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IL MONDO LETTERARIO RUSSO: DALLA GUERRA CIVILE AGLI ANN

Il passaggio al regime di libertà controllata della Nep consentì, come abbiamo già accennato, una relativa ripresa economica e una rifioritura delle imprese private, anche nel campo dell'editoria. Nel 1919 nacque il Gosizdat (Edizioni di Stato), organo che sovrintese a tutto il complesso dell'attività editoriale sovietica, attraverso anche il razionamento autoritario della carta (cfr. Aucouturier 1990, pp. 227-228). Oltre a controllare l'intera distribuzione delle riviste e dei giornali in tutto il paese, il Gosizdat svolse anche funzioni censorie. Quest'organo onnicomprensivo in pratica diresse e condizionò l'intera attività editoriale sovietica nei primi anni post-rivoluzionari, sino all'avvento della Nep. L'altro organismo che influenzò considerevolmente la cultura di quel periodo, orientandone i gusti e gli interessi del pubblico, fu il Proletkul't. Questa organizzazione, ideata e fondata dal teorico e filosofo marxista Aleksandr Bogdanov, si prefisse il compito di promuovere e di plasmare l'arte e la cultura proletaria, attraverso un processo educativo. Tramite l'organizzazione di circoli letterari e artistici, la creazione di riviste, la fondazione di centri formativi proletari e l'istituzione di corsi e seminari in cui l'operaio analfabeta poteva imparare a leggere e scrivere, i proletkul'ty favorirono la diffusione della dottrina e del pensiero bolscevichi proteggendone l'identità e l'unicità contro ogni vestigia di cultura borghese. Il movimento vide la sua fine a causa dell'ostracismo e dell'avversione di Lenin e del Partito, che condusse persino all'arresto di Bogdanov nel 1923. Durante il periodo 1918- 1921 l'intera vita letteraria sovietica si radunò attorno a rari focolai di vita, tra i quali il più importante fu la casa editrice Vsemirnaja literatura, nata su iniziativa di Maksim Gorkij con la nobile ambizione di fornire al lettore russo tutte le opere fondamentali della letteratura mondiale, corredate con note e prefazioni da parte dei più autorevoli esperti in materia (cfr. Aucouturier 1990, p. 228).

Con l'avvento della Nep, a poco a poco il tessuto della vita letteraria cominciò a ricostituirsi. Si assistette così alla proliferazione di nuovi circoli letterari e alla rinascita del mercato libresco. Numerose riviste furono fondate oppure riaprirono i battenti dopo aver

interrotto le pubblicazioni, come ad esempio la celebre rivista simbolista «Zapiski mečtatelej» (Annali dei sognatori), diretta da Andrej Belyj. A Pietrogrado, sotto l'impulso di società o associazioni letterarie come la Dom literatorov o la Dom Iskusstv (rispettivamente Casa dei letterati e Casa delle Arti), la vita letteraria trovò nuova linfa e riuscì a ricomporsi, a rigenerarsi dopo il periodo buio post-rivoluzionario. Soprattutto la Dom Iskusstv, creata dal critico Kornej Čukovskij e dall'editore Aleksandr Tichonov-Serebrov, si pose come nuovo faro della vita letteraria pietrogradese, grazie ad un atteggiamento meno misoneista, e dunque più aperto alle innovazioni, rispetto al suo suddetto omologo. Vi tennero lezioni e seminari di scrittura personaggi di spicco dell'intelligencija russa come Evgenij Zamjatin, il poeta Nikolaj Gumilёv o i formalisti Viktor Šklovskij e Boris Ejchenbaum. È all'interno di questo florido ambiente culturale che ebbe origine, sotto l'egida di Gorkij, il gruppo dei Fratelli di Serapione, movimento letterario apolitico che si pose in prima linea nel tentativo di rinnovamento della prosa sovietica, sotto l'influenza delle teorie formaliste e delle lezioni di scrittura di Zamjatin. Anche gli esuli e gli emigrati delusi dalla Rivoluzione dettero ulteriore impulso alla rinascita culturale. Il centro principale d'irradiazione della poesia e della letteratura sovietiche all'estero fu Berlino, dove si insediarono alcuni editori russi che riuscirono a pubblicare liberamente evitando le restrizioni e i controlli imposti nella madrepatria. Tra le riviste che furono stampate nella capitale tedesca ricordiamo il mensile bibliografico «Russkaja kniga» («Il libro russo»), nel quale fu attivo lo scrittore Il'ja Erenburg, la rivista costruttivista internazionale «Vešč'» («L'oggetto»), lanciata dallo stesso Erenburg nel 1923 assieme al pittore El Lisickij, oppure il quotidiano «Nakanune» («Alla vigilia»), sorto nel marzo 1922 su iniziativa del gruppo degli smenavechovcy2 e nel quale

operò, nella sede moscovita del giornale, un giovane Michail Bulgakov (cfr. Aucouturier 1990, pp. 229-230). Da ricordare anche un'altra rivista che diede ampio spazio alla letteratura e alla cultura dell'emigrazione: «Novaja Rossija» (La nuova Russia), mensile al quale collaborarono Zamjatin, Erenburg, Aleksej Remizov e dove nel 1925 sempre Bulgakov pubblicò la prima parte de La guardia bianca (Aucouturier 1990, p.230). A Mosca invece, a partire dall'aprile 1921 e per gran parte degli anni Venti, fu «Krasnaja nov'»

2 Il termine deriva dal nome dell'almanacco «Smena vech» («Cambio degli orientamenti»), apparso a Praga nel 1921 e poi edito a Parigi nel 1921-22. Lo smenovechovstvo fu un movimento di carattere ideologico-politico, composto da intellettuali che avevano abbandonato la Russia dopo la vittoria dei bolscevichi. Questi emigrati, sebbene delusi dalla Rivoluzione, si fecero portavoce di una corrente che, con sentimento patriottico, agognava la riconciliazione nazionale e la collaborazione col nuovo governo sovietico, stabilitosi in maniera permanente al potere e assuntosi ormai gli interessi del paese.

(«Terra vergine rossa») la rivista di maggior successo in ambito letterario. Fondata dal pubblicista e critico marxista Aleksandr Voronskij, essa seguì il modello dei tolstje žurnaly di vecchia tradizione. I suoi interessi spaziavano dalla letteratura alla politica, dalla filosofia alla scienza, abbracciando tutte le forme del sapere. Vi scrissero i più importanti teoretici del marxismo, tra cui lo stesso Lenin, Lunačarskij, Bucharin e Rosa Luxemburg. Il maggior merito di Voronskij fu quello di seguire una linea editoriale che privilegiasse l'originalità e la qualità letteraria degli scrittori con cui collaborò, cercando di eludere ogni tentativo di influenza e di immissione da parte di forze politiche o correnti ideologiche avverse ad ogni forma libera di pensiero e creazione letteraria (Aucouturier 1990, p. 231).

Nonostante il relativo regime di «libertà vigilata» in cui si trovavano la letteratura e l'editoria sovietiche grazie al periodo di distensione culturale inaugurato dalla Nep, a partire dai primi anni Venti si assistette ad una costante ed esponenziale politicizzazione e ideologizzazione degli ambienti letterari e artistici. Associazioni, organizzazioni e società culturali, imbevute di marxismo e bolscevismo, si contesero il primato nel campo dell'arte sovietica, arrogandosi il diritto di decidere e di indicare cosa fosse pura arte proletaria e cosa non lo fosse, oppure quale scrittore lodare e quale tacciare di anti-bolscevismo o connivenza col nemico.

Il Levyj front iskusstv (Fronte di sinistra delle arti, abbreviato Lef), generatosi nel 1921 su progetto del critico Osip Brik e di Vladimir Majakovskij, è un chiaro esempio di organizzazione politicizzata. Il Lef unì strettamente i concetti di arte nuova (nuova rispetto a quella pre-rivoluzionaria) e di Rivoluzione, respingendo qualsiasi concezione artistica ancora legata al passato e alla tradizione borghese. Si trattò di un movimento che abbracciava arte, letteratura, teatro, cinema e fotografia e che raccolse al suo interno molti intellettuali che desideravano trasformare alle radici l'arte e la cultura sovietiche. Lo zoccolo duro del gruppo era costituito da ex-cubofuturisti. Dal cubofuturismo e dai teorici dell'Opojaz (“Società per lo studio del linguaggio poetico”), soprattutto Šklovskij e Roman Jakobson, che ne furono i principali esegeti, il Lef trasse l'idea che il linguaggio, sia figurativo che poetico, non è altro che un materiale senza alcun riferimento univoco e rigoroso con la realtà, il quale deve caricarsi sempre di immagini e significati nuovi. Da qui il senso dell'arte come qualcosa in fieri, come un organismo che si trasforma continuamente senza ancorarsi ad alcun sistema rigido di rappresentazioni. C'era dunque l'impellente

bisogno di creare nuove forme artistiche, il bisogno di riformare la concezione dell'arte così come era stata riformata la vita in Russia dopo l'avvento del comunismo. Scrive Majakovskij: «La rivoluzione del contenuto (il socialismo) è impensabile senza una rivoluzione della forma (il futurismo)» (cit. Aucouturier 1990, p.237). Principio cardine del Lef fu l'«arte-costruzione della vita» (iskusstvo-žiznestroenie), secondo il quale l'arte non deve riflettere la realtà ma trasformarla. L'arte, in questo caso futurista, si doveva porre come principale veicolo e fonte d'ispirazione per la società comunista e per la classe operaia. L'arte borghese veniva respinta in toto, poiché essa conservava una dimensione troppo anacronistica dell'arte: la borghesia infatti aveva confinato quest'ultima in luoghi circoscritti (musei, mostre, accademie, biblioteche ecc.), l'aveva affidata a specialisti del settore (critici, professori ecc.) e l'aveva relegata ai soli momenti di svago e di tempo libero, alla stregua di un semplice hobby. Secondo uno dei teorici più eminenti del Lef, Boris Arvatov, l'arte doveva riposizionarsi all'apice delle attività umane, divenendo elemento insostituibile ed essenziale della quotidianità e dell'operosità dell'individuo. L'arte doveva permeare tutti gli aspetti del byt (il vivere quotidiano) e del lavoro sovietici, a partire dalla piccola creazione artigianale per arrivare alla grande produzione industriale (Aucouturier 1990, p.238). L'arte proletaria doveva anche ripensare i suoi modi e le sue forme: pittura e scultura dovevano accostarsi all'estetica industriale; la fiction doveva tradursi in «letteratura del fatto», nella quale immaginazione, sentimenti e individualità erano banditi; il romanzo doveva cedere il passo al reportage, alla cronaca, al documento; la poesia doveva infine subordinarsi al messaggio politico o propagandistico, divenendo magari agitka (volantino di propaganda) o semplice pubblicità (Aucouturier 1990, p.239). L'artista in questo modo diviene un artigiano al servizio della propria classe di appartenenza (in questo caso il proletariato) che crea e produce opere destinate a veicolare il messaggio dell'ideologia (comunista). Questa costante politicizzazione tuttavia costringerà l'artista sovietico a snaturarsi e a tramutarsi in un mero portavoce delle direttive del Partito. Fu questa una delle cause che portarono all'uscita di scena di Majakovskij nel 1928, allontanamento che decretò infine la scomparsa del gruppo. Dopo aver riproposto, senza grandi risultati, una nuova organizzazione (il Ref, Revoljucionnyj front iskusstv, Fronte rivoluzionario delle arti), per gran parte simile alla precedente, Majakovskij ottenne nel 1930 l'adesione alla Rapp (Rossijskaja associacija proletarskich pisatelej), la potente «Associazione russa degli scrittori proletari» di cui

parleremo in seguito.

Nel corso degli anni Venti il dibattito sulla letteratura si concentrò soprattutto su una questione: la posizione che lo scrittore, e in generale l'intellettuale, dovevano occupare all'interno della società e della cultura comuniste. Associazioni, gruppi e riviste letterarie si batterono, senza esclusione di colpi, nel tentativo di delineare e di definire in maniera autonoma la categoria dello «scrittore proletario», indicandone via via i requisiti e le qualità necessarie per farne parte. A coloro che ne risultavano esclusi, veniva dato l'ostracismo. La proliferazione di questo tipo di organizzazioni culturali, e la confusione derivatane, costrinse il Partito a intervenire più volte, attraverso decreti e leggi ad hoc. Il culmine di questo lungo processo, come vedremo, sarà il 23 aprile del 1932: in questa data il Comitato centrale del partito comunista sovietico (dei bolscevichi) promulgò una risoluzione dal titolo Sul riassesto delle organizzazioni letterarie. Questo evento dette il via alla nuova fase della letteratura e dell'arte in Urss, ovvero la fase del «realismo socialista» (Strada 1991, p.5).

La Vapp (Vserossijskaja associacija proletarskich pisatelej – Associazione panrussa degli scrittori proletari), creata nel 1920, si distinse come organizzazione ancor più ideologizzata rispetto al Lef. Il suo nocciolo era composto da poeti di pura estrazione operaia, come Vladimir Kirillov o Michail Gerasimov, per citarne alcuni. Allontanatisi dal Proletkul't3, reo secondo loro di aver «frenato l'espressione delle potenzialità creative degli

scrittori proletari» (cit. Aucouturier 1990, p.241), essi contemporaneamente alla Vapp fondarono il gruppo letterario La fucina (Kuznica), assieme all'omonima rivista. I letterati che ne fecero parte si posero come unici depositari della poesia e della letteratura proletarie, cercando di esercitare una certa egemonia nell'ambito dell'estetica e della critica letteraria russe. Non passò molto tempo però prima di veder minacciata questa egemonia: un nuovo gruppo letterario, formato da giovani militanti imbevuti di cultura operaia, sorse nel 1922 con l'obiettivo di contrastare e infine superare La fucina, tacciata di «professionalismo piccolo-borghese» (Magarotto 1980, p. 39). Si tratta del gruppo Oktjabr' (Ottobre). Tra le sue fila si contavano ex-commissari dell'Armata Rossa (Aleksandr Fadeev e Furmanov),

3 Alla base della querelle tra il Proletkul't e i dissidenti di Kuznica vi era soprattutto la loro diversa concezione di professionalità e di specializzazione in ambito artistico. Il gruppo La fucina ruppe con il concetto bogdanoviano di arte, che vedeva quest'ultima come un prodotto «naturale» dell'operaio, come un'attività che si rispecchiava e si fondeva in tutto e per tutto con quella lavorativa. Contro la figura dell'operaio-artista, centrale nell'ideologia proletkul'tiana, i membri de La fucina invocarono il ritorno ad un ideale più individualistico e più professionale di uomo d'arte. Esso era per loro uno specialista che si doveva occupare solo ed esclusivamente di arte, senza per questo venir meno ai suoi obblighi verso il proletariato e la lotta di classe (Magarotto 1980, p.38).

membri del Komsomol (Aleksandr Jarov e Aleksandr Bezymenskij), e in generale giovani scrittori che, pur non essendo di origine proletaria, erano stati educati e formati dalle idee del Partito (Aucouturier 1990, p. 241). Ne fece parte anche un giovane Michail Šolochov. Secondo questo nuovo movimento, la letteratura era da considerarsi in tutto e per tutto come un'attività politica. Riferendoci al loro credo, dovere primario degli «scrittori proletari» era quello di portare avanti la lotta di classe, producendo una letteratura che «riflettesse il quotidiano della Rivoluzione» (Aucouturier 1990, p.242). Il gruppo Oktjabr' era da definirsi come un movimento sociale, prima che letterario: questo spiega il fatto che all'interno di esso occuparono una posizione di privilegio militanti, pubblicisti e oratori da palcoscenico. Nel gennaio del 1923 venne fondata la rivista «Na postu» («Al posto di guardia»), principale mezzo di diffusione degli ideali del gruppo. I cosiddetti napostovcy finirono col prevalere sui membri de La Fucina: essi riuscirono a ottenere la maggioranza effettiva sia all'interno della Mapp (Moskovskaja associacija proletarskich pisatelej), l'influente Associazione moscovita degli scrittori proletari, sia, nel 1925, all'interno della stessa Vapp. Man mano che i napostovcy avanzavano perentoriamente sulla scena culturale sovietica, in maniera parallela si inasprivano le loro denunce e le loro intimidazioni nei confronti dei poputčiki («compagni di strada»), ovvero verso quegli scrittori che pur non essendo comunisti avevano tuttavia accettato la Rivoluzione bolscevica. Per i napostovcy la letteratura sovietica doveva incarnare l'ideale della partijnost' (ovvero lo spirito del Partito), dimostrando totale aderenza ad esso e ai suoi principi (cfr. Zalambani 2009, p.106). Non c'era dunque più spazio per coloro che pensavano ed agivano al di fuori del Partito, per coloro che difendevano la propria individualità, la propria originalità, la propria dignità di scrittore contro ogni tendenza al collettivismo e al politicismo in campo letterario. Si venne così alimentando una politica del sospetto verso tutte quelle riviste o quegli intellettuali che rispettivamente pubblicavano o davano eco alle opere dei poputčiki, come ad esempio Voronskij e il suo periodico «Krasnaja nov'». Quest'ultimo ospitò al suo interno diversi scritti di autori considerati tra gli indiscussi protagonisti della rinascita della prosa e della poesia sovietiche degli anni Venti, come Isaak Babel', Pil'njak, Sergej Esenin, gli immaginisti4 e i Fratelli di Serapione (Aucouturier 1990, p.243). Voronskij, per arginare lo

4 L'immaginismo fu un movimento poetico nato a Mosca nel 1918-19. Esso si presentò come l'ultima evoluzione del futurismo russo, soprattutto quello degli esordi, da cui riprese lo stile pubblicitario, lo spirito provocatorio e i toni chiassosi. L'immaginismo assunse l'immagine a principio costitutivo della poesia. Ne fecero parte poeti come Esenin, Ivnev, Mariengof e Šeršenevič. Il gruppo cessò di esistere nel 1925.

strapotere che ormai avevano assunto i napostovcy, decise di dar vita a un nuovo gruppo letterario, Pereval (Il valico). Esso fu attivo dal 1923 sino agli inizi degli anni Trenta. Sfruttando la sua posizione di privilegio all'interno degli ambienti ufficiali della critica e della cultura sovietiche, soprattutto per quanto riguarda la capitale, Voronskij tentò di dare forma ad un movimento che privilegiasse il carattere autentico, genuino e irrazionale dell'arte a discapito di tutta quella produzione che invece si basava esclusivamente sugli indottrinamenti e le direttive del Partito. Da notare il fatto che Il valico era composto per la maggior parte da membri del Partito e del Komsomol, o da ex-membri della Vapp, e che dunque non era un raggruppamento apolitico. In esso erano anzi presenti comunisti entusiasti, tuttavia convinti che la letteratura non dovesse essere impregnata di slogan, bensì mostrare in modo organico il mondo che cambia e gli individui che in esso evolvono, fra difficoltà e contraddizioni. Dopo essersi alleata con il Lef, con il quale condivideva la lotta contro ogni forma d'arte borghese e antirivoluzionaria, la Mapp, a partire dal 1923, intraprese una campagna discriminatoria e aggressiva contro i poputčiki e contro gruppi letterari avversi come Il valico, invocando sempre più spesso l'intervento del governo dell'Urss (Aucouturier 1990, p. 244). I napostovcy, tramite la loro rivista ufficiale «Na postu» o attraverso le colonne della Pravda, chiesero più volte al Partito di dirimere le questioni in ambito letterario e artistico stabilendo una volta per tutte una linea politica precisa e insindacabile. Attaccati su più fronti, i poputčiki tentarono di reagire appellandosi direttamente agli organi di governo. Nella celebre lettera che trentasei di loro composero, sottoscrissero e inviarono al Comitato Centrale nel maggio del '24 (tra i firmatari si annoverano grandi della letteratura russa come Pil'njak, Babel', Vsevolod Ivanov, Aleksej Tolstoj, Esenin, Michail Zoščenko e Osip Mandel'štam), sta tutto il disagio e lo sconforto di una pleiade di scrittori e poeti stanca delle continue ingiurie ricevute (cfr. Aucouturier 1990, p.244). Ne riportiamo un estratto:

Il tono di riviste come «Na postu» e la loro critica, che essi spacciano per l'opinione del Partito comunista russo nel suo insieme, considerano il nostro lavoro letterario da un punto di vista assolutamente preconcetto e falso. Noi riteniamo necessario dichiarare che tale atteggiamento verso la letteratura non è degno né della letteratura né della Rivoluzione e demoralizza le masse degli scrittori e dei lettori (cit. Aucouturier 1990, p.244).

I poputčiki ribadirono comunque la loro lealtà nei confronti del regime. Essi tentarono semplicemente di calmare le acque almeno sino a quando il Partito non avesse preso una decisione in merito. Ed infine il Comitato Centrale intervenne. Nel 1° luglio 1925 esso promulgò un decreto dal titolo K voprosu o politike Partii v oblasti chudožestvennoj literatury (Sulla politica del Partito nel campo letterario), una risoluzione che avrebbe regolato la vita letteraria sovietica fino al 1932 (cfr. Strada 1991, p.5). Si trattò di un documento di carattere provvisorio, nel quale il Partito evitò di prendere decisioni irrefragabili che dessero ragione all'uno o all'altro schieramento. Di natura relativamente liberale, l'intervento del Comitato Centrale riconobbe i diritti e le richieste dei poputčiki, dichiarandosi favorevole al pluralismo e alla libera competizione in campo artistico. Per il Partito nessuna organizzazione letteraria poteva arrogarsi il diritto di possedere il monopolio dell'attività editoriale, monopolio che, in tempi più consoni, sarebbe stato poi esercitato direttamente dagli apparati direttivi. Il Partito comunista comunque controllava già de facto l'editoria e la letteratura sovietiche, attraverso organi censori quali il Glavlit (Glavnoe upravlenie po delam literatury i izdatel'stv – Direzione generale delle questioni di stampa e di editoria) o il Glavrepertkom (Glavnyj repertuarnyj komitet – Comitato centrale per i repertori teatrali), pertanto il suo intervento fu pensato più per riaffermare la totale dipendenza dal potere politico della letteratura che per fare concessioni ai poputčiki. Resosi conto che un'egemonia in campo letterario degli «scrittori proletari» non si era ancora realizzata, il governo era comunque sicuro che questa si sarebbe realizzata come fatto storico e compiuto: «la direzione nel campo della letteratura appartiene alla classe operaia» e «il Partito deve aiutare questi scrittori (proletari) a guadagnarsi il diritto storico a questa egemonia» (cit. Strada 1991, p.6), si legge nel decreto. Sotto l'egida del Partito comunista, il proletariato avrebbe infine trovato una propria dimensione «letteraria» conforme ai canoni del marxismo e del socialismo. Come conseguenza del decreto, il gruppo dirigente della Vapp fu sostituito da nuovi personaggi, come il critico Leopol'd Averbach o i romanzieri J. Libedinskij e A. Fadeev, che si adeguarono ai nuovi dettami del Partito cercando successivamente di raggiungere il proprio scopo (la supremazia degli «scrittori proletari») solo attraverso mezzi letterari e non autoritari (Aucouturier 1990, p. 245).

La Vapp perderà col tempo sempre più potere a favore di un'altra associazione letteraria, costituitasi nel gennaio del 1925: la Rapp, l'Associazione russa degli scrittori proletari

(Rossijskaja associacija proletarskich pisatelej), di cui fu primo segretario lo stesso Averbach. Essa si dimostrò ancor più intransigente nei confronti dei «compagni di strada»; in maniera manichea, essi suddivisero gli scrittori sovietici in due insiemi: «sojuznik ili vrag», «alleato o nemico», per utilizzare la loro terminologia. Assieme al Partito la Rapp si fece inoltre protagonista di una vasta lotta contro il trockismo e le ideologie ad esso contigue. In pratica questa associazione fu un formidabile strumento in mano al Partito e di

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