Anche l’articolo 441-bis è norma applicabile nel giudizio abbreviato richiesto dall’ente.
Esso attribuisce all’imputato, nel caso in cui il pubblico ministero proceda a modificare l’imputazione originariamente contestata ovvero operi la contestazione di reati concorrenti o circostanze aggravanti ai sensi del primo comma dell’articolo 423, l’alternativa tra chiedere la retrocessione dell’abbreviato al rito ordinario ovvero l’ammissione di nuove prove «anche oltre i limiti previsti dall’articolo 438 comma 5».
Tale richiesta è vincolata alle stesse forme di quella di instaurazione del rito, avendola considerata il legislatore un atto personale dell’imputato.
L’imputato deve dunque manifestare in maniera espressa la sua volontà di retrocedere dall’abbreviato entro il termine eventualmente concessogli su sua richiesta ai sensi del terzo comma dell’articolo 441-bis.
La rinunzia al giudizio abbreviato non può però essere parziale e si riferisce dunque, nel caso di contestazione di un reato concorrente, anche all’accusa originaria, diversamente da quanto invece accade nell’ipotesi di contestazione del fatto “nuovo”, dove la mancata prestazione del consenso impedisce l’allargamento del giudizio a quest’ultimo, ma non obbliga l’imputato a rinunziare al rito alternativo sull’imputazione per la quale era stato richiesto.
Una volta presentata la richiesta di retrocessione il giudice è tenuto a revocare il provvedimento con cui era stato disposto il giudizio abbreviato.
E’ prevista una serie di possibili varianti in ragione del diverso rito su cui si era innestato quello semplificato.
58Così GARUTI, I profili soggettivi del procedimento, in AA.VV., Responsabilità amministrativa degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di GARUTI, Padova 2002, p. 279.
Così nel rito ordinario è previsto dal quarto comma dell’articolo 441-bis che il giudice prosegua l’udienza preliminare dall’esatto momento in cui era stata richiesto il giudizio abbreviato59.
L’articolo 452, comma 2, per il giudizio direttissimo, e l’articolo 556, comma 2, per il rito relativo ai reati a citazione diretta, dispongono invece che alla revoca dell’abbreviato consegua la fissazione dell’udienza dibattimentale.
Anche l’articolo 458, comma 2, per il giudizio immediato, e l’articolo 464, comma 1, nel caso di decreto penale di condanna, contengono disposizione analoga.
L’articolo 441-bis, sempre al quarto comma, disciplina, infine, l’efficacia degli atti a contenuto probatorio eventualmente assunti nel corso del giudizio abbreviato poi regredito alle forme ordinarie.
Ed a tal fine assimila l’attività istruttoria tenutasi nel rito alternativo a quella svolta nell’udienza preliminare ai sensi degli articoli 421-bis e 422.
11. L’articolo 442 c.p.p. (i commi 3 e 4 dell’articolo 62 del D.Lgs. n. 231 del 2 0 0 1 )
Con riguardo all’articolo 442, nessun problema sussiste in relazione all’applicabilità dei commi 1-bis e 4; necessitano, invece, di opportune precisazioni le disposizioni dei commi 1 e 3; infine, il comma 2 subisce l’incidenza delle disposizioni “speciali”
contenute nei commi 3 e 4 dell’articolo 62 del D.Lgs. n. 231 del 2001.
Il comma 1-bis
A norma del comma 1-bis dell’articolo 442, il giudice è tenuto, ai fini della deliberazione, ad utilizzare gli atti contenuti nel fascicolo trasmesso dal pubblico ministero unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio, la documentazione di cui all’articolo 419, comma 3, e “le prove assunte nell’udienza”.
La disposizione è specificamente riferita al giudizio abbreviato che si innesta sull’udienza preliminare.
Lo dimostrano sia il riferimento alla richiesta di rinvio a giudizio sia il richiamo alla fase incidentale di acquisizione documentale (articolo 419, comma 3) che può precedere la discussione nell’udienza medesima.
Ciò nondimeno essa va estesa anche al giudizio abbreviato che sia introdotto da richieste presentate nel dibattimento che segua a citazione diretta a giudizio, nel giudizio direttissimo e nella fase successiva all’emissione del decreto di giudizio immediato e del decreto di condanna.
In dette ipotesi, peraltro, la base cognitiva del giudice sarà formata, a seconda dei casi, dagli atti contenuti nel fascicolo trasmesso dal p.m. unitamente alla richiesta di giudizio immediato ai sensi dell’articolo 454, comma 2, ed alla richiesta di decreto di
59 In proposito la norma testualmente dispone che il giudice «fissa l’udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione», ma si tratta di un evidente refuso, che presuppone la possibilità di anticipare la richiesta di abbreviato rispetto al momento di apertura dell’udienza preliminare, possibilità contemplata nell’assetto previgente alla legge n. 479 del 999 ed oggi non più configurabile: in ogni caso, dunque, quello adottato dal giudice sarà un provvedimento di prosecuzione dell’udienza preliminare.
condanna ai sensi dell’articolo 459, comma 1, nonché dagli atti contenuti nel fascicolo del p.m. acquisiti, in seguito ad ordine di esibizione, dal giudice del dibattimento in applicazione analogica dell’articolo 135 disp. att. dettato con riguardo alle decisioni dibattimentali sulla richiesta di patteggiamento.
Quanto alle “prove assunte nell’udienza”, la norma si riferisce, naturalmente, sia all’udienza preliminare sia all’udienza del giudizio abbreviato.
Quanto all’udienza preliminare, si tratta, oltre agli interrogatori degli imputati, degli elementi probatori acquisibili attivando i meccanismi di cui agli articoli 421-bis e 422, nonché delle prove acquisite nella fase dell’udienza con incidente probatorio.
Il comma 4
L’articolo 442, comma 4, prevede invece espressamente l’applicazione del disposizione dell’articolo 426, comma 2, dettato per la sentenza di non luogo a procedere nell’udienza preliminare.
Il riferimento concerne la disciplina della sottoscrizione della sentenza nel caso di impedimento del giudice ed è stato fatto soltanto perché l’articolo 546, comma 2, concerne un organo collegiale, mentre nel giudizio abbreviato il giudice è monocratico60.
Il comma 1
Il comma 1 dell’articolo 442 stabilisce che il giudice, terminata la discussione, provveda “a norma degli articoli 529 e seguenti”.
Il rinvio deve intendersi riferito all’intero capo II, dedicato alla decisione del giudizio dibattimentale.
Non sono, peraltro, applicabili le disposizioni che gli articoli 538 - 543 dedicano alla decisione sulle questioni civili.
Inoltre, la tipologia di sentenze pronunciabili nei confronti dell’ente risente della peculiarità dell’oggetto del giudizio.
In tal senso vanno ricordate le seguenti disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 231 del 2001:
• l’articolo 66 che stabilisce che, se l’illecito amministrativo contestato all’ente non sussiste, il giudice lo dichiara con sentenza, indicandone la causa nel dispositivo.
Allo stesso modo procede quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova dell’illecito amministrativo. Detta sentenza va intesa - così si legge nella Relazione - come idonea a ricomprendere “tutte le ipotesi di esclusione della responsabilità amministrativa, che incidono sia sull’elemento reato, sia sui profili relativi all’imputabilità dell’illecito all’ente”61. Va in proposito ricordato che, a norma dell’articolo 6, comma 5, è comunque disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente;
• l’articolo 67 secondo il quale il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere nei casi previsti dall’articolo 60 (recte “nel caso” in cui la contestazione
60Così Cass. S.U. 15 dicembre 1992, Cicero, in Cass. pen. 1993, p. 1668.
61V. Relazione cit., p. 546.
dell’illecito ex articolo 59 sia stata formulata quando già il reato presupposto era estinto per prescrizione) e quando la sanzione è estinta per prescrizione (ai sensi dell’articolo 22, le sanzioni si prescrivono quando siano decorsi cinque anni dalla data di consumazione del reato presupposto e non sia intervenuta né la richiesta di applicazione di misure cautelari, né la contestazione dell’illecito ai sensi dell’articolo 59. Peraltro, se l’interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio;
• l’articolo 68 alla stregua del quale il giudice, quando pronuncia una delle sentenze di cui agli articoli 66 e 67, dichiara la cessazione delle misure cautelari eventualmente disposte;
• l’articolo 69 che prescrive che, se l’ente risulta responsabile dell’illecito amministrativo contestato, il giudice applica le sanzioni previste dalla legge e lo condanna al pagamento delle spese processuali e precisa (comma 2) che, in caso di applicazione delle sanzioni interdittive, la sentenza deve sempre indicare l’attività o le strutture oggetto della sanzione;
• l’articolo 70 secondo il quale, nel caso di trasformazione, fusione o scissione dell’ente responsabile, il giudice dà atto nel dispositivo che la sentenza è pronunciata nei confronti degli enti risultanti dalla trasformazione o fusione ovvero beneficiari della scissione, indicando l’ente originariamente responsabile.
La sentenza pronunciata nei confronti dell’ente originariamente responsabile ha comunque effetto anche nei confronti degli enti anzidetti.
Si ricordi, inoltre, con riguardo al procedimento per decreto che il giudice deve in ogni caso revocare il decreto di condanna (articolo 464, comma 3).
Deve revocarlo anche nei confronti degli imputati dello stesso reato che non abbiano proposto opposizione solo in caso di sentenza che prosciolga l’imputato perché il fatto non sussiste, non è previsto dalla legge come reato ovvero è commesso in presenza di una causa di giustificazione (articolo 464, comma 5).
Sono, infine, applicabili al giudizio abbreviato le disposizioni riguardanti gli atti successivi alla deliberazione contenute negli articoli 544 - 548.
In particolare, a norma dell’articolo 544, il giudice, dopo avere deliberato, redige e sottoscrive il dispositivo della sentenza; se possibile, redige altresì, in camera di consiglio, una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la sentenza è fondata (cd. motivazione contestuale).
Altrimenti procede alla redazione della motivazione non oltre il quindicesimo giorno da quello della pronuncia del dispositivo, a meno che la stesura della motivazione stessa sia particolarmente complessa per il numero delle parti o per il numero e la gravità delle imputazioni, nel qual caso può indicare nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il novantesimo giorno da quello della pronuncia.
La sentenza è pubblicata in udienza, a norma dell’articolo 545, mediante la lettura del dispositivo.
La lettura dell’eventuale motivazione contestuale segue quella del dispositivo, può essere sostituita con un’esposizione riassuntiva ed equivale a notificazione della sentenza per le parti che sono o devono considerarsi presenti all’udienza.
La sentenza pronunciata all’esito di un giudizio abbreviato camerale non va dunque pubblicata a norma dell’articolo 128 mediante deposito in cancelleria di dispositivo e motivazione.
Tuttavia, qualora il giudice si sia attenuto alla regola prevista per la pubblicazione dei provvedimenti camerali, non sussiste alcuna nullità, né di ordine generale, né assoluta né relativa, dato che l’articolo 546, nel disciplinare le nullità dovute alla mancanza dei requisiti che la sentenza deve contenere, non vi include quella derivante dall’omessa lettura del dispositivo in udienza62.
Va detto, peraltro, che si registrano in giurisprudenza anche decisioni che reputano corretto che il giudice, nel caso di sentenze camerali pronunciate in primo grado o in grado di appello a seguito di giudizio abbreviato, si riservi la comunicazione della decisione e la depositi insieme alla motivazione nel termine63.
Per individuare i requisiti della sentenza emessa nel giudizio abbreviato deve farsi riferimento all’articolo 546, comma 1.
La sentenza deve, in particolare, contenere “la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto sui quali la decisione è fondata, con l’indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie”64.
A norma dell’articolo 548 la sentenza è depositata in cancelleria immediatamente dopo la pubblicazione ovvero entro i termini previsti dall’articolo 544, commi 2 e 3.
Quando la sentenza non è depositata entro il trentesimo giorno (il termine è rimasto invariato anche dopo la riduzione a quindici giorni del termine di cui all’articolo 544, comma 2) o entro il diverso termine indicato dal giudice a norma dell’articolo 544, comma 3, l’avviso di deposito è comunicato al pubblico ministero e notificato alle parti private cui spetta il diritto di impugnazione.
Il comma 3
Il comma 3 dell’articolo 442 prevede che la sentenza sia notificata all’imputato non comparso.
Quanto sopra si è detto a proposito della contumacia dell’ente (v. par. 6) rende superflua la disposizione.
Considerato, infatti, che l’articolo 442, comma 1, rinvia esplicitamente agli articoli 529 e seguenti, alla notificazione della sentenza all’imputato contumace ed alla decorrenza dei termini per l’impugnazione vanno applicate, con identico risultato pratico, le disposizioni di cui agli articoli 548, comma 3, e 585, comma 2, lettera d).
Il comma 2 dell’articolo 442 stabilisce, infine, che, in caso di condanna, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita di un terzo. Alla pena dell’ergastolo è sostituita quella della reclusione di anni trenta.
Alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell’ergastolo.
62Così Cass. 22 novembre 2002, Chivasso, CED 223253; conformi Cass. 8 gennaio 1999, Collevecchio, CED 212508;
Cass. pen. sez. VI 14 maggio 1996, Merlini, CED 205968.
63Cass. 27 maggio 2003, Wang Mai, CED 226206; conforme Cass. 20.12.1996, Agresti, CED 208195.
64Nel senso che i requisiti della sentenza non sono quelli indicati dall’articolo 426 con riguardo alla sentenza di non luogo a procedere e che perciò la sentenza non possa limitarsi ad “una esposizione sommaria dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata”, v. Cass. S.U. 15 dicembre 1992, Cicero, in Cass. pen. 1993, p. 1668.
I commi 3 e 4 dell’articolo 62 del D.Lgs. n. 231 del 2001
I commi 3 e 4 dell’articolo 62 del D.Lgs. n. 231 del 2001 dettano, naturalmente, disposizioni in deroga.
In particolare:
• la riduzione di un terzo, di cui all’articolo 442, comma 2, è operata sulla durata della sanzione interdittiva e sull’ammontare della sanzione pecuniaria (comma 3);
• il giudizio abbreviato non è ammesso quando per l’illecito amministrativo è prevista l’applicazione di una sanzione interdittiva in via definitiva ex articolo 16 (comma 4);
in altre parole, nel giudizio si applicano solo sanzioni interdittive temporanee.
Quanto al comma 3, va solo ricordato che l’individuazione della sanzione pecuniaria viene effettuata anzi tutto mediante l’indicazione di un numero minimo e massimo di quote, quindi attraverso la specificazione del valore monetario delle quote, da scegliere all’interno di valori minimi e massimi.
La riduzione di un terzo deve poi essere calcolata sulla sanzione pecuniaria come risultante dal rapporto tra il numero di quote individuate e il valore prescelto per ognuna di esse.
Quanto alle altre sanzioni amministrative previste, vale a dire confisca e pubblicazione della sentenza, la scelta del rito non comporta benefici di alcun tipo.
I problemi più significativi sono posti dal comma 4.
Il legislatore ha escluso l’ammissibilità del giudizio abbreviato qualora per l’illecito amministrativo sia prevista l’applicazione di una sanzione interdittiva in via definitiva.
Lo ha fatto - così si legge nella Relazione - per evitare che sia frustrata, tramite la loro riduzione e trasformazione in sanzioni temporanee, l’esigenza che presiede la previsione di sanzioni definitive, cioè di estromettere determinati soggetti dal mercato65. Delle sanzioni interdittive applicate in via definitiva si occupa l’articolo 16 del D.Lgs. n. 231 del 2001, stabilendo:
• che può essere disposta l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività se l’ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità ed è già stato condannato, almeno tre volte negli ultimi sette anni, alla interdizione temporanea dall’esercizio dell’attività (comma 1);
• che il giudice può applicare all’ente, in via definitiva, la sanzione del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione ovvero del divieto di pubblicizzare beni o servizi quando è già stato condannato alla stessa sanzione almeno tre volte negli ultimi sette anni (comma 2);
• che è sempre disposta l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività e non si applicano le disposizioni previste dall’articolo 17 se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità (comma 3).
65 V. Relazione cit., p. 542. TIRELLI, I procedimenti speciali, in AA.VV., Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di GARUTI, Padova 2001, p. 327, reputa che la scelta di precludere i benefici del rito premiale ai soggetti cui è attribuito un illecito amministrativo punito con sanzione definitiva sia segnata “da sospetta demagogia e difficilmente resistibile a una censura di legittimità costituzionale”; riserve sulla asimmetria rispetto all’ammissibilità del giudizio abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo sono avanzate anche da CERESA -GASTALDO, op.
cit., p. 76; lo “sridente” contrasto con la normativa codicistica è rilevato anche da LORUSSO, La responsabilità “da reato”
delle persone giuridiche: profili processuali del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in Cass. pen. 2002, p. 2535.
A ciò si aggiunga - come già si è avuto modo di dire - che le sanzioni interdittive, anche definitive (ad esclusione del caso di cui al citato comma 3), non si applicano quando l’ente ha posto in essere le condotte riparatorie indicate nell’articolo 17.
Il quadro normativo è oltremodo complicato dal fatto che la sanzione interdittiva perpetua non è dal legislatore costruita come astratta tipologia accanto a quella temporanea.
Ne deriva una prima considerazione: non ha senso prevedere - come fa il comma 4 dell’articolo 62 - che il giudizio abbreviato non è ammissibile qualora per l’illecito amministrativo “sia prevista” l’applicazione di una sanzione interdittiva in via definitiva.
A meno di non voler restringere la portata della limitazione al solo caso di cui al comma 3 dell’articolo 1666; a meno cioè di non voler affermare che il giudizio abbreviato non è ammissibile solo nell’ipotesi in cui il pubblico ministero contesti all’ente o ad una sua unità organizzativa di essere stato stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati.
In tal caso, infatti, poiché l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività è sempre disposta e non si applicano le disposizioni previste dall’articolo 17, può ritenersi che per l’illecito amministrativo “sia prevista” l’applicazione della sanzione interdittiva.
Va detto, peraltro, che questa soluzione interpretativa sembra esclusa dallo stesso articolo 62 che, come si è visto, si riferisce in genere alle sanzioni interdittive definitive non alla sola interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività.
Sicché è giocoforza ritenere che il legislatore intenda precludere il giudizio abbreviato in tutti i casi in cui il pubblico ministero contesti all’ente, con la dovuta chiarezza e precisione, fattispecie dalle quali possa derivare la concreta applicazione in via definitiva di sanzioni interdittive (quindi anche nei casi di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 16).
Tutto dunque dovrebbe ruotare attorno alla contestazione. Essa traccia la linea di condotta che il giudice è tenuto ad osservare nel decidere sulla richiesta.
La richiesta dovrà essere dichiarata inammissibile nel caso si proceda per fattispecie concrete dalle quali debba o possa derivare l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività oppure possa scaturire l’applicazione all’ente, in via definitiva, della sanzione del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione ovvero del divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Non sembra consentito al giudice, per i casi in cui l’applicazione in via definitiva della sanzione è facoltativa, di ammettere il giudizio abbreviato sulla base di una prognosi di non applicabilità che potrebbe poi essere smentita all’esito del giudizio.
Il precluso accesso al rito in tali casi impone peraltro al giudice del dibattimento di applicare le diminuenti previste sia per le sanzioni interdittive temporanee sia per le sanzioni pecuniarie qualora dovesse accertarsi l’erroneità della contestazione e, in genere, l’insussistenza dei presupposti fondati l’esclusione.
66GENNAI - TRAVERSI, op. cit., p. 278 rilevano che l’articolo 62, comma 4, dà adito a incertezze interpretative in quanto l’applicazione di sanzioni interdittive definitive, come delineata dall’articolo 16, è demandata alla discrezionalità del giudice ad eccezione del caso dell’ente intrinsecamente illecito di cui al comma 3 dello stesso articolo; sul punto v.
altresì LORUSSO, loc. ult. cit.; TRICOMI., Riti alternativi: obiettiva riduzione dei processi, in Guida dir. 2001, n. 26, p. 105;
NUZZO, Primi appunti sugli aspetti probatori e sulle decisioni finali concernenti l’illecito amministrativo dipendente da reato, in Arch. nuova proc. pen. 2001, p. 461.
Non sembra, invece, che il giudice del dibattimento sia tenuto ad applicare le diminuenti, qualora in presenza di una corretta contestazione eserciti il proprio potere discrezionale, là dove gli sia riconosciuto, decidendo di non applicare la sanzione interdittiva in via definitiva.
12. L’articolo 443 c.p.p.
Si tratta ora di verificare l’applicabilità dell’articolo 443 c.p.p., disposizione che, nell’affermare l’appellabilità della sentenza emessa nel giudizio abbreviato, detta norme speciali, implicitamente richiamando l’applicazione di quelle generali in materia di impugnazioni (articoli 568 e seguenti) e di appello (articoli 593 e seguenti).
La verifica non può prescindere da alcune considerazioni sull’articolo 71 del D.Lgs.
n. 231 del 2001 che ha disciplinato le impugnazioni dell’ente contro le sentenze relative alla sua responsabilità amministrativa, prevedendo:
• che contro la sentenza che applica sanzioni amministrative diverse da quelle interdittive l’ente può proporre impugnazione nei casi e nei modi stabiliti per
• che contro la sentenza che applica sanzioni amministrative diverse da quelle interdittive l’ente può proporre impugnazione nei casi e nei modi stabiliti per