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L’esatta individuazione del trattamento economico minimo.

LE FONTI DI DISCIPLINA DEL CONTRATTO DI LAVORO DEL SOCIO: QUALI TUTELE?

3.6. L’esatta individuazione del trattamento economico minimo.

Ai sensi dell’art. 3, comma 1, della legge del 2001, il trattamento economico complessivo riservato al socio lavoratore subordinato deve essere “proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine”; per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, si fa riferimento “ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo”.

Secondo una prima interpretazione della norma, prevale nella legge n. 142 l’esigenza di una tutela speciale dei soci, “imponendosi alle cooperative l’applicazione dei contratti collettivi di settore, con non pochi dubbi di legittimità costituzionale in relazione all’art. 39 Cost.”59.

Come precisato nella circolare ministeriale n. 34 del 2002, la nuova legge ha conferito al socio, nel caso di contratto di lavoro subordinato “un diritto al trattamento retributivo conforme alle prestazioni della contrattazione collettiva”, divenendo, in tal modo, “obbligatorio il rispetto dei valori minimi fissati dai contratti collettivi nazionali di lavoro”. La fonte

59

Così MISCIONE, Il trattamento economico del socio: profili lavoristici, fiscali, previdenziali e processuali, in D. GAROFALO -M.MISCIONE (a cura di), La nuova

disciplina del socio lavoratore di cooperativa, cit., 81 ss.; nonché AMATO, La tutela

economica prevista per il socio lavoratore dalla legge n. 142/2001, in Dir. Rel. Ind., 2002, 191, per il quale “si rischia di riprodurre per questo specifico settore

l’esperienza delle leggi n. 741/59 e 1027/60 sulla estensione generalizzata dei minimi inderogabili dei contratti collettivi”.

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contrattuale ha assunto la funzione di “parametro di riferimento per valutare la congruità della retribuzione corrisposta ai soci”.

La soluzione adottata nella l. n. 142 è apparsa ad un diverso settore della dottrina “del tutto coerente rispetto alla lettura comunemente accolta del combinato disposto degli artt. 36 e 39 Cost., in base alla quale è stata attribuita alla contrattazione collettiva la funzione di fonte regolatrice dei modi di attuazione della garanzia costituzionale del salario sufficiente”60.

Il rinvio è, in primo luogo, alla contrattazione collettiva nazionale propria o “del settore”, in mancanza della quale diverrà vincolante quella “altrui”,

rectius “della categoria affine”61.

In verità, quanto al profilo del trattamento economico dovuto al socio lavoratore subordinato, sono state riscontrate alcune incertezze e difficoltà interpretative: esattamente non è parso chiaro cosa debba intendersi per “minimi retributivi”, a fronte della varietà e delle differenze tra i singoli contratti collettivi nazionali e dell’esistenza di contratti collettivi di settore specifici per varie tipologie di società cooperative.

Secondo una prima tesi, la norma in esame sarebbe “finalizzata ad applicare al socio lavoratore i principi costituzionali in materia di retribuzione del lavoratore dipendente”, principi che “riconoscono il diritto non già all’intero trattamento economico stabilito dal contratto collettivo, ma soltanto ad alcune voci retributive fondamentali”, tra le quali, ad esempio, come affermato dalla giurisprudenza, i minimi tabellari, l’indennità di contingenza, la tredicesima mensilità62.

60

Si veda ZOLI, Il corrispettivo della prestazione lavorativa, in NOGLER, TREMOLADA, ZOLI (a cura di), La riforma della posizione giuridica del socio

lavoratore di cooperativa, cit., 409 ss., per il quale “la scelta operata dal legislatore,

di limitare la discrezionalità del giudice vincolandolo a considerare quale parametro di riferimento obbligatorio la contrattazione collettiva, non presenta alcun profilo di incostituzionalità”.

61

Cfr. MISCIONE, Il trattamento economico del socio: profili lavoristici, fiscali, previdenziali e processuali, 84, secondo il quale “l’imposizione di minimi “altrui”,

anche in presenza di una contrattazione propria, avrebbe comportato dubbi davvero insormontabili di legittimità costituzionale in rapporto all’art. 39 Cost.”.

62

MARESCA, Il rapporto di lavoro subordinato del socio di cooperativa, in MONTUSCHI-TULLINI (a cura di), Lavoro e cooperazione tra mutualità e mercato, cit., 32 ss.

Di diverso avviso è chi ha ritenuto che la retribuzione da garantire sia quella complessivamente prevista dal contratto collettivo nazionale; il trattamento economico “non inferiore ai minimi” non farebbe, allora, esclusivo riferimento “al cd. minimo costituzionale, ovvero alla sola retribuzione base o, tuttalpiù, all’indennità di contingenza e alla tredicesima mensilità”, estendendosi, al contrario, a tutte le voci retributive previste dal contratto collettivo63.

Al riguardo, è intervenuta oltrechè la circolare chiarificatrice n. 10/2004, una nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 3 settembre 2004, con la quale si è precisato che quanto di non facoltativo è previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro (minimo tabellare, contingenza, Edr, numero di mensilità etc.) è da ritenersi fra gli elementi fissi, ovvero obbligatori, che nel loro complesso concorrono alla formazione del minimo retributivo spettante. Per i soci lavoratori con rapporto di lavoro di tipo subordinato sussiste, inoltre, l’obbligo di applicazione di istituti normativi che la legge disciplina per la generalità dei lavoratori (come Tfr, ferie etc.). E’ stato, così, definitivamente precisato il contenuto del trattamento economico minimo, che non può essere derogato dalle previsioni regolamentari (come confermato all’art. 6, comma 2).

Stabilito il trattamento minimo inderogabile, il legislatore ha previsto, nella seconda parte del citato articolo 3, che l’assemblea dei soci possa deliberare trattamenti economici ulteriori, le cd. maggiorazioni retributive, secondo le modalità indicate in accordi stipulati tra le associazioni cooperative e le organizzazioni sindacali. E’ stata, così, individuata “una sorta di secondo livello retributivo”64, la cui erogazione è, tuttavia, sottoposta alle deliberazioni dell’assemblea dei soci, che in materia ha una competenza esclusiva.

Anche in ordine a questo profilo sono stati sollevati alcuni dubbi concernenti gli elementi che possono comporre la retribuzione e le fonti

63

ZOLI, Il corrispettivo della prestazione lavorativa, in NOGLER,TREMOLADA,ZOLI

(a cura di), La riforma della posizione giuridica del socio lavoratore di cooperativa, cit., 411.

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legittimate ad introdurli. Ci si è chiesti, in particolare, se la disposizione abbia carattere tassativo, precludendo alle cooperative la possibilità di stabilire il compenso da attribuire ai propri soci. In proposito la dottrina è apparsa divisa: da una parte si è sostenuto che l’art. 3, comma 2, lett. a) ha introdotto un “doppio vincolo”, che impedisce qualsiasi forma di libertà al di fuori della delibera assembleare e della previsione degli accordi collettivi stipulati ai sensi dell’art. 265; dall’altra sono stati avanzati dubbi di legittimità costituzionale di una tale lettura rispetto, oltrechè ai principi di libertà sindacale, di cui all’art. 39 Cost., anche al principio di libertà d’iniziativa economica privata di cui all’art. 41 Cost.66. Dubbi considerati fondati, in ragione del principio generale del favor che riguarda tutti i lavoratori dipendenti e, come tale, si applica anche ai soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato67.

Si è precisato come la norma avrebbe la funzione di attribuire all’assemblea la competenza in materia di trattamenti economici ulteriori rispetto ai minimi, così da garantire “al meglio, attraverso il consenso della generalità, e comunque della maggioranza della compagine societaria, il rispetto del principio paritario”: la necessità che la decisione sull’an delle condizioni di miglior favore spetti all’assemblea e debba ispirarsi al principio di parità dei diritti dei soci negli scambi mutualistici, comporta

65

Così TARTAGLIONE, La nuova disciplina del socio lavoratore di cooperativa, in

Dir. Prat. Lav., 2001, 13 ss. 66

Così MISCIONE,Il socio lavoratore di cooperativa (regolamentazione forte dopo la legge n. 142/2001), cit., XVII, per il quale “si prospetta un divieto generale di dare di

più ai singoli e comunque un divieto in mancanza di appositi accordi sindacali specificamente disciplinati, in deroga al principio generale di miglior favore”; contra FIORAI, Il “nuovo” lavoro in cooperativa. Tra subordinazione e autonomia, cit., 214, per il quale, invece, “l’eventuale limite al dispiegarsi del principio di libertà di iniziativa economica privata non dovrebbe dare luogo a censure di legittimità costituzionale, perché volto a valorizzare i fini sottesi in altra norma costituzionale, l’art. 45”.

67

M.DE LUCA,Il socio lavoratore di cooperativa : la nuova normativa, in Foro it.,

conseguentemente la nullità dei trattamenti erogati in contrasto con queste regole68.

Per i soci lavoratori autonomi, l’art. 3, comma 1, ultima parte, contiene, invece, il richiamo a “contratti o accordi specifici”. Si è discusso se anche per i soci autonomi la disposizione de qua abbia inteso applicare il principio di proporzionalità, analogo a quello garantito dalla Costituzione all’art. 36 per i soci subordinati. La soluzione negativa sarebbe, secondo alcuni, motivata, oltrechè dalla lettera stessa della norma, che riferendosi ai soci autonomi introduce l’espressione disgiuntiva “ovvero” per distinguerli da quelli subordinati, anche dalla considerazione che una diversa opinione porterebbe ad introdurre “un’opinabile tutela, priva di ragionevoli giustificazioni”69.

Da altra parte, si è al contrario sottolineato che il legislatore pare fornire “un parametro di commisurazione tanto della retribuzione dei soci subordinati quanto dei compensi dei soci autonomi”, ai quali si estende, almeno in parte, il contenuto di cui all’art. 36 Cost.; norma alla quale “si è chiaramente ispirato nella stessa formulazione testuale”70.

Sicché, anche a questi ultimi, secondo questa interpretazione, sarebbe attribuito il diritto ad un “trattamento economico complessivo proporzionato alla qualità e quantità del lavoro prestato”: un trattamento economico equo e sufficiente.

Ci si è chiesti, inoltre, se per i soci autonomi possano essere ammessi contratti o accordi collettivi anche non nazionali purché “specifici”, posto che l’art. 3 non precisa nulla in tal senso, a differenza di quanto chiarito,

68

ZOLI, Il corrispettivo della prestazione lavorativa, in NOGLER,TREMOLADA,ZOLI

(a cura di), La riforma della posizione giuridica del socio lavoratore di cooperativa, cit., 412.

69

Cfr. DONDI, Cooperative di produzione e lavoro: primi appunti sulla riforma del

socio lavoratore, in It. lab. e-journ, 2002, cit.; contra MISCIONE, Il trattamento economico del socio: profili lavoristici, fiscali, previdenziali e processuali, 86. 70

ZOLI E CUSA, Il trattamento economico del socio lavoratore, in NOGLER, TREMOLADA, ZOLI (a cura di), La riforma della posizione giuridica del socio

lavoratore di cooperativa, cit., 407 ss.; nonché FIORAI, Il “nuovo” lavoro in

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nella prima parte della disposizione, circa il trattamento riservato ai soci subordinati.

Quale, allora, il livello della contrattazione collettiva competente a determinare il compenso minimo? Se da un lato, prima delle modifiche apportate dalla l. n. 30/2003, “per esigenze di coerenza sistematica”, nonché ai sensi dell’art. 6, comma 2, si era sostenuto che il riferimento dovesse essere inteso ai contratti collettivi nazionali senza distinzione tra lavoratori autonomi e subordinati71, dall’altro è stato, invece, ritenuto possibile il riferimento anche a contratti territoriali o aziendali72.

Quest’ultima tesi è però difficilmente condivisibile: quale contratto aziendale potrebbe essere assunto come parametro esterno per determinare la misura del compenso minimo?

3.7. Segue: La disciplina del ristorno e le norme che espongono il socio