L’articolo 438, comma 3, c.p.p. stabilisce che la volontà dell’imputato è espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale.
43Così Cass. S.U. 21 giugno 2000, Tammaro, cit.; conformi Cass. 18 giugno 2003, Di Matteo, CED 225262; Cass. 20 gennaio 2003, Di Maggio, CED 224189; Cass. 23 giugno 2000, Adami, in Guida dir. 2000, n. 39, p. 99. Si veda altresì Cass.
pen. sez. SU 25 febbraio 1998, Gerina, in Cass. pen. 1998, p. 1951 secondo cui la sanzione di inutilizzabilità opera su un duplice piano: come divieto di acquisizione e come divieto di uso della prova. Sotto il primo profilo, l’inutilizzabilità impedisce l’ammissione e l’assunzione del mezzo di prova colpito dal divieto; sotto il secondo, essa funziona da regola dell’esclusione dell’efficacia probatoria dell’atto comunque acquisito, perdendo questo “ope legis” qualsiasi valore dimostrativo e divenendo assolutamente inidoneo a produrre un risultato conoscitivo utilizzabile ai fini della decisione...
Ne consegue che, in relazione alla predetta, peculiare connotazione, il divieto di uso del risultato probatorio ha come naturale destinatario il giudice e non può che riferirsi, sotto l’aspetto funzionale, al momento della deliberazione di un provvedimento.
La richiesta di giudizio abbreviato è, dunque, atto dispositivo “personale”
dell’imputato, in deroga al principio di estensione al difensore dei diritti del medesimo formulato nell’articolo 99, comma 144, in quanto determina effetti particolarmente incisivi sulla sfera giuridica del soggetto, sia sul terreno sostanziale che su quello processuale, segnatamente una non reversibile disposizione di diritti fondamentali45.
La volontà dell’imputato è “espressa personalmente”: lo stabilisce il comma 3 dell’articolo 438, rimasto immutato rispetto al passato ed espressamente richiamato dagli articoli 458, comma 2, e 464, comma 2, concernenti rispettivamente la richiesta presentata a seguito di decreto di giudizio immediato o mediante l’opposizione a decreto di condanna, nonché dagli articoli 452, comma 2 (“si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni degli articoli 438, commi 3...”) e 558, comma 8 (“si applicano le disposizioni dell’articolo 452, comma 2”) riguardanti la richiesta nel giudizio direttissimo e 556, comma 1 (“si osservano, rispettivamente, le disposizioni dei titoli I... del libro sesto, in quanto applicabili”), attinente alla richiesta presentata in dibattimento a seguito di citazione diretta a giudizio.
Il comma 3 dell’articolo 438 offre la possibilità all’imputato di conferire la legitimatio ad processum ad uno speciale procuratore ad acta.
Stabilisce in proposito l’articolo 122, comma 1, che, quando la legge consente che un atto sia compiuto per mezzo di un procuratore speciale, la procura deve, a pena di inammissibilità, essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve contenere, oltre alle indicazioni richieste specificamente dalla legge, la determinazione dell’oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce.
La lettera della disposizione porta ad escludere che l’inosservanza di tali ultime prescrizioni contenutistiche sia “a pena di inammissibilità”, inciso chiaramente riferito alla sole modalità di rilascio.
Se la procura, come accade il più delle volte, è rilasciata per scrittura privata al difensore, unitamente o separatamente dalla procura ad litem di cui all’articolo 100, la sottoscrizione può essere autenticata dal difensore medesimo.
La richiesta di giudizio abbreviato presentata dal difensore non munito di procura speciale, anche in udienza preliminare o dibattimentale, in assenza dell’imputato è, invece, inammissibile46.
44Tale scelta è stata operata dal legislatore anche con riferimento a situazioni affini, quali l’applicazione della pena su richiesta (articolo 446) e la rinuncia all’udienza preliminare (articolo 419, comma 5), nonché in relazione ad altre iniziative processuali che parimenti determinano effetti particolarmente incisivi per il richiedente (v. articoli 38, 46, 315, 589, 625-bis, 645).
45Così Corte Cost. 13 gennaio 2005, n. 57, in Dir. pen. proc. 2005, p. 279, secondo cui, anche dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 479 del 1999, carattere essenziale di tale rito continua ad essere l’utilizzazione probatoria degli atti assunti unilateralmente nel corso delle indagini preliminari e, in quest’ottica, non è senza rilievo che anche all’eventuale integrazione probatoria, chiesta dall’imputato o disposta d’ufficio dal giudice, deve procedersi con le forme previste dall’articolo 422, commi 2, 3 e 4, e non alla stregua delle regole dettate per il dibattimento, sicché l’imputato rinuncia comunque alla garanzia della formazione della prova in contraddittorio; a questo si aggiunga - ha precisato la Corte - che la richiesta di giudizio abbreviato può altresì comportare la rinuncia ad essere giudicato dall’organo collegiale, e di regola implica la sottoposizione al giudizio del giudice dell’udienza preliminare.
46Cass. 5 maggio 2004, Mignano, CED 229456 ha, peraltro, affermato che la celebrazione del giudizio di primo grado con il rito abbreviato, malgrado la carenza del consenso dell’imputato, non comparso, ed in assenza della procura speciale di cui all’articolo 438, comma 3, configura una causa di nullità del procedimento, che se pur di ordine generale, per la riduzione delle garanzie della difesa derivanti dalla scelta del rito speciale, non è assoluta, non rientrando nelle ipotesi di cui all’articolo 179. Ne consegue che la relativa eccezione deve essere formulata ai sensi dell’articolo 180 nei motivi di appello o comunque essere rilevata, anche di ufficio, nel corso del giudizio di secondo grado, verificandosi altrimenti la preclusione prevista dalla disposizione citata.
Come si è detto, la disciplina della legittimazione a presentare la richiesta di giudizio abbreviato contenuta nel comma 3 dell’articolo 438 c.p.p. va coordinata con le disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 231 del 2001 in tema di rappresentanza e partecipazione al procedimento dell’ente.
Già si è avuto modo di dire che nel procedimento la posizione dell’ente si modella su quella dell’imputato o dell’indagato (l’estensione è autorizzata dall’articolo 61 c.p.p., disposizione applicabile in forza del rinvio di carattere generale operato dall’articolo 34 del D.Lgs. n. 231 del 2001).
Di riflesso, ai sensi dell’articolo 35 del D.Lgs. n. 231 del 2001 all’ente si applicano, in quanto compatibili, le relative disposizioni processuali.
L’ente, peraltro, può decidere se partecipare o no al procedimento.
L’ente che decida di partecipare deve farlo attraverso il proprio rappresentante legale (articolo 39, comma 1, del D.Lgs. n. 231 del 2001), dunque attraverso una persona che agisca in nome e per conto del medesimo nell’esercizio dei poteri di autodifesa, segnatamente compiendo gli atti che la legge riserva esclusivamente all’ente in deroga all’articolo 99, comma 1, c.p.p.47.
La parificazione all’imputato o indagato concerne, beninteso, l’ente, non il suo rappresentante legale.
Peraltro, a norma dell’articolo 44 del D.Lgs. n. 231 del 2001, nel procedimento di accertamento della responsabilità dell’ente, la persona che lo rappresenta, se rivestiva tale funzione anche al momento della commissione del reato, non può, al pari della persona imputata o indagata del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, essere assunta come testimone, ma può essere interrogata ed esaminata, nelle forme, con i limiti e con gli effetti previsti per l’interrogatorio e per l’esame della persona imputata o indagata in un procedimento connesso.
Se il rappresentante legale è però indagato o imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo, l’ente che intenda partecipare al procedimento deve necessariamente sostituirlo.
La sostituzione è imposta dall’evidente potenziale conflitto di interessi, atteso che l’ente potrebbe imperniare la propria difesa sulla prova che il rappresentante legale abbia commesso il reato agendo nell’interesse esclusivo proprio o di terzi ovvero
“eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione” adottati per prevenire reati di quella specie (v. articoli 5 e 6 del D.Lgs. n. 231 del 2001).
Nel silenzio della norma, posta essenzialmente a tutela dell’effettività del diritto di autodifesa dell’ente, non sembra invece da escludersi che possa evitare la rimozione il rappresentante legale che non sia imputato o indagato per il reato da cui dipende l’illecito amministrativo, ma lo sia per un reato connesso a norma dell’articolo 12 c.p.p. o collegato ex articolo 371 c.p.p., fermo restando naturalmente che l’ente potrebbe procedere alla sostituzione anche in tal caso qualora ravvisasse il potenziale conflitto di interessi.
Il rappresentante “sostituto” e il rappresentante che non svolgeva la funzione al momento della commissione del reato vengono dunque considerati come testimoni48.
47 In argomento, v. VARRASO, La partecipazione e l’assistenza delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni nel procedimento penale, in AA.VV., La responsabilità amministrativa degli enti, Milano 2002, p. 233.
48Si esprime in questo modo la Relazione cit., p. 530.
La legge tace, peraltro, in ordine ai modi di sostituzione, lasciando l’elaborazione delle soluzioni all’interprete.
La Relazione si limita a dire che “l’ente che voglia partecipare ugualmente al procedimento dovrà nominare un rappresentante per il processo”49.
Serve dunque una procura speciale, rilasciata secondo la disciplina civilistica ad una persona fisica, non importa se già appartenente o no alla compagine dell’ente.
Per partecipare al procedimento, l’ente deve depositare la dichiarazione di cui all’articolo 39, comma 2.
Ferma restando l’eventuale dichiarazione o elezione di domicilio, nonché la necessità dell’assistenza tecnica, evidentemente da distinguersi rispetto alla rappresentanza, ed ancor più in generale la circostanza che l’ente assume comunque la posizione di indagato al momento dell’annotazione nel registro e quella di imputato al momento dell’esercizio dell’azione penale, la volontà di partecipazione va attuata, a norma del comma 2 dell’articolo 39, mediante un atto di costituzione da depositarsi nella cancelleria dell’autorità giudiziaria procedente (quindi anche del pubblico ministero se il procedimento pende in fase di indagini preliminari), che deve, a pena di inammissibilità, come tale rilevabile in ogni stato e grado del processo, contenere:
a) la denominazione dell’ente e le generalità del suo legale rappresentante;
b) il nome ed il cognome del difensore e l’indicazione della procura;
c) la sottoscrizione del difensore;
d) la dichiarazione o l’elezione di domicilio.
Analoga dichiarazione è prevista per i casi di trasformazione, di fusione o di scissione dell’ente originariamente responsabile (articolo 42).
Il contenuto dell’atto di intervento merita alcune puntualizzazioni.
Il requisito sub a) implica sia la necessità che l’ente, onde evitare di dover rinnovare la costituzione, abbia previamente accertato che il proprio rappresentante non sia indagato o imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo sia l’allegazione della fonte dei poteri della rappresentanza legale o di quella ad processum del sostituto.
La dichiarazione o l’elezione di domicilio sub d), non indispensabile se l’ente non intenda costituirsi, lo diventa in questo caso, essendo l’inammissibilità dell’atto di intervento ricollegata anche alla mancanza od insufficienza di detto requisito.
Questa rigorosa previsione va collegata alla particolare disciplina dettata per le notificazioni all’ente dall’articolo 43 del D.Lgs. n. 231/2001 che, al comma 4, impone la sospensione del procedimento nel caso in cui sia impossibile eseguire le notificazioni nei modi previsti dai commi precedenti dello stesso articolo.
L’eventuale inammissibilità della dichiarazione non preclude, naturalmente, la riproposizione dell’atto opportunamente emendato.
L’inammissibilità della costituzione, peraltro, riverberando i propri effetti sull’atto che il rappresentante sia tenuto a compiere personalmente (si pensi alla richiesta di giudizio abbreviato o di applicazione concordata della pena) o abbia comunque compiuto personalmente, potrebbe determinare preclusioni processuali o decadenze (per essere, ad esempio, spirato il termine per l’accesso ai riti differenziati).
I requisiti sub b) (il nome ed il cognome del difensore e l’indicazione della procura) e sub c) (la sottoscrizione della dichiarazione costitutiva da parte del difensore) introducono il tema dell’assistenza tecnica.
49V. Relazione cit., 529.
In proposito l’articolo 39 del D.Lgs. n. 231 del 2001, nei due commi conclusivi, stabilisce che la procura ad litem va conferita nelle forme previste dall’articolo 100, comma 1, e deve essere depositata nella segreteria del pubblico ministero o nella cancelleria del giudice ovvero presentata in udienza unitamente alla dichiarazione costitutiva anzidetta e che, quando non compare il legale rappresentante, l’ente costituito è rappresentato dal difensore.
Fermo restando che il requisito sub b) impone all’ente che intenda costituirsi la nomina di un difensore di fiducia, l’articolo 40 prevede che l’ente che non abbia nominato un difensore di fiducia o ne sia rimasto privo venga assistito da un difensore di ufficio.
Se ne deduce che la difesa d’ufficio è prevista sostanzialmente per l’ente che intenda, nell’eventuale processo, restare contumace.
L’esigenza di assistenza difensiva si pone, peraltro, già se ne è fatto cenno, indipendentemente dal fatto che l’ente scelga di costituirsi nel procedimento.
In altre parole, l’ente, che sia a conoscenza che esiste un procedimento annotato a suo nome, può nominare il difensore secondo le regole generali che disciplinano l’analogo diritto dell’imputato (compresa la possibilità di nominare due difensori di fiducia) ed è destinatario delle collegate disposizioni, quali ad esempio quelle concernenti le informazioni sul diritto difesa contenute nell’articolo 369-bis c.p.p.; può altresì incaricare il difensore di svolgere attività di investigazione.
Se, invece, l’ente decide di costituirsi, vengono in considerazione - come si è detto - i commi 3 e 4 dell’articolo 39 del D.Lgs. n. 231 del 2001.
In particolare, come si è visto, serve una “procura conferita nelle forme previste dall’articolo 100, comma 1”; non è dunque più sufficiente il rispetto delle forme di cui all’articolo 96 c.p.p..
Questa procura speciale ad litem conferisce al difensore esclusivamente lo ius postulandi.
Il difensore, dunque, non può compiere gli atti riservati personalmente all’ente -imputato, quindi al suo rappresentante, a meno che non gli venga rilasciata dal rappresentante procura speciale ex articolo 122 c.p.p.
La richiesta di giudizio abbreviato va, dunque, presentata dalla persona fisica che rappresenta l’ente costituito o dal suo procuratore speciale ex articolo 122 c.p.p.; in altre parole, per accedere al rito alternativo l’ente deve necessariamente costituirsi.
La previsione dell’articolo 39, comma 4, secondo cui l’ente costituito, quando non compare il legale rappresentante, è rappresentato dal difensore ha, invero, portata esclusivamente processuale, non tale pertanto da ritenersi sufficiente a giustificare la proposizione della richiesta di giudizio abbreviato da parte del difensore non munito di apposita procura speciale.
Tale però da non consentire di considerare l’ente assente o contumace.
A norma dell’articolo 41, infatti, è dichiarato contumace l’ente che non si costituisce nel processo.
7. L’articolo 441 c.p.p.
Anche la verifica in ordine all’applicabilità dell’articolo 441 non desta particolari problemi.
Esclusa la compatibilità delle disposizioni concernenti la parte civile, quindi l’applicabilità dei commi 2 e 4 (v. infra par. 8), l’articolo 438 è applicabile nelle restanti parti in cui prevede:
• l’osservanza, in quanto applicabili, delle disposizioni previste per l’udienza preliminare, fatta eccezione per quelle di cui agli articoli 422 e 423
L’articolo 441, comma 1, stabilisce che nel giudizio abbreviato si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste per l’udienza preliminare, fatta eccezione per quelle di cui agli articoli 422 e 423.
La disposizione trova applicazione anche nel giudizio abbreviato che si svolga nel dibattimento (in virtù del rinvio, contenuto nell’articolo 556, comma 1, all’osservanza delle disposizioni del titoli I del libro sesto), nel giudizio direttissimo (atteso che l’articolo 452, comma 2, richiamata dall’articolo 558, comma 8, impone espressamente l’osservanza dell’articolo 441), o dinanzi al giudice per le indagini preliminari in seguito a decreto di giudizio immediato o a decreto di condanna (sia l’articolo 458, comma 2, sia l’articolo 464, comma 1, contengono un rinvio all’articolo 441).
L’espressa previsione di inapplicabilità dell’articolo 422, eredità del passato, è oggi ridondante, oltre che in parte errata.
Essa aveva un senso, invero, nel previgente schema del giudizio abbreviato che non prevedeva forme di integrazione probatoria.
Rispetto al passato, è rimasta ferma anche la regola secondo cui nel giudizio abbreviato non si applica l’articolo 423.
Non vi è, in altre parole, la possibilità per il pubblico ministero di procedere a modificazioni dell’imputazione o a contestazioni suppletive, neppure se queste ultime concernano esclusivamente circostanze aggravanti.
La violazione del divieto di modificazione della contestazione originaria è causa di nullità della contestazione stessa (si tratta di nullità di ordine generale a regime cd.
intermedio: articoli 178, lett. c), e 180) che, ai sensi dell’articolo 182, comma 2, deve essere eccepita, a pena di decadenza, dalla parte che vi ha assistito, immediatamente dopo la modifica.
L’omissione di tale eccezione si risolve nell’accettazione tacita degli effetti dell’atto e ne determina la sanatoria, ai sensi dell’articolo 183, lett. a).
La regola in esame è stata infranta nei casi in cui, su iniziativa dell’imputato o del giudice, sia stata disposta attività d’integrazione probatoria.
L’introduzione dell’articolo 441-bis, ad opera dell’articolo 2-octies della legge 5 giugno 2000, n. 144, ha dato peraltro all’imputato, nel caso in cui il pubblico ministero proceda alle contestazioni previste dall’articolo 423, comma 1, la possibilità di chiedere che il procedimento prosegua nelle forme ordinarie.
La ricognizione delle altre norme dettate per l’udienza preliminare inapplicabili nel giudizio abbreviato non presenta particolari difficoltà.
Atteso che per la fase che introduce al giudizio abbreviato sono specificamente dettate la disposizione generale di cui all’articolo 438 e le disposizioni, contenute nei più volte citati articoli 458, commi 1 e 2, e 464, comma 1, deve, anzi tutto, ritenersi che non siano applicabili le disposizioni dedicate agli atti introduttivi dell’udienza preliminare, vale a dire gli articoli 416 - 419 (salve le parti in cui quest’ultima disposizione viene in considerazione in materia di atti introduttivi del
giudizio abbreviato che segua il decreto di giudizio immediato o il decreto di condanna).
Non sono inoltre applicabili gli articoli 421-bis e 430 perché l’attività d’integrazione probatoria nel giudizio abbreviato ha proprie regole.
Non sono, infine, applicabili le disposizioni concernenti i provvedimenti conclusivi dell’udienza preliminare, l’impugnabilità dei medesimi e la fase successiva all’emissione del decreto che dispone il giudizio, vale a dire gli articoli 424 - 429 (con la sola eccezione del comma 2 dell’articolo 426, la cui applicabilità è espressamente prevista dall’articolo 442, comma 4) e 431 - 433.
La disciplina della fase decisoria del giudizio abbreviato è, infatti, disciplinata dagli articoli 529 e seguenti, come previsto dall’articolo 442, comma 1, e dallo stesso articolo 442 (v. infra par. 11).
Alle impugnazioni della decisione sono dedicate le disposizioni di carattere generale e quella speciale di cui all’articolo 443 (v. infra par. 12).
Sono, invece, certamente applicabili al giudizio abbreviato, seppur con alcune precisazioni e limitazioni, le disposizioni dedicate all’accertamento della costituzione delle parti (articoli 420 - 420-quinquies).
L’accertamento relativo alla costituzione delle parti trova, invero, collocazione anche nell’udienza relativa al giudizio abbreviato50.
Non tutte le disposizioni contemplate nell’articolo 421 sono, invece, compatibili con il giudizio abbreviato.
Non lo è, anzi tutto, il comma 2 nella parte in cui prevede che il pubblico ministero “espone sinteticamente i risultati delle indagini preliminari e gli elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio”.
Non lo è, in secondo luogo, lo stesso comma 2 nella parte in cui prevede la partecipazione alla discussione del difensore della parte civile e del responsabile civile.
Non lo è, infine, il comma 3, nella parte in cui prevede che il pubblico ministero e i difensori formulino e illustrino le rispettive conclusioni utilizzando “... gli atti e i documenti ammessi dal giudice prima dell’inizio della discussione”.
Da un lato, invero, gli atti utilizzabili sono indicati nell’articolo 442, comma 1-bis, trattandosi dei medesimi atti che il giudice è poi tenuto ad utilizzare ai fini della decisione, dall’altro, l’integrazione del materiale probatorio segue regole particolari e non è ammessa la produzione di atti e documenti nell’udienza.
Per tutto il resto l’articolo 421 è certamente applicabile al giudizio abbreviato.
E’, infine, applicabile al giudizio abbreviato che si svolga in camera di consiglio la disciplina dettata per il verbale dell’udienza preliminare dal comma 4 dell’articolo 420.
• lo svolgimento del giudizio in camera di consiglio
Stabilisce il comma 3 dell’articolo 441 che il giudizio abbreviato si svolge in camera di consiglio, ma il giudice deve disporre che il giudizio si svolga in pubblica udienza qualora ne facciano richiesta tutti gli imputati.
La disposizione si applica anche nei casi in cui la richiesta di giudizio abbreviato si innesta sulle udienze dibattimentali (decreto di citazione diretta a giudizio e rito direttissimo), sul decreto di giudizio immediato e sul decreto di condanna.
50V. Cass. 28 giugno 1991, D’Andrea, CED 188755.
L’omogeneità della disciplina è assicurata dal richiamo all’osservanza dell’articolo 441 contenuto negli articoli 556, comma 1, 452, comma 2, 558, comma 8, 458, comma 2, e 464, comma 1.
L’attuale disciplina, dovuta all’articolo 29 della legge n. 479/1999, fa dipendere, come si è detto, lo svolgimento del giudizio abbreviato in pubblica udienza dalla richiesta dell’imputato e, in caso di giudizio con pluralità di imputati, dalla richiesta di tutti.
L’imputato è titolare, dunque, di un diritto alla pubblica udienza.
Al tempo stesso, però, l’esercizio del medesimo può essere legittimamente impedito dal veto opposto anche da un solo coimputato, titolare del medesimo diritto.
L’opposizione del coimputato determina, invero, che il processo si svolga in camera di consiglio.
L’esigenza del simultaneus processus finisce dunque col prevalere sul diritto dell’imputato alla pubblica udienza.
Né è data al giudice la possibilità di disporre per tali ragioni la separazione dei processi.
Né è data al giudice la possibilità di disporre per tali ragioni la separazione dei processi.