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L’autodeterminazione dei popoli e il diritto interno

CAPITOLO III: TERRORISMO TRA OCCUPAZIONE E DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE

2. TERRORISMO E AUTODETERMINAZIONE DEI POPOL

2.3. L’autodeterminazione dei popoli e il diritto interno

Attriti diplomatici durante la Guerra Fredda hanno impedito il consenso internazionale intorno alle figure dei “terroristi” e dei “freedom fighters”. Una volta terminata la Guerra Fredda, cambiò l’approccio verso i movimenti di liberazione nazionale e più recentemente sono sorte nuove forme di autodeterminazione e resistenza, dovute soprattutto al crescente numero di combattenti islamici che lottano in guerre di altri popoli, e che stanno mutando il tradizionale modo di concepire l’autodeterminazione.

Come già esposto, la risoluzione dell’AG 49/60 del 1994, integrata dalla risoluzione 51/210 del 1996, condanna tutti gli atti terroristici e mira a colmare ogni lacuna presente negli strumenti internazionali antiterrorismo. Le convenzioni sui bombardamenti terroristici, sul finanziamento al terrorismo e sugli atti di terrorismo nucleare sono intese come il risultato dei nuovi sforzi internazionali per contrastare il terrorismo. In particolare, appare un nuovo consenso tra gli Stati sul diritto all’uso della forza nell’ambito dell’autodifesa contro gruppi non statali violenti, che fa sì che gli Stati preferiscano applicare gli strumenti antiterrorismo piuttosto che obbligarsi al DIU.

276 Cfr. E. CHADWICK, ibidem, pp. 306-309.

147 Nonostante la mancanza di una definizione di terrorismo universalmente accettata ed il dibattito in corso in seno alle Nazioni Unite sul Progetto per una Convenzione Globale sul Terrorismo Internazionale, Cassese individua tre possibili opzioni attraverso cui gli Stati dovrebbero preferire l’attuazione del DIU al diritto interno nei confronti degli atti di liberazione277:

i. Un’esenzione generale dall’accusa penale di atti di liberazione; ii. Una disciplina da parte del DIU di tutti gli atti di liberazione; iii. Una posizione intermedia che implichi l’uso contestuale del DIU e

del diritto penale così che “attacks by freedom fighters and other combatants in armed conflict, if directed at military personnel and objectives in keeping with IHL, are lawful and may not be termed terrorism. If instead they target civilians, they amount to terrorist acts (not therefore to war crimes) if their purpose is to terrorize civilians.278

Supponendo per quanto a noi interessa che per “pace” si intenda l’assenza di una “guerra” e che i “conflitti armati internazionali” sono conflitti tra Stati e i “conflitti armati non internazionali” sono quelli tra Stati e gruppi armati all’interno del territorio dello Stato o degli Stati, appare chiaro che i conflitti armati internazionali sono più facilmente identificabili di quelli non internazionali, in quanto questi ultimi dipendono da una decisione statale che li definisca tali. Inoltre, se rispettare gli obblighi del DIU tra gli Stati è nell’interesse di questi, ciò non è detto nell’ambito di conflitti non internazionali e del terrorismo con cui essi hanno a che fare nel diritto interno, il quale tende a favorire gli strumenti internazionali antiterrorismo a spese del diritto internazionale umanitario. Per tale ragione, i pericoli di estendere eccessivamente i divieti di terrorismo nella legislazione statale

277 Cfr. A. CASSESE, The multifaceted criminal notion of terrorism in international

law, in Journal of International Criminal Law, 4, 2006, p. 933 e B. SAUL, Legislating from a radical Hague: the UN Secial Tribunal for Lebanon invents an international crime of transnational terrorism, in Leiden Journal of International Law, 24, 2011, p.

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148 sono chiari, in particolar modo quando tali divieti possono facilmente essere estesi fino ad invadere gli interessi pubblici.279

La tendenza degli Stati a scegliere discrezionalmente di vincolarsi al DIU è ben rappresentata nella giurisprudenza. In particolare, la Corte di Cassazione italiana, nel caso Bouyahia Maher Ben Abdelaziz e altri del 20 settembre 2007, ha dimostrato la preferenza della Corte per l’approccio ampio alla definizione di terrorismo, come prevista nella Convenzione sul finanziamento al terrorismo del 1999 all’articolo 2, par. 1, lett. b280. Nello specifico, tre uomini nordafricani accusati di reclutare e mandare volontari in Iraq ed altre zone di guerra per essere addestrati come freedom fighters, erano riusciti a convincere il Giudice in primo grado che il loro unico scopo fosse quello di perseguire la guerriglia contro il personale militare ed obiettivi militari. Questa linea di difesa era certamente in linea con la norma di diritto internazionale umanitario che distingue tra attacchi intenzionali ai combattenti, che sono legittimi, e attacchi intenzionali ai civili, che non lo sono, a meno che non siano meri danni collaterali di attacchi ad obiettivi militari legittimi. Ad ogni modo, la Corte di Cassazione ha ignorato la distinzione operata dal DIU e si è concentrata su come qualificare l’incoraggiamento di attacchi armati che possono coinvolgere sia obiettivi militari che civili e se tali condotte possano costituire terrorismo. La Corte ha respinto l’assoluzione degli imputati ed ha rimesso il caso per ulteriori indagini sia sul movente dei soggetti imputati, sia sul collegamento della loro organizzazione ai gruppi fondamentalisti islamici con scopi terroristici. Con questo approccio, la Corte di Cassazione ha mostrato indifferenza

279 Cfr. E. CHADWICK, ibidem, pp. 309-312.

280Art. 2, par. 1, lett. b: “…destinato ad uccidere o a ferire gravemente un civile o

ogni altra persona che non partecipa direttamente alle ostilità in una situazione di conflitto armato quando, per sua natura o contesto, tale atto sia finalizzato ad intimidire una popolazione o a costringere un governo o un’organizzazione internazionale a compiere o ad astenersi dal compiere, un atto qualsiasi.

149 sull’esistenza o meno di un conflitto armato, facendo della questione sull’applicazione del DIU un problema di importanza secondaria.281

In modo simile, la Corte Penale d’Appello inglese nel caso Regina v Mohammed Gul del 22 febbraio 2012282 ha confermato che caricare video su internet che rappresentano attacchi armati di militanti contro personale di polizia o militare in zone straniere di guerra incita al terrorismo e contravviene il Terrorism Act del 2000 poiché tali attacchi sono stati considerati terroristici, a prescindere dalla qualificazione del conflitto armato rappresentato nei video. La Corte ha perciò preferito utilizzare la più ampia definizione di terrorismo contenuta nel Terrorism Act, che non conteneva alcun riferimento ai conflitti armati, escludendo dunque da ogni considerazione il DIU ed ampliando eccessivamente la portata del diritto interno.283

Concludendo la nostra trattazione, è possibile osservare gli Stati esitano spesso a riconoscere un conflitto armato non internazionale come tale anche quando l’intensità della violenza eccede i limiti della guerra civile. Ciò è dovuto in parte alle conseguenze politiche del riconoscimento, ossia il rispetto del diritto internazionale umanitario da parte di tutte le parti in conflitto, i cui obblighi aumenteranno a mano a mano che l’utilizzo della forza si intensifica284. Questo avviene nonostante il diritto internazionale dei conflitti armati non internazionali non conferisca formalmente lo status o l’immunità dei combattenti legittimi ai combattenti non statali, ed il diritto affermi esplicitamente che la sua applicazione non implica il riconoscimento internazionale del gruppo non statale che utilizza la forza.

281 Cfr. L. ALENI, Distinguishing terrorism from wars of national liberation in the light

of international law: a view from Italian courts, in Journal of international criminal

justice, 6, 2008, pp. 525 e ss. Vedi anche E. CHADWICK, ibidem, pp. 311 e s.

282 Corte d’Appello inglese, Sezione Penale, Regina v Mohammed Gul, 22 February

2012, EWCA 280. Cfr. K. TRAPP, R v Mohammed Gul: Are you a terrorist if you

support the Syrian insurgency?, in European Journal of International Law, 2012.

283 Cfr. E. CHADWICK, ibidem, pp. 312-313.

150 Vi è dunque una contraddizione di fondo nell’ambito della comunità internazionale che possiamo esporre in tal senso: i divieti contro l’uso della forza non impediscono l’utilizzo della stessa, così come il monopolio dell’uso della forza da parte dello Stato non impedisce lo scatenarsi di movimenti rivoluzionari. Allo stesso modo, la Carta delle Nazioni Unite prevede il divieto di interferire degli affari interni degli Stati da parte degli altri Stati, senza impedire alle violenze interne di prevalere.

Gli Stati e i freedom fighters utilizzano la violenza per scopi strategici, perciò serve riconoscere che uno Stato o un popolo “forte” non può essere costruito soltanto sulla base della coercizione e del controllo politico.285 Diventa sempre più prevedibile che ad un certo punto, in un contesto di lotta per l’autodeterminazione, una qualche forma di contro insurrezione stile coloniale sarà adattata da uno Stato per utilizzarla nella sua strategia antiterrorismo contro la sua popolazione, indipendentemente dalla legittimità della causa di quest’ultima o dei metodi o significati di violenza utilizzati dalla stessa popolazione.286

285 Un tale aspetto è evidente in vari conflitti avvenuti o in corso in tutto il mondo,

come quelli nei Balcani, nei Territori Palestinesi Occupati, negli Stati Arabi, in Mali, in China, in Cecenia, e così via.

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