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IL GIUDIZIO ABBREVIATO

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IL GIUDIZIO ABBREVIATO

Dr. Renato Bricchetti, Consigliere Corte di Cassazione

1. Considerazioni introduttive sul sistema di accertamento della r esponsabilità amministrativa dell’ente dipendente da reato

La responsabilità amministrativa degli enti disciplinata dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n.

231, presupponendo l’illecito penale (recte, i reati di cui agli articoli 24-26)1, si accerta nel procedimento penale, con le sequenze, gli strumenti e le garanzie di cui esso è provvisto2.

Il principio è desumibile dall’articolo 34, che apre il capo III (“Procedimento di accertamento e di applicazione delle sanzioni amministrative”) prevedendo l’applicabilità in quanto compatibili3 delle disposizioni del codice di procedura penale, comprese quelle di attuazione del medesimo, al quale fanno da corollario le disposizioni degli articoli 35 e 36; il primo, stabilendo che all’ente si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni processuali relative all’imputato, pone l’ente medesimo nella condizione di poter fruire di tutte le garanzie accordate alla persona fisica - imputato4 (altro è, come si avrà modo di ribadire - v. infra par. 6 - il rappresentante dell’ente, che non può partecipare al processo se non attraverso una

1Il catalogo dei reati presupposti è stato, a più riprese, ampliato. Alle originarie indicazioni, per lo più concernenti concussioni, corruzioni e truffe (articoli 24 - 26), sono state aggiunte le falsità nummarie e in valori di bollo (il d.l. 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409 ha inserito l’articolo 25-bis), i reati societari (D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61: articolo 25-ter), i delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico (legge 14 gennaio 2003, n. 7: articolo 25-quater), i delitti contro la personalità individuale (legge 11 agosto 2003, n. 228: articolo 25-quinquies)e gli abusi di mercato (legge 18 aprile 2005, n. 62: articolo 25-sexies).

2La natura dell’illecito in questione è formalmente amministrativa, come suggerisce la stessa intitolazione del D.Lgs.

n. 231/2001, ma non poche sono le perplessità avanzate in proposito da parte cospicua della dottrina, secondo cui quella configurata dalla novella altro non sarebbe se non una vera e propria responsabilità penale - e non “da” illecito penale - degli enti giuridici. Cfr. ad es. PALIERO, Il D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in poi, societas delinquere (et puniri) potest, Corr. giur., 2001, p. 845; ALESSANDRI, Riflessioni penalistiche sulla nuova disciplina, in AA.VV., La responsabilità amministrativa degli enti, Milano, 2002, p. 45; RORDORF, Prime (e sparse) riflessioni sulla responsabilità amministrativa degli enti collettivi per reati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio, in AA.VV., La responsabilità amministrativa degli enti, Milano 2002, p. 8; GENNAI-TRAVERSI, La responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reati, Milano, 2001, p. 6; DE VERO, La responsabilità dell’ente collettivo dipendente da reato: criteri di imputazione e qualificazione giuridica, in AA.VV., Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, a cura di GARUTI, Padova, 2002, p. 42. Uno degli argomenti che più spesso vengono portati a sostegno di quest’ultima posizione è dato proprio dal fatto che all’accertamento della responsabilità dell’ente collettivo procede non già l’autorità amministrativa, bensì il giudice penale.

3In linea di massima, possono dirsi incompatibili le disposizioni del codice di procedura penale che presuppongono la “fisicità” del destinatario nonché, in termini generali, quelle che subiscono, direttamente o indirettamente, la “specialità”

delle norme appositamente dettate dal D.Lgs. n. 231 del 2001.

4Come si legge nella Relazione allo schema del D.Lgs. n. 231 del 2001 (in AA.VV., La responsabilità amministrativa degli enti, Milano 2002, p. 527) la scelta è stata quella di privilegiare il procedimento penale come luogo di accertamento e di applicazione delle sanzioni, collocando l’ente nella stessa condizione dell’imputato.

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5La parificazione all’imputato viene effettuata con riferimento all’ente, non al suo rappresentante legale, al quale spetta il compito di assicurare le prerogative difensive all’ente - imputato nel processo e per il quale è previsto un regime peculiare che non lo esclude dalle garanzie riservate all’imputato - persona fisica, ma in taluni casi lo considera anche un testimone (v. articolo 44).

6Scelta criticata da PIZIALI, Procedimenti speciali, in AA.VV., La responsabilità amministrativa degli enti, Milano 2002, p. 327, che reputa sostanzialmente contraddittorio sovraccaricare il processo penale dell’accertamento della responsabilità dell’ente e, al tempo stesso, prevedere l’estensione al nuovo soggetto degli strumenti predisposti per alleggerire il processo medesimo, rimettendone però la scelta alle parti.

7Vanno integralmente condivise le puntuali osservazioni di PIZIALI, op. cit., p. 328, in ordine alla superfluità del richiamo all’applicabilità della regolamentazione dettata dal codice di rito penale per i procedimenti speciali, visto che l’applicazione dell’intera normativa processuale è già stabilita in termini generali dall’articolo 34, ed alla subordinazione alla condizione di compatibilità, essendo anch’essa già imposta dalla stessa norma.

persona fisica che la rappresenti)5; l’articolo 36 stabilisce, invece, che il giudice penale competente a conoscere gli illeciti dell’ente è quello competente per i reati a cui accede l’illecito amministrativo.

Fermo restando che la responsabilità amministrativa dell’ente, pur presupponendo la commissione di un reato, è “autonoma” rispetto alla responsabilità penale della persona fisica (basti, in proposito, ricordare che, ai sensi dell’articolo 8, la responsabilità dell’ente resta ferma anche nel caso in cui il reato si estingua per cause diverse dall’amnistia), il meccanismo punitivo è stato congegnato in modo tale da correlare le vicende processuali delle persone fisiche (sottoposte alle indagini o imputate) e quelle dell’ente.

La norma dell’articolo 38, comma 1, prevede, infatti, come regola generale, il simultaneus processus: il processo nei confronti dell’ente dovrà, cioè, rimanere riunito, per quanto possibile, al processo penale che ha ad oggetto il reato presupposto della responsabilità dell’ente.

La regola non può, naturalmente, valere in ogni caso, ed infatti il comma 2 della stessa disposizione individua i casi in cui occorre procedere alla separazione.

La completezza di questo sottosistema di “eccezioni” è, peraltro - come si vedrà (v. infra par. 9) - messa a dura prova, da un lato, dal fatto che l’accertamento della responsabilità e l’applicazione delle sanzioni all’ente può avvenire anche nei procedimenti speciali6, dall’altro, dalla indiscussa possibilità, per l’ente e per l’imputato - persona fisica, di optare per strategie processuali diverse.

La responsabilità amministrativa dell’ente può essere accertata anche nei procedimenti speciali. Disposizioni particolari sono dedicate all’applicazione concordata della sanzione (articolo 63), al procedimento per decreto (articolo 64) ed al giudizio abbreviato (articolo 62).

A quest’ultimo sono dedicate le riflessione contenute in queste pagine.

2. Il giudizio abbreviato: il richiamo all’osservanza delle disposizioni del titolo I del libro sesto del codice di procedura penale (articolo 62, comma 1)

Al giudizio abbreviato il D.Lgs. n. 231 del 2001 dedica l’articolo 62.

L’esordio (“per il giudizio abbreviato si osservano le disposizioni del titolo I del libro sesto del codice di procedura penale, in quanto applicabili”) non è dei più felici perché mostra di dimenticare la citata disposizione generale contenuta nell’articolo 347.

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Generatore di inutili dubbi interpretativi è anche il comma 2 dell’articolo 62, che, nell’enunciare le altre disposizioni del codice di rito applicabili (“se manca l’udienza preliminare, si applicano, secondo i casi, le disposizioni degli articoli 555, comma 2, 557 e 558 comma 8”), trascura che il giudizio abbreviato può innestarsi anche sul decreto di giudizio immediato (articolo 458) e che il giudizio direttissimo è previsto anche dinanzi al tribunale in composizione collegiale (articolo 449).

Il comma 1 afferma, dunque, che anche la disciplina del giudizio abbreviato nei confronti dell’ente va essenzialmente ricercata nell’articolo 438, che si occupa della richiesta, in particolare di legittimazione, forma e termini della medesima, negli articoli 441 e 441-bis, dedicati allo svolgimento del giudizio, nell’articolo 442, concernente la decisione, e nell’articolo 443 relativo all’appello.

Dette disposizioni, come si evince dall’incipit del comma 1 dell’articolo 438 c.p.p.

(“L’imputato può chiedere che il processo sia definito nell’udienza preliminare”), disciplinano il rito che si svolge nel procedimento ordinario introdotto dalla richiesta di rinvio a giudizio, pur essendo applicabili, se compatibili ed in assenza di specifiche disposizioni, anche ai casi in cui il giudizio abbreviato si innesti nel procedimento ordinario introdotto da decreto di citazione diretta a giudizio e nei procedimenti speciali.

A queste evenienze sono, dunque, dedicate anche altre specifiche disposizioni.

Per i casi in cui l’azione penale deve essere ordinariamente esercitata con decreto di citazione diretta a giudizio vengono in considerazione l’articolo 552, commi 1, lettera f), e 2, che impone, a pena di nullità8, che il decreto contenga l’avviso che l’imputato ha facoltà di richiedere il giudizio abbreviato, l’articolo 555, comma 2, che disciplina il termine per l’esercizio di detta facoltà (“prima della dichiarazione di apertura del dibattimento”) e l’articolo 556 che richiama espressamente all’osservanza delle citate disposizioni degli articoli 438 e seguenti.

Vengono poi in considerazione le disposizioni che disciplinano l’innesto del giudizio abbreviato nei procedimenti speciali.

8La previsione di nullità è del tutto ingiustificata, atteso che la richiesta di giudizio abbreviato può essere formulata fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, in un contesto cioè in cui le garanzie di informazione e di conoscenza sono assicurate dall’assistenza obbligatoria del difensore. Il previgente articolo 555, comma 2, c.p.p. era stato dichiarato illegittimo nella parte in cui non prevedeva la nullità del decreto di citazione a giudizio per mancanza o insufficiente indicazione del requisito in esame, allora previsto dal comma 1, lettera e) (Corte Cost. 23 novembre 1995, n. 497, in Giur cost. 1995, p. 4233). La sentenza era però stata pronunciata in un contesto normativo in cui la vocatio in ius era caratterizzata da una struttura bifasica. Superata detta strutturazione dalle profonde modifiche introdotte dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, la previsione della nullità appare dunque inappropriata. Non a caso, ad esempio, l’articolo 419 non prevede che tra gli avvertimenti contenuti negli atti introduttivi dell’udienza preliminare vi sia anche l’avviso all’imputato della facoltà di fare richiesta dei riti speciali. Anche l’udienza preliminare è, invero, sede idonea per sollecitare e verificare la praticabilità di possibili soluzioni alternative, atteso che, tra l’altro, l’imputato è obbligatoriamente assistito da un difensore, sì che risultano pienamente garantite la difesa tecnica e l’informazione circa le varie forme di definizione del procedimento (in argomento v. Corte cost. 7 luglio 2005, n. 309), che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 419, comma 1, c.p.p., sollevata in riferimento all’articolo 3 Cost.; Cass. 6 febbraio 2003, Sindoni, in Cass. pen. 2004, p. 3746, che ha ritenuto la manifesta infondatezza della relativa questione di legittimità costituzionale, escludendo disparità di trattamento costituzionalmente rilevanti rispetto alla disciplina prevista per il decreto di citazione diretta a giudizio; Corte Cost. 26 novembre 2002, n. 484, in Giur. cost. 2002, p. 4025. Interessanti spunti sono offerti altresì da Corte Cost. 4 luglio 2003, n. 231, in Cass. pen. 2003, p. 3769, che ha dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 20 del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace) nella parte in cui non prevede che la citazione a giudizio disposta dalla polizia giudiziaria debba contenere a pena di nullità l’avviso che, qualora ne sussistano i presupposti, l’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, possa presentare domanda di oblazione.

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Quanto al giudizio immediato, che concerne, in alternativa all’udienza preliminare, i soli reati per i quali la stessa sia prevista, il riferimento è all’articolo 456, comma 2, che stabilisce che il decreto di giudizio immediato deve contenere l’avviso che l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato9, ed all’articolo 458, che disciplina termini e modalità di presentazione della richiesta.

In relazione al procedimento per decreto relativo a reati per i quali sia prevista l’udienza preliminare, vanno raccordati l’articolo 460, comma 1, lettera e), che impone che il decreto di condanna contenga l’avviso che l’imputato può proporre opposizione entro quindici giorni dalla notificazione del decreto e può chiedere mediante l’opposizione il giudizio abbreviato10, l’articolo 461, comma 3, specificamente dedicato all’opposizione ed alle eventuali richieste e l’articolo 464 dedicato al giudizio conseguente all’opposizione.

Ai reati per i quali non è prevista l’udienza preliminare è dedicato l’articolo 557 che, al comma 3, richiama l’osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 459 e seguenti.

Per quanto concerne, infine, il giudizio direttissimo dinanzi al tribunale in composizione collegiale, va anzi tutto rammentato l’articolo 451, comma 5, che impone al giudice di avvisare l’imputato della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato11.

E’ poi l’articolo 452, comma 2, a disciplinare lo svolgimento del giudizio abbreviato attraverso un espresso richiamo alle già citate disposizioni di carattere generale.

Infine, al giudizio direttissimo dinanzi al tribunale in composizione monocratica è dedicato l’articolo 558, comma 8, che rinvia espressamente all’articolo 452, comma 2.

Va detto, per concludere, che la legge non prevede che la richiesta di giudizio abbreviato possa essere presentata nel giudizio di applicazione concordata della pena. D’altra parte, l’imputato stesso si è vincolato ad un accordo con il pubblico ministero dal quale non può unilateralmente sciogliersi e sul quale deve necessariamente pronunciarsi il giudice12.

9Non può dubitarsi, in considerazione di quanto prima si diceva in ordine alla struttura bifasica della vocatio in ius, che nel caso del decreto di giudizio immediato la mancanza, insufficienza o inesattezza dell’avviso predetto integri la nullità di ordine generale sanzionata dall’articolo 178, comma 1, lett. c), da ritenersi a regime intermedio ex articolo 180.

Anche nell’ipotesi in esame (come in quella relativa al decreto di citazione diretta a giudizio ante legge n. 479/1999), invero, il termine di decadenza entro cui chiedere il giudizio abbreviato è anticipato rispetto alla fase dibattimentale, sicché la mancanza o l’insufficienza del relativo avvertimento può determinare la perdita irrimediabile della facoltà di accedere a tali procedimenti speciali e, di conseguenza, determinare una illegittima menomazione del diritto di difesa (v. Corte Cost.

13 maggio 2004, n. 148, in Guida dir. 2004, n. 23, p. 74, con nota di BRICCHETTI, Basta l’insufficienza dell’avviso per dichiarare la nullità del decreto, che, così interpretando la disposizione, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 456, sollevata in riferimento agli articoli 3, 24 e 111 Cost., “nella parte in cui non prevede la nullità del decreto che ha disposto il giudizio immediato in caso di mancanza, insufficienza o inesattezza dell’avviso che l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato o l’applicazione della pena”; pressoché contemporeanamente si è pronunciata negli stessi termini Cass. 5 maggio 2004, A. e altro, in Dir. pen. proc. 2005, p. 164)

10Anche in tal caso la mancanza, insufficienza o inesattezza dell’avviso è da ritenersi sanzionata da nullità, per le stesse ragioni sopra esposte in relazione al decreto di giudizio immediato.

11Il contesto “garantito” porta qui ad escludere che il mancato avviso sia sanzionato da nullità (v. Cass. 10 gennaio 1995, Jovini, CED 201351). Ad analoga conclusione deve pervenirsi nel caso di citazione a giudizio direttissimo dell’imputato libero (articolo 449, comma 5) qualora il relativo decreto non dovesse contenere l’avviso; si noti in proposito che, per il contenuto del decreto di citazione, l’articolo 450, comma 3, rinvia alla disposizione (articolo 429) che disciplina il contenuto del decreto che dispone il giudizio all’esito dell’udienza preliminare, provvedimento che mai potrebbe contenere detto avviso essendo la relativa facoltà ormai preclusa. Diversamente PAOLOZZI, Il giudizio abbreviato nel passaggio dal modello “tipo” al modello pretorile, Padova 1991, p. 191, reputa che la mancanza dell’avviso comporti una nullità riconducibile a quelle di ordine generale (articolo 178, lettera c), suscettibile di sanatoria nel caso di espressa rinuncia ad eccepirla ovvero se la parte si è avvalsa della facoltà al cui esercizio l’atto omesso è preordinato (articolo 183, lettere a) e b).

12In argomento v. ex plurimis Cass. 14 settembre 1990, Lofti Ben T., Giust. pen. 1991, III, p. 405.

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E’ invece certamente consentito all’imputato, se ancora in termini, di proporre richiesta di giudizio abbreviato nel caso in cui il pubblico ministero non presti il consenso o il giudice rigetti una precedente richiesta di patteggiamento.

3. Il richiamo alle disposizioni degli articoli 555, comma 2, 557 e 558 comma 8, c.p.p. (articolo 62, comma 2). Giudizio immediato e giudizio direttissimo come possibili sedi dell’accertamento

Come si è accennato, anche il comma 2 dell’articolo 62 del D.Lgs. n. 231 del 2001, che si occupa del giudizio abbreviato nel caso in cui manchi l’udienza preliminare, è disposizione inutile, che, tra l’altro, genera dubbi interpretativi.

L’interprete è, invero, obbligato ad interrogarsi, più che sulle ragioni che hanno indotto il legislatore delegato ad articolare un richiamo alle disposizioni degli articoli 555, comma 2, 557 e 558 comma 8, c.p.p., che avrebbe potuto essere evitato perché già assorbito dalle più volte ricordate previsioni generali di cui agli articoli 34 e 36, sul perché il comma 2 dell’articolo 62 ometta di richiamare gli articoli 458 e 452, comma 2, c.p.p., che pure disciplinano giudizi abbreviati che si instaurano in procedimenti senza udienza preliminare (rispettivamente il giudizio immediato ed il giudizio direttissimo davanti al collegio).

La consistenza del dubbio interpretativo è accresciuta dal rilievo che il D.Lgs. n.

231 del 2001, nella sezione VI dedicata alla disciplina dei procedimenti speciali, non tratta né del giudizio immediato né di quello direttissimo, limitandosi a dettare disposizioni solo per i riti speciali alternativi al dibattimento (giudizio abbreviato, applicazione della sanzione su richiesta delle parti e procedimento per decreto).

Considerato, dunque, che il legislatore delegato ha dettato disposizioni speciali negli articoli 62 - 64 solo per il giudizio abbreviato, per l’applicazione concordata della sanzione e per il procedimento per decreto (non lo ha fatto, invece, per il giudizio immediato e per quello direttissimo) e che l’articolo 62 si occupa del giudizio abbreviato, richiamando le disposizioni del titolo I del libro VI ed aggiungendo, per il caso in cui non vi sia l’udienza preliminare, un rinvio ai soli articoli 555, comma 2, 557 e 558, comma 8 c.p.p., potrebbe essere arduo sostenere l’applicabilità dell’articolo 458 o dell’articolo 452, comma 2, c.p.p. nel giudizio abbreviato richiesto dall’ente, nonché ritenere applicabile la disciplina del giudizio immediato per l’accertamento della responsabilità dell’ente13.

L’inutile ridondanza del richiamo agli articoli 555, comma 2, 557 e 558, comma 8 c.p.p., con i quali il legislatore delegato ha probabilmente inteso solo ricordare (e lo ha fatto in modo impreciso) le disposizioni sui termini perentori di presentazione della richiesta di giudizio abbreviato qualora manchi l’udienza preliminare, non può, peraltro, condurre ad affermare che, almeno in linea teorica, i percorsi speciali del giudizio immediato e di quello direttissimo non siano praticabili anche nei confronti dell’ente o,

13Osserva PIZIALI, op. cit., p. 331, che potrebbe da ciò dedursi che l’omesso richiamo dell’articolo 452, comma 2, rappresenta consapevole espressione del fatto che il suo contenuto è analogo a quello dell’articolo 558, comma 8, mentre l’omesso richiamo dell’articolo 458 esprime la volontà del legislatore di rimettere la disciplina dell’abbreviato conseguente a giudizio immediato all’articolo 555, comma 2, con l’effetto di realizzare uno spostamento del momento ultimo fissato per la formulazione dell’istanza fino all’apertura del dibattimento, dando, al tempo stesso, conferma del fatto che nel procedimento di accertamento della responsabilità dell’ente non trova applicazione il giudizio immediato.

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14In argomento, v. BRICCHETTI, Società al debutto nel registro degli indagati, in Guida dir. 2001, n. 26, p. 102;

PISTORELLI, Le indagini preliminari e l’udienza preliminare nel procedimento per l’accertamento della responsabilità degli enti giuridici da reati, in AA.VV., La responsabilità amministrativa degli enti, Milano 2002, p. 313.

più esattamente, che dinanzi al giudice collegiale l’azione penale, se si escludono la richiesta di patteggiamento ai sensi dell’articolo 447 c.p.p. e la richiesta di decreto di condanna, debba essere esercitata soltanto con richiesta di rinvio a giudizio.

Lo impedisce la struttura normativa dell’attività di accertamento e di applicazione della sanzione amministrativa che, come più volte si è detto, è imperniata sulle disposizioni generali contenute negli articoli 34 e 36.

Lo esclude specificamente l’articolo 59, comma 1, del D.Lgs. n. 231 del 2001 che, prevedendo che il pubblico ministero, qualora non disponga l’archiviazione, sia tenuto a formulare la contestazione all’ente dell’illecito amministrativo dipendente dal reato includendola “in uno degli atti d’esercizio dell’azione penale indicati dall’articolo 405, comma 1” c.p.p., tra i quali, appunto, la presentazione o citazione a giudizio direttissimo e la richiesta di giudizio immediato, afferma, in sostanza, che l’accertamento della responsabilità dell’ente può avvenire anche nel giudizio immediato e in quello direttissimo e, di riflesso, che il giudizio abbreviato nei confronti dell’ente può instaurarsi a seguito di citazione a giudizio direttissimo o nella fase che segue alla notificazione del decreto di giudizio immediato.

Semmai va osservato che l’articolo 59 si riferisce ai soli reati attribuiti alla cognizione del tribunale, in composizione collegiale o monocratica, per i quali sia prevista l’udienza preliminare e che non tutti i delitti da cui può conseguire la responsabilità amministrativa dell’ente appartengono alla classe di reati anzidetta; ve ne sono alcuni (si pensi, ad esempio, ai delitti previsti dagli articoli 455 in relazione all’articolo 454, 457 e 640-ter c.p. nonché ai delitti tentati di cui agli articoli 640, secondo comma, n. 1, e 640-bis c.p.), invero, che, essendo puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni, vanno annoverati alla categoria dei reati attribuiti alla cognizione del tribunale, in composizione monocratica per i quali non è prevista l’udienza preliminare, categoria in relazione alla quale l’azione penale, nel procedimento ordinario, va esercitata con decreto di citazione diretta a giudizio ai sensi dell’articolo 552; a questo si aggiunga che non sono contemplate la richiesta di rinvio a giudizio e la richiesta di giudizio immediato tra gli atti d’esercizio dell’azione penale e che, quanto ai procedimenti speciali, la presentazione a giudizio direttissimo e la richiesta di decreto penale di condanna sono disciplinate, rispettivamente, dagli articoli 558 e 557.

Vi sarebbe semmai da chiedersi se il rinvio operato dall’articolo 59 del D.Lgs. n.

231 del 2001 all’articolo 405 c.p.p. debba essere inteso in senso tassativo - con la conseguenza che anche nel caso in cui per il reato-presupposto sia prevista la citazione diretta a giudizio, il pubblico ministero nei confronti dell’ente dovrà invece procedere nelle forme indicate nell’articolo 405 - ovvero possa essere integrato, in forza del disposto del citato articolo 34 del D.Lgs. n. 231 del 2001, attraverso la disciplina degli articoli 550 e 552 c.p.p., presumendo cioè una lacuna nella formulazione della disposizione speciale dovuta ad una mera svista del legislatore.

E la seconda soluzione sembra quella da preferirsi, per un duplice ordine di motivi14.

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Innanzi tutto, perché apparirebbe scarsamente razionale la scelta del legislatore di imporre diversi percorsi al procedimento penale e a quello nei confronti dell’ente, per di più esclusivamente nell’ipotesi in cui vengano consumati solo alcuni tra i reati- presupposto.

Tale scelta risulterebbe altresì poco coerente con quanto disposto dal primo comma dell’articolo 38 del decreto, per cui, di norma, i due procedimenti dovrebbero, per quanto possibile, procedere riuniti.

In secondo luogo, perché la diversa interpretazione suggerita trova conferma e fondamento in alcuni passaggi dello stesso D.Lgs. n. 231 del 2001.

Ad esempio, nel già citato articolo 36 del D.Lgs. n. 231 del 2001 che stabilisce, nel primo comma, che la competenza a conoscere gli illeciti amministrativi dell’ente appartiene al giudice penale competente per i reati dai quali gli stessi dipendono e, nella prima parte del secondo comma, impone l’osservanza, anche per il procedimento di accertamento dell’illecito amministrativo dell’ente, delle disposizioni sulla composizione del tribunale.

In altri termini, se la responsabilità dell’ente “dipende” da reati riservati alla cognizione del tribunale collegiale vanno osservate le disposizioni dettate per il processo ordinario; qualora, invece, i reati siano devoluti alla sfera del tribunale in composizione monocratica si tratta solo di stabilire se il reato rientri tra quelli per i quali il pubblico ministero è tenuto ad esercitare l’azione penale con citazione diretta a giudizio (articolo 550), nel qual caso la disciplina applicabile è quella dettata per il rito davanti all’organo monocratico.

Di riflesso, sempre il secondo comma, nella sua ultima parte, prevede l’applicazione delle disposizioni processuali collegate, vale a dire degli articoli 33-bis e seguenti.

Inoltre, gli articoli 62 e 64, nel dettare regole “speciali” per il giudizio abbreviato e per il procedimento per decreto, richiamano espressamente le disposizioni (articoli 555 e seguenti) dedicate ai riti differenziati nel procedimento per i reati “da citazione diretta a giudizio”.

4. Le difficoltà pratiche di perseguire l’ente nei giudizi immediato o direttissimo

Si è detto sopra che giudizio immediato e giudizio direttissimo sono praticabili

“almeno in linea teorica” nei confronti dell’ente.

Nella “pratica”, invece, è fondato manifestare alcune perplessità.

Quanto al giudizio direttissimo, richiamando alla mente i presupposti del rito, ed anzi tutto l’arresto in flagranza, se ne avvede subito l’incompatibilità rispetto all’ente, sicché l’unico caso resterebbe quello, disciplinato dall’articolo 449, comma 5 (e, per il procedimento dinanzi al tribunale monocratico, dall’articolo 558), della “persona”

(id est, il rappresentante dell’ente, e più esattamente colui che rivestiva tale funzione al momento del fatto, anche se, in proposito, non può sottacersi che l’articolo 44 non è di grande aiuto all’interprete là dove prevede che la persona che rappresenta l’ente costituito va assunta come testimone a meno che rivestisse tale funzione anche al momento della commissione del reato, nel qual caso potrebbe essere interrogata solo

“nelle forme, con i limiti e con gli effetti” previsti per l’interrogatorio della persona imputata o indagata in un procedimento connesso) “che nel corso dell’interrogatorio

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ha reso confessione” in tempi compatibili con la necessità di fissare l’udienza dibattimentale entro il quindicesimo giorno dall’annotazione nel registro delle notizie di reato15.

La praticabilità del rito è, dunque, sostanzialmente rimessa alla scelta collaborativa del rappresentante (e sul punto non va trascurato quanto tra breve si dirà in ordine all’individuazione della persona del rappresentante ed alla sua posizione nella fase delle indagini preliminari); in altre parole, praticabilità vicina allo zero, se si pensa, tra l’altro, che i tempi compressi del rito rendono assai meno agevole l’eventuale ricorso dell’ente, collocato prima dell’apertura del dibattimento, ai meccanismi riparatori disciplinati dall’articolo 65 o meglio dagli articoli 17 e 12 del D.Lgs. n. 231 del 2001 (risarcimento integrale del danno; eliminazione o quanto meno impegno efficace inteso ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato;

eliminazione delle carenze organizzative che hanno determinato il reato; messa a disposizione del profitto conseguito al reato; sui rapporti tra dette disposizioni e i riti differenziati si tornerà più avanti).

Considerazioni non dissimili possono essere ripetute con riguardo al giudizio immediato, dovendo ricordarsi che la scelta di questo rito da parte del pubblico ministero è subordinata alla sussistenza di precise condizioni, che, con riguardo al tema in esame, dovranno essere adattate al diverso soggetto ed al diverso oggetto dell’accertamento.

Primo sostanziale requisito è la “evidenza della prova” (comma 1 dell’articolo 453 c.p.p.). Essa - come ormai comunemente si afferma - non si riferisce alla responsabilità dell’imputato (quindi dell’ente) ma alla necessità che, alla luce degli atti di indagine compiuti, sia da escludere che l’udienza preliminare, e il contraddittorio sul quale si impernia, possa condurre alla pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere.

La prima condizione di accesso a questo rito comporta, dunque, una valutazione che, almeno tendenzialmente, non lasci spazi a ragionevoli ipotesi alternative, maturabili anche sulla base di approfondimenti istruttori.

Il requisito della evidenza della prova sbarra, così, le porte del giudizio immediato ad un gran numero di procedimenti, contrassegnando il rito come tipico dei casi in cui l’imputato sia stato colto in flagranza di reato ovvero abbia reso attendibile confessione o, ancora, dei casi in cui siano stati acquisiti indiscutibili elementi probatori a carico.

Non a caso, una seconda condizione di accesso al rito è rappresentata dalla previsione di un termine ristretto, ma non previsto a pena di decadenza, per la presentazione della richiesta: novanta giorni dalla iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall’articolo 335 c.p.p. (per l’ente, dall’annotazione di cui all’articolo 55 del D.Lgs. n. 231 del 2001)16.

Entro questo termine deve verificarsi un ulteriore presupposto del procedimento:

l’indagato (per l’ente, il suo rappresentante e valgono in ordine alla sua identificazione le perplessità sopra manifestate con riferimento al giudizio

15Così anche la Relazione cit., p. 545. In argomento, v. GIARDA, Società delinquere potest o no ?, in AA.VV. La responsabilità amministrativa degli enti, Milano 2002, p. 189.

16In tal senso è la giurisprudenza prevalente: cfr. ex plurimis Cass. 10 aprile 2001, De Siena, Cass. pen. 2003, p. 3099.

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direttissimo) deve essere interrogato “sui fatti dai quali emerge l’evidenza della prova”

o, in ogni caso, ricevuto l’invito a presentarsi, deve omettere di comparire senza addurre un legittimo impedimento o perché irreperibile.

L’invito a presentarsi va emesso “con l’osservanza delle forme indicate nell’articolo 375, comma 3, secondo periodo”; in particolare, deve contenere la sommaria enunciazione del fatto quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute, l’indicazione degli elementi e delle fonti di prova e l’avvertimento che potrà essere presentata richiesta di giudizio immediato.

Solo nel successivo interrogatorio, sempre che l’imputato (id est, il rappresentante dell’ente) si presenti dinanzi al pubblico ministero, si procederà, come richiesto dall’articolo 453, alla contestazione dei fatti “dai quali emerge l’evidenza della prova”.

L’anzidetta contestazione, sostanzialmente equiparata, dalla Corte Costituzionale, all’avviso di conclusione delle indagini preliminari, disciplinato dall’articolo 415-bis c.p.p. e non richiesto per il caso in cui il pubblico ministero eserciti l’azione penale con richiesta di giudizio immediato è, dunque, elemento la cui mancanza impone di ritenere non realizzato il presupposto del previo interrogatorio17.

Solo sussistendo i presupposti di cui si è detto, il giudice per le indagini preliminari accoglierà la richiesta del pubblico ministero emettendo il decreto di giudizio immediato (sempre che - è opportuno ricordarlo per completezza - il reato per cui è richiesto il giudizio immediato non risulti connesso con altri reati per i quali mancano le condizioni legittimanti la scelta di tale rito e non sia possibile separare i procedimenti perché ciò pregiudicherebbe gravemente le indagini; se la riunione risulta indispensabile prevale, come si legge nell’articolo 453, comma 2, c.p.p., “in ogni caso il rito ordinario”).

5. Considerazioni sull’effettiva applicabilità delle disposizioni del titolo I del libro sesto del codice di procedura penale: l’articolo 438 c.p.p.

Come si è detto, il comma 1 dell’articolo 62 del D.Lgs. n. 231 del 2001 afferma che la disciplina del giudizio abbreviato nei confronti dell’ente va essenzialmente ricercata nell’articolo 438, che si occupa della richiesta, in particolare di legittimazione, forma e termini, negli articoli 441 e 441-bis, dedicati allo svolgimento del giudizio, nell’articolo 442, concernente la decisione, e nell’articolo 443 relativo all’appello.

Si tratta ora di verificare se in questi articoli vi siano disposizioni non applicabili, alla stregua del giudizio di compatibilità imposto sia dall’articolo 34 sia dal comma 1 dell’articolo 62, al giudizio abbreviato richiesto dall’ente. Ci si limiterà ai cenni essenziali18.

L’applicabilità delle disposizioni dell’articolo 438 c.p.p., che disciplina, tra l’altro, legittimazione, forma e termini della richiesta di giudizio abbreviato, non pone

17V. Corte Cost. 9 maggio 2002, n. 203, in Guida dir. 2002, n. 23, p. 44, con nota di BRICCHETTI, La Corte Costituzionale esclude l’obbligo per la natura del procedimento speciale; v. altresì NUZZO, La Corte Costituzionale esclude l’avviso di conclusione delle indagini preliminari nei procedimenti speciali, in Cass. pen. 2002, p. 3736.

18In argomento, volendo, si veda BRICCHETTI - PISTORELLI, Il giudizio abbreviato. Profili teorico - pratici, Milano 2005.

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soverchi problemi, se si eccettuano, in tema di legittimazione, le esigenze di adeguamento alla peculiare disciplina dettata in materia di rappresentanza dell’ente.

L’articolo 438 è, dunque, applicabile nella parte in cui disciplina:

• la forma della richiesta

Stabilisce l’articolo 438, comma 2, che la richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto.

La richiesta presentata a seguito di decreto di giudizio immediato o mediante l’opposizione a decreto di condanna non può, peraltro, che essere formulata per iscritto, mancando un’udienza nella quale proporla oralmente.

Con riguardo alla forma della richiesta di giudizio abbreviato a seguito di decreto di condanna va ricordato che la richiesta deve essere formulata “mediante”

l’opposizione, come espressamente affermato dall’articolo 460, comma 1, lettera e) e dall’articolo 557, comma 1, e che, pertanto, l’inammissibilità dell’opposizione comporta inevitabilmente quella della richiesta di giudizio abbreviato, dato che il decreto di condanna diviene esecutivo ex articolo 461, comma 6.

Per contro, l’ammissibilità dell’opposizione non necessariamente comporta quella della richiesta di giudizio abbreviato: si pensi, ad esempio, all’opposizione con richiesta di giudizio abbreviato presentata dal difensore di fiducia dell’imputato, non munito di procura speciale.

In caso di richiesta scritta la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall’articolo 583, comma 3, vale a dire da un notaio, da altra persona autorizzata o dal difensore19.

• i termini per la proposizione della richiesta

Del termine per la proposizione della richiesta nell’udienza preliminare tratta l’articolo 438, comma 2, stabilendo che “la richiesta può essere proposta... fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422”.

Nell’udienza preliminare che si svolga nei confronti di un solo imputato (ente), la preclusione va fissata con riguardo alle conclusioni del suo difensore, ultimo a prendere la parola nell’udienza.

Anzi, è coerente con il favor che il legislatore manifesta per ogni forma di definizione anticipata del processo, ritenere che la richiesta di giudizio abbreviato possa essere presentata anche in sede di eventuali repliche, in altre parole prima che il giudice dichiari, a norma dell’articolo 421, comma 4, chiusa la discussione20.

A conclusioni sostanzialmente identiche deve pervenirsi nel caso in cui l’udienza preliminare si svolga nei confronti di una pluralità di imputati (enti), nel senso che

19Sul punto v. Cass. 31 maggio 1995, Cianfanelli, in Cass. pen. 1996, p. 3034.

20Così va letta Cass. 23 marzo 2004, Marzocca, CED 227761, che ha considerato tempestiva la richiesta di giudizio abbreviato proposta nel corso dell’udienza preliminare dopo le conclusioni del pubblico ministero, affermando che l’espressione contenuta nel secondo comma dell’articolo 438 si riferisce all’intera fase della discussione fino al suo epilogo, di guisa che il termine finale per la rituale proposizione della richiesta è rappresentato dal momento in cui si esaurisce tale discussione.

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ognuno di essi può richiedere il giudizio abbreviato fino a che non siano formulate le conclusioni di tutti gli altri imputati.

La locuzione contenuta nell’articolo 438, comma 2, è invero idonea a comprendere l’intera fase della discussione, fino al suo epilogo, sicché il termine finale per la rituale riproposizione della domanda è rappresentato dal momento in cui si esaurisce, con la formulazione delle conclusioni di tutte le parti, tale discussione21. Va, inoltre, ricordato che dei termini di proposizione della richiesta nel procedimento per giudizio immediato si occupa il primo comma dell’articolo 458, stabilendo che l’imputato (ente), a pena di decadenza, può chiedere il giudizio abbreviato depositando nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari la richiesta entro quindici giorni dalla notificazione del decreto di giudizio immediato22.

Ai sensi dell’articolo 139 disp. att., durante il termine le parti e i difensori hanno facoltà di prendere visione ed estrarre copia, nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari, del fascicolo trasmesso dal pubblico ministero con la richiesta di giudizio immediato.

Dei termini di proposizione della richiesta di giudizio abbreviato nel procedimento per decreto (per i reati per i quali sia prevista udienza preliminare) si occupa l’articolo 461, nei commi 1, 3 e 4, stabilendo che la richiesta di giudizio abbreviato si propone mediante l’atto di opposizione contro il decreto di condanna e che il termine per l’opposizione, previsto a pena di inammissibilità della medesima, è di quindici giorni dalla notificazione del decreto. Identiche disposizioni valgono (v.

articolo 557) per i reati per i quali non sia prevista udienza preliminare.

Analogamente a quanto si è visto nel procedimento di giudizio immediato, le parti ed i difensori hanno (a norma dell’articolo 140 disp. att.), durante il termine per proporre opposizione, facoltà di prendere visione ed estrarre copia, nella cancelleria del giudice per le indagini preliminari, del fascicolo trasmesso dal pubblico ministero con la richiesta di decreto di condanna.

Nei casi di citazione diretta a giudizio, indicati nell’articolo 550, l’imputato deve, come previsto dal citato articolo 555, comma 2 (v. supra par. 3), presentare la richiesta di giudizio abbreviato, nell’udienza di comparizione, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di cui all’articolo 492.

Per quanto concerne, infine, il giudizio direttissimo dinanzi al tribunale in composizione collegiale, la richiesta deve intervenire prima che sia dichiarato aperto il dibattimento.

Nel giudizio direttissimo dinanzi al tribunale in composizione monocratica, l’articolo 558, comma 8, stabilisce che l’imputato è tenuto a formulare richiesta di giudizio abbreviato “subito dopo l’udienza di convalida” dell’arresto in flagranza.

Si tratta anche in tal caso di momento che precede la dichiarazione di apertura del dibattimento.

21V. in proposito Cass. 14 novembre 2002, Tinnirello, CED 223251.

22Sulla decorrenza del termine v. Corte Cost. 10 aprile 2002, n. 120, in Dir. pen. proc. 2002, p. 709, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 458, comma 1, per violazione del diritto di difesa tecnica, nella parte in cui prevede che il termine entro cui l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato decorre dalla notificazione del decreto di giudizio immediato, “anziché dall’ultima notificazione, all’imputato o al difensore, rispettivamente del decreto ovvero dell’avviso della data fissata per il giudizio immediato.

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Ai sensi del comma 9 dell’articolo 558, il pubblico ministero può procedere al giudizio direttissimo anche nei casi previsti dall’articolo 449, commi 4 e 5.

Ne deriva, con riguardo al termine di proposizione della richiesta di giudizio abbreviato, l’applicabilità delle disposizioni dettate, per il procedimento dinanzi al tribunale collegiale, dal citato articolo 451.

Va ribadito, per concludere sul punto, che la richiesta di giudizio abbreviato non presentata nei termini previsti dalle singole disposizioni è successivamente preclusa.

Lo si ricava dalle espresse previsioni di decadenza (come nel caso del giudizio immediato: v. articolo 458, comma 2) o di inammissibilità (come nel procedimento per decreto: v. articoli 461, comma 4, e 464, comma 3, che afferma esplicitamente che “nel giudizio conseguente all’opposizione, l’imputato non può chiedere il giudizio abbreviato”) ovvero, nei casi in cui manca un’espressa previsione, lo si desume dai precisi riferimenti normativi a momenti delle sequenze procedimentali oltre i quali la richiesta è preclusa ed il rito prosegue nelle forme ordinarie, come nel caso dell’udienza preliminare (“fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli articoli 421 e 422”: v. articolo 438, comma 2), del giudizio direttissimo (“prima che sia dichiarato aperto il dibattimento”: v. articolo 452, comma 2, applicabile anche al procedimento dinanzi al tribunale monocratico per il richiamo contenuto nell’articolo 558, comma 8) e di quello introdotto dal decreto di citazione diretta (“prima della dichiarazione di apertura del dibattimento”: v. articolo 555, comma 2).

• la richiesta incondizionata (anche se proposta successivamente al rigetto di richiesta condizionata)

Con riguardo all’udienza preliminare, l’articolo 438, comma 4, si limita a prevedere che “sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza con la quale dispone il giudizio abbreviato”. Essa è, dunque, presupposto necessario e sufficiente per l’accesso al rito.

Qualora presenti la richiesta “semplice”, l’imputato (ente) ha il diritto di essere giudicato mediante il rito abbreviato, così da usufruire, in caso di condanna, della riduzione di pena prevista23.

L’articolo 438, comma 4, è disposizione applicabile anche nel dibattimento introdotto da decreto di citazione diretta a giudizio in virtù del rinvio contenuto nell’articolo 556, comma 1.

Disposizioni sostanzialmente identiche sono previste per il giudizio direttissimo, per il giudizio immediato e per il procedimento per decreto.

Per il giudizio direttissimo dinanzi al tribunale collegiale l’articolo 452, comma 2, prevede infatti che “se l’imputato chiede il giudizio abbreviato, il giudice, prima che sia dichiarato aperto il dibattimento, dispone con ordinanza la prosecuzione del giudizio con il rito abbreviato” (la disposizione è espressamente richiamata dall’articolo 558, comma 8, con riguardo al giudizio direttissimo dinanzi al tribunale in composizione monocratica).

23V. Cass. S.U. 27 ottobre 2004, Wajib, in Guida dir. 2004, n. 49, p. 78.

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Quanto al giudizio immediato ed al procedimento per decreto gli articoli 458, comma 2, e 464, comma 1, prevedono, rispettivamente, che “se la richiesta è ammissibile” ovvero “se l’opponente ha chiesto il giudizio abbreviato”, il giudice fissa con decreto l’udienza dandone avviso almeno cinque giorni prima al pubblico ministero, all’imputato, al difensore e alla persona offesa.

La richiesta incondizionata può essere proposta anche successivamente al rigetto di una richiesta condizionata.

La possibilità è data dal comma 6 dell’articolo 438 che prevede che, in caso di rigetto “ai sensi del comma 5”, la richiesta (naturalmente anche altra diversamente condizionata) può essere riproposta “fino al termine previsto dal comma 2”, vale a dire purché non sia preclusa per l’avvenuto spirare del termine.

La disposizione è certamente applicabile anche nel dibattimento ordinario introdotto da decreto di citazione diretta a giudizio in forza del rinvio di carattere generale contenuto nell’articolo 566, comma 1.

Quanto al giudizio direttissimo, a quello immediato e al procedimento per decreto va, anzi tutto, osservato che gli articoli 452, comma 2 (richiamato dall’articolo 558, comma 8), 458, comma 2, e 464, comma 1, non indicano tra le norme da osservarsi

“in quanto applicabili” nel giudizio abbreviato le disposizioni dell’articolo 438, comma 6. Indicano, peraltro, la disposizione di cui all’articolo 438, comma 5, che prevede la possibilità di proposizione di richiesta condizionata e, implicitamente, l’eventualità che il giudice la respinga perché non la ritiene “necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento”.

La stretta correlazione esistente tra le due disposizioni porta ad escludere che fosse intenzione del legislatore quella di non consentire, in questi casi, la riproposizione della richiesta di giudizio abbreviato nell’ipotesi di rigetto di una precedente richiesta condizionata.

A questo si aggiunga che il riferimento ad una norma specificamente riferita all’udienza preliminare sarebbe stato del tutto improprio nell’ambito della disciplina del giudizio immediato, di quello direttissimo e di quello per decreto24.

• la forma del provvedimento dispositivo del giudizio

La forma del provvedimento dispositivo del giudice è, come si visto, quella dell’ordinanza.

Il principio vale per l’udienza preliminare e per il dibattimento; non però per il procedimento di giudizio immediato e per quello per decreto, essendo espressamente previsto, rispettivamente dagli articoli 458, comma 1, e 464, comma 1, che il giudice per le indagini preliminari provveda con decreto.

• la richiesta condizionata

L’articolo 438, comma 5, prevede che l’imputato possa «subordinare» la richiesta di giudizio abbreviato ad «integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione».

24Come, tra l’altro, esplicitamente affermato da Corte Cost. 3 luglio 2003, n. 273, in Dir. pen. proc. 2003, 1238.

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La stessa disposizione prevede inoltre che l’ammissibilità della richiesta sia a sua volta subordinata alla verifica della effettiva necessità dell’integrazione probatoria e della sua «compatibilità con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili».

La richiesta deve essere analitica e specifica, indicando in maniera esaustiva tanto il mezzo che l’oggetto dell’integrazione probatoria, in modo da consentire la delibazione del giudice sulla necessità e compatibilità della medesima.

All’imputato è, dunque, attribuita la facoltà di ottenere un completamento del quadro probatorio destinato a fondare la decisione di merito, a fronte di uno stato degli atti insufficiente o lacunoso.

• il diritto del pubblico ministero alla prova contraria

Una delle maggiori peculiarità che caratterizzano il modello condizionato rispetto a quello “puro” è certamente costituita dalla previsione, nel quinto comma dell’articolo 438, dell’espresso diritto del pubblico ministero alla prova contraria in caso di accoglimento delle istanze probatorie avanzate dall’imputato con la sua richiesta.

Tale diritto presuppone una iniziativa effettivamente condizionata ad una integrazione probatoria ed è dunque da escludersi che il pubblico ministero possa presentare domande istruttorie a seguito della presentazione di una richiesta di abbreviato “puro”.

Ma l’espresso riferimento operato dal legislatore alla prova contraria esclude altresì che, anche nel caso di abbreviato condizionato, al pubblico ministero sia riconosciuto un potere di iniziativa in materia di prova analogo a quello attribuito all’imputato25.

• l’applicabilità dell’articolo 423

Come si ribadirà (v. infra par. 7) il primo comma dell’articolo 441 esclude espressamente la generalizzata applicabilità all’abbreviato del disposto dell’articolo 423, determinando così il congelamento dell’oggetto del giudizio una volta instaurato il rito.

Tanto il quinto comma dell’articolo 438 che il quinto comma dell’articolo 441, però, prevedono due importanti eccezioni a questa regola, consentendo al pubblico ministero di modificare l’imputazione o contestare un nuovo reato ogni qual volta si sia proceduto all’integrazione della prova d’ufficio ovvero su iniziativa dell’imputato.

Nessun problema di applicabilità scaturisce, poi, con riguardo al diritto vivente formatosi in materia di:

• revocabilità della richiesta

Prima delle riforme del 2000, non si dubitava che la richiesta integrasse una mera proposta, come tale revocabile fino a che non fosse intervenuto il consenso del pubblico ministero.

25In questo senso v. Cass. 17 ottobre 2003, Conte, CED 228187.

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Coerentemente si affermava che la revoca della richiesta era preclusa una volta formatosi l’accordo, unilateralmente irresolubile, e, a maggior ragione, una volta disposto il giudizio.

Ora che il consenso del pubblico ministero non è più previsto, il problema della revocabilità della domanda si è semplificato.

La richiesta è certamente revocabile fino a che non abbia prodotto i propri effetti, cioè finché non sia stato emesso il provvedimento dispositivo del rito.

Esso preclude la revoca della richiesta, nonché la possibilità di formulare richieste di integrazione probatoria sulle quali il giudice sia tenuto a pronunciarsi (l’unica possibilità che si verifichi un mutamento dello “stato degli atti” dipende a quel punto unicamente dall’esercizio da parte del giudice del potere officioso previsto dall’articolo 441, comma 5).

Ciò vale anche nell’ipotesi in cui la richiesta sia presentata mediante l’opposizione a decreto di condanna; se è vero, infatti, che l’opposizione è irretrattabile, ciò nondimeno detta irretrattabilità non si estende alla richiesta di giudizio abbreviato che comunque mantiene la propria autonomia di peculiare scelta difensiva26. Anche in tal caso, dunque, sempre che il giudice per le indagini preliminari non abbia disposto il giudizio abbreviato, l’imputato può revocare la richiesta, con la conseguenza che il giudice, in mancanza di altre richieste di riti differenziati, è tenuto ad emettere, a seconda dei casi, decreto di giudizio immediato o decreto di citazione diretta a giudizio.

Sorprende una recente pronuncia della S.C. che afferma categoricamente il principio della irrevocabilità della richiesta di giudizio abbreviato, una volta che la stessa sia stata formulata, in una fattispecie affatto diversa, in relazione alla quale la strada della revoca non era praticabile in quanto il rito si era già instaurato e nelle medesime forme sarebbe proseguito anche nel giudizio di rinvio27.

• ammissibilità della richiesta parziale

E’ prevalente in giurisprudenza l’orientamento che esclude l’ammissibilità della richiesta parziale di giudizio abbreviato; la richiesta dovrebbe, in altre parole, necessariamente essere effettuata con riferimento alla totalità degli addebiti28. L’affermazione non è condivisibile29.

Il diritto dell’imputato di accedere al rito non può dipendere dalla scelta del pubblico ministero di esercitare in forma cumulativa o separata l’azione penale nel caso di pluralità di imputazioni perché ciò potrebbe generare evidenti ed inaccettabili discriminazioni.

26V. Cass. 10 dicembre 2002, Vozza, CED 224281; Cass. 21 aprile 1999, Puma, CED 213592.

27Ci si riferisce a Cass. 4 maggio 2004, Vicentini, CED 229590.

28V. Cass. 24 ottobre 2000, Torello, in Arch. nuova proc. pen. 2001, p. 342; Cass. 19 novembre 1999, Favara, CED 215138; Cass. 10 giugno 1999, Contarini, CED 214012; Cass., 6 luglio 1998, Manna, in Guida dir. 1998, n. 34, p. 78; Cass.

20 novembre 1997, Mazzelli, in Riv. pen. 1998, p. 621; Cass. 7 luglio 1995, Argentano, in Cass. pen. 1998, 872; Cass., 18 marzo 1993, Bergamaschi, in Cass. pen. 1994, 2139; Cass., 21 novembre 1990, Zuffrano, in Cass. pen. 1991, 248, con nota contraria di MACCHIA, Giudizio abbreviato e processo cumulativo: una criticabile pronuncia della Cassazione.

29Come hanno avuto modo di affermare Cass., 15 luglio 1998, Currò, in Arch. nuova proc. pen. 1998, p. 565, e, seppur implicitamente, Cass., 14 febbraio 2001, Calà, CED 218437.

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Puntuale è in tal senso, a testimoniare che il legislatore non esclude la possibilità di definizione parziale, il riferimento al comma 5 dell’articolo 247 disp. coord., che prevedeva la possibilità che il giudice ritenesse definibile il processo «solo per alcuni degli imputati o per alcune delle imputazioni» e procedesse, pertanto, alla separazione ed alla celebrazione del giudizio abbreviato.

Depone in tal senso anche il generale favor separationis cui si conforma il nuovo processo penale, nonché la ratio che ispira il citato articolo 18, comma 1, lettera a) (secondo cui la separazione dei processi va disposta se, nell’udienza preliminare, per una o più imputazioni, è possibile pervenire prontamente alla decisione, mentre per altre imputazioni è necessario acquisire ulteriori informazioni a norma dell’articolo 422), e comma 2 (secondo il quale la separazione può essere altresì disposta, seppur sull’accordo delle parti, qualora il giudice la ritenga utile ai fini della speditezza del processo).

A questo si aggiunga che il trattamento sanzionatorio favorevole per il caso di condanna è comunque giustificato dall’accettata utilizzabilità ai fini della decisione di merito dell’intero materiale probatorio raccolto nelle indagini preliminari fuori del contraddittorio tra le parti.

• irrevocabilità del provvedimento dispositivo del giudizio

Salvo il caso espressamente previsto dall’articolo 441-bis, comma 4 (richiamato dagli articoli 452, 458, comma 2 e 464, comma 1, 556, comma 2, 557, comma 3, e 558, comma 8) deve ritenersi, in assenza di norme sul punto, che il provvedimento dispositivo del rito sia irrevocabile.

L’eventuale provvedimento di revoca, adottato al di fuori dei casi previsti, è da considerarsi abnorme per carenza del relativo potere e per l’anomala regressione che esso produce30.

• abnormità dell’ordinanza di rigetto della richiesta incondizionata

Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, l’eventuale provvedimento reiettivo è abnorme per il suo contenuto atipico che lo fa divergere radicalmente dallo schema legale, inderogabilmente tipizzato dall’ordinamento processuale, e determina il distorto sviluppo del rapporto processuale in dipendenza del non previsto passaggio del processo alla fase del giudizio ordinario31.

Il provvedimento abnorme è immediatamente ricorribile per cassazione e può, dunque, essere annullato, con conseguente restituzione degli atti, per la celebrazione del giudizio abbreviato, al giudice che lo ha pronunciato.

In ogni caso, il giudice del dibattimento, dinanzi al quale il processo dovesse approdare, può, dato che il diniego non genera una stasi insuperabile, dar vita ad un cd. conflitto analogo di competenza, ex articolo 28, secondo comma, la cui soluzione, che spetta alla Corte Suprema ex articolo 32, è destinata a far ritornare

30V. Cass. 17 giugno 2004, Gurliaccio, CED 228707.

31V. Cass. S.U. 27 ottobre 2004, Wajib, in Guida dir. 2004, n. 49, p. 78; Cass. 7 ottobre 2004, Riccardi, CED 230057;

Cass. 2 aprile 2004, Petrucci, CED 228198; Cass. 15 giugno 2004, D’Amato, CED 228948; Cass. 17 giugno 2001, Saliko, CED 219688; Cass. 20 dicembre 2000, Strangio, CED 218577; Cass. 11 dicembre 2000, Litrico, CED 218114.

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il processo davanti al giudice dell’udienza preliminare o al giudice per le indagini preliminari che ha rigettato la richiesta32.

Il conflitto è proponibile anche nel caso in cui la richiesta incondizionata non sia respinta, ma dichiarata erroneamente inammissibile33.

• verifica di ammissibilità della richiesta incondizionata

Quanto si è detto in ordine al diritto dell’imputato di essere giudicato con il rito abbreviato in caso di richiesta incondizionata non ha, naturalmente, fatto venire meno il dovere del giudice di verificare l’ammissibilità della richiesta, come è, ad esempio, letteralmente confermato dal comma 1 dell’articolo 458.

La ricognizione delle conseguenze dell’inammissibilità della richiesta dipende dalla fase processuale in cui essa è stata presentata.

Se presentata nell’udienza preliminare, il giudice proseguirà nello svolgimento della medesima.

Se presentata in giudizio, il giudice passerà alla dichiarazione di apertura del dibattimento.

Se proposta in seguito a decreto di giudizio immediato, si farà luogo a quanto previsto dall’articolo 457 (in particolare decreto e fascicolo formato a norma dell’articolo 431 saranno trasmessi al giudice competente per il giudizio).

Si rivela vana, invece, ogni ricerca intesa ad individuare una disposizione che preveda esplicitamente quale sia lo sviluppo del procedimento per decreto nel caso di inammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato, condizionato o no (e il discorso vale anche per il caso di rigetto da parte del giudice della richiesta subordinata ad integrazione probatoria).

Non è stabilito, in altre parole, se il giudice debba in tali casi emettere decreto di giudizio immediato (o decreto di citazione diretta a giudizio) ovvero dichiarare l’esecuzione del decreto penale di condanna.

Da una parte, l’articolo 461, comma 5, stabilisce che il giudice che ha emesso il decreto di condanna “ne ordina l’esecuzione” solo qualora non sia stata proposta opposizione o questa sia stata dichiarata inammissibile (ordinanza di inammissibilità ricorribile per cassazione ai sensi del comma 6 del medesimo articolo), dall’altra, però, la legge non indica espressamente al giudice la diversa strada da percorrere nel caso in cui dichiari inammissibile o rigetti la richiesta di giudizio abbreviato.

Il legislatore lo ha fatto solo con riguardo alla richiesta di applicazione della pena a norma dell’articolo 444.

L’ultima parte del comma 1 dell’articolo 464 stabilisce, invero, che, ove il pubblico ministero non abbia espresso il consenso, il giudice deve emettere decreto di giudizio immediato (ovvero, ai sensi dell’articolo 557, decreto di citazione diretta a giudizio nel caso di reati appartenenti alla cognizione del tribunale monocratico per i quali non sia contemplata l’udienza preliminare).

32V. ex multis Cass. 23 marzo 2004, Marzocca, CED 227761.

33Cfr. Cass., 16 luglio 2001, Saliko, in Cass. pen. 2001, 2423; Cass. pen. sez. fer. 26 settembre 2002, Falaschetti, CED 222643; Cass. 16 aprile 1997, Vanoni, CED 207656; Cass. 16 aprile 1997, Zuccotti, CED 207742.

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Benché non sia esplicitamente previsto, deve ritenersi che analogo decreto il giudice è tenuto ad emettere anche nel caso in cui, in presenza del consenso del pubblico ministero, rigetti la richiesta.

Il giudice non potrà, dunque, ordinare l’esecuzione del decreto penale perché ciò equivarrebbe ad una implicita dichiarazione di inammissibilità dell’opposizione34.

• sindacato sull’ordinanza di rigetto della richiesta condizionata

Contrariamente a quanto previsto per il modello “puro”, l’imputato non vanta un diritto “incondizionato” all’instaurazione dell’abbreviato condizionato, ma la sua richiesta può essere legittimamente rigettata dal giudice se le integrazioni probatorie invocate non presentano i requisiti imposti dall’articolo 438.

Il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 438, comma 6, 458 comma 2, e 464, comma 1, ciascuno «nella parte in cui non prevede che, nel caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria, l’imputato possa rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado e il giudice possa disporre il giudizio abbreviato»35.

Il giudice dibattimentale non può procedere al riesame della questione di propria iniziativa, atteso che così facendo finirebbe per eludere l’esclusiva sull’impulso del rito riconosciuta dalla legge processuale all’imputato.

La citata sentenza sembrava avere definitivamente condannato all’oblio il meccanismo di recupero della diminuente processuale introdotto dalla stessa Consulta nel 1992, non ritenendolo più attuale alla luce della riforma del giudizio abbreviato operata dal legislatore.

La pronuncia è stata, invece, oggetto di una progressiva opera di interpretazione “adeguatrice” da parte dei giudici di legittimità, impegnati a dimostrare come il suddetto meccanismo ancora risulti necessario per risolvere alcune fattispecie processuali in relazione alle quali la previsione del sindacato teso all’instaurazione del rito da parte del giudice dibattimentale si rivela altrimenti insufficiente.

In sostanza, per la Cassazione, il recupero postdibattimentale dello sconto di pena è sopravvissuto alla riforma, affiancandosi e sostituendosi al rimedio predibattimentale introdotto dal giudice delle leggi in tutti quei casi in cui, non potendo quest’ultimo essere attivato, sia comunque necessario garantire il sindacato sulla decisione negativa di instaurazione del rito e per esso l’applicazione della diminuente processuale dalla quale l’imputato è stato ingiustamente escluso.

L’indirizzo ha trovato autorevolissima e, allo stato, definitiva conferma in un recente intervento delle Sezioni Unite36, che hanno innanzi tutto ribadito il necessario ricorso al meccanismo del recupero in quei casi che non abbiano

34Cfr. ex multis Cass. 16 gennaio 2002, Pagliarini, CED 220796; Cass. 11 maggio 1999, Cuccagna, CED 214510.

35V. Corte Cost. 19 maggio 2003, n. 169, in Guida dir., 2003, n. 21, p. 59, con nota di BRICCHETTI, L’eventuale celebrazione del rito speciale spetterà poi al giudice del dibattimento.

36V. Cass. S.U., 27 ottobre 2004, Wajib, cit..

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potuto trovare tutela attraverso la rinnovazione della richiesta nel dibattimento, perché questo già era stato aperto alla data di pubblicazione della sentenza costituzionale n. 169/2003.

Ma con la stessa pronunzia i giudici di legittimità hanno evidenziato altresì una ulteriore situazione di “sofferenza”, che già parte della dottrina e della giurisprudenza aveva individuato all’indomani dell’intervento manipolativo della Corte Costituzionale37.

Il rimedio approntato da quest’ultima, infatti, non può trovare applicazione nemmeno nel caso in cui sia lo stesso giudice del dibattimento a respingere l’iniziativa dell’imputato, tanto se ciò avviene in seguito al riesame di una precedente richiesta rigettata da altro giudice, quanto perché investito per la prima volta della domanda di abbreviato condizionato, come accade nell’ipotesi di giudizio direttissimo o di quello a citazione diretta.

Ebbene, anche in questa situazione, secondo la Suprema Corte, il giudice deve procedere all’esito del giudizio dibattimentale al recupero dello sconto di pena, qualora si convinca - anche, eventualmente, alla luce dell’istruttoria espletata - dell’erroneità della precedente decisione; ne rimarrebbe altrimenti inficiata la stessa legalità del procedimento di quantificazione della pena da infliggere in caso di condanna.

Con la medesima pronunzia la Corte ha infine chiarito come il recupero postdibattimentale dello sconto di pena debba essere operato anche d’ufficio dal giudice della fase, se era stato lo stesso a rigettare la richiesta di abbreviato condizionato, ribadendo invece che, nel diverso caso in cui l’iniziativa dell’imputato era stata respinta in una fase precedente, su quest’ultimo gravi l’onere di riproporre la domanda condizionata o di sollecitare la riduzione della pena.

Ed in proposito la giurisprudenza di legittimità, ancor più recentemente, ha altresì chiarito che in assenza dell’impulso dell’imputato il sindacato sul provvedimento reiettivo dell’abbreviato condizionato debba considerarsi precluso e non proponibile per la prima volta nel giudizio d’appello38.

• utilizzabilità degli atti ai fini della prova

La richiesta di giudizio abbreviato non può essere intesa anche come rinuncia ad eccepire e far rilevare l’esistenza di atti viziati da nullità assoluta o da “patologica”

inutilizzabilità ai fini della prova.

In questi termini si sono pronunciate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione39. La richiesta di giudizio abbreviato è atto di rinuncia da parte dell’imputato alle garanzie del dibattimento, segnatamente al contraddittorio nella formazione della prova e consente di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini e dell’udienza preliminare (oltre che nel giudizio abbreviato stesso) quel valore

37V. Cass. 8 gennaio 2004, Vata, CED 228003.

38V. Cass. 13 gennaio 2005, Morabito, CED 230607.

39V. Cass. S.U. 21 giugno 2000, Tammaro, in Cass. pen. 2000, p. 3259; in Guida dir. 2000, n. 31, p. 73, con nota di BRICCHETTI, La richiesta di accesso al rito semplificato non è rinuncia ad eccepire gli atti viziati, in Giur. it. 2000, p. 2120, con nota di BERNI, Nuovi scenari per il giudizio abbreviato tra evoluzione giurisprudenziale e controriforma legislativa.

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