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La "Legge sui diritti reali" della RPC: fra tradizione giuridica nazionale e tradizione giuridica occidentale

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea in Giurisprudenza

Tesi di Laurea Magistrale

La “Legge sui diritti reali” della RPC:

fra tradizione giuridica nazionale e

tradizione giuridica occidentale

Candidato

Relatore

Andrea Frascella Chiar.mo Prof. Aldo Petrucci

(2)

INDICE

CAPITOLO I

L’ORDINAMENTO

CINESE

NELLA

SUA

FORMAZIONE STORICA

1.1 Cenni Introduttivi………...………..5

1.2 La società cinese tradizionale fra diritto e religione……7

1.3 L’evoluzione del diritto civile dall’età Imperiale fino alla

Repubblica………...11

1.3.1 Le dinastie arcaiche……….…….11

1.3.2 La dinastia Qin e l’unificazione dell’Impero………14

1.3.3 La dinastia Han……….15

1.3.4 La dinastia Sui ed il “KaiHuangLü”……….17

1.3.5 La dinastia Tang………...18

1.3.6 La dinastia Song e la dinastia Yuan………...20

1.3.7 La dinastia Ming………...23

1.3.8 La dinastia Qing ed il “Dà Qīng MínLǜ Cǎo’Àn”….25

1.4 Verso la modernizzazione del sistema giuridico cinese..29

1.5 La Rivoluzione Repubblicana………34

1.6 La seconda bozza ed il Codice Civile “nazionalista” del

1930……….……36

1.7 La guerra civile e la fondazione della Repubblica Popolare

Cinese………...41

1.8 L’avvento del socialismo e la prima codificazione

civilistica nella RPC……….44

(3)

1.9 Il secondo tentativo di codificazione………..47

1.10 Il terzo tentativo ed i “Principi Generali” del 1986…...49

1.11 Il ruolo del diritto romano in Cina……….52

CAPITOLO II

QUADRO GENERALE DEI DIRITTI REALI IN CINA

2.1 Introduzione ai diritti reali………..62

2.2 I diritti reali nella RPC………66

2.3 La proprietà nella Costituzione: dal Programma Comune

alla Carta del 1978………68

2.4 Deng Xiaoping e la Costituzione del 1982………..74

2.5 L’evoluzione della disciplina nella legislazione

antecedente alla “Legge sui diritti reali”………...80

2.6 La “Legge sui diritti reali”: nozioni introduttive……….84

2.7 La “Legge sui diritti reali”: principi e contenuti a

confronto………..87

2.8 La nuova “Parte generale del Codice Civile”:

considerazioni introduttive………...93

2.9 Le “Regole Generali del diritto civile”: novità in materia

di proprietà e diritti reali………..95

(4)

CAPITOLO III

LA PROPRIETÀ ED I DIRITTI REALI DI

GODIMENTO: UN SISTEMA DUALISTICO

3.1 Il diritto di proprietà nella “Legge sui diritti reali”...…105

3.2 La proprietà collettiva………...114

CAPITOLO IV

I DIRITTI REALI DI GODIMENTO

4.1 Nozioni introduttive……….……….... 123

4.2 Il diritto di gestione dei fondi in concessione…………127

4.3 Il diritto d’uso su fondo destinato a costruzione………136

4.4 Il diritto d’uso su fondo a destinazione abitativa……...142

4.5 Conclusioni……….…...146

INDICE DELLE FONTI

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CAPITOLO I

L’ORDINAMENTO CINESE NELLA SUA

FORMAZIONE STORICA

1.1 . Cenni Introduttivi

Le origini della storia cinese vengono fatte risalire a oltre 5000 anni fa, anche se molti studiosi la ritengono essere molto più antica. Nella sua storia millenaria, fatta dall’avvicendarsi di innumerevoli dinastie diverse al potere, la Cina ha plasmato un ordinamento giuridico unico nel suo genere. Basato altresì su una economia prevalentemente agricola, il Celeste Impero ha potuto godere per secoli di una situazione di generale isolamento, che gli ha permesso di risultare assolutamente indipendente dalle influenze esterne, esercitando, per converso, una grande attrazione sui Paesi vicini e portando ad uno sviluppo del tutto autonomo e parallelo rispetto alla storia europea e del “mondo occidentale” nel suo complesso. La società cinese tradizionale rappresenta, ancora oggi, un esempio senza rivali di stabilità delle relazioni sociali, avendo potuto beneficiare per quasi 2000 anni di una sostanziale continuità dei suoi rapporti economici, sociali e politici.

Fu solo nell’Ottocento, a fronte dell’espansione colonialista europea, che emerse da parte cinese un interesse alla “iustitia” del sistema del diritto romano, ma in una prospettiva di ricezione che potremmo definire quasi “difensiva” e dando avvio ad un processo di modernizzazione ed evoluzione ancora in corso. Al fine di preservare il sistema dell’Impero, e soprattutto per salvaguardare la cultura

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tradizionale cinese, il Governo allora decise di porre in essere una vasta opera di riforma, ritenendo necessario ricostruire l’intero impianto giuridico partendo dalle sue stesse fondamenta. Fu così che, agli inizi del XX secolo, la Cina cominciò questo iter di riforma, prendendo come punto di riferimento indiscusso la sistematica propria degli ordinamenti di Civil law. Questo lungo percorso, ancora lontano dal giungere a conclusione, ha portato il diritto ad assumere un ruolo di primaria importanza, mai avuto prima nella società cinese. La stessa scelta del diritto romano, con la sua attenzione alla dimensione della società giuridica piuttosto che alla sfera dello Stato, ha rappresentato ai fini dell’ordinamento cinese una vera e propria rivoluzione copernicana. Nonostante molto sia stato fatto, la certezza del diritto però è ancora lungi dall’assolvere quel ruolo primario che assume in alcuni Paesi occidentali. Come è però altresì facile capire, l’unificazione della legge e la creazione di un impianto normativo solido e stabile è stata la chiave di volta per garantire quel rapido sviluppo socio-economico che la Cina ha vissuto negli ultimi decenni e che continua a vivere tutt’ora. La rilevante e crescente produzione normativa alla quale abbiamo assistito trova infatti una ragione di carattere prevalentemente economico, tant’è vero che la gran parte dei provvedimenti approvati negli ultimi anni hanno rilevanza economico-civilistica. La creazione dello Stato di diritto, benché sia un qualcosa di non esistente nella cultura cinese, rappresenta ad oggi un obiettivo necessario, e forse l’espressione della massima realizzazione dei cambiamenti introdotti nell’ultimo secolo.

Ai fini della presente trattazione, procederemo prima di tutto ad esaminare l’evoluzione storica che, partendo dall’età imperiale fino ad arrivare ai tempi della Repubblica, ha portato ad un progressivo stratificarsi di fonti legislative di diversa provenienza, che hanno determinato una situazione di assoluto caos rispetto alle fonti di riferimento. Passeremo poi a considerare il graduale sviluppo del diritto

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civile, sulla spinta di un incessante mutare della società e dell’economia, focalizzandoci sulle “Regole generali del diritto Civile”, entrate in vigore lo scorso 1° ottobre e preludio al futuro Codice civile, approfondendone alcuni aspetti.

1.2 La società cinese tradizionale fra diritto e religione

Una politica di matrice centralista e dirigista, la religione, con i suoi riti ed il suo credo, ed infine le immemorabili convenzioni del tessuto sociale cinese, sono in assoluto gli elementi che più di tutti hanno contribuito a plasmare l’ “unicum” che è la tradizione giuridica cinese. Mentre infatti, negli ordinamenti occidentali, i rapporti sociali sono regolati principalmente dal diritto con le sue norme, confinando tutte le regole della morale in una dimensione meta-giuridica e quindi non in grado di condizionare l’autorità pubblica né il regolare funzionamento degli organi giurisdizionali, per converso la società cinese tradizionale ha da sempre riconosciuto un ruolo preponderante alla morale, con una netta prevalenza di quest’ultima rispetto alla sfera del diritto. L’ordine sociale cinese si è storicamente fondato sulla base di regole morali, che fissavano il comportamento degli individui in modo tale da armonizzarlo con “l’ordine naturale delle cose”. Secondo il confucianesimo, fondato da Kong Fu Zi (o Confucio, 孔夫子; 551 a.C. – 479 a.C.) e sviluppatosi principalmente in Cina, Corea e Giappone, l’uomo retto è colui che segue i riti e le usanze della tradizione, in un contesto di rapporti sociali che dovrebbero essere regolati dall’altruismo, dalla generosità e dall’amicizia.

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La regolazione della vita sociale era infatti fondata su due insiemi distinti di norme: i “li” (禮 lǐ) ed i “fa” (法 fà)1.

Il “li” è un complesso di regole morali, che si concretizzano in precisi rituali, ai quali si vengono poi ad affiancare regole di educazione e cortesia, il cui rispetto garantisce all’uomo una vita in armonia con il cosmo. Il dettame proprio dei “li” era inizialmente rivolto alla sola classe aristocratica, l’unica considerata in grado di tenere una condotta moralmente irreprensibile e quindi in grado di vivere in armonia con l’universo. L’origine dei “li” viene fissata durante il periodo di reggenza della dinastia Zhōu Cháo (XXII a.C.), ad opera del Duca di Zhōu, come modello di condotta per gli esponenti dell’aristocrazia (da qui, altresì, il nome originario di “Zhōu lǐ”: i riti di Zhōu). Inizialmente correlati al solo ambito della sepoltura e del culto dei morti, furono successivamente ampliati nella loro portata e nei loro contenuti, venendo a fissare regole disciplinanti per l’intera comunità e relative ad ogni aspetto della vita sociale. Alla luce di questa architettura normativa, una regolamentazione del diritto civile venne completamente messa da parte. Il diritto scritto veniva utilizzato solo in ambiti marginali, espressamente nel campo della punizione dei reati (刑 xíng: punizione), ovvero in quei casi in cui gli equilibri dei rapporti sociali risultavano essere già stati compromessi. Proprio nella branca del diritto penale la Cina poteva vantare una tradizione giuridica millenaria, con opere risalenti addirittura alla metà del I° millennio a.C.: il FaJing (法经 Jīng: Classico delle Leggi), composto da Li Kui (李悝 Lǐ Kuī; 455- 395

a.C.), uno dei più illustri esponenti della scuola legalista, ed il QinLü

1 Per un maggior approfondimento si veda: L. Bultrini, “La morale e la legge: il

diritto nella tradizione cinese” in “La Mandorla”, Settembre 1999, n.3, accessibile

al sito:

http://webhtml.agopuntura.org/html/mandorla/rivista/numeri/Settembre_199 9/morale_e_legge.htm

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(秦律 Qín Lǜ: Leggi dello Stato Qin), compilato sulla base del precedente testo normativo, ed esteso nel 221 a.C., dopo l’unificazione dell’Impero, a tutti gli altri territori.

Tra il VI e il V secolo a.C., durante un periodo di anarchia e guerra civile, le regole del “Zhōu lǐ” furono adottate e rielaborate dal filosofo Confucio, venendo ad essere commutate ed “elevate” a principi fondanti di quella filosofia che è giunta fino ai nostri giorni col nome di Confucianesimo. L’ideologia confuciana riuscirà a penetrare negli strati più profondi della società, operando una fondamentale funzione di collante tra la società civile e lo Stato. In questo codice di comportamento non trovano spazio i diritti: l’individuo è connotato solamente dai propri doveri, in primis verso la famiglia e verso la società. La definizione dei rapporti interpersonali non contempla il concetto di uguaglianza: fra due soggetti sussiste sempre un rapporto gerarchico, se non altro fondato sull’età.

Le cinque relazioni basilari del Confucianesimo sono: sovrano–suddito; padre-figlio; marito-moglie; fratello maggiore-fratello minore; amico più anziano-amico più giovane: ogni membro della società aveva quindi uno specifico obbligo morale nei confronti del prossimo, diversificato solo sulla base dello status sociale e del ruolo ricoperto a livello a familiare, obbligo che mirava a soddisfare non l’interesse del singolo, ma dell’intera collettività. “Trattare il principe da principe, il sottoposto da sottoposto, il padre da padre, il figlio da figlio”, questo è il massimo principio del Confucianesimo. In questa prospettiva si vede bene come lo stesso, diversamente da altre religioni, innanzitutto quella cristiana, non sia caratterizzato da qualsivoglia finalità teologica, assumendo invece una valenza quasi “politica” e operando come prezioso strumento di regolazione sociale e di governo.

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L’altra componente dell’orizzonte giuridico, il “fa”, è la legge intesa come fonte del diritto. Le radici del “fa” sono incerte: la scuola legalista, che lo sosteneva, avrebbe, secondo alcuni2, una origine addirittura antecedente a Confucio ed al Confucianesimo, da fissarsi fra la fine dell’VIII secolo e la prima metà del VII secolo a.C. Secondo altri, invece, sarebbe stata “fondata” da due seguaci di Confucio: Mengzi (o Mencio; 孟子Mèngzǐ ; 370 a.C.- 289 a.C.) e Xunzi (荀子Xúnzǐ ; 313

a.C.- 238 a.C.), che, dopo la morte dello stesso, avrebbero finito per assumere posizioni di parziale distacco dagli insegnamenti del venerando maestro, facendo emergere dai propri scritti una visione molto più critica della realtà, specie proprio per quanto riguarda la natura dei rapporti interni alla società. La scuola legalista si fonda sulla convinzione, o addirittura certezza, della fondamentale ed ineliminabile malvagità ed egoismo della natura umana, che deve essere consequenzialmente controllata attraverso leggi scritte e punizioni, talvolta così severe da sfiorare la pura crudeltà, ma necessarie affinché possano svolgere un effettivo potere deterrente. Benché da un punto di vista concettuale le due scuole di pensiero non si possano considerare più diverse, vediamo invece che da un punto di vista “teleologico” finiscono per avvicinarsi nettamente, visto che, anche nel “fa”, vi è l’ambizione a produrre, tramite l’azione legislativa e repressiva, una progressiva interiorizzazione della norma che col tempo miri a rendere inutile la legge stessa, e, a maggior ragione, l’applicazione della pena. Lo Stato ideale quindi, tanto per Confucio quanto per la Scuola dei legisti, è quello che della legge non ha bisogno.

La prevalenza dell’una o dell’altra impostazione, legata in primo luogo alle vicende delle dinastie imperiali e alla solidità del potere centrale,

2 Per un approfondimento sui rapporti fra Legalismo e Confucianesimo si veda:

W. Li, “Philosophical Influences on Contemporary Chinese Law”, in “IND. INT’L &

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portò ad una situazione di continua lotta tra: flessibilità (confuciana) e certezza del diritto (legista), tra uguaglianza di tutti i consociati davanti alla legge (legista) ed una differenziazione in base allo status sociale (confuciana). Nonostante una iniziale affermazione e diffusione delle teorie legiste, esposte soprattutto nelle opere di Han Fei (o Han Fei Zi ; 韓非子 Hán Fēi ; … - 233 a.C.) e ShangYang ( 商鞅 Shāng Yāng ; 390 a.C.- 338 a.C.), alla lunga, esse rimasero estranee alla forma mentis3 della maggioranza del popolo, in quanto troppo “diverse” ed innovative rispetto alla mentalità tradizionale. In seguito, con l’affermazione della dinastia Han (206 a.C.), il Confucianesimo riprese il sopravvento, divenendo filosofia/religione ufficiale dell’Impero fino alle fine del XIX secolo.

1.3. L’evoluzione del diritto civile dall’età Imperiale fino

alla Repubblica

1.3.1. Le dinastie arcaiche

Molto di quello che sappiamo sulla Cina degli albori è frutto di studi storici, ma anche di moltissimi miti e leggende che forse rappresentano l’esempio più chiaro della forza e della tenacia dei valori culturali cinesi. Tre sarebbero state le leggendarie dinastie4 arcaiche, responsabili delle

prime forme di organizzazione politica della Cina: la dinastia Xia (夏朝

3 Per approfondimenti sul tema, si veda: B. I. Schwartz, “The World of Thought in

Ancient China”, Cambridge, 1985, pag. 321-345.

4 Il termine “dinastia” viene usato per indicare un sistema di successione fra

sovrani appartenenti allo stesso clan familiare. Il sistema dinastico ha portato alcune famiglie a perdurare al governo per secoli, mentre altre solo per pochi anni o decenni.

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Xià Cháo ; c.a. 2195 a.C. – ca.1675 a.C.), la dinastia Shang (商朝 Shāng Cháo ; ca. 1600 a.C – ca. 1046 a.C.) ed infine la dinastia Zhōu (周朝 Zhōu Cháo ; ca. 1045 a.C. – 256 a.C.). La dinastia Xia è la prima ad essere descritta dalle cronache cinesi, fondata indicativamente intorno al 2100 a.C. da Yû il Grande5, e perdurata fino al 1600 a.C. circa6. L’impero si estendeva su una vasta regione, attraversata dal Fiume Giallo e comprensiva delle attuali regioni dello Shandong ad est e dello Shangxi ad ovest. Sarebbe stato durante i secoli di governo della dinastia Xia che si sarebbero venuti a delineare i primi caratteri della forma di governo cinese, fondata su un “governo benevolo”, ma altresì su punizioni brutali ed esemplari per i trasgressori. Fonti riportano anche la presenza di alcuni primitivi codici legali che purtroppo non ci sono pervenuti7.

Alla fine della prima metà del 18° secolo a.C., il diciassettesimo Imperatore della dinastia Xia, Di Jie (桀 Jié ; 1728 a.C. - 1675 a.C.), al termine di un lungo periodo di rivolte interne e guerra civile, fu sconfitto e detronizzato da Shang Tang (汤湯 Shāng Tāng ; XVII secolo a.C. - …..), capostipite e nuovo Imperatore della dinastia Shang.

La nuova dinastia sosteneva di avere rapporti con il mondo ultraterreno, per mezzo di sciamani; questa nuova componente esoterica venne sfruttata al fine di consolidare il potere del nuovo Imperatore, creando

5 Lodato da Confucio stesso come esempio di virtù morale. È uno dei pochi

imperatori cinesi ad essere stato onorato con l’appellativo di “Il grande”.

6 Molti storici continuano a mettere in dubbio l’effettiva esistenza della dinastia

Xia, benché gli scavi archeologici realizzati ad Erlitou (LuoYang, Henan Province) alla fine degli anni ’50, abbiano portato alla luce una serie di palazzi che si ritiene costituissero la capitale della dinastia Xia (si veda: A. P. Underhill, “A Companion

to Chinese Archeology”, Hoboken, 2013, cap.15 ; R. L. Thorp, “China in The Early Bronze Age: Shang Civilization”, Philadelphia, 2006, Cap.1, pag. 33-36).

7 Per approfondimenti sul sistema legale dell’epoca pre-Qin, si veda: J. Zhang,

“The Tradition and Modern Transition of Chinese Law”, Berlino, 1997, cap. 6:1, pag. 153-156.

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una forma di governo intrisa di elementi di teocrazia. Fu sotto questa dinastia, inoltre, che si vennero a formare i primi ideogrammi della scrittura cinese. L’Impero fu diviso in tre diverse zone: la zona centrale, cuore pulsante dello stesso, governata direttamente dall’Imperatore, la seconda, amministrata per suo conto da governatori “vassalli” della famiglia reale, ed infine le zone periferiche, con funzione di Stato cuscinetto rispetto a possibili pericoli esterni.

Al termine della battaglia decisiva di Muye (1112 a.C.), l’ultimo Imperatore della dinastia Shang, Di Xin (帝辛 Dì Xīn ; 1105 a.C. – 1046

a.C.), si suicidò, dopo aver appreso della sconfitta del proprio esercito

ad opera di una nuova casata: quella dei Zhou. Secondo la leggenda, la disfatta sarebbe stata dovuta al tradimento di parte dei ranghi militari, che sarebbero confluiti nella fila dei ribelli, fila già rinforzate dal supporto di popolazioni barbariche contro le quali la dinastia Shang aveva da sempre combattuto, cercando di isolarle ai confini dell’Impero. I Zhou divennero così i nuovi signori incontrastati della Cina e dalla loro casata, nascerà la terza dinastia imperiale8.

Con i Zhou la Cina conobbe un periodo di grande trasformazione. La capitale venne spostata a Chang’An (l’attuale Xian) e l’Impero diviso in una numerosa serie di stati vassalli, dando vita ad un sistema pseudo-feudale9. Gli ufficiali ed i funzionari, ai quali era stata affidata l’amministrazione di questi nuovi stati, non erano retribuiti direttamente, ma tramite l’assegnazione di terre, in modo

8 Per approfondimenti di carattere storico, si veda: Amelia Di Lieto, “Storia della

Cina”, consultabile al sito:

http://m.docente.unife.it/amelia.dilieto/cultura-cinese/Storia%20della%20Cina.pdf

9 La Cina non conosceva il concetto di “nazione” e solo in rare ipotesi i confini

nazionali erano fissati in maniera permanente. “Tutte le terre sono sotto la sorveglianza del Cielo” era uno dei motti diffusi fra le varie dinastie regnanti. L’Imperatore, chiamato appunto “Figlio del Cielo”, concedeva titoli e possedimenti alle famiglie dei vassalli, come mezzo per unificare terre e popoli sotto un’unica amministrazione. (Museo Cinese Parma, “Le dinastie della Cina”,

raggiungibile al sito:

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permanente. Questo portò alla formazione di una classe aristocratica che spesso e volentieri faceva valere la sua autonomia, opponendosi anche al sovrano. Fu forse proprio a causa di questa divisione, che i vari lord feudali iniziarono a contendersi il potere, conducendo ad una situazione di vera e propria guerra civile perdurata per oltre due secoli e conosciuta col nome di “Periodo dei Regni Combattenti” (453 a.C. – 221 a.C.). La violenza dell’epoca portò molti pensatori a speculare su pace e ordine, segnando una rinascita della filosofia orientale nelle persone di Confucio e di Laozi (o Lao Tse; 老子 Lǎozǐ), fondatore del Taoismo. Nonostante lo sconvolgimento politico, durante la dinastia Zhou furono altresì notevoli i progressi in campo sociale ed economico. Si attesta la presenza di leggi scritte, incise per la prima volta sul bronzo, ma sul cui rispetto vigilava un numero molto limitato di funzionari, comportandone una applicazione veramente irrisoria10.

1.3.2. La dinastia Qin e l’unificazione dell’Impero

Prima di diventare la dinastia imperiale, i Qin (秦朝 Qín Cháo ; 221 a.C.- 206 a.C.) erano stati sovrani del regno feudale del Ch’in e vassalli della dinastia Zhou. Nel 221 a.C., sotto la guida del Re Ying Zheng, i Qin riuscirono ad assoggettare gli altri stati al proprio controllo, ponendo fine al periodo storico noto come “Periodo dei Regni combattenti” e riunendo i vari territori in una unica compagine statale. Il primo Imperatore della dinastia, Qin Shi Huangdi (秦始皇帝 Qín Shǐ

Huángdì ; 260 a.C. – 210 a.C.), è considerato il primo sovrano della Cina unificata, segnando l’inizio dell’età imperiale, perdurata fino al

10 Si veda: D. Civitillo, “La Dinastia Zhou”, in “The History Temple – Il tempio della

Storia”, Gennaio 2015, consultabile al sito:

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1912 con la caduta dell’ultima dinastia dei Qing. Il breve regno dei Qin fu improntato ad una politica di stabilizzazione dell’assetto istituzionale appena creato, ma soprattutto ad una regolazione dei rapporti sociali: è infatti alla dinastia Qin che si attribuisce un’opera di raccolta del diritto civile: il “QinLü” (Classico delle Leggi dello Stato Qin), opera dall’indubbio valore politico, ancora più che dal punto di vista storico e culturale11, rappresentando il primo esempio di diritto cinese unificato, adottato in sostituzione del diritto variegato e frammentato dei vari regni.

1.3.3. La dinastia Han

Fondata da Liu Bang (劉邦 Liú Bāng ; 256 a.C.- 195 a.C.), la dinastia Han (206 a.C. – 220 d.C.) regnò quasi ininterrottamente12 per oltre quattro secoli, estendendo la sua influenza sui territori del Vietnam, della Corea e dell’Asia centrale. La dinastia Han fu una delle più grandi e prospere dinastie della storia cinese, assicurando abbondanza di cibo, lavoro nonché stabilità politica ed economica alla popolazione. Fu questa inoltre la prima dinastia ad accogliere a corte la filosofia

11 Il QinLü non rappresenta infatti il primo caso nella storia cinese di diritto

raccolto in un’opera organica, avendo ripreso in gran parte un’altra opera: il “FaJing” (Classico delle leggi), attribuito a Li Kui, esponente della scuola legalista, e risalente addirittura alla metà del primo millennio. (S. Schipani, “Diritto Romano

in Cina”, in “XXI secolo”, 2009, pag. 527-536, consultabile al sito: consultabile al

sito: http://www.treccani.it/enciclopedia/diritto-romano-in-cina_%28XXI-Secolo%29/.

12 I quattro secoli di governo della dinastia Han furono interrotti da un breve

intermezzo rappresentato dalla dinastia Xin (新朝 Xīn Zhāo ; 9 a.C. - 23 d.C.), salita temporaneamente al potere a seguito di una fase di catastrofi naturali che avevano alimentato il malcontento, generando movimenti di rivolta. (si veda: G. Casu, “La dinastia Han”, in “Tutto Cina.it – Il portale sulla Cina”, consultabile al sito:

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confuciana, rendendo la conoscenza dei testi classici confuciani un requisito imprescindibile per poter accedere alle più importanti cariche dell’amministrazione, requisito che è rimasto tale fino ai giorni della Repubblica. Il Confucianesimo si venne così a legare indissolubilmente alla politica, alla società e alla cultura cinese. I “li” propri della tradizione confuciana tornarono ad assumere quel ruolo determinante nella vita di tutti i giorni, offrendosi come prezioso strumento di governo e di regolazione sociale, benché temperati, nella loro osservanza, da un codice di condotta che contribuiva a disciplinare i rapporti interpersonali.

Il Codice13 della dinastia Han, redatto nel 193 a.C. per volere del Cancelliere Xiao He (蕭何 Xiāo Hé ; … - 193 a.C.), era in gran parte

un’opera nata dal rimaneggiamento e dall’ampliamento dei contenuti del precedente Codice della dinastia Qin, mostrando una evidente continuità con l’impostazione legalista seguita dalla stessa. Il testo originale ci è giunto solo in maniera frammentaria, ma fonti riportano che dovesse contenere oltre 26,272 articoli, divisi in nove capitoli, e trascritti su oltre 970 pergamene. Da un punto di vista strettamente contenutistico, il Codice affrontava materie quali: la repressione dei reati, la pena di morte, l’organizzazione dei tribunali ed altre, ma l’aspetto più significativo era la commistione fra “li” e “fa”, che andavano a creare un sistema ibrido posto in bilico fra diritto e morale, in cui i principi del Confucianesimo erano trasfusi all’interno delle norme di legge. Fenomeno che è stato definito col nome di “Confucianizzazione del diritto” o “Legalizzazione del Confucianesimo”, e che ha rappresentato per secoli il tratto forse più distintivo della tradizione giuridica cinese.

13 Il Codice della dinastia Han, per l’entità qualitativa e quantitativa che lo

contraddistingue dalle precedenti codificazioni, è stato paragonato alla codificazione Giustinianea in occidente.

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1.3.4. La dinastia Sui ed il “KaiHuangLü”

Con la caduta della dinastia Han, la Cina fece come un balzo nel passato, tornando ad una situazione di estrema frammentazione politica, con una consequenziale ricaduta anche sulla produzione normativa. La riunificazione, dopo quasi quattro secoli di lotte intestine, avvenne per mano di Yang Jian (楊堅 Yáng Jiān ; 541 d.C. – 604 d.C.), capostipite della dinastia Sui (隋朝Suí Cháo), salito poi al trono come Imperatore WenDi (隋文帝 Suí Wéndì). Anche se il periodo di governo della dinastia Sui fu molto breve (solo 37 anni, dal 581 d.C. al 618 d.C.), esso viene visto come importante fase di transizione, riconquistando la perduta unità territoriale14 e preparando il terreno per l’avvento della successiva dinastia Tang. Il Codice della dinastia Sui, promulgato dall’Imperatore Wendi nel 581 d.C., rappresenta un “punto di svolta” nella tradizione giuridica cinese per le modalità ed i criteri con i quali il materiale giuridico viene ad essere “sistemato” e catalogato, modello che verrà adottato in tutte le codificazioni delle dinastie a venire. Formato da 12 capitoli ed oltre 500 disposizioni, il Codice custodiva al suo interno tutta la produzione normativa avutasi fino a quel momento, una raccolta eterogenea che spaziava dal matrimonio, alla organizzazione burocratica degli uffici imperiali fino ad arrivare alla repressione dei reati. Il Codice, nonostante questo, è andato perso nei secoli15.

14 La dinastia Sui è infatti spesso paragonata alla precedente dinastia Qin, proprio

per avere riunificato il Paese dopo secoli di divisioni.

15 “The Sui Dinasty”, in “Encyclopaedia Britannica”, Sez. “China”, pag. 33,

raggiungibile al sito: https://www.britannica.com/place/China/The-Sui-dynasty#ref589922.

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1.3.5. La dinastia Tang

I fondatori della dinastia Tang (唐朝 Táng Cháo ; 618 - 907) ereditarono le conquiste della dinastia Sui che li aveva preceduti, dando inizio ad un periodo di pace e prosperità, descritto come l’apice della cultura e della civiltà cinese. La burocrazia continuò a svilupparsi, gli eserciti imperiali si spinsero oltre i confini nazionali, arrivando ad occupare i territori dell’attuale Vietnam, Corea ed Asia centrale, determinando un aumento esponenziale dei traffici lungo la Via della Seta. La stessa capitale, Chang’an (l’attuale Xian), si venne a trasformare, nel giro di qualche decennio, in una grande metropoli cosmopolita, attraendo mercanti e diplomatici da tutto il mondo e facendo della Cina il vero “Regno di mezzo16”.

Ritorna ad imporsi il confucianesimo, componente essenziale dell’educazione e requisito per tutti i candidati a cariche pubbliche. Già a partire dai primi anni della nuova dinastia, erano stati promulgati alcuni codici penali e raccolte di diritto amministrativo, come strumento per garantire un controllo più efficace sull’Impero. Benché fondata in gran parte su testi di legge già preesistenti, indubbiamente la legislazione Tang fu ben più consistente di ogni altra dinastia vista fino a quel momento. L’opera massima però che i Tang abbiano concepito è il “Táng Lǜ” (唐律: Codice dei Tang), emanato per la prima volta durante il regno dell’Imperatore Taizong (唐太宗 Táng Tàizōng ; 599

d.C.- 649 d.C.). Anche dopo la caduta della dinastia Tang nel 907 d.C., la struttura del Codice ed i suoi contenuti si sono preservati nel tempo, costituendo la base legale di ogni futuro governo della Cina fino alla

16 I cinesi, ancora oggi, si riferiscono al proprio Paese utilizzando il termine

“ZhongGuo” (中国, composto di Zhōng, "centrale" o "medio", e Guó, "regno", "Stato").

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fondazione della Repubblica, e continuando a sopravvivere ancora oggi, nella complessa realtà giuridica contemporanea, nonostante la massiccia importazione di materiale giuridico dai Paesi occidentali.

Considerato la massima espressione della tradizione giuridica cinese, è anche la prima codificazione ad esserci stata tramandata nella sua interezza17. Forse, come aspetto ancora più importante, il Codice rappresenta la massima manifestazione della sintesi fra il pensiero legalista ed il Confucianesimo, delineando una forma di governo stabile, efficiente, fondata su norme di legge e rafforzata da consuetudini e gerarchie informali esistenti da oltre milleduecento anni. Ogni possibile contrasto o differenza di vedute fra legalismo e Confucianesimo finisce così per appartenere al passato. Le stesse previsioni del Codice cercano di garantire la massima armonia con l’ordine naturale delle cose, tramite il ricorso ai principi dello Yin-Yang, e alle teorie dei cinque elementi dominanti18. In realtà, il Codice stesso rappresenta lo Yin (il lato oscuro della società e della regolazione sociale) in contrasto con lo Yang costituito dai riti, la morale e l’educazione.

17 Anche se il Codice ci è stato trasmesso in forma completa, sappiamo da fonti

storiche che era solo parte di un corpo legislativo ancora più ampio, fatto di “Regole” (格 Gé), ordinanze (式 Shì) e statuti (令 Lìng), che ci sono pervenuti solo in maniera frammentaria. (J. A. Cohen, F. Chang, R. R. Edwards, “Essays on China’s

Legal Tradition”, Princeton, 1980, pag. 56-58 e B. Birge, “Women, Property and Confucian Reaction in Sung and Yüan China”, Cambridge, 2002, pag. 66-67).

18 I “Wu Xing” (五行 Wǔ Xíng), anche noti come “i 5 elementi/le 5 fasi”, sono le

componenti fondanti della geomanzia cinese, nota col nome di “Fengshui” (风 水 fēng shuǐ). Sono usati nella tradizione cinese per spiegare una vasta serie di fenomeni, dai cicli cosmici al funzionamento degli organi umani (Per un approfondimento sulla medicina tradizionale cinese e la geomanzia si veda: F. Youlan, “A History of Chinese Philosophy”, Pechino, 1983, Cap.2, pag. 13).

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1.3.6. La dinastia Song e la dinastia Yuan

Con il collasso della dinastia Tang, si apre in Cina una nuova fase di anarchia e caos. Questa fase storica, nota col nome di “Periodo delle 5 dinastie e dei 10 regni”19, si viene a concludere solo nel 979 d.C., anno

in cui i Song riescono finalmente a riunificare il Paese. Con la dinastia Song (宋朝 Sòng Cháo ; 960 - 1279) ha inizio la terza20 aetas aurea

della storia cinese, con importanti progressi nella letteratura, nella filosofia e nelle scienze. La Cina vive una fase di grande prosperità economica, passando da una economia prevalentemente agricola ad una fondata sul commercio. Dal punto di vista della produzione normativa, i Song decisero di rispettare ed onorare la tradizione giuridica preesistente, tramandatagli dalla dinastia Tang. Il “Tang Lü” continuò quindi a trovare applicazione generalizzata, venendo ad essere solo in minima parte integrato e perfezionato con quegli aggiustamenti che si rendevano necessari ad adattarlo ai rapporti sociali, sistematicamente sempre più evoluti e complessi. L’unica componente “originale” della produzione normativa di epoca Song sono i cosiddetti “ordini” (尺 chǐ), termine utilizzato per indicare i provvedimenti adottati dall’Imperatore al fine di dirimere una volta per tutte determinate questioni legali.

Nel 1215 l’area settentrionale del Paese cadde sotto il controllo mongolo, con l’avvento di una nuova dinastia al potere: quella Yuan

19 Il nome è dovuto al fatto che il nord del Paese vide l’avvicendarsi, in un breve

margine di tempo, di cinque diverse dinastie, tutte quante di durata effimera. Il sud, per converso, visse una situazione di frammentazione politica, venendo a destrutturarsi in dieci diversi regni, nessuno dei quali riuscì però nella sua opera di ricomposizione dell’unità. (Per un approfondimento storico, si veda: P. Lorge, “Five Dynasties and Ten Kingdoms”, Hong Kong, 2011, pag. 1-11.)

20 Gli altri due periodi d’ “oro” sarebbe stati quelli vissuti durante la dinastia Han

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(元朝 Yuán Cháo ; 1271 – 1368).

Gli imperatori Yuan erano discendenti di Genghis Khan (ca.1162 d.C. – 1227 d.C), il condottiero mongolo che, all’inizio del XIII secolo, aveva conquistato l’intera Asia centrale e parte dell’Europa orientale. Kublai Khan, nipote di Genghis, fu il primo a salire al trono, diventando il primo Imperatore nella storia della Cina non appartenente alla etnia Han21. Istruito nella storia e nella filosofia, fin dai primi anni del suo regno, Kublai cercò di instaurare una politica di intesa nei confronti della popolazione cinese, circondandosi di consiglieri ed amministratori mongoli e non (cinesi o musulmani), benché pochi di quelli cinesi venissero poi ad occupare posti di autorità, fatta eccezione per le cariche culturali. La corte imperiale, situata a Khanbaliq, l’antica Pechino, venne ad arricchirsi della presenza di moltissimi diplomatici e viaggiatori provenienti da tutto il mondo: fra questi ricordiamo Marco Polo, che riuscì ad ottenere i favori di Kublai Khan, diventandone prima consigliere e poi ambasciatore, risiedendo a Pechino per ben tredici anni. Ci volle tuttavia del tempo prima che i Mongoli prendessero confidenza con i principi fondanti dell’amministrazione cinese, dimostrando nonostante tutto una certa abilità e talento anche in questo campo. Decisero quindi, in un primo momento, di continuare ad utilizzare il sistema amministrativo introdotto dalla dinastia Tang e mantenuto inalterato dalla dinastia Song. Dal punto di vista legale, invece, gli ufficiali Yuan si dimostrarono abbastanza riluttanti ad applicare le norme, considerate troppo “rigorose”, del Codice Tang, spingendo invece per l’uso delle leggi “jasagh”22 proprie della

21 I cinesi Han, o più semplicemente Han, sono un gruppo etnico dell’Asia

orientale. Sono stati storicamente il gruppo etnico dominante in Cina, rappresentando ancora oggi il 92% dell’intera popolazione cinese.

22 Il termine “jasagh” o “yasa” è un termine utilizzato originariamente per indicare

le raccolte di leggi in vigore fra i Mongoli durante gli anni di governo di Genghis Khan. La “jasagh” si occupava della distribuzione dei poteri fra i vari leader tribali e clan, in contrapposizione ai dettami della legge religiosa (nota come “togan”). Durante gli anni di governo della dinastia Qing, il termine subì una variazione nel suo uso, passando ad indicare alcuni fra i principi di etnia mongola, eredi di

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tradizione mongola, o, al massimo, proponendo l’introduzione di nuovi Codici basati però su una componente maggiormente “casistica” e non eccessivamente generalizzata. Leggi fondate sul “precedente” iniziarono ad essere preferite alla legislazione tradizionale e si diede altresì avvio alla compilazione di raccolte di pareri e sentenze emesse dai tribunali. A lungo termine si venne quindi a creare una situazione di compromesso fra la tradizionale dipendenza del diritto cinese dalla presenza di un codice e la maggiore flessibilità, anche della stessa autorità giudiziaria, determinata dalla presenza di norme fondate sul “precedente”.

Fu così che Kublai Khan ed i suoi consiglieri riuscirono a combinare in maniera armoniosa la tradizione legale cinese con il diritto consuetudinario mongolo ed il diritto islamico (data la presenza di consistenti minoranze islamiche nel Paese), adattando il tutto alle nuove realtà sociali e politiche che si erano venute a creare con l’affermazione della dinastia Yuan. Dal 1270 al 1368, anno della caduta del governo Yuan, le tradizioni mongole vennero ad essere perfettamente integrate nelle istituzioni cinesi, portando alla formazione di nuovi Codici e realizzando quanto, sulla carta, molti avevano ritenuto essere impossibile. C’è da dire però che non tutti condividevano le scelte fatte ai vertici del governo, specie i funzionari di formazione confuciana, che ebbero spesso parole di aspra critica nei confronti del sistema legale e della amministrazione plasmata dagli imperatori Yuan23.

Genghis Khan stesso. (si veda: “Jasagh Da Lama – Jasagh Lama”, Columbia WikiScholars, consultabile al sito:

https://lamas-and-emperors.wikischolars.columbia.edu/Jasagh+Da+Lama-Jasagh+Lama.

23 Per un approfondimento sulla Dinastia Yuan si veda: G. Casu, “La Dinastia

Yuan” in “Tutto Cina.it – Il Portale sulla Cina”, raggiungibile al sito:

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Durante gli anni di regno di questa dinastia, si era diffuso fra la popolazione un forte sentimento di avversione nei confronti del dominio dei Mongoli. Dal meridione più colto ed evoluto veniva un particolare disprezzo per i conquistatori, considerati dei barbari ed incivili, disprezzo che non si assopì mai nei decenni, alimentando continue rivolte e sedizioni. A fronte dell’opposizione e delle ostilità della classe dirigente cinese, i Mongoli furono costretti, in gran parte, a ricorrere al servizio di funzionari stranieri, che accorsero in numero considerevole da ogni parte del mondo. Questo contribuì ad alimentare ulteriormente quel sentimento di “xenophobia” e sospetto verso lo straniero che rimarranno radicati nella mentalità cinese dei secoli a venire. Il malessere dell’etnia Han, l’etnia predominante, sfociò in una rivolta popolare che costrinse gli Yuan a ritirarsi nelle steppe della Mongolia. Nel 1341, il capo dei rivoltosi del ramo di Haozhou, Zhu YuanZhang ( 朱元璋 Zhū Yuánzhāng ; 1328 d.C. – 1398 d.C.), al motto di “scacciare i barbari mongoli e rispristinare la nazionalità cinese”, occupò la capitale, rovesciando la dinastia Yuan e creandone una nuova, quella Ming.

1.3.7. La dinastia Ming

Con i Ming (明朝 Míng Cháo ; 1368 - 1644), l’etnia Han torna a dominare la Cina, ma sarebbe stato per l’ultima volta. Chiamata anche: “il grande Impero dei Ming”, questa nuova dinastia regnerà incontrastata per tre secoli, segnando una nuova fase di rinascita economica, ma soprattutto di rinnovata identità culturale per il Paese. È durante il governo della dinastia Ming che vengono in rilievo tutta una serie di fenomeni: la concentrazione del potere politico nelle mani dell’Imperatore e della sua corte (specialmente in quelle degli eunuchi,

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figure di spicco che, in certe epoche, arriveranno a dominare letteralmente il governo), la frammentazione del Paese nelle varie province, l’affermazione della burocrazia civile sull’apparato militare, tendenze già manifestatesi durante gli anni di governo delle precedenti dinastie e destinate a rimanere una costante sino alla fine della storia imperiale. In questo, la dinastia Ming può essere considerata la perfetta sintesi delle teorie dei cicli dinastici, concepite da pensatori già di epoca Han: al nuovo Imperatore, fondatore di una nuova dinastia e creatore di quello che viene prospettato come un nuovo ordine rispetto agli anni di un governo oppressivo e corrotto, finisce per seguire l’inevitabile declino della sua stessa linea di discendenza. Gli imperatori finiscono per cadere vittima di continue congiure e di intrighi di corte, l’esercito si dimostra sempre più incapace di mantenere l’ordine e di far rispettare le leggi, gli alti funzionari violano quelle stesse norme di condotta e moralità delle quali dovrebbero essere il massimo esempio. Alla fine di questo iter, si giunge sempre ad un governo che ha perso il “mandato celeste24” e che è incapace ormai di opporsi alle ribellioni e agli attacchi esterni25.

I Ming si fecero altresì promotori di una nuova raccolta normativa: le cronache cinesi riportano che, a partire dai primi mesi del 1364,

24 Il mandato celeste (天命 Tiān Mìng) è un concetto tradizionale di sovranità,

impiegato per la prima volta dalla dinastia Zhou e destinato ad essere usato come legittimazione per il governo di tutte le future dinastie imperiali. Ascrivibile al concetto europeo di “diritto divino del re”, si fondava sull’idea che l’Imperatore fosse salito al potere grazie al volere e con l’appoggio degli dei. Diversamente però dalla cultura occidentale, il mandato divino legittimava altresì la detronizzazione del sovrano divenuto ingiusto e corrotto: una rivolta popolare contro il despota, coronata dal successo, era chiaro segno che il “mandato” celeste era passato in altre mani. (Per un approfondimento sul “mandato celeste” si veda: Y. Jiang, “The Mandate of Heaven and the Great Ming code”, Seattle, 2011, Cap.6).

25 P. E. Will, “La dinastia Ming: lineamenti generali”, in “Storia della Scienza”,

2001, consultabile al sito:

http://www.treccani.it/enciclopedia/la-scienza-in-cina-i-ming-la-dinastia-ming-lineamenti-generali_%28Storia-della-Scienza%29/

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l’Imperatore Hong Wu (洪武帝 Hóng Wǔ ; 1328 – 1398) avesse infatti promosso la redazione di un nuovo codice di leggi, passato alla storia col nome di “Dà Míng Lü” (大明律 Dà Míng Lǜ: Grande Codice dei Ming), e considerato uno dei maggiori successi e lasciti della dinastia. Lo stesso Imperatore prese con estrema serietà la redazione del nuovo Codice, dando disposizione ai suoi funzionari che esso dovesse risultare pienamente chiaro ed intellegibile, in maniera tale da non lasciare nessun margine di manovra, nella sua applicazione, ai vari organi giurisdizionali ed evitare interpretazioni artificiose del significato delle parole. Benché fondato sugli stessi schemi e principi dell’eccellente Codice Tang, il Codice Ming rappresenta un ulteriore passo in avanti rispetto al suo predecessore. Singolari furono le modalità con le quali il governo Ming ne promosse la diffusione: si procedette infatti ad incidere sulle pareti dei templi e dei santuari alcune delle sue disposizioni più significative, a dare lettura pubblica dello stesso in occasione di grandi eventi come cerimonie religiose e feste popolari, e a tenere veri e propri corsi specializzati in materia nelle scuole di formazione per i funzionari pubblici.

1.3.8. La dinastia Qing ed il “Dà Qīng MínLǜ Cǎo’Àn”

La dinastia Qing (清朝 Qīng Cháo ; 1644 - 1911), fondata nel 1636 dai Manciù per designare il proprio governo sui territori della Cina nord-orientale, è stata l’ultima dinastia della storia imperiale cinese. Nata nella regione della Manciuria, iniziò il suo regno nel 1644, quando le forze dei Manciù occuparono militarmente la capitale dei Ming, Pechino, costringendo l’ultimo Imperatore al suicidio, prima di essere catturato, ed il principe ereditario alla fuga in Birmania. Come per la

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dinastia Yuan, anche i Qing appartenevano ad una minoranza etnica diversa da quella maggioritaria degli Han, ma, a differenza dei primi, i Qing mostrarono un assoluto rispetto ed osservanza delle tradizioni e dei costumi della società cinese, che adottarono e fecero immediatamente proprie26. Fecero ricorso ai termini, alla struttura ed ai principi propri del Confucianesimo per legittimare la propria autorità politica, promuovendo lo studio dei classici e accettando la teoria confuciana secondo la quale i leader governano in virtù della loro rettitudine morale. I Qing rimasero al trono per quasi tre secoli, fino alla loro detronizzazione nel 1911 ad opera della Rivoluzione Xinhai e all’abdicazione dell’ultimo Imperatore nel 1912, contribuendo a gettare le basi della Cina moderna.

Come i propri predecessori, anche la dinastia Qing si impegnò attivamente nella missione di lasciare ai posteri un Codice comprensivo di tutta la normativa vigente: il “Dà Qīng LǜLì” (大清律例: Grande Codice della Dinastia Qing). Il nuovo Codice mantenne l’architettura di quello Ming, suo diretto predecessore, ma provvide altresì ad integrarne i contenuti, eliminando quegli statuti (律 Lǜ) e disposizioni (Lì)

ritenute superate, e con l’aggiunta di alcune norme proprie della tradizione manciù (per esempio, pene severe per chiunque offrisse asilo a schiavi che avessero tentato la fuga dal proprio padrone). La ratio dell’adozione del nuovo Codice, così come spiegata nella prefazione dell’edizione del 1647, redatta dall’Imperatore Shunzhi (順治 Shùnzhì ;

26 Pur cercando, infatti, di preservare la propria identità culturale, non fecero mai

niente per ostacolare le tradizioni cinesi. (si veda: “La Dinastia Qing” in “Tuttocina.it Il portale sulla Cina”, raggiungibile al sito: http://www.tuttocina.it/tuttocina/storia/qing2.htm#.WhWTmBPWz-Y o “La

Dinastia Qing” in “CRI online - China ABC”, consultabile al sito:

http://italian.cri.cn/chinaabc/chapter14/chapter140111.htm) o Y. Jiang “From

Ming to Qing: social continuity and changes as seen in law codes” in “Washington University Law Review” Vol.74, Ed.3, 1996, consultabile al sito:

https://openscholarship.wustl.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1618&context=l aw_lawreview

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1638 – 1661), è estremamente affascinante: a fronte dell’estensione dei confini dell’Impero, anche la responsabilità amministrativa del governo si era venuta ad accrescere, rendendo il Codice Ming non più in grado di far fronte alle nuove esigenze e problematiche. E quindi, anche se il popolo cinese era un popolo “onesto”, l’elevato numero della popolazione rendeva necessario la redazione di un Codice più complesso e dettagliato. Il risultato fu un Codice27 ampissimo, fatto da oltre 1900 statuti (contro le poche centinaia che formavano il Codice della dinastia Ming), numero variato sistematicamente ed in progressivo aumento a fronte degli innumerevoli rimaneggiamenti e riedizioni fatte dal 1644, anno della sua introduzione, al 1912, anno della sua uscita di scena. Al termine del suo corso legale, è stato l’unico Codice ad avere trovato applicazione ininterrotta per ben 270 anni, e, anche dopo la sua cessazione, la filosofia confuciana di controllo sociale della quale era imbevuto finì per influenzare il sistema di derivazione germanica della Repubblica Cinese, ed ancora dopo, quello di ispirazione sovietica della moderna Repubblica Popolare Cinese.

Il Codice era diviso in sezioni ed organizzato al suo interno in “Principi e Termini Generali”, statuti ed infine disposizioni, che venivano a trattare temi quali: burocrazia amministrativa, popolazione, urbanistica, esercito e ovviamente repressione dei reati. Era proprio questa componente (刑律 Xíng Lǜ) ad essere quella predominante, mentre la trattazione della disciplina civilistica veniva ad assumere un ruolo meramente secondario. Da un punto di vista strettamente formale, infatti, il Codice Qing era esclusivamente un codice penale28: le sue

27 R. J. Smith, “The Qing Dynasty and Traditional Chinese Culture”, Lanham, 2015,

pag. 101-102.

28 L’assenza di un Codice civile distinto da quello penale, ha ingenerato per

decenni la falsa credenza che l’ordinamento cinese non prevedesse norme di diritto civile. Tuttavia, studi più recenti hanno dimostrato che la maggior parte dei magistrati era impiegata nella trattazione di cause civili, e che esisteva un elaborato sistema di diritto civile che impiegava il Codice penale per creare e

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disposizioni contenevano tutta una serie di proibizioni e limitazioni, la cui violazione comportava l’applicazione di una ampia gamma di pene. Nella pratica però, intere sezioni trattavano temi che noi ad oggi definiremmo più prettamente come di diritto civile. Questa parte tuttavia non costituiva una componente assestante o ben delineata del Codice, ma solo una raccolta eterogenea di norme ed istituti che, senza una vera logica di fondo, venivano ad essere raccolti come sezione integrante di una branca più ampia, che era quella del diritto amministrativo. In definitiva, quindi, gli istituti di stampo privatistico trovano una applicazione limitatissima nella Cina dell’epoca, espressione dell’interesse ridotto, se non addirittura nullo, che i funzionari imperiali gli rivolgevano.

Nonostante il Codice Qing contenesse disposizioni che andavano a toccare gli argomenti più disparati, non possiamo dire però che per ogni materia avessimo una disciplina completa, esaustiva ed organica. Per esempio, per quanto riguarda la parte relativa ai rapporti economici, avevamo moltissimi statuti, ma ben lontani dal costituire una normativa strutturata in senso moderno.

Ultimo aspetto di rilievo è che quello Qing fu il primo Codice cinese ad essere studiato e tradotto in inglese29. La traduzione giocò un ruolo

cruciale nel permettere alle grandi potenze europee di venire a conoscere

configurare illeciti civili. (P. Paderni, “Recenti Studi sulla Amministrazione della

Giustizia e sul Diritto nella Cina del XVIII e XIX secolo”, in “Mondo Cinese” n.97,

Gennaio-Aprile 1998, raggiungibile al sito: http://www.tuttocina.it/Mondo_cinese/097/097_pade.htm#.WhWNNBPWz-Y o K. Bernhadt, P. C. Huang, “Civil Law in Qing and Republican China”, Stanford, 1994, Cap.3, pag. 42-43).

29 La traduzione, nota col nome di “Leggi fondamentali della Cina”, fu portata a

termine da Sir George Thomas Staunton nel 1810, seguita di lì a due anni, nel 1812, da una ulteriore traduzione, questa volta in francese. (G. Abbattista, “Il

Contributo di George Thomas Staunton al dibattito europeo sulle leggi e la giustizia cinesi tra ‘700 e ‘800”, consultabile al sito: https://www.openstarts.units.it/bitstream/10077/13247/1/ABBATTISTA_Diritto _letterature_confronto-16.pdf).

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alcuni degli elementi fondanti del sistema legale cinese, conoscenza considerata cruciale per poter aprire canali di scambio e di commercio con un Paese che aveva da sempre frapposto molto ostacoli e manifestato viva resistenza.

Nonostante i molti profili di merito del Codice Qing, ormai alle soglie del XX secolo, si faceva sempre più evidente la necessità di un sistema strutturato e definito anche nella branca del diritto civile, necessità che spinse i giuristi cinesi a fare una cosa mai fatta prima: alzare lo sguardo, andando al di là della tradizione cinese, ed iniziare l’elaborazione di Codici improntati ai modelli occidentali.

1.4. Verso la modernizzazione del sistema giuridico cinese

Verso la fine del XIX secolo, a fronte di una severa crisi interna causata principalmente dalle sconfitte subite nelle “Guerre dell’oppio”30 e nel

30 Nome utilizzato per indicare due diversi conflitti, che videro contrapporsi prima

l’Impero cinese con il Regno Unito (1839 – 1842) e a seguire l’Impero cinese con un’alleanza franco-britannica (1856 – 1860). Lo scoppio della guerra rappresentò il culmine di un lungo periodo di contese politiche e commerciali fra i due Paesi, che avevano visto la reazione vigorosa e categorica della Cina rispetto all’introduzione sul mercato nazionale dell’oppio proveniente dall’India britannica. Allarmato infatti dalla rapida crescita del suo consumo e dalla inefficacia delle contromisure approntate dai suoi predecessori, l’Imperatore Daoguang (道光 Dào Guāng ; 1782 – 1850), salito al potere nel 1820, dispose il sequestro di tutto l’oppio introdotto nel Paese, arrivando, nel 1839, a dichiarare la cessazione integrale degli scambi commerciali fra Cina ed Inghilterra. Il governo britannico decise allora che l’unica soluzione era la guerra. Il primo conflitto si concluse col Trattato di Nanchino, primo di una lunga serie di trattati che posero pesantissime condizioni di resa per la Cina (apertura di cinque porti al commercio internazionale, cessione di Hong Kong alla Gran Bretagna, indennità di guerra ai vincitori, ecc.), rappresentando uno dei momenti più umilianti della storia cinese, che contribuirono ad alimentare un sentimento nazionalista e xenofobo. Il

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conflitto col Giappone, la Cina vide sistematicamente il frantumarsi del proprio assetto istituzionale e sociale. Reagire a questa situazione di precarietà e avviare una profonda fase di modernizzazione che le permettesse di venire a ricoprire un ruolo di primo piano nel panorama internazionale divenne per la Cina una priorità assoluta. Uno dei lasciti più pesanti dei trattati “iniqui”31 erano le clausole di “extraterritorialità”, imposte alla Cina a favore dell’Inghilterra già a partire dal primo trattato, ed estese in un secondo momento anche a beneficio della Francia e degli Stati Uniti. In virtù della clausola di extraterritorialità, il cittadino straniero, che risultasse coinvolto nella commissione di un illecito civile o di un reato penale a danno di un cittadino cinese, sarebbe stato sottratto alla giustizia cinese, venendo invece giudicato dalle autorità consolari del Paese di provenienza, in applicazione della legge di tale Paese32. Fu così che la dinastia Qing, ultima dinastia imperiale, avviò una nuova fase di rinnovamento del sistema legale, introducendo tutte quelle riforme ritenute necessarie al fine di ricostruire il sistema sulla base del diritto occidentale “lato sensu”. Modello di riferimento fu la recente esperienza riformatrice attuata in Giappone. Il Giappone, infatti, aveva seguito al pari della Cina una politica isolazionista, agevolato in questo anche dalla propria posizione geografica. A partire

secondo conflitto, conclusosi coi tratti di TianJing del 1858 e di Pechino del 1860, aggravò ulteriormente la situazione, comportando l’apertura di altri dieci porti, l’abolizione di dogane per le merci provenienti dai Paesi occidentali e per finire: la legalizzazione dell’oppio. (si veda: G. Melis, “La guerra dell’oppio” in “Tuttocina.it Il portale sulla Cina” consultabile al sito: http://www.tuttocina.it/tuttocina/storia/guerraoppio.htm#.WhWZFhPWz-Y).

31 Nome con cui si è soliti indicare una serie di trattati conclusi da Paesi orientali

(la Cina Qing, il Giappone Tokugawa e la Corea Joseon) con le potenze occidentali, caratterizzati dalle pesanti condizioni di resa imposte ai Paesi dell’Estremo oriente, incapaci di resistere alle pressioni militari ed economiche dei vincitori. (Per una trattazione più approfondita sul contenuto dei trattati iniqui si veda: D. Wang, “China’s Unequal Treaties: Narrating National History”, Lanham, 2005, Cap.1.)

32 Questo evidente vulnus alla sovranità territoriale cinese si manifestava altresì

nel divieto di arresto da parte delle autorità giudiziarie ed una totale immunità innanzi alle corti locali.

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dal 1868, anno d’inizio della “Rivoluzione Meiji”33, il Giappone

abbandonò infatti il plurisecolare sistema feudale, cominciando una fase di profondo cambiamento sul piano sociale, economico e soprattutto giuridico, culminata con l’approvazione, l’11 febbraio 1889, di una nuova Costituzione adottata seguendo i canoni costituzionali occidentali. La nuova Costituzione, introdotta al fine di permettergli di stare al passo con le grandi potenze occidentali, fece fare al Giappone un “balzo nel futuro”34, trasformandolo da Paese agricolo come molti

altri, ad una grande potenza militare ed economica, risultato testimoniato dalla vittoria riportata sulla Russia nel 1905. La Costituzione fu elaborata guardando prima al modello francese, e successivamente alla Costituzione prussiana, dato che la Prussia stava attraversando, in maniera analoga al Giappone, una trasformazione da Stato agricolo ad industriale, senza poi contare che la figura del Kaiser in qualità di leader politico era in gran parte assimilabile a quella dell’Imperatore giapponese. Grande merito dei giuristi giapponesi fu la creazione di un nuovo vocabolario di diritto civile, che, dato l’impiego nella lingua giapponese dei Kanji (caratteri di derivazione cinese), potrà poi essere recepito ed utilizzato anche in Cina.

Il processo di riforma ebbe inizio con vere e proprie “spedizioni” di studiosi in Occidente, alla volta di Paesi che, seppur caratterizzati da ordinamenti giuridici diversi fra loro, potessero offrire alla Cina un’idea di quale fosse il miglior modello da seguire. Questi “missionari” erano principalmente giuristi di primo piano del panorama cinese, ma alla spedizione si vennero ad aggiungere anche molti altri studiosi nonché

33 La Rivoluzione Meiji, chiamata anche “Rinnovamento Meiji” fu un movimento

di radicale cambiamento economico, sociale e politico vissuto dal Giappone fra il 1868 ed il 1869. Il potere politico tornò nelle mani dell’Imperatore, dopo secoli di governo degli Shogun, i vari signori feudali. (“The Meiji Restoration and

Modernization” in “Asia for Educators”, Columbia Univeristy, consultabile al sito:

http://afe.easia.columbia.edu/special/japan_1750_meiji.htm).

34 Per un approfondimento sull’evoluzione del Giappone moderno si veda: F.

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giuristi giapponesi. Fra i vari esponenti, spiccano i nomi di Shen Jiaben e Wu TingFang35, giuristi insigniti del grado di “jinshi” (進士 Jìn Shì: giuristi di livello superiore), grado riconosciuto solo a coloro che avessero, a seguito del superamento dell’esame finale, sostenuto un ulteriore periodo di formazione presso la Corte imperiale. Come accaduto in Giappone, questi giuristi proposero di seguire il modello degli ordinamenti occidentali di tradizione romanistica (con la consequenziale previsione della norma scritta e l’adozione di un’opera di codificazione normativa), rigettando l’ipotesi di rifarsi al modello dei paesi di common law. Tale scelta fu ritenuta quella preferibile a fronte del fatto che la norma giuridica codificata rappresentava uno strumento ben più agevole da imitare e trapiantare in tempi brevi nella realtà cinese.

Vennero ad essere quindi ripresi concetti giuridici fondamentali della tradizione giuridica romanistica, ma del tutto estranei a quella cinese: concetti come quello di obbligazione, contratto, negozio giuridico, capacità giuridica, e così via. A distanza di qualche anno, le ambascerie in Occidente iniziarono a dare i primi frutti: videro la luce alcune bozze di Codice36. È importante notare che il grosso del lavoro di questi giuristi

si era incentrato sulla codificazione del diritto penale, branca che assumeva, agli occhi dell’Imperatore GuangXu (光绪帝 GuāngXù ; 1873 – 1908), un’importanza ben maggiore ai fini del mantenimento dell’ordine sociale e della sopravvivenza dell’Impero. Fra queste37, ricordiamo una bozza di Codice di procedura penale, sottoposta

35 Wu Tinfang, di ritorno dall’occidente, verrà nominato “Ministro per la riforma

delle leggi”, contribuendo a gettare le basi della nuova Corte Suprema Cinese (1906).

36 Questi nuovi Codici avrebbero dovuto, col tempo, soppiantare il vecchio Codice

imperiale, lasciando inalterato però il sistema sociale cinese fondato sui millenari principi confuciani del “li”.

37 Nel 1906 veniva emanato altresì un provvedimento sulla preparazione di una

Costituzione improntata ai modelli occidentali. Al pari però dei vari Codici, nessun progetto di Costituzione riuscì ad essere portato a termine.

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all’attenzione dell’Imperatore nel 1906, che constava di cinque capitoli e 256 articoli. L’intero capitolo V, intitolato “Controversie fra la Cina e controparti straniere”, conteneva per la prima volta nella storia cinese disposizioni in materia di diritto internazionale, benché tale settore fosse rimasto estraneo alle direttive impartite ai fini della riforma legislativa. La branca del diritto civile non fu dimenticata, ma solo temporaneamente accantonata, fino al 1907, anno di istituzione di una nuova commissione38 di giuristi, chiamata “Falu Bianzuanhui” incaricata della redazione di un nuovo Codice, l’ultimo che la dinastia Qing abbia lasciato ai posteri: il “Dà Qīng MínLǜ Cǎo’Àn” (大清民律 草案: Progetto di diritto civile della grande dinastia Qing). Il nuovo Codice rappresentò il primo caso nella storia cinese in cui il diritto civile era disciplinato separatamente dal diritto penale. Purtroppo tale Codice39 rimase solo e soltanto una bozza, non venendo promulgato dal governo in quanto considerato ancora incompleto, ed il processo di perfezionamento non potette essere portato a termine a fronte del crollo dell’Impero quello stesso anno (la presentazione del Codice all’Imperatore avvenne infatti solo un mese prima dello scoppio della rivoluzione del 1911). Malgrado ciò, ebbe una grandissima rilevanza nell’elaborazione delle future bozze di Codice civile, tutte quante fondate sui contenuti e sulla struttura di questa bozza iniziale. Il Codice risultava composto di cinque libri: un primo libro contenente la disciplina generale introduttiva del diritto civile, un secondo in materia di obbligazioni, il terzo libro sulla proprietà, un quarto in materia di famiglia ed infine il quinto libro sulle successioni. Per il profilo strutturale, sono evidenti le influenze del sistema pandettistico e della

38 Di questa commissione tornavano a far parte importanti studiosi come Wu

Tinfang e Shen Jianben.

39 H. Pazzaglini “La recezione del diritto civile nella Cina del nostro secolo” in

“Mondo Cinese”, n.76, 1991, pag. 50-51. ; M. Mazza, “Le Istituzioni giudiziarie

cinesi, dal diritto imperiale all’ordinamento repubblicano e alla Cina popolare”,

Milano, 2011, pag. 76-77 ; X. Li, Q. Fang. “Modern Chinese Legal Reform: new

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dottrina tedesca. Nella prima parte, dedicata ai principi generali, si introducevano concetti quali quello di negozio giuridico e di contratto. Nel secondo libro, venivano ad essere regolamentate forme contrattuali tipiche e applicati principi fondanti quali quelli di: uguaglianza fra le parti contraenti, responsabilità contrattuale ed autonomia individuale. Più problematica fu invece l’introduzione del concetto di diritto soggettivo, a fronte di una cultura cinese fondata sull’idea che il suddito avesse solo doveri, nessun diritto e che, anzi, qualsiasi forma di rivendicazione personale costituisse un pericolo per la stabilità della società stessa. Queste problematiche caratterizzarono l’intero processo di ammodernamento del diritto cinese, rendendo palese il contrasto culturale fra i diritti oggetto di trapianto e la tradizione giuridica nazionale. Il processo di cambiamento venne però forse accelerato dalle vicende storiche.

1.5. La Rivoluzione Repubblicana

Nonostante i cambiamenti istituzionali intrapresi procedessero rapidamente, l’insoddisfazione dilagava, alimentando rivolte popolari. Nel 1911 vide così la fine il millenario Impero cinese, soppiantato da una rivoluzione che condusse all’instaurazione della Repubblica. Il regno dei “Figli del Cielo” sul “Trono del dragone”, iniziato oltre quattromila anni prima, giunse così al termine. Gli attivisti, impegnati nella lotta al governo Qing, avevano origini diverse: ne facevano parte rivoluzionari anti-Manciù guidati da Sun Yat-sen40, militari ribellatisi ai

40 Sun Yat-Sen (孫逸仙 Sūn Yìxiān ; 1866 – 1925) è considerato il padre della Cina

moderna, nonché uno dei più grandi rivoluzionari della storia cinese. Fu il fondatore del “Guo Min Dang”, il Partito Nazionalista cinese, nonché leader indiscusso della rivoluzione del 1911.

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