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L’emigrazione (1925-1953): l’attività di Evreinov in Francia

sull’arte come rivelazione

2.2. L’emigrazione (1925-1953): l’attività di Evreinov in Francia

L’inizio degli anni Venti segna una svolta irreversibile nella vita professio- nale di Evreinov. La sua popolarità cresce sensibilmente, non tanto perché esco- no in Russia numerosi studi di teoria e storia del teatro, quanto per il successo ottenuto in seguito alla rappresentazione della Presa del palazzo d’inverno, e, ancor più, grazie alle rappresentazioni, sia in patria che all’estero, della tragi- farsa Ciò che più importa, che dal 1922 farà il giro delle capitali europee e del mondo75. Da cosa scaturisce, dunque, la decisione di emigrare? La critica tende,

in modalità varie, a promuovere la tesi dell’‘apoliticità’ di Evreinov76. A giudi-

care dai documenti disponibili, il regista considerava la possibilità di emigrare già dal 1921, come testimoniano le lettere del NARKOMPROS indirizzate a Lunačarskij e a Mejerchol’d, in cui dichiarava l’intenzione di lasciare il pae- se se non gli fossero state prospettate condizioni favorevoli per lavorare come teori co, ricercatore e regista (Kupcova 1992: 214). Inoltre, più che l’eventualità di lasciare definitivamente la Russia, Evreinov considerava quella di trasferirsi all’estero per un periodo, per poi fare ritorno in patria in un secondo momento77.

Lo scopo di questo paragrafo non è quello di ricostruire l’attività svolta da Evreinov all’estero nel suo complesso78, attività che fu estremamente varia, più

di quanto non lo fosse stata già in patria, come non manca di notare M. Litavri- na79. Ci preme piuttosto dare conto delle tappe significative, che caratterizzaro-

no la sua permanenza all’estero, in modo da tracciare un quadro esauriente del periodo dell’emigrazione, evidenziando ciò che lo differenzia dal periodo ‘rus- so’, dal clima culturale in cui Evreinov si formò e a cui risalgono le prime fonda- mentali esperienze. Possono essere distinte due fasi nel periodo di emigrazione:

75 Grande successo riscosse la rappresentazione di Comédie du Bonheur al Tea-

trul National Bucaresti (1927), come emerge da una lettera privata del 18 settembre 1927 del direttore del teatro a Evreinov (LDT).

76 Così scrive di lui Kannak (1992: 185): “brillante e colto esteta dalle invenzioni

inesauribili, interamente preso dai problemi del teatro ma assolutamente indifferente ai problemi sociali e politici, Evreinov si ritrovò un pesce fuor d’acqua nella Russia sovie- tica; di rispondere a committenze sociali era del tutto incapace”.

77 In merito a una presunta ‘pianificazione’ del proposito di emigrare, è singolare

il rilievo critico di M. Litavrina, che valuta i frequenti viaggi di Evreinov dall’inizio de- gli anni Venti come una sorta di esercitazione propedeutica a un congedo più definitivo dal paese (“guardando al suo comportamento all’inizio degli anni Venti si può osservare come una specie di ‘prova della partenza’”, Litvarina 2003: 121).

78 Della biografia artistica di Evreinov si dà conto nelle voci a lui dedicate nei

dizionari sulla letteratura russa di emigrazione, sebbene si riportino notizie incomplete, talora inesatte e diseguali (Mnuchin et al. 2008: 526-527, Nikoljukin 1997: 161-163; Šelochaev 1997: 232-233; Smith 2005: 93-101).

79 La studiosa ignora l’opera inedita del periodo, che darebbe un’incisiva confer-

ma della sua affermazione circa l’operato di Evreinov (“non si può non notare il carat- tere eterogeneo dell’attività di Evreinov all’estero, il suo interesse per certi aspetti del teatro e certi temi che non avevano avuto precedenti in patria”, Litvarina 2003:121).

la prima, relativa al biennio 1925-1927, esplorativa, instabile e cosmopolita, in cui Evreinov e la moglie A. Kašina non hanno ancora stabilito una residenza stabile e i loro progetti cambiano continuamente, a seconda delle offerte che Nikolaj riceve e del successo delle messe in scena. È questo il periodo in cui la vita di emigrazione coincide per i coniugi Evreinov con una vita di profughi, per quanto a tratti privilegiati80. La seconda fase va invece dal 1927 al 1953, periodo

in cui vivono stabilmente a Parigi.

Evreinov lascia dunque la Russia con la moglie nel gennaio 1925 per rag- giungere Varsavia. Qualche giorno più tardi li avrebbe raggiunti l’organico della compagnia dello Specchio Deformante, che aveva in programma una tournée polacca. Propria quella trasferta fu, stando alle memorie della Evreinova, “l’i- nizio del loro Golgota” (Kašina-Evreinova 1954: 24). Da questo momento non faranno più ritorno in patria, sebbene, lasciando Leningrado, non avessero an- cora progettato di restare all’estero per sempre, come poi avvenne. Gli Evreinov si trovarono in un certo qual modo costretti a restare a Varsavia, in conseguen- za dell’‘incidente diplomatico’ che si verificò in occasione della prima della

Nave dei giusti (Korabl’ pravednych): la presenza dell’ambasciatore sovietico

ad accogliere la troupe alla stazione e alla prima dello spettacolo orientò nega- tivamente l’atteggiamento della stampa locale, che mal si rapportava a tutto ciò che portasse il marchio di ‘sovietico’, tanto che la pièce fu infine accolta dalla stampa come una dichiarazione di bolscevismo, mentre gli Evreinov erano as- solutamente apolitici81. La compagnia dello Specchio Deformante risultò, suo

malgrado, impopolare, ed Evreinov venne perfino sospettato di essere un agente sovietico in incognito. La compagnia fece così ritorno a Leningrado, mentre gli Evreinov restarono a Varsavia, per tentare di appianare i contrasti e sistemare la situazione (AKE: 5). Infatti, la presenza degli ambasciatori sovietici in occa- sione di questa tournée non era stata prevista dalla direzione della compagnia, rivelandosi così una spiacevole sorpresa.

L’episodio fece capire a Evreinov quanto fosse ormai giunto il momento di scegliere se schierarsi politicamente con il bolscevismo, oppure no. Scelse di non schierarsi, di restare fuori dall’Unione Sovietica e raggiungere Parigi, una volta risolti i problemi sorti con le autorità locali. In attesa di ricevere il

80 In una lettera a Kamenskij del 1930 Evreinov, per spiegare il – non solo suo

– desiderio di maggiore stabilità, scrive che è ormai finito il tempo in cui è dato vivere da profughi, (“l’epoca della ‘fuga’ era finita [пора ‘беженства’ кончилась]” Evreinov 1988: 247). “‘Bežency’ – formalizza Raeff – è un termine che si applicava solo a coloro che, una volta finite le circostanze difficili per cui erano stati costretti a emigrare, de- cidevano comunque di non ritornare in patria (Raev 1994: 14). Proprio a proposito del sentirsi ‘profughi’, Adamovič ha fatto invece notare una peculiare coincidenza, ovvero che: “emigrazione e fuga sono concetti distinti, ma che nella diaspora russa si fusero, e questo non va dimenticato’” (Adamovič 1961: 10). Ci sembra che questa osservazio- ne descriva bene i primi anni all’estero di Evreinov, soprattutto la prima fase, quella dell’instabilità (1925-1927).

81 Come scriverà la moglie Anna nella sua autobiografia, rievocando l’accaduto,

visto per la Francia, durante la successiva permanenza in Polonia, la situazione effettivamente migliorò, anche grazie alle entusiastiche recensioni della regia pirandelliana di La gaia morte al Teatro d’Arte di Roma82. In breve fu chiarito

il malinteso col direttore del Teatro di Varsavia e gli Evreinov poterono ripren- dere più serenamente i contatti per l’organizzazione della loro vita all’estero. Di qui seguono peregrinazioni a Praga (dove Evreinov firmò un contratto di tutela diritti per l’Europa centrale), Berlino, fino ad arrivare a Parigi, qualche mese più tardi. Così, la scelta di emigrare sembra non derivare da una presa di posizio- ne ideologica, quanto da un insieme di circostanze contingenti, prima tra tutte la consapevolezza della difficoltà che avrebbe incontrato a operare nel proprio paese83. Molti anni dopo, ammetterà di aver sofferto molto l’isolamento e l’au-

tosegregazione culturale in cui vedeva versare la Russia bolscevica (Kašina- Evreinova 1954: 84):

Ma per sfortuna, la Russia era del tutto separata dal resto del mondo civilizza- to, per la lingua, il modo di vivere, le condizioni politiche, e il mio lavoro sarebbe rimasto nella cerchia chiusa dell’‘uso e del consumo nazionale’.

L’attività di Evreinov a Parigi negli anni Trenta e Quaranta ha il significa- to di un dialogo interculturale, volto a superare i limiti di un semplice progetto di riproduzione e diffusione della cultura russa. Così egli intese il progetto di costituire un teatro russo stabile a Parigi, che non a caso fu di breve durata; l’e- migrazione teatrale invece, in linea con un generalizzato senso di ‘missione’ sto- rico-culturale, intendeva conservare la memoria della Russia pre-rivoluzionaria (Maksimova 2007: 244) ma non nella prospettiva di un dialogo interculturale col paese di accoglienza.

Riguardo al sentimento comune circa una ‘missione’ da assolvere nel con- testo degli émigrés, è opportuno aprire qui una riflessione. Infatti, molti furono gli intellettuali e artisti che videro il dramma della diaspora post-rivoluzionaria come un’occasione storica straordinariamente importante per la cultura russa, quasi una ‘missione’, un dovere spirituale. Di questo atteggiamento messianico è indicativa la frase pronunciata da Merežkovskij “non siamo qui in esilio, ma in missione”84. Gli intellettuali all’estero si interrogarono dunque sulle caratteristi-

che di questa missione, sotto il profilo religioso-spirituale, storico-politico, ma

82 La prima andò in scena il 29 aprile del 1925 al Teatro Odescalschi di Roma.

Pirandello aveva scelto la pièce perché sapeva “dimostrare straordinariamente l’eternità dello spirito della teatralità”. La pièce fu accolta con entusiasmo da autorevoli critici come Renato Simoni e Silvio D’Amico, ma criticata da altri. Per un quadro esaustivo della critica italiana su La Gaia Morte si veda Pieralli 2010: 197-198.

83 Anche secondo Ryženkov, Evreinov è emigrato per ragioni essenzialmente ar-

tistiche, in particolare per ottenere fama mondiale e libertà artistica, a differenza di gran parte dell’emigrazione teatrale che voleva proseguire una tradizione nazionale all’estero (cf. Džurova 2007, <http://www.dissercat.com/content/nikolai-nikolaevich-Evreinov- v-kulturnoi-zhizni-rossii-i-zarubezhya>).

anche più ampiamente culturale e artistico. Il denominatore comune di queste riflessioni è il fatto di trovarsi simultaneamente orientate al passato e al futuro: da un lato la volontà di non disperdere un’eredità culturale (come per Fedotov, una missione che è un imperativo: “mai nessuna emigrazione ha ricevuto dal popolo un ordine così perentorio, portare con sé l’eredità culturale”, Kostikov 1991: 57), dall’altro, l’ansia e il desiderio di interrogarsi sul futuro, sui destini della Russia, così come del ruolo di un popolo nella storia del mondo. Un’ansia di profetismo e messianesimo, che sul piano dell’elaborazione ideologica cor- rispondeva alla creazione di un nuovo progetto politico per un’ipotetica Russia libera, che gli emigrati avrebbero un giorno portato con sé e organizzato in pa- tria (come nel pensiero di F. Stepun e N. Berdjaev).

In ambito critico si tende a studiare le caratteristiche di questa missione come un insieme di dinamiche culturali che contrassegnano solo la prima on- data dell’emigrazione (1917-1939)85, ma si registrano punti di vista diversi in

merito alle sue peculiarità. C’è chi, pur riconoscendo l’aspetto tragico della dia- spora, ha valutato positivamente le operazioni culturali dell’emigrazione russa come azioni orientate alla resurrezione della Russia futura, in contrapposizione al fenomeno degli emigrati interni all’Unione Sovietica (“la vita e il lavoro de- gli emigrati – chiamiamo così coloro che hanno abbandonato il territorio rus- so – erano orientati positivamente, ovvero verso la ricostruzione ideale di una Russia futura”, Blinov, Postnikov 1993: 11). Sviluppando questa visione, A. Azov individua tre momenti di evoluzione: il primo, teso alla conservazione della tradizione culturale pre-rivoluzionaria, il secondo, finalizzato all’elabo- razione di una nuova ideologia per una nuova Russia liberata dal regime, e la terza, orientata alla trasformazione della cultura russa in un nuovo tipo di cultura mondiale su base ortodossa (Azov 1996: 148)86. Altri, come M. Raeff, ascrivono 85 Fa eccezione in questo quadro lo studio di E.M. Makarenkova, la quale, esten-

dendo l’analisi anche all’emigrazione del secolo XIX, considera non tanto l’idea di una missione, ma ‘l’idea russa’ come vero e unico fattore coesivo ed ‘extra-temporale’ (vnevremennyj) del complesso fenomeno dell’emigrazione russa tra XIX e XX secolo: “Proprio l’‘idea russa’ è servita da base per l’unificazione della Russia all’estero, nella ‘dispersione’ è divenuta una sorta di luogo dello spirito per molti che si erano privati della patria […]. ‘L’idea russa’ è stata quella concezione che è riuscita ad opporsi a un internazionalismo senza volto e artificiale, e più precisamente al cosmopolitismo” (Ma- karenkova 1993: 14-16). La prospettiva analitica qui non è più esattamente nei termini di una ‘missione’ ed è invece volta a rintracciare nell’autocoscienza nazionale ortodossa l’elemento-sintesi della cultura russa, un elemento che nell’emigrazione assume pro- spettive messianiche; infatti, l’idea russa funziona per gli emigrati come spazio cultu- rale di riferimento su cui si dovrebbe edificare una nuova cultura europea. L’analisi di Makarenkova apre interessanti prospettive culturologiche, ma resta troppo vaga, perché non si fonda su dati o documenti di alcun tipo.

86 Nazarov individua, come fa Azov, la prima funzione di questa missione nella

volontà di conservare la memoria della Russia prerivoluzionaria, poi però ne dà un’in- terpretazione più politica: vede la seconda funzione nel fornire un aiuto alle forze di resistenza al regime rimaste in patria. Infine vede la terza, similmente ad Azov e altri,

all’emigrazione una missione genericamente spirituale, rivolta a conservare i valori e le tradizioni della cultura nazionale e a continuare la vita artistica grazie al progresso spirituale della patria (Raev 1994: 14). In linea con Raeff (ma senza porsi il problema di cosa si debba intendere per ‘cultura russa’, come invece si chiede Raeff87), A. Aronov intende questa missione come uno sforzo consape-

vole, orientato alla ricreazione della cultura russa su terra straniera, da collocare nel processo di costruzione di un tipo peculiare di cultura: si trattò, secondo Aronov (2003: 4), di un processo non spontaneo, ma mirato, “orientabile”. Eb- bene, l’opera svolta da Evreinov in Francia rientra in questo paradigma, ma solo il versante ‘pratico’, ovvero le regie, le tournée, la fondazione di compagnie e teatri di lingua russa, la cura di progetti, la scrittura di storie del teatro russo, tutti quegli aspetti che si sono ripercorsi in questo capitolo. Operazioni queste che risultano inserite in un dialogo interculturale con la Francia, come dimostrano le numerose collaborazioni con artisti francesi, col mondo del teatro, del cinema, della musica e con le istituzioni culturali. Significativa è, a questo proposito, una riflessione di Evreinov che la moglie ha trascritto nelle sue memorie (Kašina- Evreinova 1954: 84):

Stanislavskij, Mejerchol’d […] un europeo dotato di cultura teatrale conosce i loro nomi, ma solo questo; non ha praticamente visto i loro lavori. Durante questi venti anni di vita all’estero, benché sia possibile che quantitativamente abbia fatto di meno (se non considero le mie nuove pièces, ancora inedite), tutto il mio lavoro ha comunque avuto più risonanza a livello mondiale di quanto non ne abbiano avuta i ‘risultati’ che avevo raggiunto in Russia. E in questo risiede il grande significato del mio soggiorno all’estero. Non solo per la mia creazione artistica personale, ma in genere per consentire agli stranieri la comprensione del teatro russo.

Questa confessione dà conto di una svolta prodottasi nell’atteggiamento di Evreinov rispetto al modo di concepire la propria vita artistica e professionale. Una svolta che si situa nel superamento di quell’egoismo tanto rimproveratogli in patria – e culminato con le tesi racchiuse nel Teatro per se stessi –, così come nella ricerca di un tipo diverso di comunicazione col pubblico e con la società.

sul piano culturale-creativo, ovvero nel progetto di trasformare la cultura russa in una cultura universale, come esito della presa di coscienza della tragica esperienza storica dell’Ottobre (“comprendere la tragica esperienza della Rivoluzione come esperienza universale […] la scoperta di un nuovo livello dell’ ‘idea russa’ come sintesi di un’espe- rienza che appartiene a tutta l’umanità”, Nazarov 1992: 7-10). Questa visione critica è messa in dubbio da Konstantinov, che obietta a Nazarov di aver elaborato un’idea acca- demica di questa missione, che riguarda solo alcune personalità celebri dell’emigrazio- ne, e di non aver invece considerato la popolazione emigrata nella sua totalità, il popolo dell’‘infrastoria’ (Konstantinov 1993: 20-22).

87 Uno degli interrogativi fondamentali da porci quando si studia l’eredità cultu-

rale dell’emigrazione russa, osserva Raeff, è proprio relativo a come gli emigrati inten- devano la ‘cultura russa’, cosa andava innanzitutto conservato, cosa era da considerare ‘classico’ e cosa non lo era (Raev 1994: 124-151).

Oltre a ciò, in emigrazione l’opera di Evreinov si arricchisce di due direzioni nuove: da un lato, farà esperienza come regista del mondo del cinema, dall’altro, si cimenterà seriamente nella filosofia e teoria dell’arte.

Riprendendo il filo delle vicende biografiche, nel 1925 Evreinov firma un contratto con la Società Italiana del Teatro Drammatico, per tutelare i diritti della rappresentazione di tre sue pièces. Ciò testimonia l’avvio dei rappor- ti con Pirandello88, che gli Evreinov conosceranno a Parigi solo nel giugno

dello stesso anno89. Nel gennaio 1926 Evreinov va a New York, su insistito

invito dell’impresario teatrale F. Meyer, con cui era entrata personalmente in contatto A. Kašina a Parigi90. Grazie all’appoggio di Meyer, mise in scena al

Guild Theatre di New York la sua Ciò che più importa (tradotta in The Chief

Thing) e sempre a New York allestì al Jewish Art Theatre la La nave dei giu- sti91. Trascorrerà in tutto un anno negli Stati Uniti, soggiornando tra New York

e Cleveland, tenendo lezioni sulla teatralità e la teatralizzazione della vita in varie università americane e lavorando come consulente alle messe in scena del teatro newyorkese92. Dall’ottobre 1926, accolto come membro regolare

della Società Americana degli Autori Drammatici, si ritenne particolarmente soddisfatto dell’esperienza americana, del successo e della popolarità ricono- sciutogli dal pubblico e dalla critica. Tuttavia decise di fare ritorno a Parigi, dove, stando alle sue parole, sarebbe riuscito a condurre una vita meno irre- quieta e incerta, e a progredire nel proprio lavoro, soprattutto come scrittore, attività fondamentale per la costruzione di sé93. Della permanenza di Evreinov 88 Il contratto tra Evreinov e la Società Italiana del Teatro Drammatico per la

messa in scena a Roma di tre pièces (La gaia morte, Tra le quinte dell’anima e Ciò che più importa) fu firmato il 23 marzo 1925.

89 Anna Kašina ricorda Pirandello come una persona educatissima e attenta,

estremamente rispettosa del lavoro del marito (“penso sia stato l’unico direttore di te- atro a essersi rivolto con tale attenzione e cura al testo della pièce”, Kašina-Evreinova 1954: 30).

90 L’incontro avvenne a casa del pittore Sorin a Parigi, amico degli Evreinov. 91 Il contratto con la società americana degli autori drammatici (The Author’s Le-

age of America) venne firmato il 13 febbraio 1926.

92 Di questi periodi, e delle circostanze che li accompagnarono riferisce in varie

lettere inviate all’amico V. Kamenskij, in particolare in quelle datate 8 aprile 1926 e 20 settembre 1926, cf. Evreinov 1988.

93 Scrive Evreinov a Kamenskij: “facendo un bilancio del mio soggiorno di nove

mesi in America devo dire che parlando di successo e guadagno ho ottenuto più soddi- sfazione di quella che mi aspettavo. Ma questo successo e guadagno li ho raggiunti a caro prezzo: non ho scritto nulla qua… fondamentalmente non ho vissuto per me stesso (Подводя итоги своего девятимесячного пребывания в Америке, я должен сказать, что в смысле успеха и сопраженного с ним заработка я получил большее удов- летворение, какого даже не ожидал. Но этот успех и этот зароботок достигнуты слишком дорогой ценой: я ничего не написал здесь… вообще не жил для себя”, Evreinov 1988: 243). La Carnicke fornisce invece tutt’altra versione della scelta di tor- nare a Parigi, ovvero il troppo tiepido successo della produzione al Guild Theatre di The Chief Thing (Carnicke 1989: 24).

in America sono oggi testimonianza concreta la quantità di documenti conser- vati presso gli archivi Amherst94 e Bakhmeteff95.

Per ‘seconda fase’ dell’emigrazione, si intende invece il lungo soggiorno di Evreinov a Parigi, dove visse ininterrottamente dal 1927 al 1953, anno della morte. La scelta di questa città come residenza definitiva dipese anzitutto dal fatto che qui più che altrove egli aveva allacciato, già prima di emigrare (1922), contatti col mondo teatrale parigino (in particolare con J. Coupeau e Ch. Dullen). Fino alla metà degli anni Trenta non appare chiaro se Evreinov intendesse torna- re in patria. Secondo V.V. Ivanov, la questione dell’‘emigrazione’ non era stata risolta ancora nel 192896. Non solo, da una lettera inviata a Kamenskij alla metà

degli anni Trenta, si comprende che non avesse abbandonato del tutto l’idea di fare ritorno in patria. Tuttavia, l’idea di tornare suona più come un progetto dai contorni vaghi che non come una reale intenzione, poiché, scrive Evreinov nella