda in realtà l'opportunità per le classi abbienti di fare la parte del leone nella stampa, e, senza divieti, di obnubilare le menti del popolo e arrecare turbamento nella coscienza delle masse.

Tutti sanno che la stampa borghese è una delle armi più potenti della borghesia. A maggior ragione in questa situazione critica, in cui il nuovo potere, ovvero quello degli operai e dei contadini, si sta consolidando, è impensabile lasciare tale arma interamente nelle mani del nemico, proprio ora che essa non è certo meno pericolosa delle bombe e delle mitragliatrici. Ecco il motivo per cui sono state prese tali estreme e provvisorie misure: per arginare quel fiume di fango e calunnie nel quale la stampa giallo-verde annegherebbe volentieri la recente vittoria del popolo.

Non appena il nuovo ordine si sarà cementato, tutte le pressioni sulla stampa cesseranno; sarà stabilita la piena libertà entro i limiti della responsabilità di fronte alla legge, in accordo con le più ampie e progredite leggi.

Tenendo conto del fatto che tali vincoli applicati alla stampa, anche in momenti critici, sono ammissibili solamente entro i confini della necessità più assoluta, il Consiglio dei Commissari del Popolo delibera quanto segue:

NORME GENERALI SULLA STAMPA

1. Saranno soggetti a chiusura i seguenti organi di stampa: 1) quelli che esortano all'aperta resistenza e disobbedienza verso il governo degli Operai e dei Contadini, 2) quelli che apertamente e per mezzo di calunnie travisano la realtà dei fatti, 3) quelli che incitano ad azioni palesemente criminose, ovvero punibili per legge.

2. La temporanea o permanente liquidazione degli organi di stampa sarà approvata solo su disposizione del Consiglio dei Commissari del Popolo.

3. L'attuale provvedimento è di natura provvisoria e sarà abolito da un decreto ad hoc non appena si saranno ristabilite le normali condizioni di vita pubblica (trad. Artizov 1999, pp.11-12).

Il presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo Vladimir Ul'janov (Lenin)

Anche se più volte si allude alla natura parziale e non definitiva del decreto, è comunque già evidente la tendenza autoritaria e dittatoriale del Partito a considerare la stampa anti- bolscevica come un pericolo da eliminare il più presto possibile, come un insetto da schiacciare. In questo breve documento sta tutta l'iniqua essenza del potere comunista, cioè di un potere che senza il controllo totale della carta stampata e della divulgazione delle notizie non potrebbe assolutamente reggersi in piedi. I bolscevichi, con la scusante della criticità della situazione allora vigente, volevano in mano tutta la stampa, e per far ciò non lesinarono arresti e sequestri di giornali. Come si può notare dal testo qui sotto riportato, a nulla valsero le rimostranze e le richieste dei menscevichi, che puntavano a screditare i bolscevichi sul terreno della liberalità e della democrazia. Il documento è del 6 (19) novembre: in quel giorno l'Unione dei lavoratori della stampa, presieduta da menscevichi, si era riunita a Pietroburgo e aveva indetto uno sciopero generale per protesta alla chiusura dei giornali perpetrata dai bolscevichi. L'Unione succitata, assieme alla duma cittadina di Pietroburgo, al C.C. dei menscevichi e al partito social-rivoluzionario, avevano inoltre dato vita a un Comitato di lotta per la libertà di stampa (Žirkov - 2001b). Vediamo sotto quale fu l'atteggiamento dei bolscevichi di fronte alle rivendicazioni dell'opposizione:

SULL'INTERVENTO DI STALIN NELLA RIUNIONE DEL VCIK SULLA QUESTIONE DEGLI ARRESTATI E SULLA LIBERTÀ DI STAMPA

6 novembre 1917

INTERVENTO NELLA RIUNIONE DEL COMITATO CENTRALE ESECUTIVO PANRUSSO S. R. E S. D. DEL 6 NOVEMBRE DEL 1917

Il compagno Stalin introduce un'aggiunta alla relazione di Karelin: i menscevichi hanno richiesto la liberazione di tutti gli arrestati e la libertà per la stampa non solo socialista, ma anche

borghese. Preso atto di ciò il compagno Stalin propone di adottare la seguente risoluzione: Ascoltato il rapporto della commissione, il CIK delibera quanto segue:

Le condizioni preliminari per le trattative sull'accordo, esposte durante la nota riunione della commissione di conciliazione presieduta da Abramovič e ripetute nel numero di ieri del «Giornale operaio», e precisamente: la liberazione senza eccezioni di tutti gli arrestati per motivi politici e la libertà di stampa (di tutta la stampa) ̶ sono condizioni inaccettabili.

Il CIK ritiene nondimeno necessario proseguire le trattative sulla base delle risoluzioni già prese dal CIK sull'accordo, senza condizioni preliminari supplementari (trad. Maksimenkov 2005, p.16)

Per Stalin non era possibile aprire un tavolo di discussione con i menscevichi. Nonostante questi ultimi fossero, in quel momento, una forza assolutamente da non sottovalutare, i bolscevichi, dopo la loro prova di forza, non avevano alcuna intenzione di spartire il potere con chicchessia, nemmeno con quelle formazioni politiche a loro più affini. Anche gli intellettuali e i maggiori letterati del periodo reagirono negativamente al “Decreto sulla stampa” e alle azioni «squadriste» dei bolscevichi nei confronti della stampa periodica avversa. Il 26 novembre del '17 l'Unione degli scrittori russi rilasciò uno speciale numero del «Giornale-protesta», rivista uscita solo per quel giorno, allo scopo di condannare senza mezzi termini le scelleratezze bolsceviche. In essa era contenuto l'articolo «In difesa della libertà di stampa», sottoscritto da alcune delle personalità più importanti dell'intelligencija russa: Zinaida Gippius e il marito Dmitrij Merežkovskij, Evgenij Zamjatin, Fëdor Sologub, V.G. Korolenko, la rivoluzionaria Vera Zasulič, il menscevico A.N. Potresov, il già citato P.A. Sokorin e tanti altri. Nello stesso numero apparvero altri articoli dai titoli molto significativi come «La parola non uccide», «Il muro rosso», «Profanatori dell'ideale» oppure «Proteste contro gli abusi sulla stampa». Anche Gor'kij, tramite i suoi celebri «pensieri intempestivi», un ciclo di articoli che uscirono sul suo giornale «Novaja žizn'» (La nuova vita), accusò le autorità sovietiche per le loro azioni illegittime e dispotiche (Žirkov 2001b). Di fronte a queste polemiche Lenin si giustificò affermando che la scelta di eliminare la stampa borghese era stata dettata, più che altro, dalla necessità di liberare dalle trappole ideologiche della classe borghese il popolo russo. Esso la pose come una necessità storica, come un passo decisivo per il proletariato nella costruzione della nuova società.

Per vigilare sugli affari di stampa, i bolscevichi crearono alcuni dipartimenti ad hoc, come il Commissariato per la stampa. Nato come un ramo del Comitato Militare Rivoluzionario di Pietrogrado, il Commissariato per la Stampa si occupò, inviando appositi agenti, della chiusura e del sequestro di case editrici e redazioni di giornale sparse in tutto il paese. A metà novembre esso fu inglobato direttamente nel Sovnarkom (Ermolaev 1997, p.1): in questo modo il potere centrale aveva un più diretto controllo sulle attività censorie, ritenute, come scritto nel decreto succitato, fondamentali per la continuità del nuovo potere bolscevico soprattutto in un momento di formazione e di assestamento come quello. A fine gennaio del 1918 Lenin istituì un nuovo organo legislativo, il Tribunale Rivoluzionario per la Stampa: esso aveva il compito di giudicare tutte le violazioni e i reati circoscritti all'ambito letterario. I processi erano pubblici, poiché dovevano servire da esempio e da insegnamento per la popolazione. Gli imputati avevano il diritto di essere difesi da un avvocato (siamo ancora lontani dai celebri processi farsa degli anni successivi). Le pene spaziavano dalla semplice multa alla lunga prigionia (Ermolaev 1997, p.1). Le scelte di Lenin provocarono l'indignazione non solo di altre correnti politiche, come quelle dei social-rivoluzionari o dei menscevichi (come abbiamo potuto osservare nel documento più sopra), ma anche degli alti dirigenti dello stesso Partito Comunista: contrari alle risoluzioni sulla libertà di stampa e in generale preoccupati per la deriva totalitaria del bolscevismo, undici membri del governo e cinque del Comitato Centrale (Kamenev, Zinov'ev, Rykov, Rjazanov e Nogin) si dimisero per protesta contro «il mantenimento di un governo puramente bolscevico attraverso il terrore» (Werth 1993, pp.153-154). Ben presto però questi oppositori rividero le loro posizioni e, sotto la minaccia di essere esclusi dal Partito, già entro novembre fecero ammenda delle loro colpe. Per quanto riguarda la stampa avversa, i bolscevichi furono sovente costretti a sorvolare le infrazioni commesse da giornali social-rivoluzionari e menscevichi, rivelatisi molto scettici e insofferenti verso il nuovo potere. Il motivo è molto semplice: i social-rivoluzionari erano molto influenti nei soviet rurali e in generale tra i contadini, mentre i menscevichi godevano di grande appoggio nei soviet urbani e soprattutto controllavano il potente sindacato dei ferrovieri, il Vikžel', che possedeva dei propri organi di stampa molto apprezzati dal pubblico. In un primo momento dunque i bolscevichi si concentrarono sulla chiusura dei giornali liberali e conservatori, e si scagliarono contro altri raggruppamenti politici come il Partito Cadetto (il cui principale

mezzo di stampa, il quotidiano «Reč'» (Il discorso), fu sequestrato nelle ore successive la presa di potere). In seguito poi, con la liquidazione dei social-rivoluzionari, dei menscevichi e degli anarchici, trattati come normali «prigionieri comuni» (Werth 1993, p.179), il Partito ebbe finalmente campo libero e poté fare della carta stampata una fedele alleata. Andando nel dettaglio, riportiamo che tra l'aprile e il giugno del 1918 i bolscevichi sequestrarono 234 giornali, di cui ben 142 appartenevano proprio ai due partiti socialisti summenzionati (Ermolaev 1997, p.2). Grazie anche al lavoro indefesso e devoto della Čeka, istituita il 7 dicembre del 1917 su pressione di Džeržinskij, suo primo presidente, «verso la fine dell'anno tutta la stampa non-bolscevica cessò praticamente di esistere» (Ermolaev 1997, p.2). I bolscevichi si impadronirono, come abbiamo già accennato, delle radio e dei telegrafi, garantendosi così la possibilità di gestire e di controllare la diffusione delle notizie. A questo proposito, nel settembre del 1918 il Partito creò la ROSTA, l'Agenzia Telegrafica Russa, una sorta di odierna ANSA, che fornì al Partito un importante strumento per la propaganda comunista. Nel 1925 la ROSTA fu ribattezzata TASS, ovvero Agenzia Telegrafica dell'Unione Sovietica: con quest'ultima formula essa sopravvisse sino al 1992. Essa rappresentò per decenni la voce ufficiale all'estero dell'Urss.

Così come era accaduto con lo zar Nicola II, anche il Partito bolscevico durante la guerra civile istituì la censura militare. Essa divenne effettiva con un decreto del 21 giugno del 1918 che fu inviato a tutti gli organi di stampa. In pratica venne restaurata la censura preventiva, che secondo tale decreto doveva bloccare la pubblicazione di informazioni coperte dal segreto militare. La censura militare tuttavia, nella pratica, filtrò tutte le notizie che uscivano dagli organi di stampa tranne quelle riportate dall'Agenzia Telegrafica di Pietrogrado e dall'ufficio stampa del Sovnarkom. Il decreto del 21 giugno rappresentò uno dei primi tentativi da parte del governo bolscevico di dare una regolamentazione stabile alla censura. Quest'ultima fu posta totalmente nelle mani delle autorità militari. Il contenuto del decreto era molto vago e lasciava molte libertà d'interpretazione, a tutto vantaggio degli organi censori. Le pene per i colpevoli spaziavano dalla multa pecuniaria, che poteva raggiungere i 20000 rubli, alla prigionia, che solitamente non superava i sei mesi (Rejfman - b, p.440). Il 23 dicembre del 1918 usciva un altro “Regolamento sulla censura militare”, che funse da completamento al primo. Oltre alla stampa, anche disegni, fotografie e proiezioni cinematografiche diventavano oggetto di censura. Con questo decreto si sancì la separazione

definitiva tra il popolo sovietico e il resto del mondo, poiché furono prese risoluzioni severe sull'importazione di materiale stampato oltre confine e fu stabilito il controllo di tutta la posta e di tutti i telegrammi provenienti dall'estero. Anche le telefonate internazionali furono poste sotto vigilanza. Il nuovo “Regolamento”, firmato da Trockij, allora presidente del Consiglio militare-rivoluzionario, fu esteso a tutto il territorio della Repubblica russa (Rejfman - b, p.441).

Se nelle città occupate dai Rossi la stampa borghese era stata sradicata, nelle zone occupate dall'esercito bianco la situazione era diversa. La stampa «bianca» servì come mezzo di propaganda per le forze antisovietiche, e tutti i generali bianchi ne usufruirono ampiamente. Nel 1919, ad esempio, il generale Denikin poteva contare sull'appoggio, tra giornali e riviste, di oltre cento organi di stampa. In Siberia e nel lontano Oriente, secondo gli organi ufficiali sovietici, ad inizio del 1919 erano ben 157 le pubblicazioni in mano nemica. Nel 1920 in Crimea esistevano 20 giornali bianchi, pubblicati nelle maggiori città della penisola. Grazie anche all'aiuto degli alleati stranieri, inoltre, nello stesso anno erano attive più di cento radio nei territori in mano alle armate bianche, che furono utilizzate fondamentalmente per organizzare campagne di propaganda antibolscevica (Žirkov 2001b). Mano a mano che i bolscevichi avanzarono, la stampa bianca divenne sempre meno un problema. Essa di fatto scomparì con la vittoria dei Rossi.

Il 12 luglio del 1919 fu redatto un ulteriore statuto sulla censura militare. A quest'ultima fu affidata la vigilanza sulla Rosta, sino ad allora esente dai controlli delle autorità, dei radiotelegrafi e delle letture pubbliche, specialmente quelle di carattere bellico e politico. Dagli occhi della censura rimanevano lontano solamente le ordinanze del VCIK, dell'SNK (Consiglio dei Commissari del Popolo) e del Comitato Centrale del Partito Bolscevico. Furono introdotte nuove restrizioni: la censura preventiva non riguardava più solo la stampa periodica, ma anche i libri e tutte le altre forme di stampa (manifesti, brochures, volantini ecc.). La svolta decisiva in campo censorio si ebbe tuttavia il 21 agosto del 1921, quando su decisione del Malyj Sovnarkom, e su proposta del Politbjuro, tutte le funzioni della censura militare furono trasferite alla Čeka (Rejfman - b,p.441).

Come accaduto durante l'ultima epoca zarista, importanti personalità della letteratura e del pensiero filosofico russo subirono gli attacchi della censura militare. Ad esempio, il commissario per gli affari di stampa di Pietrogrado, M.I. Lisovskij, proibì una serie di opere

della casa editrice «Alkonost» (dal nome di una figura mitologica, metà uccello metà donna, della tradizione russa, ripresa dal mito di Alcione), con la quale pubblicavano Belyj, Remizov e Blok, e proibì la diffusione degli scritti di P. Lavrov (1823-1900), uno degli ideologi del populismo, e di due opere del sociologo P.A. Sorokin (1889-1968) dal titolo Dalla storia delle dottrine sociali e Sistemi di sociologia ( Rejfman - b, p.411).

Negli anni della guerra civile l'editoria russa si trovò in fortissima crisi, dovuta soprattutto alla carestia economica del paese. Uno dei problemi maggiori per quanto riguarda la carta stampata era sicuramente la penuria di carta. Con la Prima Guerra Mondiale la Russia aveva perso enormi territori, tra cui la Polonia, la Curlandia e altre regioni limitrofe, dove prima della Grande Guerra si produceva fino al 30% della carta totale. Con l'uscita della Finlandia la produzione si ridusse di un altro terzo. Verso la fine del 1920 si calcola che la carta prodotta non superava il 6% di quella consumata nel periodo pre-bellico (Žirkov 2001b). Le poche risorse disponibili, controllate dal Gosizdat (Edizioni di stato), erano insufficienti per il normale funzionamento dell'editoria, che durante la guerra civile rimase in pratica bloccata.

Durante il periodo della guerra civile l'attività editoriale privata, tranne quella politicamente e ideologicamente non compatibile col regime comunista (che era già stata per lo più eliminata), non fu ufficialmente proibita. Tuttavia il sequestro e la nazionalizzazione dei centri tipografici e la municipalizzazione del mercato librario l'avevano limitata sia quantitativamente che qualitativamente. Per dare dei numeri, le opere pubblicate dagli editori privati calarono dalle 289 unità del 1919 alle sole 23 del periodo gennaio-agosto del 1921. Tra le case editrici private che riuscirono a produrre qualcosa

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