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La proclamazione della Repubblica Popolare comportò drastici cambiamenti al sistema giuridico, che ancora una volta nella storia cinese venne ad essere raso al suolo e ricostruito da zero, a partire proprio dai valori e dai principi ispiratori della rivoluzione. Con una singola direttiva nel febbraio del 1949 (e quindi ampiamente in anticipo rispetto alla proclamazione del nuovo regime) il Comitato Centrale del

53 Sempre inteso nel Programma come “entità” e mai come insieme di singoli

PCC aveva deliberato l’ “abrogazione dei sei codici del Guo Min Dang”, in quanto espressione di una mentalità borghese e capitalista. Tale delibera fu poi riconfermata qualche mese più tardi dalla Conferenza Consultiva ed integrata nel Programma Comune, che, all’articolo 17, dichiarava “Tutte le leggi, i decreti ed il sistema giuridico del governo reazionario del Guo Min Dang, oppressore del popolo, saranno aboliti. Saranno introdotte nuove leggi a difesa del popolo ed un nuovo sistema giudiziario”.

Nei primi anni della Repubblica Popolare, in assenza di un Codice civile al quale fare riferimento, il rimando era obbligato al Programma Comune, l’unico in grado di fornire principi in materia civilistica. L’istituzione del governo socialista nel 1949 non aveva solo comportato il totale sradicamento del sistema legale introdotto dal Governo Nazionalista, ma altresì l’affermazione del modello sovietico di pianificazione economica, destinato a perdurare per oltre tre decenni. Era tuttavia rimasto vivo il desiderio dei leader politici e degli accademici di creare un Codice civile che potesse trovare applicazione in tutto il Paese, desiderio ripetutamente frustrato a fronte dei continui ed improvvisi cambiamenti politici ed economici vissuti negli anni passati. Punto di riferimento di questa nuova fase di riforma era il modello comunista staliniano, espressione di un avvicinamento politico ed ideologico che si stava venendo a realizzare fra le RPC e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. A fronte dei rapporti di amicizia e collaborazione fra i due Paesi, furono numerosi gli studiosi inviati a formarsi in Università sovietiche, al fine di studiare anche il diritto romano per il tramite di testi giuridici e manuali scritti rigorosamente in russo. Anche nelle Facoltà di diritto fondate in Cina54, tutti gli insegnamenti erano inizialmente impartiti da esperti sovietici in lingua russa, ma di lì a qualche anno vennero ad essere tradotti in

cinese55 centocinquantasei manuali di diritto ed intere sezioni di testi normativi sovietici, realizzando un’opera senza eguali, chiara espressione della volontà della Cina di progredire rapidamente nella creazione di un proprio sistema giuridico. Si decise così di intraprendere un nuovo tentativo di redazione del Codice civile, con l’istituzione di una commissione legislativa nel 1954. In tale direzione spingeva anche la nuova Costituzione, entrata in vigore nello stesso anno, che manifestava la pressante necessità dell’introduzione di un Codice. La scienza giuridica e la produzione legislativa di quegli anni fu estremamente intensa, come attestato dalle parole del Prof. Jiang Ping: “<< Durante questo periodo (1949 – 1957) il nostro Paese attribuiva molto valore al ruolo del diritto. La scienza giuridica era fiorente […]. Volevamo creare un nuovo sistema giuridico rivoluzionario secondo il modello dell’Unione Sovietica56>>”. Solo tre anni più tardi rispetto

all’istituzione della Commissione legislativa, fu presentato un nuovo progetto di Codice civile, articolato in quattro libri e formato da 433 articoli complessivi, risultato di un’opera di sintesi fra l’esperienza sovietica ed il Codice abrogato del 1930. Il primo libro fissava i “principi generali” (总则 Zǒngzé) seguiti nell’intera opera di codificazione, il secondo gettava le basi della normativa in materia di diritti reali (所有权 Suǒyǒuquán), il terzo trattava delle obbligazioni (债权 Zhàiquán), fino ad arrivare al quarto libro in materia di successioni (继承权 Jìchéngquán). Il progetto seguiva più o meno pedissequamente il Codice Civile sovietico del 1922 riprendendo, in evidente distacco dalla tradizione giuridica dei Paesi occidentali, il concetto di proprietà piuttosto che di “diritti in rem” e di cittadini piuttosto che di “persone fisiche”, ponendo infine una particolare enfasi

55 Furono altresì tradotte in cinese moltissime opere di illustri autori, romani e

greci, fra i quali ricordiamo le opere di Svetonio, Tacito, Sallustio, Plutarco e Appiano.

sulla proprietà pubblica57. Come avvenuto però nelle passate esperienze, il processo legislativo venne ad interrompersi per via di inattesi accadimenti politici e sociali. Espressamente, la diffusione di un movimento politico contrario “anti-legalista”, e soprattutto contrasti e divisioni con la destra sovietica58, determinarono una rapida involuzione dei rapporti con l’URSS (che erano stati fino a quel momento decisivi nel processo di riforma politica), portando il governo cinese a chiedersi se fosse veramente necessario ed auspicabile promulgare un testo che si rifacesse così da vicino a quelli che erano i principi e gli istituti propri dell’ordinamento sovietico. La risposta data a tale interrogativo fu ovviamente negativa.

1.9. Il secondo tentativo di codificazione

Dopo il fallimento della prima bozza, caduta nel baratro per via delle divisioni politiche, il processo di codificazione non riprese prima del 1962, quando il Partito Comunista 2tornò a rendersi conto dell’importanza cruciale di avere un Codice, specie al fine di sostenere e supportare lo sviluppo economico del Paese. Manifestano chiaramente questa rinnovata volontà le parole pronunciate dal Presidente Mao nel 1962: “<<Non occorre solo un Codice penale, ma è necessario anche un Codice civile. Ora siamo “senza legge né cielo”. Non si può fare a meno

57 J. Chen, “Chinese law: context and transformation”, Leiden, 2007, pag. 333. 58 Campagna Anti-destra (反右運動 Fǎn Yòu Yùndòng): si fa riferimento ad un

movimento politico diffusosi in Cina fra il 1957 ed il 1959, che portò alla persecuzione politica di oltre 550.000 persone, accusate, a fronte delle proprie posizioni progressiste e di aperta critica nei confronti di Mao, di sostenere il capitalismo e le divisioni di classe (si veda: “I cento fiori” in “Tuttocina.it – Il

portale sulla Cina” consultabile al sito:

http://www.tuttocina.it/tuttocina/storia/centofio.htm#.WhahtxPWz-Y ; H. Y. He, “Dictionary of Political Thought of the People’s Republic of China”, Londra, 2000, pag. 114-116).

delle leggi, occorre un Codice penale e civile>>”59. I lavori della Commissione furono quindi ripresi a partire dal 1962, tenendo occupata la stessa per due anni. Il risultato fu una nuova bozza di Codice, resa pubblica dal Comitato Permanente dell’Assemblea, per potere essere commentata e valutata, il 1° luglio 196460. Il progetto, chiamato “中华

人民共和国民法草案” (Zhōnghuá Rénmín Gònghéguó Mínfǎ Caǒ’àn),

detto anche Shinigao (“bozza di prova”), comprendeva tre libri, formati da cinque capitoli ciascuno, per un totale di quindici capitoli e 262 articoli complessivi. Vi erano una prima parte che andava a costituire i principi generali (articoli 1 – 24), una seconda parte sui diritti reali e di proprietà (articoli 25 – 63), ed infine una terza sulle transazioni immobiliari (articoli 64 – 262). La bozza era un’opera unica nel suo genere, andando a rappresentare quasi più una dichiarazione politica di intenti che un vero e proprio Codice: termini legali come persona e personalità giuridica, obbligazione, illecito e rimedio civile risultavano essere del tutto assenti dal progetto. La bozza era stata concepita in un periodo che aveva visto la decadenza dei rapporti di collaborazione sino- sovietici, ed era quindi il risultato di uno sforzo intenzionale di non seguire il modello sovietico, benché sul piano contenutistico venissero poi chiaramente rispecchiate le concezioni sociali ed economiche affermatesi nell’URSS. Gli stessi rapporti di diritto privato erano

59 Pazzaglini, “La recezione del diritto civile nella Cina del nostro secolo”, cit., pag.

56.

60 La bozza del 1° luglio rappresenta la versione finale del testo del Codice, a

fronte di ulteriori bozze, più o meno definitive, circolate già a partire dal novembre dell’anno precedente. Le differenze fra le varie versioni non sono marcate, ma si riscontrano tuttavia divergenze per quanto riguarda i temi di “proprietà familiare” (family-property relations), affitto, costruzione e tassazione. (si veda: J. Chen, “Chinese Law: context and transformation”, cit., pag. 332-335 ; X. Zhang, “The New Round of Civil Law Codification in China” in “University of Bologna Law Review”, Vol. 1:1, Bologna, 2016, pag. 111. ; T. Rou, “The General Principles of Civil Law of the PRC: its birth, characteristics and role” in “Law and Contemporary problems”, Vol. 52, N. 2, 1989) pag. 153-154,

consultabile al sito:

https://scholarship.law.duke.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=3995&context=lc p.

concepiti come rapporti verticali fra lo Stato ed entità economiche, piuttosto che rapporti orizzontali fra parti paritarie. In definitiva, la bozza esprimeva l’intento del Governo di creare un Codice che riflettesse caratteristiche prettamente cinesi, rigettando tutto ciò che potesse essere qualificato come straniero. I progressi fatti sul progetto vennero ad essere bruscamente interrotti dal cosiddetto “Sìqīng” (四清 Movimento di educazione socialista) già nel 1964, al quale si vennero ad affiancare le critiche delle sinistre, scettiche rispetto alla mancata definizione in maniera puntuale delle posizioni giuridiche dei cittadini. La lezione che forse la Cina potette apprendere da questa esperienza fu che non era consigliabile, nella redazione di un Codice civile, ignorare gli insegnamenti provenienti da altri Paesi, ostinandosi a seguire solo queste fantomatiche “caratteristiche cinesi”. Il secondo tentativo durò quindi ancora meno del primo, e si sarebbe tornati a tentare un nuovo sforzo nella direzione di un Codice civile solo dopo la Rivoluzione Culturale.

1.10. Il terzo tentativo ed i “Principi generali” del 1986

Degli anni della Rivoluzione Culturale61 sappiamo relativamente poco, a fronte del silenzio degli stessi storici cinesi. Durante il periodo che va

61 Grande Rivoluzione Culturale proletaria (文化大革命 Wénhuà Dà Gémìng): si

intende la campagna politica lanciata da Mao Ze Dong durante il suo ultimo decennio al potere. La Rivoluzione Culturale (il concetto di cultura viene ad essere inteso più espressamente come “comportamenti sociali”) mirava a fermare la tendenza riformista diffusasi fra i nuovi leader del PCC, tornando invece a seguire l’impostazione ortodossa del pensiero marxista-leninista del quale Mao stesso si faceva promotore. La campagna non fu altro che l’occasione per Mao di ripulire il partito dai “controrivoluzionari revisionisti”, che con la loro condotta minavano la trasformazione della Cina in un vero Stato socialista. (Per un approfondimento storico si veda: G. Mantici “Mao Zedong e la Rivoluzione Culturale” in “Encyclomedia Online” consultabile al sito:

dal 1966 al 1976 (noto anche col nome di 十年浩劫 Shí Nián Hào Jíe: i 10 anni catastrofici) tutta la legislazione esistente venne ad essere abrogata oppure sospesa ed ogni tentativo di riforma legislativa accantonato. Per esempio, la normativa sui contratti fu integralmente abolita, in quanto considerati espressione di una logica capitalista (per oltre venti anni, nel Paese non si sarebbe seguita alcuna disciplina in materia contrattuale). La legislazione repubblicana avrebbe teoricamente potuto essere mantenuta e rivista in accordo con i principi tradizionali del Partito Comunista, ma motivazioni ideologiche spinsero nella direzione di sradicare l’intero quadro normativo, precludendo altresì ogni tentavo di instaurazione di un sistema legale. Il risultato fu la fine del diritto e l’inizio di uno stato di “anomia” in cui la popolazione si veniva a trovare esposta alla forza bruta del governo. Fra le sempre nuove campagne politiche lanciate e le nuove epurazioni promosse da Mao, non c’era niente che potesse garantire ai cittadini un sufficiente grado di protezione. Si assistette quindi ad una “evoluzione/involuzione” della società verso un’impostazione qualificata come “nichilismo giuridico”62, in cui “si ignorava o si negava

completamente il ruolo del diritto in generale”63. Le Facoltà di Giurisprudenza vennero a chiudere i battenti, i giuristi prelevati e sottoposti a programmi di riabilitazione ideologica, i tribunali smantellati. Il diritto cinese fece un balzo nel passato, tornando ad essere

http://www.oilproject.org/lezione/mao-zedong-e-la-rivoluzione-culturale- 19920.html. ; E. Lynch “To never forget? China’s Cultural Revolution” in “China

and Law policy”, Maggio 2016, raggiungibile al sito: http://chinalawandpolicy.com/2016/05/15/to-never-forget-chinas-cultural- revolution/).

62 Nichilismo giuridico: si fa riferimento ad una corrente sociopolitica che

disconosce il ruolo sociale della legge, considerata come la forma peggiore di regolazione dei rapporti fra consociati. Riconducibile in gran parte ad alcuni aspetti del pensiero di Confucio stesso, il nichilismo giuridico (che nelle sue forme più estreme può qualificarsi come una forma di anarchismo), nel XX secolo è stato parte integrante del programma politico delle sinistre radicali e di movimenti ultra rivoluzionari, affermandosi alla fine degli anni ’60 nella maggior parte dei Paesi di ispirazione comunista.

uno strumento esclusivo di repressione dei reati e di consolidamento di un governo totalitario ed oppressivo. Ogni rimando al diritto civile in questa fase storica è inutile, posto che la sua redazione ed una sua eventuale codificazione erano ben lontani dai concreti interessi politici del Partito Comunista.

Fu solo dopo l’arresto ed il processo alla “Banda dei quattro”64 che il

processo di riforma legislativa in Cina poté riprendere il suo corso. Il terzo tentativo di realizzare un Codice civile cominciò nel 1979, con l’istituzione di una “Commissione di redazione del Codice civile” internamente al “Comitato affari legislativi” del SCNPC65 . Dopo un

primo incontro preparatorio nel novembre dello stesso anno, la Commissione diede inizio ufficialmente ai lavori, operando con estrema efficienza e celerità, visto che solo tre anni più tardi erano già state completate ben tre diverse bozze di Codice. Tutte e tre le versioni del testo si basavano sui “Principi generali del diritto civile” dell’URSS (1962), il Codice Civile sovietico del 1964 ed infine la versione rivisitata del Codice Civile ungherese (1978)66. Ancora una volta si optò per

seguire i dettami della codicistica tedesca, nonostante il chiaro orientamento socialista.

Per l’ennesima volta diversi fattori si vennero a frapporre al processo redazionale: in primis l’atteggiamento ambivalente verso la legislazione avuto dal Capo di Stato maggiore, nonché vice-premier e vice-segretario del Comitato Centrale del PCC, Deng Xiaoping, che dette disposizioni

64 La “Banda dei quattro” (四人帮 Sì rén bāng) fu un gruppo di quattro politici

cinesi, arrestati nel 1976 (a circa un mese di distanza dalla morte del “Grande Timoniere” Mao) con l’accusa di star preparando un colpo di Stato, e successivamente processati e condannati, dopo essere stati riconosciuti come i responsabili di tutti gli eccessi e le violenze che avevano caratterizzato la Rivoluzione Culturale. Con il processo “ai quattro”, la Cina veniva a chiudere il sipario su uno dei momenti più cupi della sua storia recente.

65 Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo. 66 J. Chen, “Chinese Law: Context and Transformation”, cit., pag. 461.

affinché, a fianco del Codice civile, la Commissione venisse altresì ad elaborare testi di legge in singole materie del diritto civile. Questa politica di freno fu portata avanti per tutti gli anni di attività della Commissione, portando alla promulgazione ed entrata in vigore di svariate leggi, ma mai del Codice Civile stesso. In secondo luogo, scoppiò un “conflitto” fra civilisti ed i giuristi favorevoli all’introduzione di una normativa economica separata e distinta dalla normativa civilista, che non fece altro che rallentare ulteriormente il processo legislativo. Guardando in retrospettiva, forse questa decelerazione dell’iter legislativo non fu del tutto una cosa negativa, permettendo alla Cina di svincolarsi dall’influenza culturale sovietica e far emergere una nuova generazione di giuristi formatisi sui testi e manuali provenienti da diversi sistemi legali e non esclusivamente quelli russi. Se la bozza di Codice fosse effettivamente entrata in vigore, la Cina si sarebbe trovata fra le mani un testo ormai superato e che si sarebbe ben presto dimostrato inadeguato rispetto ad una moderna economia di mercato. Furono quindi emanate diverse leggi in materia civilistica: “Legge sui contratti” (1981), “Legge sui contratti economici con l’estero” (1986), “Legge sul matrimonio” (1981), “Legge sulle successioni” (1986”) ed infine la parte che ci interessa maggiormente ai fini della presente trattazione: i “Principi Generali del Codice Civile” (1986).

1.11. Il ruolo del diritto romano in Cina

La Cina rappresenta forse uno degli esempi più singolari di dialogo con la tradizione civilistica del diritto romano, tanto più se si pensa alla enorme differenza fra la realtà culturale del gigante asiatico e quella di altri Paesi extraeuropei (come quelli dell’America latina) in cui, per

motivi di eredità coloniale, si erano già registrate forme più o meno avanzate di recezione del diritto romano.

Storicamente, quella cinese costituiva una delle quattro principali famiglie giuridiche, ponendosi al fianco delle altre tre grandi tradizioni quali: quella del Common Law, quella dell’Europa continentale (anche nota più comunemente col nome di “Civil law” o “famiglia romano- germanica”) ed infine la tradizione del diritto islamico. Il diritto cinese aveva quindi assunto una sua precisa identità, risultato di una evoluzione plurimillenaria che gli aveva permesso di esercitare un notevole condizionamento anche sui Paesi dell’Est e del Sud-est asiatico. In questa realtà, i Cinesi non sapevano niente del diritto romano, che non ebbe quindi la benché minima influenza sul loro sistema giuridico tradizionale. Per la gran parte della storia cinese, il diritto, nel senso occidentale del termine, venne a ricoprire un ruolo decisamente secondario. Per oltre duemila anni, infatti, l’unica legge adottata dal governo fu la “lex naturalis” espressione dell’ideologia confuciana, fondata, come abbiamo già visto, su principi morali che determinano il giusto ordine delle cose. I rapporti sociali dovevano essere quindi basati su questi precetti, piuttosto che su diritti “astratti” e norme impersonali. Erano queste leggi naturali, al massimo, a dover essere commutate in diritto scritto, “elevando la morale al di sopra della legge ed andando poi a fonderle”67. Dal 1200 a.C. al 1911 d.C. i Codici fecero propria

l’ideologia confuciana a vari livelli, “non con il fine di istituire diritti dei cittadini, creare una struttura legale generale indipendente dallo Stato o separare la branca del diritto civile da quella del diritto penale68”, ma con l’espresso scopo di educare le autorità a mantenere la pace, punendo coloro che con le proprie azioni avessero contribuito a minare la stessa.

67 A. E. S. Tay “The struggle for law in China” in “U.B.C. Rev.”, N.21, Vancouver,

1987, pag. 570-572.

Prima del Medioevo, si contano sulle dita le testimonianze di rapporti documentati con la Cina: le poche fonti che fanno accenno a contatti col regno del dragone riportano principalmente di rapporti di natura commerciale, finalizzati ad importare dall’Estremo Oriente merci esotiche come monete, pietre preziose e la pregiatissima seta. Altre fonti riferiscono voci e dicerie, alcune fondate (l’ateismo cinese e la precedenza accordata alla morale rispetto al diritto), altre tramutatesi in leggende (come quelle su una legione romana, fatta prigioniera e condotta in Cina, dove avrebbe finito per fondare la città di Lijiang)69.

Le prime notizie relative al diritto romano cominciano ad essere rintracciabili in Cina a partire dalla fine del ‘800, all’interno di opere tradotte da missionari occidentali e dai loro collaboratori cinesi70; solo in rari casi abbiamo degli elementi nuovi, che non fossero quindi la mera riproposizione di quanto già trattato all’interno del testo tradotto; inoltre, i rimandi al diritto romano fatti in questo ambito, benché indubbiamente significativi, erano però sporadici e limitati. Un ulteriore significativo passo in avanti nella ricezione della tradizione giuridica romanistica si compie quando elementi di diritto romano iniziano ad essere evidenti non solo all’interno di opere risultato di attività di traduzione, ma all’interno di testi – per lo più saggi o diari di viaggio – composti in prima persona da alcuni dei più illustri ed eminenti letterati cinesi del tempo, garantendo, grazie anche alla loro notorietà e fama, una maggiore circolazione di quegli stessi contenuti71.

69Schipani, “Diritto romano in Cina”, cit., pag. 527-528.

70 Si ricorda opere quali: “佐治芻言” (Zuǒ zhì chú yán: “Modeste parole per

aiutare il governo”) traduzione in cinese del testo: “Political Economy, for use in school and for private instruction” ad opera del missionario inglese J. Fryer e di

Ying Zuxi ; “羅馬志略” (Luómǎ Zhì Lüè: “Breve trattato sulla storia di Roma”),

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